In 3 sorsi – Il 1° gennaio 2019, la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea sarà affidata per la prima volta alla Romania. Le polemiche politiche e sociali interne rischiano però di rendere il semestre romeno particolarmente accidentato.
1. TOCCA ALLA ROMANIA
A un anno di distanza dalla Bulgaria, un’altra prima volta. La Romania assumerà la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea da gennaio a giugno 2019 (Bucarest ha aderito all’Unione nel 2007). Un incarico politico molto più che formale: se è vero che la presidenza è assegnata su base rotatoria tra gli Stati membri ed è già pianificata fino al 2030, la sua azione determina le priorità dell’agenda politica dell’Unione. Inoltre, in seguito all’ultimo allargamento della UE, il Trattato di Lisbona ha stabilito, nel 2009, un sistema di presidenze a trio: in sostanza viene delineato un programma comune a gruppi di tre presidenze consecutive per assicurare adeguata continuità politica al Consiglio. Il semestre rumeno aprirà il nuovo ciclo e sarà seguito da quello finlandese e croato (anche per Zagabria sarà la prima volta). Tuttavia, Bucarest si appresta a ricevere l’incarico tra alcune polemiche e in un momento delicato.
Fig. 1 – Il presidente della Repubblica romena Klaus Iohannis (qui con Angela Merkel) ha dichiarato che la Romania non è pronta ad assumere la presidenza del Consiglio UE
2. LE TENSIONI POLITICO-SOCIALI INTERNE
Lo scorso 12 novembre il presidente della Repubblica romena Klaus Iohannis, liberale, ha gelato Bruxelles affermando che «la Romania non è pronta ad assumere la presidenza di turno». Una stoccata decisa contro il Governo socialdemocratico di Viorica Dancila, ritenuto da Iohannis «un incidente della democrazia romena». Il Paese sta vivendo una situazione socio-politica drammatica, contraddistinta da corruzione diffusa e da salari bassi, un clima che in estate ha portato a violente proteste di piazza. Lo stesso Liviu Dragnea, leader del Partito socialdemocratico che ha trionfato nelle ultime elezioni del 2016, non ha potuto ricoprire la carica di Primo Ministro a causa di una condanna per corruzione: negli ultimi due anni, la Romania è stata governata da ben quattro esecutivi differenti, per ultimo quello della Dancila. L’attuale premier ha poi assicurato all’UE che «il Paese è preparato a presiedere il Consiglio sia sul piano logistico che su quello organizzativo». L’instabilità politica della Romania (con Dragnea sempre leader de facto del Governo) è però sotto gli occhi di tutti, soprattutto dei suoi cittadini: quasi l’80% dei romeni non ha fiducia nelle Istituzioni locali (fonte Eurobarometer). Le forti polemiche sulla corruzione e sull’indipendenza della magistratura hanno rimesso in causa la stessa adesione sostanziale del Paese ai valori e ai principi dell’Unione Europea e suscitato non poca preoccupazione e costernazione a Bruxelles.
Fig. 2 – Liviu Dragnea, leader occulto del Governo romeno condannato per corruzione
3. PRESIDENZA DI TURNO UE: UN SISTEMA DA RIVEDERE?
I problemi politici della Romania rischiano di pesare negativamente sull’Unione quando Bucarest assumerà la guida del Consiglio. Per il Paese, che è tra i soli quattro membri UE (Bulgaria, Cipro e Croazia gli altri) a non possedere tutti i requisiti necessari per far parte dell’area di Schengen e che ha rimandato l’introduzione dell’euro al prossimo decennio, si tratterà di un fondamentale banco di prova a livello comunitario. L’obiettivo sarà dimostrare all’Europa occidentale che l’adesione della Romania all’UE non sia stata il frutto di un errore di valutazione. La posta in gioco però è molto più alta: tra pressioni migratorie e venti sovranisti che rischiano di soffiare più forti che mai alle prossime Elezioni Europee del 23-26 maggio, quello che sta per aprirsi sarà un semestre chiave per il futuro dell’Unione. Per affrontare queste criticità sarebbe importante poter contare su una presidenza forte. Ma non ci sono elementi per credere che quella della Romania possa esserlo. Sorge allora una domanda: un sistema di rotazioni così statico e predeterminato, anche se “appagante” per tutti gli Stati membri, può davvero essere efficace?
Francesco Gottardi
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