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Il piano inclinato della crisi venezuelana

La crisi non è solo sociale, ma anche economica e finanziaria. Brevi appunti sulle contraddizioni di un gigante petrolifero che non riesce a fare i conti con gli errori di politica economica per riprendere il passo verso una maggiore giustizia sociale

SCENARIO, LA CRISI DI OGGI – Il Venezuela è da tempo in preda a una crisi di nervi. E non solo di nervi. Dagli oppositori, sia interni che emigrati, viene descritta una situazione apocalittica in cui a mancare sono i beni alimentari di prima necessitĂ  nei negozi, l’acqua potabile e l’energia elettrica nelle case, i farmaci negli ospedali. Dai sostenitori, che ormai fanno fatica a negare la gravitĂ  della situazione, è utilizzata abitualmente l’espressione “guerra economica” per intendere una sorta di complotto concepito e attuato da non ben definiti poteri internazionali con lo scopo di indebolire e infine distruggere la “Rivoluzione Bolivariana”, che avrebbe dovuto presto condurre alla costruzione del cosiddetto socialismo del XXI secolo.
Al di là delle interpretazioni, non vi sono dubbi che il Venezuela stia attraversando uno dei più drammatici momenti della sua storia, come dimostra un malcontento interno che non sembra più gestibile dal Governo di Maduro, in evidente difficoltà sia di consensi che di idee (il nuovo fuso orario nazionale, spostato avanti di mezz’ora, è un esempio emblematico). La frattura politica e sociale, con gli oppositori guidati dal centrista Henrique Capriles che invocano al più presto un referendum per voltare pagina e lasciarsi alle spalle le velleità del chavismo, non potrebbe essere più profonda, e di fronte ad una situazione così ad alta tensione, diventa importante impostare un’analisi economica del contesto il più possibile distaccata e ad ampio raggio, per quanto sintetica.

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Fig. 1 – Il Presidente Maduro sfila lungo le strade di Caracas il 5 luglio 2016

LE RADICI DELLA POLITICA ECONOMICA – Dove possono essere rintracciate, in sostanza, le origini di questa crisi dai risvolti eccezionali e quali gli errori di politica economica imputabili a Chávez prima e a Maduro poi? Per proporre delle risposte non limitate a una mera descrizione delle irrazionalitĂ  governative, sembra opportuno fare qualche passo indietro e scorgere tra la letteratura economica degli anni Settanta – in particolare quella cosiddetta neomarxista cui gli slogan anti-imperialisti tipici del chavismo chiaramente si rifanno – qualche frammento esplicativo del sentiero economico intrapreso. Era il 1970 quando un economista tedesco di stanza in Cile, Andre Gunder Frank, lanciava la denuncia che ha dato via al filone di studi denominati “dipendentisti, secondo i quali «il sottosviluppo fu ed è ancora generato da quello stesso processo storico che ha anche generato lo sviluppo economico: lo sviluppo del capitalismo stesso». La soluzione proposta da Frank e dai suoi colleghi per rompere un tale, diabolico legame non poteva che essere una: il socialismo, definito innanzitutto come la totale gestione nazionale dei beni e delle risorse, eventualmente attraverso un sistema di interdipendenze solidaristiche tra gli stati latinoamericani.
Se non in termini così espliciti, sotto tali auspici iniziò il trionfo di Chávez nel 1998, e poi ancora nel 2000, nel 2006 e nel 2012. La strada da seguire per la realizzazione del socialismo del XXI secolo, ritenuta ancora l’unica possibilità di emancipazione delle masse venezuelane dallo sfruttamento del capitalismo internazionale, fu presto e facilmente individuata: la progressiva nazionalizzazione di una larga parte delle risorse petrolifere, gestite dalla compagnia statale PDVSA, e un aumento delle royalties da richiedere per le rimanenti, redistribuendo i proventi per gli urgenti fini sociali. Intenzione nobile e dai risultati anche buoni, almeno inizialmente.

I RISULTATI DI BREVE PERIODO – Sono le stesse Nazioni Unite a certificarli: giĂ  nel 2005 l’UNICEF dichiarò sconfitto l’analfabetismo in Venezuela, nel 2011 l’UNDP ha classificato il Venezuela tra i Paesi con indice di sviluppo umano elevato e tra quelli con l’indice di Gini (che misura la disuguaglianza) piĂą basso del continente, dal 1999 al 2011 il tasso di povertĂ  è passato dal 42,8% al 26,5%, mentre il tasso di povertĂ  estrema (secondo la Banca Mondiale le persone che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno a paritĂ  di potere d’acquisto) dal 16,6% nel 1999 al 7% nel 2011.
Come si è passati in pochi anni da una situazione di apparente successo a una crisi generalizzata da cui non sembrano esserci soluzioni all’orizzonte, se non di drastica portata?

