L’Egitto è tornato a infiammarsi nel fine settimana, con violenze in tutto il Paese. Il bilancio, in base alle fonti, oscilla tra i 66 e i 120 morti, con un reciproco scambio d’accuse tra i sostenitori del Governo e i fedeli di Morsi: la guerra civile, secondo alcuni osservatori, è già cominciata.
Algeria sotto pressione
Crescono le speculazioni sul futuro dell’Algeria. Il probabile abbandono di Abdelaziz Bouteflika, Presidente dal 1999 e uomo capace di stabilizzare un Paese stremato da una cruenta guerra civile, ha aperto dubbi e timori sull’effetto che una successione potrebbe avere sull’Algeria, proprio mentre la stagnazione sociale ed economica sembra destinata ad acuirsi nel corso dei prossimi anni, aggravando le fratture interne. Non appare oggi chiaro quali siano le prospettive future per uno dei Paesi del Maghreb che maggiormente è riuscito a contenere le pressioni della piazza ai tempi delle Primavere arabe.
Egitto, le parole della tensione
Le Forze Armate egiziane, tramite il ministro della Difesa el-Sissi, hanno invitato gli egiziani a scendere in piazza oggi contro la Fratellanza Musulmana, ritenuta «violenta e terrorista»: questa posizione, però, potrebbe essere foriera di maggiori tensioni.
In drones we trust
L’impatto dei velivoli pilotati a distanza sulla proiezione strategica della politica estera americana è stato superiore alle attese. A dimostrazione di ciò negli ultimi mesi si è sviluppato un intenso dibattito sulle cause e sugli effetti dell’impiego degli Unmanned Aerial Vehicles – UAV (conosciuti come droni), sia dal punto di vista politico, sia da quello giuridico.
Sud Sudan: Governo sciolto dal Presidente
Il presidente sudsudanese Kiir ha comunicato ieri sera lo scioglimento immediato del Governo e la rimozione del vicepresidente, misure completamente inattese, ma da inserirsi nel percorso di costante inasprimento dei rapporti interetnici nel Paese.
Niger: nuovo fronte?
Mentre il Mali sembra avviarsi verso una maggiore stabilità, anche se incerta, le tensioni si spostano su Paesi vicini, come il Niger, poverissimo, ma con grandi risorse, che paga i confini sterminati e un debole controllo governativo, rischiando di diventare nuova preda di movimenti estremisti. 10 punti per capirlo insieme
Venezuela: il “dramma” della carta igienica
“Se manca persino la carta igienica, bè… allora vuol dire che si è davvero toccato il fondo”. Sono le parole di un anziano venezuelano intervistato dall’Associated Press durante lo shopping quotidiano.
Cina vs. India, confronto ad alta quota
Recentemente Pechino ha confermato una notizia che si rincorreva da tempo nelle cancellerie dei Paesi asiatici, ovvero il riadattamento di una base in Tibet per ospitare caccia da combattimento. Questa mossa si inserisce in un più ampio scenario che vede la Cina rafforzare la propria aviazione anche sul fronte meridionale, per fronteggiare direttamente le crescenti ambizioni indiane.
STORIA RECENTE – Pechino ha sempre cercato di sviluppare una moderna ed efficiente aviazione, da integrare con le proprie forze marittime e terrestri. Questo processo ha subito un’accelerata dagli inizi degli anni ‘90, quando il crollo dell’Unione Sovietica ha da un lato liberato il drago da un formidabile avversario e dall’altro ha messo a disposizione di Pechino un numero impressionante di tecnici ed ingegneri, allora rimasti disoccupati. Le guerre degli anni Novanta e Duemila, in particolare gli impieghi occidentali di air power dalla Prima Guerra del Golfo in poi, hanno inoltre mostrato ai vertici cinesi l’importanza di ottenere e mantenere la superiorità aerea in battaglia, spingendoli a puntare su di una forza magari ristretta in termini numerici ma meglio addestrata ed equipaggiata, con una più marcata capacità di “rapid response”. Questi fattori, uniti anche all’impressionante crescita economica, hanno permesso a Pechino di sviluppare una considerevole industria aeronautica con una capacità operativa non indifferente.

