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Katyn, il massacro che divide Polonia e Russia

Caffè lungoLe Autorità russe hanno rimosso la bandiera della Polonia dal memoriale del massacro di Katyn, giustificando la decisione come una risposta all’atteggiamento “ostile” di Varsavia dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Una mossa simbolica che conferma come l’eccidio del 1940 e la sua controversa memoria continuino a influenzare pesantemente le già difficili relazioni tra i due Paesi.

VIA LA BANDIERA DAL MEMORIALE

Il 25 giugno scorso le Autorità russe hanno rimosso la bandiera polacca dal memoriale del massacro di Katyn, situato a ridosso della foresta nell’Oblast di Smolensk dove furono rivenute le fosse comune contenenti le vittime delle esecuzioni del 1940. La rimozione sarebbe stata decisa dal Ministero della Cultura della Federazione Russa e ha incontrato la piena approvazione del sindaco di Smolensk, Andrei Borisov, che l’ha presentata come una giusta risposta alla retorica “anti-russa” di Varsavia dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Per Borisov Katyn è “un memoriale russo” e su di esso non devono sventolare bandiere straniere, soprattutto quelle di Paesi ostili come la Polonia. Naturalmente il Governo polacco ha condannato duramente la decisione russa, interpretandola come ulteriore prova dell’ostilità di Mosca nei propri confronti e in quelli dell’Europa. Secondo Stanislaw Zaryn, portavoce del Ministro Coordinatore per i Servizi Speciali, essa conferma infatti la politica di “deliberato confronto” della Russia con l’Occidente e dimostra che Mosca ha intenzione di alzare nuovamente la tensione con i Paesi vicini. La polemica può sembrare un po’ surreale, soprattutto sullo sfondo del crescente scontro tra Mosca e Paesi occidentali sulla guerra in Ucraina, ma rivela comunque il peso che la tragedia di Katyn continua a esercitare sulle relazioni russo-polacche e il modo in cui le opposte visioni del passato di Mosca e dei suoi ex Paesi satelliti finiscono per alimentare tensioni geopolitiche più ampie.

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Fig. 1 – Manifestazione a Cracovia nel 2019 per commemorare il 79° anniversario del massacro di Katyn

ANATOMIA DI UN MASSACRO

Poco dopo l’occupazione della parte orientale del Paese nel settembre 1939, concordata con la Germania nazista nel protocollo segreto del patto Molotov-Ribbentrop,  le forze sovietiche si trovarono a dover gestire oltre 200mila prigionieri di guerra polacchi, tra cui 10mila ufficiali. Questi furono successivamente assegnati all’NKVD, il servizio di sicurezza interno, che iniziò una vera e propria opera di “filtrazione” dei prigionieri, interrogandoli sistematicamente per accertare le loro inclinazioni politiche e cercando di indottrinare quelli più ricettivi all’ideologia sovietica. Questo processo portò ad una sostanziale divisione tra potenziali “collaboratori”, meritevoli di continuare a vivere, e irrecuperabili “nemici” dello Stato sovietico, passibili quindi di eliminazione. Nel marzo 1940 Stalin e gli altri membri del Politburo sovietico decisero l’esecuzione di migliaia prigionieri polacchi appartenenti a tale seconda categoria e detenuti in “campi speciali” in Bielorussia e in Ucraina occidentale. L’obiettivo era eliminare la potenziale leadership di un movimento di resistenza e facilitare la creazione di un regime “amico” a Varsavia. Le esecuzioni iniziarono in aprile e furono condotte in maniera estremamente metodica dall’NKVD, con procedure speciali e in piccole stanze insonorizzate. I corpi delle vittime furono caricati su camion e gettati in fosse comuni appositamente disposte in luoghi appartati, come la foresta di Katyn nella regione di Smolensk, dove furono rivenute fortunosamente da lavoratori polacchi impiegati dall’esercito tedesco nel 1942. Ancora oggi il numero completo degli uccisi non è noto: una nota del KGB a Khruschev nel 1959 parlò di 21.875 prigionieri giustiziati, ma diversi storici pensano che i morti siano di più.  Ad essere uccisi non furono solo militari, ma anche intellettuali, preti, medici e avvocati arrestati dai sovietici nei primi mesi di occupazione.

