In 3 Sorsi – In Canada, Trudeau riuscirà a formare un Governo di minoranza, ma sta facendo i conti con una perdita di consensi. Qual è il bilancio per i conservatori, di poco sconfitti, e per il Bloc Quèbècois, unico soddisfatto?
Ecuador: quale futuro per le comunità indigene?
In 3 sorsi – Alla luce delle recenti riforme approvate dal Governo di Quito, la situazione delle comunità indigene ecuadoriane potrebbe cambiare. Vediamo come.
Hong Kong, Pechino e la formula della discordia
In 3 sorsi – Le manifestazioni di Hong Kong non si arrestano, determinando una impasse per la Cina dalla quale Pechino può uscire forse solo con una revisione della formula “un Paese, due sistemi”.
Ecuador, cosa c’è dopo il gasolinazo?
In 3 sorsi – Dopo il terribile inizio di ottobre, le proteste in Ecuador si sono placate, così come la violenza. Tuttavia, i problemi economici e politici rimangono.
Spagna ancora senza maggioranza: gli scenari dopo il voto
In 3 sorsi – Domenica 10 novembre la Spagna è tornata alle urne, dopo poco più di 6 mesi dalle ultime elezioni del 28 aprile. I risultati della tornata elettorale hanno mantenuto al primo posto il Partito Socialista di Pedro Sanchez (PSOE) anche se senza una maggioranza utile a governare, e hanno evidenziato un notevole aumento del partito di estrema destra VOX. Quali saranno i possibili scenari post-elezioni?
1. L’ANALISI DEI RISULTATI DELLE ELEZIONI DEL 10 NOVEMBRE SCORSO
E’ la seconda volta in un anno che la Spagna torna al voto: dopo le elezioni del 28 aprile scorso che avevano visto la vittoria del PSOE di Pedro Sanchez, seppur con precari equilibri, domenica 10 novembre nel Paese iberico si sono tenute nuovamente le elezioni. La delicata situazione in Catalogna, l’impossibilità di formare una coalizione di sinistra e l’ascesa del partito radicale di estrema destra Vox hanno fatto sì che il leader del partito socialista proclamasse le nuove elezioni. I risultati sono stati, in alcuni casi, sorprendenti. Il PSOE si è confermato prima forza politica del Paese anche se ha ottenuto il 28,35% dei voti, passando da 123 a 120 seggi. E’ la prima volta che in Spagna il partito vincitore ottiene meno di 123 seggi.
Ad uscire sconfitto è stato il partito centrista di Albert Rivera, Ciudadanos, che ha perso ben 47 seggi rispetto alle elezioni di Aprile, riuscendo a raggiungere solo il 6,8% dei voti, pari a 10 seggi; in seguito a questa grande sconfitta il leader Rivera ha rassegnato difatti le sue dimissioni.
Ma l’elemento più sorprendente è stata l’ascesa del partito di estrema destra Vox, che ha più che raddoppiato i propri seggi rispetto ad Aprile scorso, passando dai 24 ai 52. Complice anche la crisi in Catalogna che si è inasprita nell’ultimo mese, Vox ha guadagnato consensi soprattutto nel Sud del paese, mantenendo una propaganda dura ed intransigente nei confronti dei movimenti indipendentisti catalani. Per quanto riguarda la coalizione Unidas Podemos, formata principalmente dal partito di Pablo Iglesias Podemos, rispetto ad Aprile ha raggiunto il 10,7%, pari a 28 seggi, perdendone circa 7.
Nonostante il risultato, è riuscita comunque a mantenersi come quarta forza politica del Paese iberico.
Fig. 1 – Pedro Sanchez durante un comizio post-elettorale del PSOE a Madrid
2. I FATTORI CHE HANNO PORTATO ALLE ELEZIONI ANTICIPATE
Tornare alle urne dopo appena sei mesi è senza dubbio un fattore atipico nell’ordinario funzionamento democratico di uno Stato, eppure la Spagna è tornata a votare per la quarta volta in poco meno di quattro anni. Tra i fattori che maggiormente hanno contribuito all’instabilità politica del Paese non possono essere tralasciati quelli legati alla delicata situazione dell’indipendentismo catalano.
