Seconda parte del nostro viaggio nel rapporto Francia-Germania: arriviamo all’attualità e all’affanno francese nel tentativo di smarcarsi dai diktat di austerità di Berlino. Eppure, magari un po’ controvoglia, il rapporto tra i due Paesi non potrà che rimanere forte. Ecco perchè
L’Etiopia dopo Zenawi
A quasi un anno dalla morte di Meles Zenawi, gli osservatori internazionali continuano a riflettere sulla situazione dell’Etiopia e sul suo imminente futuro. La fase di transizione diverrà la normalità, oppure dobbiamo aspettarci mutamenti degli equilibri di potere? Zenawi è stato il protagonista della vita etiope dal 1991 al 2012, migliorando lo stato economico del Paese e intraprendendo una politica estera di primo livello, nonostante i molti dubbi sul rispetto dei diritti umani: un’eredità che traccerà il percorso dell’Etiopia ancora per un lungo periodo.
CHI ERA MELES ZENAWI – Il 20 agosto 2012, Meles Zenawi, l’uomo che per venti anni aveva guidato l’Etiopia, morì improvvisamente a Bruxelles. Il decesso colse di sorpresa il Paese, poiché Zenawi era il perno assoluto e indiscutibile della politica etiope, il garante di equilibri talvolta ambigui, ma capaci di favorire lo sviluppo economico costante di Addis Abeba e una notevole rilevanza nel sistema regionale dell’Africa orientale. Nato nel 1955, Meles, figlio di un eroe della resistenza anti-italiana, combatté con la guerriglia tigrina contro Menghistu, unendosi al Fronte di Liberazione del Popolo Tigrino (FLPT) e divenendone il capo nel 1989. Presidente ad interim nel 1991, Zenawi vinse tutte le elezioni tra il 1995 e il 2010 alla guida del Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope (FDRPE), il partito che, di fatto, coincide con il sistema di potere dello Stato – basti pensare che la coalizione ottenne alle consultazioni del 2010 un contestato risultato del 99,5% dei voti. Meles fu il fondatore dell’Etiopia contemporanea, basata su un federalismo etnico, ma fortemente pervasa dal controllo del FDRPE, tanto che nel corso degli anni non sono mancate dure accuse di violazioni dei diritti umani da parte di importanti Organizzazioni internazionali (Amnesty International, Human Rights Watch, International Crisis Group, Reporter sans frontieres).
LO SVILUPPO ECONOMICO – Da un punto di vista economico, Zenawi mantenne sempre alcune sfumature delle proprie origini marxiste e leniniste, assumendo a modello la Cina e sostenendo che fosse compito dello Stato ispirare, guidare e governare lo sviluppo con costanti interventi nel mercato. Gli effetti di questa politica hanno garantito un notevole incremento del PIL (previsto, secondo il FMI, al +6,5% annuo tra il 2013 e il 2018) e l’attrazione di ingenti capitali esteri. L’Etiopia ha intrapreso inoltre una serie di mastodontici investimenti, talvolta con partenariato cinese, per la realizzazione di opere pubbliche soprattutto nel settore energetico, al fine di rendere il Paese esportatore netto di elettricità. Un esempio è la criticata diga Gilgel Gibe III sul fiume Omo, la cui costruzione, affidata alla società italiana Salini, desta preoccupazione da un punto di vista sia sociale, sia ambientale. Zenawi fu tra i protagonisti anche dell’elaborazione dell’ambizioso LAPSSET, il corridoio infrastrutturale che collegherà il Sud Sudan con il porto di Lamu, in Kenya (valore di 20 miliardi di dollari). Da tenere sotto controllo restano tuttora i fenomeni del land grabbing: si calcola, infatti, che 3 milioni di ettari di terre coltivabili siano stati espropriati a vantaggio di società arabe e cinesi, mentre 70mila persone, secondo Human Rights Watch sarebbero state spostate forzatamente.

LA POLITICA ESTERA – Tuttavia, l’aspetto più rilevante del ventennio di Meles fu il posizionamento internazionale dell’Etiopia. In questo senso, è necessario considerare come il Primo Ministro seppe giostrarsi abilmente tra Washington e Pechino, presentandosi quale interlocutore affidabile della comunità occidentale nella lotta al terrorismo e riuscendo a utilizzare le misure statunitensi per il raggiungimento di scopi puramente etiopi, dal sostegno estero nello scontro con l’Eritrea, alla presenza in Somalia (compresa la vicinanza alla causa del Somaliland), prima con l’azione contro le Corti islamiche (2007-2009), quindi con l’appoggio alle forze di AMISOM e del Kenya contro al-Shabaab (2011). Contestualmente, Zenawi cercò di acquisire sempre maggiore prestigio nel continente africano, operando come mediatore nel conflitto sudanese, ponendo sotto pressione l’Egitto nella gestione del bacino del Nilo e mostrandosi aperto alla ristrutturazione dell’Unione Africana.
