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Le ombre sul processo di riconciliazione tra Iran e Arabia Saudita

In 3 sorsiCon la mediazione della Cina, l’accordo firmato il 10 marzo 2023 sembrava aprire una nuova era nelle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita, segnando la fine di sette anni di forti tensioni. Questo storico patto mirava a promuovere la stabilità nel Medio Oriente, ma la sua resilienza è messa alla prova dalle persistenti crisi regionali e dalle complesse dinamiche geopolitiche.

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1. UN NUOVO CAPITOLO DIPLOMATICO TRA SPERANZE E SFIDE

Il 10 marzo 2023 ha segnato un giorno storico per il Medio Oriente: con il ruolo di mediatrice della Cina, Iran e Arabia Saudita hanno siglato un accordo epocale che prevede la ripresa delle relazioni diplomatiche, la riapertura delle ambasciate e il rispetto reciproco della sovranità territoriale. Questo passo, dopo sette anni di forti tensioni, è stato accolto come un tentativo di disinnescare le tensioni nella regione e di avviare un percorso verso una maggiore stabilità. La nuova intesa rappresentava per l’Arabia Saudita un’opportunità per rafforzare la propria posizione politica e militare in un Medio Oriente sempre più vulnerabile, preparandosi a gestire potenziali crisi nel Golfo. D’altro canto, per l’Iran, l’accordo costituiva un tentativo strategico di rilanciare il proprio ruolo e la legittimità nel contesto della politica estera regionale. Questo cambio di rotta, da antagonismo aperto a collaborazione cauta, rifletteva un desiderio condiviso di costruire una nuova fase di dialogo. Tuttavia, nonostante i promettenti passi iniziali, Iran e Arabia Saudita devono ancora attuare accordi sostanziali in un’area diversa dalla diplomazia. Gli eventi successivi, come i conflitti tra Hamas e Israele, la perdurante crisi nello Yemen, le tensioni nel Mar Rosso e in Libano, hanno rallentato questo processo di distensione. Le dinamiche geopolitiche attuali mettono alla prova la resilienza degli impegni presi e sollevano la domanda: quale destino attende gli obiettivi prefissati dall’accordo nel turbolento scenario odierno?

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Fig. 1 – Iran e Arabia Saudita tramite il ruolo di mediatrice della Cina, firmano l’accordo per la ripresa delle relazioni diplomatiche il 10 marzo 2023

2. GIOCHI DI POTERE NEL GOLFO: LA TENSIONE CRESCENTE TRA IRAN E ARABIA SAUDITA

A oltre un anno dall’accordo, gli sforzi per la distensione tra Iran e Arabia Saudita sembrano aver perso slancio, a causa di questioni ancora irrisolte. Tra queste, spicca la disputa sul diritto di sfruttare e commercializzare il gas dal giacimento di Durra/Arash. Arabia Saudita e Kuwait hanno pubblicato una dichiarazione congiunta rivendicando i “diritti esclusivi”, mentre l’Iran reclama una quota del 40%. Oltre a questo, il panorama regionale evidenzia ulteriori contrasti. Con lo scoppio della guerra a Gaza il 7 ottobre scorso e l‘intensificarsi delle tensioni in Yemen e nel Mar Rosso, le politiche estere di Arabia Saudita e Iran hanno messo in luce divergenze profonde e allineamenti geopolitici contrastanti. Sebbene la strategia diplomatica di Riyadh sembri mirare a mantenere una posizione di neutralità tra Teheran e Tel Aviv, la cooperazione con gli Stati Uniti – che sostengono Israele – e con il Governo di Sana’a in Yemen è in netto contrasto con gli interessi iraniani. Teheran, infatti, appoggia il gruppo ribelle Houthi, che ha recentemente avviato attacchi militari contro navi mercantili americane nel Mar Rosso come dimostrazione di solidarietà con la Palestina. Funzionari sauditi accusano l’Iran di sfruttare la guerra a Gaza come un’opportunità per ostacolare qualsiasi piano saudita di normalizzare le relazioni con Israele. I precedenti tentativi di distensione tra Iran e Arabia Saudita, davanti al nuovo scenario, hanno registrato una battuta d’arresto nonchè un ritorno all’antagonismo.