GENESI DELLA CRISI ATTUALE – L’evidenza suggerisce che il tentativo di aggirare la dipendenza dal capitale internazionale, perseguito unicamente attraverso i proventi da esportazione del petrolio, sia stata una facile scorciatoia che ha condotto verso l’abisso. Le ragioni risiedono in chiari errori di politica economica, in cui il breve periodo ha avuto il sopravvento su una programmazione finalizzata a una necessaria oltre che possibile diversificazione produttiva. Se infatti, ancora nel 2012, il prezzo del petrolio superava i 100 dollari al barile, all’inizio del 2015 era giĂ  arrivato a 30. Date queste cifre, è facile comprendere come il mantenimento di una spesa pubblica elevata, necessaria per gli ambiziosi programmi sociali di Chávez prima e Maduro ora, sia possibile in periodi di impennata del valore del greggio, mentre diventi insostenibile quando questo inizia a scendere, principalmente a causa della volatilitĂ  intrinseca alle materie prime.

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Fig. 2 – Una raffineria petrolifera nazionale venezuelana in azione

La causa del disastro odierno è quindi rintracciabile in errori strutturali commessi nei momenti di congiunturale prosperità, quando era auspicabile investire a favore di una diversificazione della produzione che non facesse dipendere il reddito del Paese dal solo settore petrolifero, che rappresenta tuttora il 96% dei proventi da esportazione. Sembra che la strada intrapresa sia oggi proprio verso una maggiore diversificazione, ma rischia di essere troppo tardi.
Inoltre, il mantenimento di un’alta spesa pubblica in periodo di entrate decrescenti ha scatenato un’inflazione incontrollabile (attestata al 180% secondo i dati ufficiali della banca centrale venezuelana, ma ben più elevata secondo altre fonti), dato che il metodo scelto è stato prevalentemente l’aumento della base monetaria attraverso l’emissione arbitraria di carta moneta. A tutto ciò si aggiunge la mancanza forse più clamorosa da parte di un Governo che si proclama socialista: una riforma fiscale improntata a una maggiore progressività. Storico problema, non solo del Venezuela ma in modo pressoché indifferenziato di tutti i Paesi ex coloniali latinoamericani, è infatti un relativo sbilanciamento del carico fiscale a sfavore delle classi meno abbienti, acuito con i governi cosiddetti neoliberisti degli anni Ottanta e Novanta. Non intervenire su tale aspetto della finanza pubblica, diversificando così le entrate statali, ha rappresentato un clamoroso errore dovuto forse alla strana illusione di mantenere una pace sociale interna nel bel mezzo di una incalzante retorica anticapitalistica.
In conclusione, molte delle contraddizioni economiche del Venezuela sono rintracciabili nel tentativo di perseguire una redistribuzione della ricchezza unicamente a valle del processo produttivo (i ricavi del petrolio), senza investire per una maggiore eguaglianza distributiva che inizi a monte della produzione di ricchezza nazionale, dotando innanzitutto il Paese di un’infrastruttura industriale capace di mantenersi indipendentemente da quella petrolifera. Solo parziali sono le giustificazioni della necessità di dedicarsi prima alle emergenze di carattere sociale, come la sconfitta della povertà, il potenziamento della sanità pubblica e il miglioramento dell’istruzione: senza una solida struttura economica anche gli obiettivi proclamati dal socialismo del XXI secolo possono di colpo svanire.

Riccardo Evangelista

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

A chi volesse approfondire la situazione venezuelana del pre-Chàvez, suggeriamo questo articolo del 2006.[/box]

Foto di copertina di A.Davey pubblicata con licenza Attribution-NonCommercial-NoDerivs License

 

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Riccardo Evangelista
Riccardo Evangelista

Sono nato nel 1987 in provincia di Frosinone. Dopo una laurea triennale in Scienze Politiche e una magistrale in Sviluppo e Cooperazione, a inizio 2016 ho conseguito il dottorato di ricerca in Sviluppo economico: analisi, politiche e teorie presso l’Università di Macerata. Mi interesso disordinatamente di politica economica, storia dell’economia e teorie dello sviluppo. La mia passione per l’America Latina nasce identificandola con un sogno, troppo spesso infranto: quello di un mondo più giusto. Io, comunque, continuo a crederci. Tra gli hobby vanno annoverati la lettura, un attento apprezzamento per il cibo e una certa morbosità per il gioco del calcio (in televisione).

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