Analisi – Il recente viaggio del Presidente Erdogan in Uzbekistan riaccende l’interesse per le strategie politiche turche in Asia Centrale. Da anni Ankara cerca di rafforzare la propria influenza negli ex Stati sovietici dell’area, non senza alcune difficoltĂ di natura economica e geopolitica. La fornitura di armi e l’offerta di cooperazione, soprattutto militare, sembrano essere la soluzione a questo problema, sfruttando gli spazi d’influenza lasciati da USA e (per ora) Russia.
LA VISITA DI ERDOGAN IN UZBEKISTAN
Negli ultimi giorni di marzo l’Uzbekistan ha accolto in visita ufficiale il leader turco Erdogan, invitato personalmente dall’omologo Shevket Mirziyoyev. I due Presidenti hanno preso parte alla seconda riunione del Consiglio di cooperazione strategica di alto livello uzbeko-turco, che mira al rafforzamento dei rapporti diplomatici e commerciali. Al centro dei colloqui ci sono stati molti settori fondamentali relativi all’accrescimento di questa collaborazione: commercio, difesa, agricoltura, energia, turismo, trasporti, industria, assistenza sanitaria e scambi culturali. Proprio quest’anno, tra l’altro, ricorre il 30° anniversario dell’instaurazione dei rapporti tra i due Paesi e i rispettivi leader, a margine dell’incontro, non hanno escluso che tale cooperazione possa in futuro evolvere in un partenariato strategico globale. A questo riguardo, Erdogan ha invitato a sua volta il Presidente uzbeko in Turchia per partecipare alla prossima riunione del suddetto Consiglio di cooperazione. Uno scambio di inviti che ricorda molto quello avvenuto nel biennio 2016-2017 sempre con Mirziyoyev, allora Presidente ad interim: in quell’occasione a Tashkent il leader turco parlò di “fratellanza eterna” da raggiungere.
L’Uzbekistan però è solo uno dei Paesi centroasiatici presenti nell’affollata agenda di Erdogan. Lo scorso anno Hulusi Akar, Ministro degli Esteri turco, effettuò un tour diplomatico in Kirghizistan e Tagikistan allo scopo di dissipare le tensioni dovute a scontri di confine tra questi Paesi. La recente visita uzbeka rientra nella più ampia opera di rafforzamento dell’influenza turca in Asia Centrale. La grave crisi finanziaria vissuta dalla Turchia, causata dal crollo della valuta rispetto all’euro e al dollaro e dall’inflazione alle stelle, ha costretto Ankara a rivedere le proprie ambizioni geopolitiche. Non ultime sono le conseguenze provocate dalla guerra in Ucraina la quale ha inciso profondamente sulle speranze di ripresa economica. Negli ultimi mesi vi è stata un’impennata dei prezzi delle materie prime, del carburante e una dura flessione turistica essendo russi e ucraini ai primi posti per presenze nel Paese anatolico.
Fig. 1 – Erdogan e il Presidente uzbeko Mirziyoyev, accompagnati dalle rispettive mogli, visitano la cittĂ di Khiva, 30 marzo 2022
LA STRATEGIA TURCA IN ASIA CENTRALE
La strada più percorribile per Erdogan, alla luce di questo scenario, sembra quella che porta a riprendere i rapporti con i Paesi vicini, sicuramente bisognosi di assistenza, soprattutto militare. In passato nell’area ex sovietica le aspirazioni turche si sono scontrate con la forte presenza che gli USA e la Russia, con metodi e strategie diverse, avevano imposto a suon di investimenti e soft power. Alle due potenze citate va aggiunta anche la Cina, massicciamente influente in Asia Centrale, e non solo con la Belt & Road Initiative. I recenti avvenimenti geopolitici nella regione, dal ritiro delle forze occidentali in Afghanistan alla Russia totalmente impegnata nel conflitto militare in Ucraina e in quello economico contro l’Occidente, hanno aperto uno spazio di manovra importante per la diplomazia di Erdogan. La Turchia si offre come valida alternativa agli USA e alla Russia verso i Paesi della regione, desiderosa anche di remunerativi accordi economici e commerciali che possano dare forza alla propria disastrata economia.
