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Colombia: Santos e le FARC alle prese con lo spinoso processo di pace

In 3 sorsi – La Colombia è riuscita a ratificare il trattato di pace con le FARC. Da allora però i risultati sono stati scarsi, ed il processo è sempre più minacciato

1. LA PACE, UN PROCESSO TRAVAGLIATO – La Colombia, Paese tristemente noto per il narcotraffico e per la guerra civile contro i guerriglieri delle FARC-EP, è riuscita recentemente a guadagnarsi i titoli di testa dei giornali di tutto il mondo con la notizia della firma di un accordo di pace, siglato nell’agosto del 2016 tra il governo colombiano del presidente Juan Manuel Santos ed il leader delle FARC Rodrigo Londoño, alias Timochenko. Anche se atteso da molto tempo, l’accordo di pace ha iniziato fin da subito a suscitare dubbi e critiche in alcune parti del popolo colombiano, che lo riteneva troppo generoso nei confronti dei guerriglieri. In particolare, i punti più spinosi erano quelli che equiparavano guerriglieri e paramilitari e quelli che garantivano alle FARC una delegazione al Congresso, con seggi garantiti fino al 2026. Per vincere l’opposizione, il presidente Santos ha deciso di chiedere il voto dell’elettorato in un referendum, svoltosi il 2 ottobre. Nonostante i sondaggi favorevoli, il voto si è concluso con una clamorosa vittoria del NO, anche se di misura (51,3 a 49,7). Nonostante la cocente sconfitta, il presidente Santos non si è dimesso e, forte del supporto della comunità internazionale e dell’assegnazione del Premio Nobel per la Pace, ha anzi intavolato nuovi negoziati per modificare l’accordo. I negoziati sono stati decisamente rapidi e dopo solo un mese un nuovo testo di pace ha visto la luce. La rapidità dei negoziati si spiega sia per la debolezza delle FARC, consce di non essere in grado di riprendere le armi qualora l’accordo fallisse, sia per i cambiamenti più che altro cosmetici apportati al nuovo testo. Dopo essersi già scottato con il referendum, il presidente ha aggirato il voto popolare ed ha deciso di passare attraverso il Congresso, dove l’accordo di pace è stato celermente ratificato il 30 novembre 2016.

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Fig. 1 – il Presidente Santos durante la 16esima sessione dei vincitori del Premio Nobel per la Pace.

2. I PASSI FINO AD ORA – Il processo di pace ratificato si articola in una serie di tappe, volte a trasformare gradualmente i guerriglieri in comuni cittadini colombiani. La prima tappa è stata l’approvazione di un’amnistia per i reati politici commessi, misura adottata senza eccessive difficoltà alla fine di dicembre 2016. Dell’amnistia beneficeranno circa 5000 guerriglieri, mentre altri 1000, attualmente in carcere per questi reati, verranno rilasciati. Non sono invece toccati dall’amnistia coloro che si sono macchiati di crimini di guerra ed omicidi, né di reati comuni o legati al narcotraffico. La tappa successiva, ben più complessa, obbliga i membri FARC a fornire un inventario di tutte le armi, leggere e pesanti, in loro possesso, e di consegnarle entro la data limite del 30 maggio. Per far questo, i guerriglieri dovranno riunirsi in 26 particolari aree appositamente create dallo Stato e lì consegnare le armi nelle mani dei membri della missione ONU, appositamente creata per dare supporto al processo di pace e mediare tra le parti. Nei mesi precedenti, circa 6000 guerriglieri hanno abbandonato le loro postazioni per raggrupparsi in queste aree, denominate veredales (villaggi). La costruzione di questi siti però si è svolta in maniera molto lenta, tanto che ad oggi molti di questi sono ancora in fase di costruzione o privi di acqua potabile e servizi, spingendo alcuni guerriglieri ad abbandonarli. Queste difficoltà hanno costretto il governo a rimandare di 20 giorni la data finale per questa fase (scadenza a sua volta difficilmente rispettabile). Ma se c’è un fronte politico da tenere nella dovuta considerazione non possiamo dimenticare chi nel percorso di pace può avere un ruolo determinante legato anche alla sussistenza economica delle comunità di campesinos. Santos ha lanciato un programma di riconversione agricola nei dipartimenti di Meta e Caqueta, con l’intento di sradicare 50.000 ettari (la metà del totale) dedicati alla coltivazione della coca, unico sostegno economico per le oltre 83.000 famiglie coinvolte. Viene previsto un sussidio di un milione di pesos, poco più di 300 dollari, a chi collaborerà. Ma le FARC non rinunciano alla lotta politica nemmeno su questo; l’obiettivo di lungo periodo è arrivare alla “legalizzazione delle terre per fare in modo che anche i contadini possano accedere al credito”, ha dichiarato Pastor Alape, “ministro degli esteri” dei guerriglieri.