L’AVIAZIONE PIÙ “ALTA” DEL MONDO – La People’s Liberation Army Air Force (PLAAF) può inoltre contare su un’impressionante catena di basi, situate nelle aree più strategiche, dal Mar Cinese alle più alte vette Himalayane. Per esempio, l’adattamento citato in apertura della base tibetana di Gonkar per i jet Su-27 (o meglio, la copia J-11), che, con i suoi circa 3500 metri sul livello del mare, è una delle basi aeree più alte del mondo, serve a un duplice scopo: non solo è una risposta alle basi indiane di Chabua e Tezur, ma è in grado anche di coprire l’intera area dell’Arunachal-Pradesh, uno dei territori da tempo contesi a Nuova Delhi. Si stima inoltre che la Cina sia il Paese al mondo con il più alto numero di basi aeree sotterranee, circa 40, con un capacità totale di 1400 velivoli. Queste basi, infatti, non solo sono di difficile individuazione, ma rendono anche molto difficile, nel caso indiano, attacchi a sorpresa. In questo caso diviene infatti problematico riuscire a distruggere l’aviazione prima che si levi in volo, e questo fornisce un discreto vantaggio in caso di guerra prolungata. Recentemente, inoltre, la Cina ha intrapreso una serie di esercitazioni aeree con diversi partner regionali, tra cui il Pakistan, storico avversario dell’India.
GRANDI AMBIZIONI – A sud della frontiera Himalayana, invece, troviamo l’altro gigante asiatico: l’India. Questo è il Paese con il più alto livello di sviluppo demografico al mondo, ed anche il tasso di crescita del PIL è notevole (nonostante una battuta d’arresto, l’ultimo trimestre ha comunque registrato un significativo + 4.8%). Forte di questo incremento, Nuova Delhi sta quindi cercando di tradurre tali numeri anche in peso regionale, attraverso una considerevole espansione delle sue forze armate, dove non solo la Marina la fa da padrone: l’aviazione, infatti, riveste un ruolo primario nella protezione dei confini a Nord e ad Ovest, dove si trova a fronteggiare dei vicini problematici. Quella che lo Stato Maggiore indiano spera diventi la seconda aviazione più grande del mondo, infatti, svolge un ruolo chiave nelle dispute col Pakistan e nel contenimento delle ambizioni della Cina a nord: le già citate basi di Chuba e Tezur, nel nord del Paese, sono state costruite proprio con questo scopo.
LA STRADA È ANCORA LUNGA – Diversamente dalla Cina, però, l’industria aeronautica indiana non è ancora pienamente sviluppata. Se è vero, infatti, che l’India è comunque una potenza atomica in possesso di tecnologia militare di un certo livello, potendo annoverare tra le sue fila anche caccia moderni, non si può non considerare il fatto che i velivoli prodotti dalle industrie nazionali non sono ancora ai livelli di quelli cinesi rivelandosi anche, a tratti, non ancora pienamente affidabili, costringendo quindi il Paese ad affidarsi a forniture estere. Gli acquisti di nuovi aeromobili, inoltre, non sembrano seguire una strategia organica, ma rispondono piuttosto ai bisogni del momento senza tenere conto di una visione più ampia, impedendo cosi lo sviluppo di un’aviazione davvero efficace e moderna, e rischiando di pagare dazio all’India sul lungo termine. Pechino, anche a causa dell’innumerevole numero di fronti su cui deve essere presente, ha realizzato che la coordinazione e l’efficienza, assieme all’interoperabilità tra le forze, sono la chiave di una moderna aviazione, e quest’ultima si può ottenere solo attraverso un lungo ed attento lavoro di pianificazione; la Indian Air Force (IAF), invece, per raggiungere un completo livello di integrazione, ha ancora qualche lacuna da colmare. Anche l’India, infatti, è virtualmente impegnata su più fronti, sia a nord con la Cina che ad est con il Pakistan, e la situazione è complicata dal fatto che questi due Stati si sono recentemente avvicinati. In chiusura, quindi, data anche la particolare conformazione dei territori contesi (in gran parte montuosi), l’aviazione gioca un ruolo chiave su questo scacchiere. Se l’India vuole giocare ad armi pari con la Cina ed aumentare la sua influenza nell’area, un maggiore sviluppo della sua aviazione militare sembra imprescindibile.
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Marco Lucchin
Egitto: che fine ha fatto Morsi?
L’Egitto torna a infiammarsi: quattro manifestanti sono morti ieri negli scontri tra le opposte fazioni in piazza Tahrir, con la Fratellanza Musulmana che ha invitato ad assediare l’ambasciata statunitense. Nel frattempo, la famiglia di Morsi ha invocato la liberazione del Presidente destituito, tenuto da venti giorni in stato di fermo in una località non precisata e senza contatti con l’esterno, una richiesta condivisa anche dall’Unione Europea.
