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Le violenze in Cile

In 3 sorsi Dopo settimane di proteste, la sfida più grande per la classe politica in Cile è riconquistare la fiducia di un popolo che si sente tradito.

1. CILE, SETTIMANE DI PROTESTE E VIOLENZA

In America Latina il 2019 era iniziato con il nuovo capitolo della crisi venezuelana, le grandi difficoltà dell’economia argentina e il panico internazionale verso il Brasile di Bolsonaro. Prima del Cile, le proteste si erano scatenate ad Haiti, in Perù e in Ecuador, mentre in contemporanea si scoperchiava la Bolivia. Le proteste in Cile si aggiungono a una lista che ha preso la forma di un fenomeno internazionale (Hong Kong, Sudan, Libano, Catalogna) da analizzare e comprendere in vista degli anni a venire.
Dunque, cosa ha scatenato le ultime settimane di protesta e violenza in Cile? L’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana di Santiago, passato da 800 a 830 pesos (420 pesos nel 2007). Le proteste hanno assunto un carattere duplice: pacifiche da una parte, violente dall’altra. La risposta del Governo, invece, è stata univoca e si è manifestata attraverso il pugno duro delle forze dell’ordine abbattutosi non solo sulle frange piĂą volente dei manifestanti. Il bilancio delle prime settimane di protesta è terribile: almeno 23 morti, innumerevoli arrestati e feriti e danni elevatissimi al patrimonio pubblico e privato.

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Fig. 1 – Scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, 10 novembre 2019.

2. “NO ES POR TREINTA PESOS, ES POR TREINTA AÑOS”

L’aumento del prezzo della metropolitana è la miccia di una bomba a orologeria che è andata caricandosi anno dopo anno nella democrazia cilena post-Pinochet. Considerato Paese virtuoso all’interno della regione latinoamericana grazie allo sviluppo economico, il Cile non ha però superato la disuguaglianza in termini politici e sociali. Così, anno dopo anno, i cileni hanno aspettato i benefici tangibili del tanto vantato virtuosismo, fino a quando, esasperati, hanno risposto al bluff delle loro classi dirigenti sfogandosi in una protesta trasversale.
Guardiamo i dettagli, allora. La metà della popolazione guadagna circa 562 dollari al mese, poco più del salario minimo garantito di 423 dollari. La Comisión Económica para América Latina y el Caribe (CEPAL) ha calcolato che nel 2017 il 66,5% della ricchezza prodotta in Cile era concentrata nelle mani del 10% più ricco della popolazione, mentre l’1% ancora più ricco deteneva il 26,5% e il 50% più povero si divideva il 2,1%. A questi dati si aggiungono le aspettative tradite rispetto a servizi fondamentali come educazione e salute. I Governi degli ultimi anni hanno avallato una stagnazione della classe medio-bassa dopo averla accompagnata fuori dalla povertà e dalla povertà estrema. Quello cileno, insomma, è uno sviluppo incompiuto. Sanità, istruzione e servizi in generale sono scadenti.

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Fig 2 – Il presidente cileno parla al Paese dopo aver cambiato la squadra di governo.

3. PIĂ‘ERA IN GRANDE DIFFICOLTĂ€

Nel gran marasma, la posizione di Sebastian Piñera, tornato al Governo del Paese dal marzo 2018, è quella più difficile. A pesare non sono solo la sua carica e le sue responsabilità precedenti: il Presidente è in grave difficoltà per come ha affrontato la crisi di queste settimane. Inizialmente, infatti, aveva assunto una postura rigidissima. Lo stato d’emergenza era stato dichiarato insieme al coprifuoco e le forze dell’ordine avevano goduto del completo appoggio, mentre il contenimento delle proteste trasbordava spesso in abusi da parte dei Carabineros. Il Presidente ha poi abbassato repentinamente i toni, arrivando a chiedere pubblicamente perdono per non aver compreso le richieste e le proteste dei manifestanti, elevati infine a interlocutore legittimo e non più identificati esclusivamente con le frange violente.
Il Cile, però, cerca risposte concrete e non pare disposto a concedere altro credito politico alla stessa classe dirigente. Nonostante Piñera abbia già proposto diverse misure per recuperare la situazione, arrivando anche a cambiare la sua squadra di Governo e aprire a una possibile riforma costituzionale, il Cile è ancora in stato di protesta. Sarà questa la nuova sfida della politica cilena: riguadagnare pezzo dopo pezzo la fiducia di un popolo tradito che non crede più a nessuno.

Elena Poddighe

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Elena Poddighe
Elena Poddighe

Nata a Sassari nel 1993, ho studiato in Italia, Francia e Belgio. Sono laureata in Scienze Politiche e specializzata in Relazioni Internazionali. Dopo l’esperienza Erasmus ho preso sul serio l’idea che tutto il territorio europeo potesse essere casa mia, così mi sposto costantemente da un punto all’altro, scoprendo pregi e difetti di questa nostra bellissima Europa. Non so preparare il caffè e non lo bevo, ma so cucinare e soprattutto mangiare le lasagne!

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