Analisi – L’Unione Europea sta valutando il disaccoppiamento energetico dalla Russia, la cui realizzazione risulta tuttavia condizionata da difficoltĂ infrastrutturali e di ordine economico. Rinunciare al gas russo è teoricamente possibile, ma la repentina rimodulazione della strategia energetica continentale impone costi e incognite securitarie supplementari a quelli cui si cerca rimedio.
LE INCOGNITE DI UN DIFFICILE DECOUPLING
Il degrado delle relazioni euro-russe conseguente alla crisi in Ucraina ha posto una seria incognita sulla sostenibilità degli attuali schemi di approvvigionamento di gas naturale dell’Unione Europea. Sorvolando sulle dinamiche del conflitto in corso, il dato politico oggettivo ineludibile rimane il significativo grado di dipendenza dalle forniture russe che la Commissione Europea sembra intenzionata a ridurre, ponendosi l’obiettivo di soppiantarle del tutto entro il 2030. A Bruxelles stanno già lavorando a un piano propedeutico al progressivo sganciamento da Mosca in cui tra le strategie meramente domestiche spicca il proposito di incrementare la produzione continentale di gas e biogas, ridimensionandone il consumo laddove possibile, soprattutto nei settori nei quali è possibile compensarlo ricorrendo alle energie rinnovabili. Proposito certamente ambizioso, ma che nel breve periodo potrebbe rivelarsi a dir poco proibitivo, suscitando più di qualche perplessità circa la sostenibilità di un possibile embargo europeo alle forniture russe.
Consapevoli di questa realtà , a Bruxelles ritengono che per quest’anno sia possibile fare a meno di soli due terzi dei circa 155 miliardi di metri cubi (bcm) importati dalla Russia nel corso del 2021. Scenario che nel migliore dei casi costringerebbe i Paesi clienti di Gazprom a pagare comunque una buona parte dei volumi di gas contrattati, ma non ritirati, previsti delle clausole “take or pay”, a cui potrebbe sommarsi il rischio di un possibile blocco totale delle forniture di gas difficilmente sostenibile nel breve periodo. Il preventivato rimpiazzo parziale delle forniture russe al vaglio della Commissione UE imporrebbe un piano di diversificazione degli approvvigionamenti il cui successo dipende essenzialmente dalla capacità di incrementare le importazioni di gas naturale liquefatto (GNL), integrando i 77 bcm complessivamente importati nel corso del 2021 con almeno ulteriori 50 bcm. Incremento di volumi compatibile con la capacità di rigassificazione aggregata dei Paesi UE solo sul piano teorico, giacché sconta una non ottimale distribuzione geografica degli impianti di rigassificazione, peraltro pregiudicata da una infrastruttura di trasporto non adeguatamente dimensionata rispetto al suo potenziale. Infatti, sebbene la sola penisola iberica possa contare su ben sette rigassificatori, la capacità dei due gasdotti che la collegano alla Francia permettono di inoltrare oltre i Pirenei solo 7 dei 36 bcm potenzialmente processabili su base annua da Portogallo e Spagna. Superare questi limiti infrastrutturali sarebbe parzialmente fattibile, ricorrendo alla capacità di rigassificazione di quel Regno Unito, al quale, nonostante la Brexit, l’Unione Europea rimane legata dai gasdotti del Mare del Nord, in grado di inoltrare fino a 30 bcm annui processabili dai tre rigassificatori britannici. Potenziale il cui sfruttamento rimane in ogni caso subordinato alla struttura del mercato del GNL globale, e dalla sua capacità di incrementare un’offerta che ad oggi resta fin troppo ristretta e polarizzata verso i voracissimi mercati asiatici, per i quali, al contrario di quelli europei, al gas naturale liquefatto non sussistono alternative. Quote di mercato che pertanto l’Europa dovrà iniziare a contendersi sul piano economico, prendendo atto che l’attuale incremento dei prezzi è più qualcosa di strutturale che di episodico.
Fig. 1 – Arturo Gonzalo Aizpiri, CEO della compagnia energetica spagnola Enagas, parla della strategia dell’UE per terminare gli approvvigionamenti energetici dalla Russia, 25 maggio 2022
IL POTENZIALE INTEGRATIVO DEI GASDOTTI
Il ridimensionamento delle importazioni russe passa anche dall’incremento di quelle provenienti dai gasdotti che collegano l’Europa ai Paesi produttori concorrenti della Federazione Russa. Il primo di questi Paesi è la Norvegia, i cui gasdotti nel corso del 2021 hanno operato quasi a pieno regime, lasciando margini di integrazione limitati, e che anche nel migliore dei casi potrebbero aggiungere poco più di 8 bcm, teoricamente inoltrabili attraverso le infrastrutture di trasporto britanniche. Considerazioni che aiutano a inquadrare meglio l’effettivo potenziale del gasdotto baltico, accreditato di una capacità di 10 bcm annui destinati ai mercati di Danimarca e Polonia, la cui ultimazione è attesa per la fine del 2022.