L’EREDITÀ DI ZENAWI – All’indomani della morte di Zenawi, l’Etiopia avrebbe potuto seguire due strade: la sua sostituzione con una figura a lui vicina, come il vice Hailè Mariàm Desalegn o la moglie Azeb Mesfin, oppure la scelta di una personalità proveniente da un gruppo etnico diverso da inserire nella dirigenza del partito. Comunque, è impensabile che il Paese modifichi il percorso di Zenawi e muti rapidamente l’assetto degli equilibri che negli ultimi venti anni hanno caratterizzato le linee economiche e di politica estera. Non a caso, nell’autunno del 2012, Desalegn, già vice Primo Ministro, ministro degli Esteri e Presidente della complessa Regione delle Nazioni, Nazionalità e Popoli del Sud, assunse definitivamente la carica lasciata vacante dal decesso di Meles. In un intreccio di profondi chiaroscuri, l’opera di Zenawi ha favorito un poderoso sviluppo economico e ha reso l’Etiopia un perno regionale politico-militare, sebbene ad alti costi in termini umanitari, come nel caso del conflitto del 2007-2008 tra le forze regolari e il Fronte di Liberazione Nazionale dell’Ogaden. Il Governo della fase di transizione dovrebbe essere una questione interna al maggiore partito, o, piuttosto, alla sua componente tigrina. Persistono tuttavia due incognite, ossia le intenzioni della vedova di Zenawi, Azeb Mesfin, la quale ancora resta in corsa per una futura candidatura alle elezioni del 2015, e il rischio che l’assenza dell’azione accentratrice di Meles divida il fronte dell’élite tigrina – indebolita negli ultimi anni – a vantaggio dell’emersione di altri gruppi etnici, il cui eterogeneo ventaglio di opzioni oscilla tra le istanze di maggiore libertà e il progetto di ribaltare il sistema etiope.
Beniamino Franceschini
Bonsignore: Le prossime partite sulla scacchiera geostrategica
Miscela strategica – Nella terza ed ultima parte della nostra lunga chiacchierata, ci concentriamo infatti sulle questioni geostrategiche più “calde” nel prossimo futuro
Ci risiamo: non c’è pace nel Nord Kivu
Niente da fare: nel Nord Kivu, regione orientale della Repubblica Democratica del Congo, sono ripresi nuovamente gli scontri tra il Governo di Kinshasa e i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23). Sono i primi combattimenti dopo l’occupazione e il successivo ritiro da Goma (capoluogo regionale) di questi ultimi, nello scorso dicembre. Per il momento non ci sono notizie precise, ma pare esserci un collegamento tra questi ultimi eventi e il dispiego di una nuova brigata internazionale d’intervento nella zona. Il tutto a pochi giorni dalla visita del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, in Repubblica Democratica del Congo, che farà tappa anche a Goma, Kigali (Ruanda) e Entebbe (Uganda).
NELLE PUNTATE PRECEDENTI – Poco più di un anno fa si ammutinava un gruppo ribelle di militari, che si diede il nome di M23, prendendo le armi contro il governo centrale. Si rifaceva agli accordi conclusi il 23 marzo 2009 (da cui il nome) tra il governo di Kinshasa e la “vecchia” ribellione del CNDP. La nuova ribellione, guidata tra gli altri da Bosco Ntaganda (ora detenuto a L’Aia), nasceva per reclamare l’applicazione, giudicata disattesa, di quegli accordi. Dopo un serie di attacchi e ritirate, verso la fine del novembre 2012 l’M23 ha occupato la città di Goma per una decina di giorni, ritirandosi poi a pochi km da essa con la promessa di un dialogo con Kinshasa. Dietro pressione internazionale, Governo e ribelli hanno intavolato lunghe e complicate discussioni a Kampala, capitale dell’Uganda (ertosi a mediatore), senza però arrivare, fino ad oggi, a nessun accordo concreto. Il governo congolese e le Nazioni Unite hanno intanto sempre sostenuto l’appoggio di Ruanda e Uganda ai ribelli; sostegno che i due Paesi hanno, a loro volta, sempre negato.