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Fig. 2 – Dmitry Medvedev, allora Presidente della Russia, e il collega polacco Bronislaw Komorowski partecipano alle commemorazioni del massacro a Katyn nell’aprile 2011

BUGIE, AMMISSIONI E NUOVI ORRORI

La scoperta delle fosse di Katyn nel 1942, ripresa con forza dalla propaganda tedesca l’anno successivo, spinse il Cremlino a negare tutto e ad accusare gli stessi nazisti per il massacro. Pur avendo dubbi e sospetti, gli alleati occidentali sostennero inizialmente tale versione per ragioni politiche, ma nei primi anni Cinquanta un’indagine del Congresso statunitense riconobbe che il massacro era stato opera dell’NKVD. Nella Polonia postbellica il Governo comunista seguì fedelmente la versione propugnata da Mosca e censurò ogni tentativo di attribuire la colpa dell’eccidio ai sovietici. Negli anni Ottanta, però, la glasnost di Mikhail Gorbachev e l’ascesa di Solidarnosc rovesciarono la situazione: Gorbachev consentì a una delegazione di familiari delle vittime di visitare Katyn e riconobbe successivamente la responsabilità sovietica del massacro, mentre il movimento di Lech Walesa cominciò un’opera di memorializzazione pubblica dell’evento. Durante la presidenza Eltsin le Autorità russe consegnarono diversi documenti sul massacro al Governo polacco e consentirono la costruzione di due memoriali dedicati alle vittime a Katyn e Mednoye. L’arrivo al potere di Vladimir Putin non cambiò inizialmente questo approccio relativamente conciliante, nonostante il persistente rifiuto di parte dell’opinione pubblica russa di accettare la responsabilità dell’eccidio. Nel 2008 lo stesso Putin definì Katyn un “crimine politico” e due anni più tardi la Duma condannò pubblicamente Stalin per l’accaduto. Ma quello stesso anno la tragica morte del Presidente polacco Kaczynsky, avvenuta in un incidente aereo poco dopo aver partecipato alle cerimonie per il 70° anniversario del massacro, innescò un nuovo peggioramento delle relazioni russo-polacche e finì per trasformare Katyn in oggetto di contesa storico-politica tra i due Paesi. Inoltre il culto della “Grande Guerra Patriottica” promosso dal Cremlino negli ultimi anni ha contribuito alla costruzione di una memoria storica fortemente nazionalista e apologetica in Russia, ridando forza al vecchio negazionismo di epoca sovietica. Una corrente di pensiero che ha finito per influenzare anche il Governo, con la decisione del Ministero della Cultura nel 2021 di declassare l’importanza del memoriale di Katyn da federale a regionale. Lo scoppio della guerra in Ucraina sembra poi aver fatto precipitare nettamente la situazione: in risposta al sostegno polacco a Kyiv, un gruppo di nazionalisti russi si è recato infatti a metà aprile di fronte al memoriale armato di ruspe e ha chiesto alle Autorità di distruggerlo per punire Varsavia del suo atteggiamento “russofobo”. Ma l’impatto del conflitto è stato forse più devastante per l’opinione pubblica polacca, che ha visto nel massacro di Bucha e nei racconti dei cittadini ucraini scampati ai campi di “filtrazione” russi una ripetizione degli orrori di ottantadue anni fa. Da qui una maggiore determinazione ad aiutare l’Ucraina e a punire la Russia per i suoi crimini, traslando il ricordo del passato nella lotta del presente.

Simone Pelizza

Russia_3848 – The Colour of Blood” by archer10 (Dennis) (OFF) is licensed under CC BY-SA

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Perchè è importante

  • Il 25 giugno scorso le Autorità russe hanno rimosso la bandiera della Polonia dal memoriale del massacro di Katyn. Un gesto simbolico per punire Varsavia del suo atteggiamento “anti-russo” dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.
  • Condotto dall’NKVD nella primavera 1940, il massacro fu il tentativo di Stalin di sbarazzarsi della potenziale leadership di un movimento di resistenza e facilitare l’instaurazione di un regime “amico” nella Polonia occupata.
  • Mosca negò ripetutamente ogni responsabilità dell’eccidio sino agli anni ’80. I successivi tentativi di riconciliazione storica russo-polacca hanno avuto alterne fortune e l’invasione dell’Ucraina, accompagnata da nuovi crimini di guerra russi, ha peggiorato la situazione.

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Simone Pelizza
Simone Pelizzahttp://independent.academia.edu/simonepelizza

Piemontese doc, mi sono laureato in Storia all’Università Cattolica di Milano e ho poi proseguito gli studi in Gran Bretagna. Dal 2014 faccio parte de Il Caffè Geopolitico dove mi occupo principalmente di Asia e Russia, aree al centro dei miei interessi da diversi anni.
Nel tempo libero leggo, bevo caffè (ovviamente) e faccio lunghe passeggiate. Sogno di andare in Giappone e spero di realizzare presto tale proposito. Nel frattempo ho avuto modo di conoscere e apprezzare la Cina, che ho visitato negli anni scorsi per lavoro.

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