Le pretese di riavvicinamento di Ankara nei confronti degli “Stan” (suffisso che significa terra, posto, nazione, luogo) riposano sulle storiche affinitĂ etnico-culturali che legano la Turchia a questi Paesi, in una fascia di territorio che dall’Anatolia arriva fino ai confini orientali del cosiddetto Turkestan. L’ambizione è quella di collegare queste due regioni tramite quello che è conosciuto come “corridoio panturco“, una sorta di rete infrastrutturale che dall’Azerbaijan passi per tutta l’Asia Centrale creando un enorme crocevia strategico tra Occidente e Oriente. L’espansionismo turco in tal senso si è palesato con le tratte ferroviarie Baku-Tbilisi-Kars e Ankara-Baku-Mosca e la linea marittima Turchia-Caspio.
Tra le maggiori iniziative mirate a rinsaldare i rapporti tra la Turchia e gli “Stan” a livello linguistico-etnico c’è il Consiglio di cooperazione dei Paesi turcofoni, meglio conosciuto come Consiglio Turco. Durante un vertice dell’Organizzazione del novembre 2021, Devlet Bahceli, leader del partito di estrema destra turco Milliyetçi Hareket Partisi, regalò a Erdogan un’enorme mappa del mondo turcofono. Una chiara “spinta” di quel movimento nei confronti del Presidente in un’ottica decisamente panturanica. GiĂ dopo il collasso dell’URSS, la Turchia puntò molto sul proprio soft power culturale sia con l’allora Presidente Tugut Ozal che con la dottrina neo-ottomana dell’ex Primo Ministro Ahmet Davutoglu, forte questa del richiamo dell’affinitĂ religiosa islamica. Nel vertice sopracitato è stato approvato anche il documento Turkic World Vision 2040, recante delle linee guida sul coordinamento e la cooperazione dei Paesi membri in numerosi settori.
L’unico “Stan” a non far parte del Consiglio è il Turkmenistan per via della politica di neutralitĂ sancita dalla Costituzione del 1992. Infine, tra le entitĂ multilaterali di cui sono parte sia la Turchia che i Paesi centrasiatici ci sono la Banca Islamica per lo Sviluppo (IDB), l’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC), l’Organizzazione di Cooperazione Economica (ECO), l’Organizzazione del Mondo Islamico per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (ICESCO) e l’Organizzazione Internazionale per la Cultura Turca (TĂśRKSOY), quest’ultimo senza il Tagikistan. Â
Fig. 2 – Erdogan (al centro) posa in abito tradizionale durante una riunione dell’Organizzazione Internazionale per la Cultura Turca, marzo 2016
I RAPPORTI CON GLI ALTRI “STAN”
La Turchia è riuscita a rafforzare la propria immagine durante la pandemia fornendo vaccini e assistenza sanitaria, ma a rendere l’offerta turca irresistibile è stata l’assistenza militare. Ankara ha stretto diversi accordi di questa natura con i Paesi dell’Asia Centrale, vendendo anche i droni Bayraktar, vanto dell’industria bellica turca e visti all’opera sia nel conflitto del Nagorno-Karabakh che in quello in Ucraina.
Con il Kazakistan la Repubblica turca ha siglato un accordo di cooperazione militare nel maggio 2021 che prevede esercitazioni congiunte e piani di formazione delle truppe kazake da parte dei turchi. I due Paesi al momento condividono una politica di equidistanza dal conflitto ucraino, ma quello kazako, pur offrendosi come potenziale mediatore, incolpa della guerra il mancato rispetto degli accordi di Minsk. Un’intesa simile a quella siglata con il Kazakistan è stata raggiunta lo scorso aprile con il Tagikistan. Anche in questo caso i diplomatici turchi offrono la propria esperienza in campo militare e auspicano una sempre maggiore cooperazione. Gli scambi commerciali con Dushanbe sono tra i più fruttosi per Ankara raggiungendo i cinque miliardi di dollari. Il Paese centroasiatico ha acquistato dalla Turchia i droni citati in risposta alla stessa iniziativa del vicino Kirghizistan, a tutela dei propri confini. Per quanto riguarda proprio il Kirghizistan, esso ha ricevuto il supporto politico turco durante la breve e intesa schermaglia contro il Tagikistan per il controllo della regione di Batken, al confine tra i due Paesi. Resta infine lo sfuggente Turkmenistan, che nonostante la menzionata politica di neutralità , è uno dei principali acquirenti di armi turche, tra cui i droni Bayraktar. Lo scorso novembre sono stati siglati a Ashgabat ben otto accordi di cooperazione bilaterale con la Turchia. I settori interessati spaziano dall’economia all’istruzione, senza tralasciare l’energia e le infrastrutture.
Mario Rafaniello
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