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Fig. 2 – Sostenitori degli Houthi dello Yemen partecipano a una manifestazione per mostrare solidarietà con la popolazione della Striscia di Gaza e contro i continui bombardamenti e le operazioni militari israeliane sui territori palestinesi

3. NUOVI EQUILIBRI: CINA IN PRIMA LINEA

Le tensioni geopolitiche nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden e, più di recente, nel Golfo Persico sono aumentate dall’inizio del conflitto tra Israele e Gaza. Gli attacchi degli Houthi continuano a ritmo regolare all’interno della consueta zona di attacco nel Mar Rosso meridionale. La campagna degli Stati Uniti contro i ribelli Houthi dello Yemen si è trasformata nella più intensa battaglia navale affrontata dalla marina statunitense dalla Seconda guerra mondiale. In questa cornice, l’Arabia Saudita cerca di bilanciare il sostegno militare americano e la neutralità strategica con l’Iran. Di fronte alla sfumata possibilità di collaborazione con l’Iran, Riyadh si è rivolta nuovamente alla Cina, la quale già negli accordi del 2023 aveva ricoperto un ruolo da protagonista come mediatrice. Lo scorso 25 giugno, il Ministro della Difesa saudita Khaled bin Salman, si è recato in Cina per discutere della partnership strategica di difesa tra Pechino e Riyadh. Durante l’incontro, Salman ha promesso che Riyadh è disposta a fare concessioni al gruppo yemenita in cambio della cessazione degli attacchi alle navi dirette o in partenza dai porti sauditi.
Nel contesto internazionale, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la Risoluzione 2722, che chiede la fine degli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso. Tuttavia, Cina, Algeria, Russia e Mozambico si sono astenuti dal voto, sottolineando che la risoluzione non collega una tregua a Gaza alla situazione nel Mar Rosso. La Cina ha ribadito che si asterrà nuovamente dal voto laddove non ci siano iniziative anche verso la situazione in Gaza, posizione politica in linea con le richieste iraniane. Gli Houthi hanno annunciato che continueranno gli attacchi fino a quando Israele non interromperà la campagna militare a Gaza e consentirà un maggiore aiuto umanitario. Alla luce delle nuove dinamiche geopolitiche, il peso dei conflitti regionali rivela profonde divergenze politiche e allineamenti contrastanti, mettendo a rischio la fragile tregua e accentuando il ritorno a una storica rivalità. Se da un lato quindi sono minacciati i progressi compiuti finora, dall’altro lato il Medio Oriente è lasciato a fare i conti con nuovi capitoli di instabilità e tensioni.

Erika Russo

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Congo, Nord Kivu: con i ribelli in azione la pace si allontana

In 3 sorsi – La situazione nel Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, continua a deteriorarsi a causa delle recenti azioni di vari gruppi armati, tra cui M23 e ADF. Gli scontri, intensificatisi dalla fine del 2023, stanno accrescendo anche l’instabilità regionale.

1. CONTESTO E SVILUPPI RECENTI

La situazione di sicurezza nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), particolarmente nelle province di Nord Kivu, Sud Kivu e Ituri, è critica. Gli attacchi da parte di gruppi armati hanno causato numerose vittime civili e spostamenti di massa.
Alla fine del 2023, il gruppo ribelle M23, sostenuto militarmente dal Rwanda, ha incrementato le ostilità contro le forze governative congolesi, riprese nel 2021 dopo una tregua che durava da otto anni, in un contesto di conflitto oramai radicato. Gli scontri hanno portato il gruppo alla conquista di importanti aree come Nyanzale, dove vivono circa 80.000 persone, e ad avanzare più a nord verso Butembo, la seconda città più popolosa del Nord Kivu dopo Goma​​.
Contemporaneamente, le Forze Democratiche Alleate (ADF), ribelli islamisti, hanno intensificato gli attacchi contro i centri urbani nel nord di Beni e nel sud della provincia di Ituri, causando un alto numero di vittime civili. L’ADF nel tempo ha anche stabilito reti nelle prigioni, dove detenuti affiliati all’ADF sono attivi nel reclutamento e nella mobilitazione di nuovi combattenti​​.