LA RIPRESA DEGLI SCONTRI – Di fronte al persistere dell’azione di numerosi gruppi ribelli nella regione del Nord Kivu (l’ultimo “censimento” ne conta almeno 27, ma ne nascono in continuazione ogni giorno), le Nazioni Unite hanno deciso di inviare a Goma una forza di intervento di 3000 uomini con compiti prettamente militari (a differenza della MONUSCO, la missione precedente, che aveva compiti di mantenimento della pace e difesa dei civili). Il primo contingente, composto da soldati di Tanzania, Malawi e Sudafrica, è arrivato alla fine della scorsa settimana. Forse per impedirne, disturbarne o ritardarne l’intervento, o forse come segno di “non riconoscimento” di tale forza, lunedì 20 maggio scorso l’M23 ha sferrato un attacco contro le forze armate governative nel villaggio di Mutaho, una decina di km a nord-est di Goma. Non è chiaro in realtà chi abbia sparato per primo: ciascuno dei due campi accusa l’altro di aver iniziato la sparatoria. In ogni caso sono i primi scontri dal ritiro dell’M23 da Goma lo scorso dicembre.
DICHIARAZIONI UFFICIALI – Secondo il colonnello Hamuli, portavoce dell’esercito congolese, l’M23 ha attaccato le posizioni governative a Mutaho con l’intenzione di passare per questa località per raggiungere Mugunga e tagliare tutte le vie di rifornimento per l’esercito. Mugunga, quartiere periferico di Goma, è la principale via di accesso alla città. Interrogato sulle cifre degli scontri, il portavoce del governo di Kinshasa, Lambert Mende, ha parlato di 4 soldati e 15 ribelli morti, oltre ad una trentina di feriti da ambo le parti. Dall’altra parte, con un comunicato l’M23 ha denunciato l’opzione militare intrapresa dal governo e riaffermato il suo impegno a proseguire i colloqui di pace. Lo stesso presidente del Ruanda, Paul Kagame, ha dichiarato alla BBC che i caschi blu potrebbero peggiorare la situazione del Nord Kivu, se non “propriamente coordinati” con altrettanti “sforzi politici”.

LE PRIME CONSEGUENZE – Per ora la città segue i ritmi normali: scuole e negozi sono aperti. Ma qui la “normalità” prevede, all’ordine del giorno, furti, saccheggi, omicidi. Le numerose milizie seminano terrore, in particolare negli ambienti rurali e i giovani non scolarizzati sono condannati al vagabondaggio, diventando prede facili di arruolamento forzato nei gruppi armati. Come sempre, i primi pagare per questi nuovi scontri sono i più deboli: l’ennesimo esodo di profughi, in maggioranza donne e bambini, è nuovamente cominciato. Ormai, da più di vent’anni, non c’è pace nel Nord Kivu.
Giorgio D’Aniello
Bonsignore: il ruolo odierno dell’industria della difesa
Miscela strategica – Nella seconda parte della nostra intervista trattiamo con Ezio Bonsignore altri due argomenti delicati, e probabilmente meno conosciuti dei precedenti: l’industria della difesa e i nuovi concetti operativi.
Libia, come ripartire?
Nonostante il caos interno non ancora sedato dopo la scomparsa di Gheddafi, la Libia rimane un Paese ricchissimo di petrolio dotato di enormi potenzialità di crescita economica. Per sfruttare però al meglio queste risorse, la transizione verso la stabilità politica e la sicurezza interna sono due condizioni ineludibili
Un Caffè con Ezio Bonsignore
Miscela strategica – Apriamo il nostro speciale con l’intervista ad un ospite d’eccezione: Ezio Bonsignore, responsabile editoriale del World Defence Almanach e fondatore, con Giovanni Lazzari, di RID (Rivista Italiana Difesa).
Vi offriamo una nuova Miscela… strategica
Parte oggi “Miscela Strategica”, nuovo speciale del Caffè Geopolitico dedicato alla Geostrategia. Con questa nuova serie di analisi vogliamo rendere fruibili al grande pubblico importanti temi di politica e relazioni internazionali. In particolare, i temi di geostrategia rappresentano spesso la parte più ostica della geopolitica, perchè gli argomenti sono specifici e gli avvenimenti sono spesso complessi e non facili da spiegare. Noi ci proviamo!