1. NUOVE VIOLENZE – A due settimane dalla nomina a Primo Ministro di el-Beblawi, in Egitto la situazione resta incandescente. Nella giornata di ieri, durante intensi scontri in piazza Tahrir tra i sostenitori di Morsi e quelli del Governo, sono morte quattro persone. Secondo una prima ricostruzione, le violenze sarebbero esplose appena i manifestanti a favore del Presidente destituito hanno tentato di accedere alla piazza, occupata dagli avversari. I sostenitori di Morsi erano in movimento verso l’ambasciata statunitense, poiché, nelle ore precedenti, i vertici della Fratellaza Musulmana avevano invitato gli egiziani a protestare attivamente contro le ingerenze di Washington in favore dell’azione dell’esercito. In particolare, è stato el-Erian, vice-presidente del Partito Libertà e Giustizia (il ramo politico della Fratellanza), a parlare apertamente di «assedio delle ambasciate fino alla loro chiusura», auspicando l’espulsione della rappresentanza diplomatica degli Stati Uniti dal Paese.
2. «LIBERATE MORSI» – Tuttavia, a ispirare le proteste sono state anche le parole dei familiari di Morsi, i quali hanno annunciato l’intenzione di presentare una denuncia contro l’Esercito – in particolare contro al-Sissi – per sequestro di persona, poiché il Presidente destituito si trova trattenuto in una struttura non precisata (forse presso il quartier generale della Guardia Repubblicana) da circa venti giorni, senza alcuna possibilità di contatto con l’esterno, nemmeno con i parenti più stretti. La dichiarazione della famiglia di Morsi è giunta pressoché in contemporanea con una posizione analoga da parte dell’Unione Europea. I ministri degli Esteri riuniti a Bruxelles, infatti, hanno chiesto il rilascio di Morsi e l’avvio di «un processo di trasformazione democratico e inclusivo, che comprenda elezioni da tenersi il prima possibile».
3. ANCORA SANGUE NEL SINAI – Resta complessa – e preoccupante – anche la situazione nel Sinai: nella notte tra il 21 e il 22 luglio, gruppi di miliziani islamisti hanno assaltato numerosi edifici e posti di blocco delle forze di sicurezza egiziane a el-Arish e a Rafah, causando almeno sei morti, compresi due civili. Sebbene la Penisola sia da lungo periodo una roccaforte privilegiata per formazioni dell’Islam combattente e per organizzazioni criminali (tre le quali il confine è spesso labile), dalla destituzione di Morsi la situazione sta divenendo sempre più delicata, tanto che non è escluso che nel Sinai si stiano costituendo gruppi jihadisti aventi lo specifico scopo di agire in Egitto. Nelle settimane scorse, Israele aveva acconsentito a una deroga degli accordi di demilitarizzazione della regione, permettendo lo schieramento da parte dell’Esercito egiziano di due divisioni, di alcuni carri armati e di quattro elicotteri “Apache”.
Beniamino Franceschini
Il Papa in Brasile: viaggio tra fede e geopolitica
Il Brasile è pronto ad accogliere Papa Francesco. Il Pontefice è partito il 22 luglio per fare ritorno nella ‘sua’ America Latina per la prima volta dopo l’elezione, avvenuta il 13 marzo scorso. È il primo viaggio fuori dall’Italia di Bergoglio da quando è divenuto Papa, e si tratta di un impegno in agenda già da molto tempo, ovvero la partecipazione alla Giornata Mondiale della Gioventù
Il ponte che unirà Washington e Bruxelles
Da qualche giorno si è conclusa a Washington la prima settimana di colloqui tra Stati Uniti e Unione Europea per raggiungere l’accordo sulla realizzazione di un’area di libero scambio. Sia Mike Froman, consigliere di Barack Obama per il commercio estero, sia Ignacio Garcia-Bercero, leader dei negoziatori UE, l’hanno definita una settimana produttiva. I negoziati riprenderanno in ottobre
Vietnam: imperialismo di gomma?
La gomma naturale, come molte altre commodities, è attualmente oggetto di grande interesse e speculazione nei mercati internazionali. Il Vietnam, mediante due grandi compagnie del settore agricolo finanziate anche da capitale occidentale, sta sottraendo a Cambogia e Laos foreste e terreni coltivabili per destinarli alla coltivazione di gomma naturale. Come spesso accade quando si parla di imperialismo, a farne le spese sono i più deboli: piccoli produttori agricoli e abitanti dei villaggi.