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Fig. 1 – Goma: manifestanti commemorano le vittime di un recente bombardamento, per il quale gli USA hanno accusato i ribelli di M23 (maggio 2024)

2. LE AZIONI INTERNAZIONALI E QUELLE DEL GOVERNO CONGOLESE HANNO SCARSO EFFETTO

La comunità internazionale, soprattutto sotto la spinta statunitense, ha favorito tregue umanitarie temporanee, sebbene queste siano state frequentemente violate, rendendo inefficaci gli sforzi di pacificazione​​. L’ONU ha sospeso senza un termine il ritiro già previsto delle proprie forze di pace (MONUSCO), mantenendo una presenza nella regione per cercare di stabilizzare la situazione​​. Tuttavia, l’efficacia delle truppe di pace è stata messa in dubbio, visto il loro limitato successo nel fermare l’avanzata dell’M23.

A livello regionale, il sostegno rwandese a M23 ha inasprito le relazioni tra il Rwanda e la RDC. La presenza militare rwandese in Congo, documentata anche della Nazioni Unite, è stata oggetto di numerose accuse e tensioni diplomatiche, aggravando ulteriormente la situazione, anche per via dell’alto impatto sul successo degli attacchi. Il Governo congolese, dal canto suo, ha intensificato la cooperazione con gruppi di miliziani locali, noti come “wazalendo” (patrioti), nel tentativo di contrastare l’avanzata dei ribelli. Tuttavia, questa collaborazione ha portato anche a un aumento delle violenze e delle azioni criminali da parte di questi gruppi​​.

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Fig. 2 – Miliziani Mai-Mai e membri delle FARDC (Forze Armate congolesi) nei pressi di Kibirizi, area controllata dai ribelli di M23 (maggio 2024)

3. LE IMPLICAZIONI PER LA SICUREZZA REGIONALE

Le azioni dei gruppi armati nel Nord Kivu pongono un rischio non solo interno alla RDC ma anche per la sicurezza regionale. Innanzitutto, l’instabilità rischia di espandersi oltre i confini congolesi, coinvolgendo Paesi limitrofi come l’Uganda, già colpito dalle operazione delle ADF, e il Burundi. La continua violenza potrebbe provocare ulteriori flussi di rifugiati, mettendo sotto pressione le risorse dei Paesi vicini e causando crisi umanitarie su scala ancora più larga di quella attuale​​.
Inoltre, il coinvolgimento militare diretto del Rwanda ha il potenziale di trasformare gli scontri in un conflitto più ampio, amplificando anche gli storici e violenti contrasti tra le etnie prevalenti nell’area, Tutsi e Hutu. Le recenti dichiarazioni delle autorità rwandesi – che interpretano in maniera molto diversa la situazione – sul diritto di difendere i propri confini e la possibilità di azioni militari preventive, aumentano il rischio di un’escalation​​. Sarà importante anche l’esito delle prossime elezioni in Rwanda per verificare un eventuale aggiustamento nella postura del Governo verso questo conflitto.
Infine, le risorse naturali del Nord Kivu, in particolare minerali preziosi, legname e cacao, sono un ulteriore fattore di complicazione. La competizione per il controllo di queste risorse alimenta il conflitto, rendendo difficile sia implementare misure di controllo delle stesse per prevenire il finanziamento dei gruppi armati, che definirne uno sfruttamento condiviso.

Pietro Costanzo

MS Kalashnikov | Female fighters in Congolese rebel groups.” by Matchbox Media Collective is licensed under CC BY-NC-SA

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