Il controllo dell’Artico e il ruolo dei cambiamenti climatici
La prospettiva di eventuali modifiche del paesaggio causate dal surriscaldamento della temperatura globale ha spinto gli Stati artici ad una rinnovata competizione per la delimitazione dei confini. Infatti, una potenziale riduzione della calotta artica
Il futuro dell’ALBA in Sudamerica
Il 5 marzo 2013 rappresenta uno spartiacque nella recente storia sudamericana. La morte di Hugo Chávez ha prodotto un terremoto politico non solo in Venezuela, ma in tutta la regione. Gli effetti sono però ancora di difficile valutazione. Tra i lasciti più grandi ereditati dal carisma del leader venezuelano, il futuro sviluppo della Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América (ALBA)
Europa contro Europa
“L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme, essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto” così 63 anni fa, uno dei “padri fondatori” dell’Unione Europea, Robert Schuman esponeva a Parigi la propria idea di Europa. La cosiddetta “dottrina Schuman” ha rappresentato l’inizio del progetto di integrazione europea. Molti sono stati i passi in avanti fatti negli anni ma c’è chi ancora vorrebbe tornare indietro.
IL NO CHE AVANZA – La situazione attuale di crisi economica ha visto l’avanzamento di numerosi partiti anti-europeisti, i quali sono contrari ad un’integrazione più profonda e considerano inutile e inefficacie l’Unione Europea, sia dal punto di vita economico, l’euro e il sistema economico, ma anche dal punto di vista politico poiché percepiscono il potere dell’Unione distante dagli interessi dei cittadini. Questi nuovi partiti sono presenti in quasi tutta Europa: in Francia, il Fronte Nazionale (FN); in Regno Unito, il Partito per l’indipendenza del Regno Unito (UKIP); in Grecia, Syriza e Alba Dorata, in Germania, l’Alternativa per la Germania (AFD); in Olanda, il Partito olandese per la libertà (Pvv), e infine in Islanda, il Partito dell’Indipendenza e il Partito del Progresso. In due dei Paesi fondatori dell’Ue, Germania e Francia la sfiducia nei confronti dell’Unione è cresciuta negli ultimi anni rispettivamente del 57% e 60%.
IN FRANCIA – Le elezioni presidenziali di aprile 2012 hanno visto il partito FN di Marine Le Pen raggiungere il più alto risultato di sempre, il forte consenso elettorale ottenuto è dovuto soprattutto alle proposte presentate contro la politica europeista di austerity di Sarkozy in alleanza con la cancelliera tedesca Angela Merkel. Le proposte presentate dal FN si basavano sulla modifica del trattato di Schenghen, meno diritti per gli immigrati , ma soprattutto una politica anti-europeista e anti-Nato. Il motto portato avanti da Marine Le Pen durante la campagna elettorale era: “Uno Stato che lotti ovunque contro l’ingiustizia generata dal regno del denaro”.
INDIPENDENTISMO BRITANNICO – In quest’ultima settimana un altro partito anti europeista, l’UKIP, in Gran Bretagna nelle elezioni svoltesi il 3 maggio ha ottenuto il 23% di voti, il partito indipendentista guidato da Nigel Farange è divenuto il terzo partito dopo Laburisti e Conservatori. L’esito del voto ha fatto emergere l’opposizione e lo scetticismo dell’elettorato britannico nei confronti dell’integrazione europea, dovuto soprattutto anche alla crisi dell’eurozona. La pressione dell’euroscettici ha spinto il premier David Cameron a “rinegoziare” la posizione del Regno Unito nell’UE.
DUE PARTITI EUROSCETTICI GRECI – La Grecia è il Paese dove la sfiducia nei confronti dell’UE è quasi al 75%. Alba Dorata e Syriza, i due partiti euroscettici, nell’elezioni del maggio 2012 hanno ottenuto importanti risultati. Alba Dorata, partito di estrema destra, guidato da Nikòlaos Michaloliàkos, è volato al 6,9%, la campagna elettorale si è basata su un programma contro gli immigrati illegali, proponendo di minare il confine ed espellere tutti gli irregolari, e chiedendo la cancellazione dei debiti greci, ha sfruttato i sentimenti di insicurezza e rabbia dei Greci colpiti dalle misure di austerità.