In seguito alla notizia della condanna per sedizione dei leader indipendentisti catalani, con pene dai 9 ai 13 anni, lo scorso ottobre la città di Barcellona e l’intera Catalogna è stata scenario di rivolte e di vere e proprie guerriglie urbane. Si pensi che il 18 Ottobre è stata ricordata come la “battaglia di Urquinaona” dal nome della piazza in cui sono avvenuti gli scontri armati tra la policia nacional ed i gruppi di destra e radicali indipendentisti. Le proteste degli indipendentisti catalani sono stati uno dei principali fattori di rottura degli equilibri politici del Paese, anche a causa del mancato appoggio dato dal PSOE a ERC (Esquerra Republicana). In secondo luogo, una grande influenza ha avuto anche la mancata coalizione tra il PSOE e la coalizione di Unidas Podemos, poichè la mancanza di un accordo con il leader Pablo Inglesias non ha consentito di raggiungere una maggioranza utile a governare.
Fig. 2 – La polizia di Barcellona presidia la protesta del movimento “Tsunami Democratico”, 9 novembre 2019
3. I POSSIBILI SCENARI POST-ELEZIONI
Al momento, non avendo raggiunto la maggioranza per creare un governo, il leader socialista Pedro Sanchez si trova a fronteggiare una situazione piuttosto complessa. Se da un lato potrebbe riaprire le trattative per una coalizione di sinistra con Unidas Podemos, chiedendo l’astensione di ERC e dando dunque vita ad una coalizione progressista, dall’altro lato i numeri necessari per creare un governo solido potrebbero spingere Sanchez a cercare l’appoggio di Ciudadanos chiedendo l’astensione del Partido Popular (PP).
Il Parlamento si presenta dunque molto frammentato, senza una chiara maggioranza di governo. Si ricordi che secondo il sistema parlamentare spagnolo il governo ha bisogno di una maggioranza assoluta di 176 deputati in prima votazione o di una maggioranza semplice nella seconda.
Al momento tutte le opzioni restano aperte, nonostante Pedro Sanchez in seguito alla vittoria elettorale abbia invitato tutti i partiti a “comportarsi con generosità e responsabilità per sbloccare la situazione politica in Spagna”.
Un Paese che ha necessità di trovare un proprio equilibrio politico, ancora diviso tra il desiderio di progresso e di lotta sociale e l’ascesa di nazionalismi e sentimenti di revanche.
Rachele Renno
Yemen: Houthi, droni e sfere di influenza
In 3 sorsi – Gli attacchi sferrati per mezzo di droni il 14 settembre scorso contro le raffinerie petrolifere del colosso Saudi Aramco, rivendicati dal gruppo armato Houthi e più ampiamente attribuiti all’Iran, alimentano le tensioni nella penisola arabica. Ma nonostante il rilievo e la gravità degli avvenimenti nessuno sembra intenzionato a creare un’escalation con Teheran.
Evo Morales, la (brutta) fine di un’epoca
Ristretto – A nulla è valsa la proposta di ripetere le elezioni. Le violenze non si sono fermate e l’esercito alla fine si è schierato contro il Presidente Evo Morales, che non ha potuto fare altro che dimettersi.
Evo Morales si è dimesso, non è più il presidente della Bolivia, carica che ricopriva ininterrottamente dal 2006. La sua presidenza è finita malamente, con l’accusa da parte dell’Oas di brogli alle elezioni del 20 ottobre e con la sua gente scesa in strada a chiedere giustizia, con una fuga nel suo territorio di Cochabamba e con un mandato di cattura.
La vicenda del presidente indio è emblematica del Latino America. L’insoddisfazione c’era già ma è divenuta irrefrenabile nel momento in cui ha perso l’appoggio di polizia ed esercito; le proteste si sono fatte più minacciose, la casa della sorella è stata violata, revocato l’aereo presidenziale. Il crepuscolo di Morales era ormai pronto. Se ne è andato così come era venuto, accusando gli oligarchi.
