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I danni (in)visibili dell’erosione

Miscela Strategica – Il fenomeno dell’erosione non ha solo connotati geologici. Si sta riproponendo come trend politologico nel dominio della sicurezza dell’Europa.

C-7!? – MANCATO! – La settimana scorsa l’intera marina svedese si è cimentata nella ricerca di un sottomarino russo, avvistato e segnalato più volte da osservatori civili in diversi punti della costa, ma mai rilevato dalla marina militare. Il sottomarino ha poi abbandonato spontaneamente i nordici lidi. Sconosciuta la ragione della sua presenza: intelligence? Esercitazione? Problemi in navigazione? Tutte ipotesi plausibili. La principale ragione delle difficoltà svedesi nel controllare le proprie acque da siffatte incursioni è la dismissione di unità navali e aeromobili specializzati nella ricerca antisom. D’altronde, un caso singolo da parte di un Paese non più percepito (forse) come minaccia diretta non giustifica il mantenimento di tale costosa capacità.

DAI FIORDI ALLE PIRAMIDI – Il caso svedese è una piccola défaillance che, in sé, sembra non avere significato. Eppure, allargando lo sguardo, è solo l’ultimo di una lunga serie di grandi e piccole disattenzioni strategiche che giorno dopo giorno rendono l’Europa meno sicura e più vulnerabile, sia in senso simmetrico che asimmetrico. L’assenza di minaccia militare diretta ha spinto i Paesi europei a pensare che la propria sicurezza sia garantita finché un nemico grosso e palese non si presenti alle porte e minacci direttamente il territorio europeo. Perché un’entità del genere si formi o comunque si avvicini all’Europa servirebbero anni, sufficienti per accorgersi dell’avversario imminente e prepararsi. Questo concetto strategico, peraltro arcaico, è debole per almeno due ragioni:

  1. Acquistare un sistema d’arma, soprattutto in caso di urgenza, richiede poco tempo, ma avere la capacità di usarlo in maniera efficace e disporre di specialisti addestrati, qualificati, scaltri, ne richiede molto di più. Quindi, se alcune capacità fondamentali vengono dissipate del tutto, occorrono poi anni per ricostruirle e ovviamente molti più soldi che mantenerle in servizio oggi.
  2. I teatri che sono sfuggiti di mano all’Europa (leggibile sia come Unione dei 28 che come insieme dei 47 Paesi del continente) e di cui abbiamo parlato sulle nostre pagine (questo mese, ad esempio, abbiamo anche una visione d’insieme del nord-Africa ) non sono stati sufficienti a imprimere una svolta al trend attuale, che vede il peggioramento della qualità del dibattito su difesa e sicurezza. Per essere più espliciti, l’Europa non ha interiorizzato il fatto che la minaccia alla propria sicurezza possa non venire da un nemico monolitico che si palesi, ma anche da una serie di minacce di basso impatto diretto che, corroborate nel lungo periodo da disinteresse politico o scelte inadeguate, possono erodere lentamente il nostro spazio strategico.

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Una fast attack craft (unitĂ  da assalto veloce) svedese in pattugliamento nelle acque prospicienti Stoccolma

NEL NOSTRO PICCOLO – Questo mese abbiamo trattato alcuni dei temi critici cui facciamo riferimento, per esempio il fenomeno della radicalizzazione organizzata, il problema della protezione su vasta scala delle attività basate nel cyberspace o l’importanza di costruire una rete di intelligence adeguata al contesto regionale di riferimento. L’attuale disordine mondiale nei rapporti di forza esige risposte e strategie di ampio respiro che permettano reazioni coerenti alle sfide future. Questo non significa banalmente riarmarsi, anzi, le capacità industriali in tal senso sono perfino esuberanti per le esigenze europee, come abbiamo ampiamente argomentato nel nostro e-book sul procurement. Invece, significa ragionare in termini geostrategici e non solo politico-introspettivi. Se perfino il Kirghizistan , lontano dai principali giochi geopolitici mondiali, sente l’esigenza di elaborare un proprio piano d’azione per interfacciarsi adeguatamente con le sfide contemporanee, ci sentiamo di dire che per l’Europa tale esigenza dovrebbe assumere priorità in seno al dibattito politico, soprattutto a livello regionale (leggasi Unione europea e NATO). E magari curare il nostro spazio geopolitico prima di trovarci davvero con un nemico non previsto (o sottovalutato) alle porte, come successo alla Turchia negli ultimi anni – anch’essa parte del nostro spazio geopolitico prossimo – la cui crescita militare, oggi, passa meno dalle conferenze accademiche sui temi della sicurezza e molto più dall’acquisizione di capacità primarie come la difesa anti-aerea e anti-missile del suo territorio.

Marco Giulio Barone

[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in piĂą.

Rileggi qui gli articoli di Miscela Strategica di questo mese:

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Foto: Swedish National Heritage Board

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Marco Giulio Baronehttps://ilcaffegeopolitico.net

Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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