Mentre Syriza, partito della sinistra radicale, guidato da Alexis Tsipras, con le elezioni è diventato il secondo partito greco diventando il principale partito di opposizione. Tsipras ha affermato che il suo partito ha un “approccio molto più realistico” per stabilizzare l’economia e auspica la “ricostruzione dell’Eurozona in base ai principi della coesione sociale e della democrazia”. Syriza diversamente da Alba Dorata non è contrario all’euro e tanto meno alla permanenza della Grecia in Europa. Ma l’obiettivo principale è quello di cambiare le politiche di austerity imposte dall’Unione, giudicate troppo favorevoli alle banche e alle grandi imprese, infatti il partito ritiene che per uscire dall’attuale crisi economica è importante mettere al centro delle politiche economiche europee: il lavoro, il reddit o, i diritti dei più deboli e lo stato sociale.
LA GERMANIA NON HA BISOGNO DELL’EURO – Con questo motto il partito tedesco AFD si prepara alle elezioni federali tedesche del 22 settembre, il partito AFD nato da poco è cresciuto notevolmente nei sondaggi, in poche settimane ha raccolto 10 mila iscritti. I principali esponenti sono per la maggior parte accademici di ispirazione liberale ,uno dei principali è l’ex presidente della Confindustria tedesca Hans-Olaf Henkel. Il quale propone l’introduzione di due diversi euro, uno per il Nord Europa e un altro per il Sud Europa. Ma la politica fa leva soprattutto sull’indignazione dovuta alla messa in pericolo della ricchezza tedesca che è stata favorita dalla cancelliera Merkel, la quale ha concesso crediti internazionali ai paesi europei in crisi, e auspica a un ritorno al marco tedesco.
L’OLANDA E L’EX-PARTITO DEL RIGORE – La crisi economica non ha risparmiato nemmeno l’Olanda. Il Paese è stato sempre tra i capofila del “partito del rigore” all’interno dell’Unione Europea, chiedendo agli altri Stati membri il rispetto degli impegni presi, soprattutto dal punto di vista finanziario; oggi il Paese si trova ad affrontare una situazione dove la disoccupazione è in aumento e la crescita è molto lenta. Proprio per questo il partito PVV è salito alla ribalta proponendo idee euroscettiche che si mischiano alla forte connotazione islamofobica ed xenofoba. Il suo leader Geert Wilders, parlamentare olandese famoso per le sue critiche mosse contro l’Islam, sostiene che le istituzioni europee abbiano perso la fiducia degli elettori olandesi e che bisogna uscire quanto prima sia dal punto di vista politico, che dall’adesione alla moneta unica. Il partito però alle elezioni di settembre 2012 ha registrato un netto calo, anche se ha ottenuto 15 seggi in parlamento. Le elezioni hanno visto invece trionfare “l’Europa”.
L’ISLANDA E LE ELEZIONI DI APRILE 2013 – L’Islanda alle ultime elezioni ha visto trionfare i partiti anti-Unione “basta austerità e moneta unica”. I due partiti euroscettici hanno ottenuto più del 50% dei voti. Anche il partito dei Pirati, movimento nato nel 2012 è entrato per la prima volta nel parlamento. Questi ultimi risultati fanno pensare ad una situazione di stallo della procedura di ingresso nell’Ue. Già in campagna elettorale questi due partiti avevano affermato di voler sospenderla. “Usufruiamo già dei vantaggi di una zona di libero scambio e anche libera circolazione con la Ue, senza bisogno di perdere la nostra indipendenza”.
LA CRISI ECONOMICA MONDIALE… – La crisi ha inciso molto all’interno dell’Europa, in questi ultimi anni politica ed economia si sono deformate fino a divergere. Si può affermare che in quasi tutta Europa c’è chi vorrebbe cancellare i passi fatti in questi ultimi 63 anni, non solo rinegoziando tutto ma anche cancellando. Un nuovo trattato dell’Unione sarà una possibile prospettiva per uscire dalla crisi politica ed economica?
Maria Salerno
Francia e Germania, quasi amici (I)
“L’amicizia franco-tedesca è indispensabile per ridare slancio al progetto europeo e ripercorrere il sentiero della crescita. Non risolveremo i problemi che attanagliano l’Europa senza un sincero ed intenso dialogo tra Francia e Germania“. Su Twitter, Jean-Marc Ayrault, premier francese, con un messaggio sia in francese che in tedesco di fatto scrive direttamente a Berlino, con in copia le altre 25 cancellerie dell’Unione Europea, sottolineando quanto sia fondamentale il dialogo con la Germania. Viaggio nel rapporto Francia-Germania: in questa prima parte, approfondiamo al storia di due paesi costretti a considerarsi amici


