Caffè lungo – Il 16 ottobre a Pechino si alzerà il sipario sul XX Congresso del Partito Comunista Cinese, mentre il mondo globalizzato appare più instabile che mai. La probabile investitura di Xi Jinping per un terzo mandato e la strada che la Cina percorrerà potrebbero segnare una svolta per il mondo intero come accadde con un altro XX Congresso, quello del PCUS nel 1956.
I MANDATI DI XI JINPING
Mentre è in corso la VII sessione plenaria del XIX Congresso, che darà il via al XX Congresso del PCC, proviamo a fare il punto della situazione al di là e al di qua della Muraglia. È stata necessaria una riforma costituzionale per rimuovere il limite dei due mandati, stabilito dalla Carta del 1982 per frenare il personalismo che aveva portato Mao alle deviazioni della Rivoluzione culturale, e rendere possibile la rielezione di Xi Jinping. Anche la conduzione collettiva del partito appare ormai superata dalla politica dell’attuale Presidente, proclamato nucleo di un Partito in perenne lotta contro l’endemica corruzione, che ha portato dietro le sbarre quasi 5 milioni di persone, tra funzionari e malcelati avversari politici. L’essenza stessa del PCC è poi stata oggetto, in occasione del 100° anniversario dalla fondazione del 1921, di una nuova risoluzione sulla storia, la terza, con cui si è celebrata la raggiunta modernizzazione. Il modello del socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era è stato esportato nei Paesi in via di sviluppo, attraverso la Belt and Road Initiative, ma solo parzialmente ha prodotto una condivisione di valori a sostegno del soft power cinese, nonostante la crescente influenza del Dragone, che ha superato i confini dell’Asia per spingersi in Africa e anche in America Latina. Dal Congresso dovrebbe emergere se la prossima leadership è decisa a spingersi ancora in questa direzione.
Embed from Getty ImagesFig.1 – Un ritratto del Presidente cinese Xi Jinping al Museo del Partito Comunista Cinese a Pechino, 4 ottobre 2022
L’OMBRA DELLA CRISI
La guerra dei dazi, la rivalità sistemica tra Occidente e Cina, la correlata corsa agli armamenti più avanzati tecnologicamente, ma soprattutto la guerra in Ucraina, che ha reso, tra tutte le criticità, anche impervie le Vie della Seta, hanno avuto consistenti riflessi economici sui mercati, in particolare nel Paese di Mezzo, a causa di una domanda interna che non è riuscita a decollare per superare un sistema di produzione ancora export oriented, complice anche la ferma politica zero Covid. Dopo un’iniziale reazione economica positiva alla SARS-CoV-2, i vaccini meno efficaci e i prolungati lockdown, che non hanno reso possibile tutelare dalle forme più gravi della malattia per consentire le riaperture, hanno determinato delle prospettive di crescita in notevole ribasso, in uno spazio globale instabile e interno traballante per la bolla immobiliare, i problemi finanziari e le criticità legate ad una popolazione sempre più vecchia e a una crescente disoccupazione giovanile. Se è vero che la crisi energetica ha prodotto inaspettati canali di approvvigionamento per la Cina, Pechino non può comunque abbandonare la politica green, ormai indispensabile per un territorio funestato dalle emergenze ambientali.
Tutto ciò potrebbe minare il tacito contratto sociale vigente tra Partito e popolo e in questa ottica vanno letti gli sforzi per promuovere la “prosperità comune”, soprattutto ad opera delle aree più dinamiche del Paese, invitate ad “assumersi maggiori responsabilità”. Il problema che il Congresso ha di fronte è lo stesso che si trovò ad affrontare la dinastia Ming, quando preferì ripiegare verso l’interno, di fronte agli ingenti costi correlati ad una politica di potenza di un impero che aveva cominciato a dominare i mari nel corso dei primi lustri del 1400. Le scelte di allora fecero perdere ai cinesi l’occasione di sfruttare la posizione di Paese più ricco e avanzato del mondo, che l’imperialismo occidentale ha poi contribuito a destrutturare e annichilire. Oggi il Governo di Pechino sembra di fronte allo stesso dilemma, se continuare a tenere chiusa la Cina per metterla a riparo dalle incertezze del mondo globalizzato, coeso contro il Dragone, proseguendo con l’isolamento sperimentato per le politiche zero Covid, oppure riprendere il percorso della globalizzazione, cercando una riflessione storica che faccia da substrato alle decisioni politiche.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Un filo spinato blocca l’ingresso di un parco a Ruili, nella provincia cinese dello Yunnan, 10 agosto 2022. Per ben sette volte dallo scorso marzo, Ruili, al confine con il Myanmar, ha subito l’impatto della politica zero Covid perseguita dal Governo cinese
LE NUOVE NARRAZIONI TRA STORIA E GUERRA
Il XX Congresso rappresenta quindi per il PCC un momento di svolta e, come le Madeleines di Proust, evoca il ricordo di un altro XX Congresso, tenutosi a Mosca nel 1956, in cui Khrushchev, condannando Stalin e le repressioni di massa, avviava il nuovo corso del comunismo mondiale e la “coesistenza pacifica” con il mondo capitalista. Anche questo Congresso avrà per tema il culto della personalità, che non solo non verrà messo in discussione, ma pare destinato ad incoronare Xi Jinping ad un nuovo ruolo imperiale, tessuto di ideologia maoista, rivisitata da un confucianesimo originalmente rielaborato dallo stesso Presidente nei suoi numerosissimi scritti e discorsi. La guerra in Ucraina e il ritorno dell’imperialismo russo potrebbero essere oggetto di una riflessione congressuale, per inserirsi nel nuovo grande gioco tra Russia e Occidente, assumendo una posizione che realmente porti alla realizzazione di quella “comunità umana dal futuro condiviso” e della “sicurezza indivisibile”, considerata essenziale per il Governo di Pechino.
In un momento così drammatico, in cui, dimenticandone gli orrori indescrivibili, si parla di armi atomiche come fossero pistole giocattolo e si lanciano e rilanciano missili in Asia orientale, non è escluso che Xi Jinping, forte di un terzo mandato, possa distrarre il popolo dai problemi interni e riprendersi Taiwan, in esito alla partnership senza limiti con la Russia, aprendo il secondo fronte di guerra, che non potremmo più definire ibrida. Ma è un’ipotesi che molti osservatori giudicano poco probabile.
Non è nemmeno escluso che i delegati del XX Congresso, espressione di un’antichissima civiltà, sappiano rispondere ai Paesi più poveri, con cui si sono sempre schierati e, soprattutto, al miliardo e quattrocento milioni di cinesi, le cui prospettive di benessere sono oggi drasticamente ridotte, evocando, come accaduto nel 1956, una nuova coesistenza pacifica che non potrà esulare da un disegno che riveda il ruolo delle organizzazioni internazionali nell’ambito di una rinnovata modalità di governance globale, per allontanare il pericolo potenziale di un Armageddon nucleare.
Elisabetta Esposito Martino
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