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Fig. 2 – membri delle FARC diretti verso i campi di raggruppamento.

3. LA FAIDA CHE MINA LA PACE – Anche se spiacevoli, questi ritardi in realtà non destano eccessiva preoccupazione per la stabilità della pace, date le difficoltà logistiche di creare questi siti in aree impervie e remote e la complessità generale dell’opera. A destare più preoccupazione è invece il cosiddetto fronte interno, ovvero il Congresso ed il popolo colombiano, dove è presente una nutrita opposizione all’accordo di pace guidata dal senatore Álvaro Uribe, presidente della Colombia dal 2002 al 2010. Il referendum, che nei piani di Santos avrebbe dovuto tacitarlo, lo ha al contrario rafforzato e spinto all’offensiva. Nel mese di aprile, infatti, insieme all’ex-presidente Andreas Pastrana, il senatore Uribe ha inviato una lettera al Congresso USA, nella quale rivolge una serie di feroci critiche contro il piano di pace. La lettera è stata inviata appositamente in un momento molto critico, in quanto il Congresso si accinge a votare il budget per gli aiuti economici per l’Estero. Tra questi, figura anche un pacchetto di circa 500 milioni di dollari per aiutare il governo colombiano nella fase di post-conflitto, chiamato Peace Colombia, richiesto dal presidente Obama nel 2016. La situazione è ancora più delicata in quanto il presidente Trump, al contrario di Obama che invece aveva pienamente appoggiato Santos e l’accordo di pace, non si è ancora pronunciato sulla questione. Anche durante la recente visita di Santos a Washington, il presidente USA si è limitato a qualche considerazione generica e banale sulla pace, senza rassicurare il suo interlocutore sul supporto politico, ed economico, degli Stati Uniti.

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Fig. 3 – Incontro tra i presidenti Santos e Trump a Washington.

Nel mese di maggio, poi, è calata come una scure la decisione della Corte Costituzionale Colombiana di bloccare la procedura rapida (in inglese fast track) già concessa nel dicembre scorso. Questa procedura permetteva al Governo di chiedere un voto “in blocco” sulle leggi per rendere esecutivo l’accordo di pace, “blindandole” da emendamenti o modifiche. A causa di questa decisione, la maggioranza dovrà confrontarsi con la minoranza su ogni singolo passaggio, con il rischio di rallentare enormemente, se non rendere impossibile, l’attuazione dell’accordo di pace. L’orizzonte temporale che sia Santos sia Uribe hanno in considerazione è il 2018, anno in cui si terranno le elezioni per scegliere il nuovo Presidente della Colombia (elezioni alle quali nessuno dei due rivali potrà partecipare). Il presidente Santos dovrà affrontare il voto partendo da un bassissimo tasso di gradimento, ed ha l’ovvia necessità di aver qualche successo da potersi ascrivere per poter bilanciare le deludenti prestazioni in campo economico e sociale. Santos ha dunque tempo un anno per offrire agli elettori risultati tangibili ed apprezzabili al fine di scongiurare una vittoria del partito d’opposizione, il Centro Democratico, vittoria che molto probabilmente comporterebbe la morte dell’accordo di pace.

Umberto Guzzardi

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Per maggiori informazioni e tenersi costantemente aggiornati con i progressi del processo, si rimanda a questa pagina [/box]

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Umberto Guzzardi
Umberto Guzzardi

Nato a Novara nel 1991, appassionato di geopolitica, relazioni internazionali, storia antica e moderna, ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna campus di Forlì. Ha trascorso vari periodi di studio all’estero, tra cui uno in Lituania ed un altro a Buenos Aires. Attualmente viaggia spesso per lavoro tra Europa e Africa.

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