Miscela Strategica – Nella prima parte dell’articolo sono stati sottolineati gli aspetti energetici e la militarizzazione del mar Caspio. Ma a incidere e complicare il quadro geopolitico della regione sono anche altri due fattori: i frozen conflicts e l’islamismo.
TENSIONI PERSISTENTI – A inserirsi nel quadro della sicurezza nella regione vi sono poi i frozen conflicts, conflitti scoppiati a seguito dello scioglimento dell’URSS e rimasti insoluti e persistenti lungo le posizioni raggiunte al momento della tregua. Tra gli Stati bagnati dal Caspio l’unico a possedere un tale scenario al proprio interno è l’Azerbaigian, con la questione del Nagorno-Karabach che lo vede opposto all’Armenia. Ma le peculiarità di questi conflitti, le dinamiche di equilibrio regionale che instaurano, il ruolo che Mosca gioca in ciascuno di essi e il menzionato aspetto geopolitico assunto dalle infrastrutture energetiche inducono ad allargare lo sguardo e dunque a tenere in mente anche altri due frozen conflicts presenti nel Caucaso: quelli dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia in Georgia. Questo tipo di conflitti, che seppur definiti “congelati” sono sempre in uno stato di lenta ebollizione, vivono in uno stato di equilibrio precario, con diversi incidenti che avvengono ogni anno lungo le posizioni delle fazioni opposte. Il ruolo di Mosca è quello di ambiguo protettore di queste entità secessioniste, con il proposito di sfruttarle come possibile leva per una sorta di controllo delle ex Repubbliche sovietiche. In riferimento a ciò, le azioni intraprese dal Cremlino in uno di questi conflitti possono essere indicatrici di possibili sviluppi per gli altri. Allo stesso tempo gli Stati come Azerbaigian e Georgia sono interessati, in assenza di una soluzione a loro favore, a mantenere una tensione latente, così da non permettere che svanisca l’attenzione della comunità internazionale su di essi (una logica che ricorda la stessa inerente oleodotti e gasdotti). Se ciò avvenisse sarebbero in balia dell’ingombrante vicino russo. Attualmente non c’è l’interesse di nessuna parte in causa a una soluzione di forza, ma il rischio che questo “gioco” fatto di precari equilibri sfugga di mano è sempre presente.
Il presidente russo Vladimir Putin, il presidente azero Ilham Aliyev e il presidente armeno Serzh Sargsyan si incontrano a Sochi (Russia) per negoziati riguardanti la disputa del Nagorno-Karabach, nell’agosto 2014
L’ISLAMISMO – Gli Stati della regione hanno naturalmente un occhio rivolto agli eventi mediorientali e alla destabilizzazione oramai in fase avanzata. Data la prossimità geografica e la presenza di popolazioni musulmane, il timore è che possano esservi ripercussioni all’interno dei propri confini. Cominciando a prendere in considerazione le Repubbliche caucasiche, bisogna ridimensionare i possibili timori di un contagio jihadista tra la popolazione. Georgia e Armenia sono a larga maggioranza cristiane, mentre l’Azerbaigian vanta una radicata tradizione laica sciita. Nel caso georgiano può notarsi la volontà al coinvolgimento negli sforzi internazionali per contrastare lo Stato Islamico: a settembre circolavano indiscrezioni dell’offerta georgiana agli Stati Uniti di ospitare campi d’addestramento sul proprio territorio (scelta che confermerebbe la politica georgiana delle passate partecipazioni alle missioni in Iraq e Afghanistan). Più a nord, la Russia è certamente preoccupata dalla presenza di numerosi propri cittadini tra le fila dell’IS. Tuttavia è difficile ipotizzare che gli eventi mediorientali siano in grado di innescare la miccia per la conflagrazione del Caucaso settentrionale e della zona caspica della Federazione. Piuttosto possono essere le dinamiche interne al Paese e le durissime politiche repressive a ogni sospetto di pericolo radicale a suscitare la degenerazione nell’area. Mosca vuole essere preparata in caso di necessità e a tal proposito proprio le forze navali russe nel Caspio hanno recentemente condotto esercitazioni per operazioni di controterrorismo. In Kazakhstan e Turkmenistan ci sono settori della popolazione che possono essere invece maggiormente propensi ad aderire al radicalismo islamico, ma attività rilevanti di tali gruppi non sono registrate sul territorio di questi Stati, che applicano forti politiche repressive in tal senso. L’attore regionale più impegnato nella lotta all’islamismo sunnita è l’Iran. Questo fatto contribuisce però a distogliere l’attenzione di Teheran dal Caspio, assorbendolo piuttosto nella competizione mediorientale: da questo punto di vista risulta quindi piuttosto d’interesse per l’Iran sfruttare pienamente (cosa attualmente impossibile) le risorse a propria disposizione nello scenario caspico per finanziare la propria ambizione di potenza.
Matteo Zerini
[box type=”shadow” ]Un chicco in piĂą
Sul nostro sito sono stati trattati recentemente diversi dei temi toccati in questo articolo. Di seguito potete trovare i relativi link:
Segnaliamo inoltre la recensione della seguente pubblicazione a cura di Marco Valigi, professore di Studi Strategici all’UniversitĂ di Roma Tre:
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