La vicenda ricorda, con le dovute differenze, quella simile di Lula, ex sindacalista nato povero che ha speso una vita in favore degli ultimi ma poi è stato travolto più dalla stanchezza dei suoi concittadini che da fatti di rilevanza penale davvero eclatanti. La Bolivia sotto Morales è cresciuta; come livello di tutela dei nativi, come redditi (fino a quando il prezzo del gas naturale ha tenuto), come considerazione internazionale.
Il Presidente Evo Morales ha permesso al suo paese di svilupparsi, ma è caduto nella tentazione dell’eternità politica. Si fosse fatto da parte da solo, anziché forzare la mano con un referendum (per altro perso) prima ed elezioni truccate poi, il requiem istituzionale sarebbe stato senz’altro diverso. E adesso si nasconde braccato dalla polizia; il Messico ha offerto asilo politico. Dimissionario anche il vice, Alvaro Garcia Linera, ministri, deputati, i presidenti delle camere. A norma della Costituzione ora il presidente dovrebbe essere, ad interim, il numero 1 del senato, dimissionario. La carica è rivendicata dall’oppositrice Jeanine Anez, vice presidente.
Andrea Martire
Il “putsch di Monaco” e l’inizio dell’abisso nazista
Ristretto – 8 novembre 1923: i nazisti tentano un colpo di stato in Baviera. Meglio noto come il “putsch di Monaco”, il golpe viene organizzato da Hitler insieme ad altri esponenti della destra locale e mira a sfruttare lo scontento popolare per la difficile situazione economica, provocata dall’iperinflazione e dall’occupazione franco-belga del bacino carbonifero della Ruhr come garanzia del pagamento delle riparazioni di guerra.
Inizialmente prevista per inizio ottobre, l’azione anti-governativa scatta nella sera dell’8 novembre con l’occupazione armata di una birreria durante un comizio del Primo Ministro Gustav von Kahr, che si era in precedenza tirato indietro da trattative segrete con i nazisti. La mattina successiva Hitler e 600 membri delle SA, le truppe d’assalto del partito, decidono poi di marciare sui principali edifici governativi bavaresi con l’obiettivo di completare il colpo di stato. Allertate da von Kahr, però, unità della polizia e dell’esercito si schierano a difesa di tali edifici e aprono il fuoco sui golpisti, uccidendone 16 e ferendone molti altri. Costretto alla fuga, Hitler viene arrestato pochi giorni dopo e condannato a cinque anni di carcere per alto tradimento. Il processo si rivela però un’ottima occasione per fare propaganda a favore della causa nazista e il futuro Fuhrer sfrutterà il suo breve periodo di detenzione nella fortezza di Landsberg per presentare le linee principali della sua visione politica nel “Mein Kampf“.
Dopo la presa del potere nel 1933, i nazisti celebreranno i caduti del fallito putsch come “martiri” ed erigeranno addirittura alcuni templi votivi a Monaco in loro onore. Queste strutture verranno smantellate dagli alleati nel 1945 e le salme dei golpisti verranno cremate o trasferite in tombe anonime in diversi cimiteri cittadini.
Simone Pelizza
Colombia, le proteste degli indios preoccupano il Governo
In 3 sorsi – Analizziamo da vicino le cause che hanno postato alle recenti proteste indigene che hanno interessato il sud del Paese, al confine con l’Ecuador.
Rallenta il processo di allargamento dell’UE
In 3 sorsi – Si parla spesso dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, ma a che punto sono invece le trattative per l’ingresso di nuovi Paesi membri?
Piazza Tahrir torna a urlare
In 3 sorsi – A partire dalla fine di settembre, povertà, disuguaglianza e corruzione hanno spinto centinaia di giovani egiziani a scendere in piazza per domandare le dimissioni del Presidente Abdel Fattah al-Sisi.
Il piano Kushner per la risoluzione del conflitto palestinese
In 3 sorsi – Gli Stati Uniti puntano sull’economia per risolvere il conflitto palestinese. L’occupazione israeliana, l’instabilità politica palestinese e il cattivo tempismo della proposta sembrano indicare però che questo non sarà possibile.