Forniture aggiuntive potrebbero essere captate dall’Algeria, dove la disputa inerente alla sovranità sulla regione del Sahara occidentale è culminata con il blocco delle gasdotto Maghreb-Europe, svincolando circa 14 bcm precedentemente destinati ai mercati di Marocco e Spagna, da quest’anno rifornita dal solo gasdotto Medgaz. Sviluppo che per quanto imprevisto, alla luce dei predetti limiti dell’interconnessione franco-spagnola, offre l’opportunità di dirottare buona parte di questo gas algerino verso la meglio sincronizzata rete di trasporto italiana, sfruttando appieno il recente potenziamento del gasdotto TransMed. Rimodulazione razionale perché compensabile dall’abbondante capacità di rigassificazione spagnola, ma soprattutto perché permetterebbe di ottimizzare rapidamente la distribuzione di volumi di gas che diversamente l’Algeria non sarebbe in grado di integrare, complice il sostenuto incremento della domanda domestica. Volumi il cui potenziale risulta ancora più prezioso se considerati in relazione alle incognite securitarie che gravano sul Paese nordafricano, dove alla minaccia costituita da al-Qaeda nel Maghreb islamico si sommano tutte le problematiche di un fragilissimo quadro socio-politico. Incognite certamente rilevanti, anche se non a livello di quelle che da circa un decennio pregiudicano la turbolenta realtà della vicina Libia, dove confermare gli attuali 4 bcm importati annualmente in Italia attraverso il gasdotto Greenstream sarà di per sé un risultato importante da non dare affatto per scontato.
Va infine considerato l’apporto del gas azero, di cui beneficiano già la Grecia e soprattutto l’Italia, che dal gasdotto TAP trarrà fino 8 bcm annui. Forniture attese in minima parte anche in Bulgaria, dove i lavori dell’interconnettore al confine con la Grecia dovrebbero concludersi prima della prossima stagione invernale, lenendo, seppur di poco, la dipendenza dal gas russo della vulnerabile periferia sudorientale dell’Unione Europea.
Fig. 2 – Una stazione di compressione del gas in Bulgaria, maggio 2022
UNO SGUARDO OLTRE IL 2030
La crisi del gas che si sta profilando rischia di prolungare il processo di transizione energetica perseguito dall’Unione Europea, giacché rinunciare al gas russo Russia implica un rapido e drastico processo di diversificazione delle forniture che inevitabilmente andrà a sottrarre preziose risorse destinate allo sviluppo delle energie pulite. Una delle opportunità a disposizione dell’Unione Europea per diversificare il proprio mix energetico è rappresentata dal progetto EastMed, un gasdotto alimentato da giacimenti israelo-ciprioti situati nel Mediterraneo orientale. Infrastruttura che senza l’ingombrante concorrenza della Russia acquisisce quella consistenza economica che mancava ad un progetto già classificato tra i progetti di interesse comune della Commissione UE. Prospettive economiche tuttavia controbilanciate dai pesanti veti strategici che la Turchia subordina alla risoluzione dell’annosa contesa cipriota, peraltro amplificata dal confronto con la Grecia inerente le rispettive zone economiche esclusive. Controversia la cui risoluzione va pertanto ponderata rispetto ai benefici attesi dalla realizzazione di un gasdotto accreditato di una capacità di circa 10 Bbcm annui, non certo in grado di sostituire integralmente le forniture russe.
Ben più consistente potrebbe essere l’apporto del gasdotto transahariano (Nigal), i cui progetti preliminari ipotizzano una capacità annua prossima ai 30 bcm. Volumi certamente alla portata della Nigeria, il principale produttore di gas naturale africano. Produzione attualmente esportata sotto forma di GNL, ma il cui potenziale acquisirebbe una valenza ben più significativa se sfruttato mediante l’ausilio di un’infrastruttura di trasporto stabile. Il Governo nigeriano avrebbe già trovato un’intesa per la definizione della rotta del gasdotto con Niger e Algeria, la cui realizzazione è stata fino ad oggi scartata proprio per via di un mercato europeo saturato dalla sovrabbondante offerta russa. Ma per quanto rinnovate, sulle prospettive del gasdotto nigeriano incombono non trascurabili incognite securitarie riconducibili alla minaccia costituita dal Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger e alla crescente instabilità della regione del Sahel. Un’altra importante opportunità è quella costituita dal Turkmenistan, titolare delle quarte riserve di gas globali. Potenziale immenso che potrebbe trovare sblocco in Europa ricalcando la rotta delle infrastrutture di trasporto azere, ma le cui prospettive rimangono subordinate alla risoluzione della disputa inerente lo status legale del Mar Caspio, su cui continuano a pesare i veti di Russia e Iran. E proprio l’Iran costituisce un’ultima alternativa, vantando le seconde riserve di gas su scala globale, il cui sfruttamento continua ad essere pregiudicato dalle vicissitudini inerenti il suo controverso programma nucleare.
Ognuna di queste opportunità rimane praticabile per l’Unione Europea, ma impone l’onere di scelte strategiche aventi un costo politico, economico e securitario diverso, e probabilmente non inferiore a quello che attualmente impone la scomoda partnership energetica con la Russia. E se oggi le ragioni della politica inducono i Governi europei a sondare la praticabilità di nuove e ignote rotte di approvvigionamento energetico, domani l’evoluzione degli scenari internazionali condizionati dalle ineludibili incombenze dell’economia potrebbe anche suggerire l’opportunità di revisionare la scomoda partnership con la Russia, evitando di sommare incertezze nuove a criticità vecchie, conosciute e probabilmente anche meglio governabili. Quale di questi scenari prevarrà dipenderà sostanzialmente dalla profondità del solco che in Ucraina dividerà il continente europeo.
Antonino Spina
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