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Balcani, tra integrazione e isolamento (II)

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Continua la nostra analisi sul complesso processo di integrazione dei Balcani nell’Unione Europea. Dopo aver fornito le linee generali, scendiamo ora nel dettaglio

Balcani, tra integrazione e isolamento (I)

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In due puntate, il lento e tormentato processo di integrazione tra l’Unione Europea e gli Stati balcanici. In questa prima parte, una fondamentale ricostruzione storica delle linee generali di questo rapporto e dei vari co-protagonisti, in primis la Nato post guerra-fredda

Fracking ed Est Europa: indipendenza energetica possibile?

La rivoluzione dello shale gas americano ha suscitato notevoli appetiti e tentativi di emulazione in tutto il mondo, Europa compresa. Il fermento, in particolare nell’est, è alto così come le attese.

La nuova Tunisia non riesce a decollare

Una serie di attacchi e di scoperte riguardanti l’attività jihadista in alcune aree della Tunisia conferma e accresce i sospetti riguardo la possibilità che il Paese maghrebino sia uno dei nuovi fronti della battaglia fondamentalista. Nonostante i pericoli siano veri, non è questa la sola minaccia per la Tunisia di oggi, alle prese con un crescente malcontento popolare, un aumento della povertà e della disoccupazione e un aggravamento degli squilibri territoriali interni. Purtroppo la classe politica non sembra in grado di dare una risposta concreta a tale disagio

C’è un accordo tra Kosovo e Serbia

Fumata bianca a Bruxelles: habemus pactum, come twittano dal Kosovo. Dopo dieci incontri estenuanti con alti e bassi ma con un desiderio di arrivare ad una conclusione, l’accordo tra Kosovo e Serbia per la normalizzazione dei rapporti è stato siglato venerdì 19 aprile.

Dottrina Monroe…in salsa di soia?

Puntuale come di consueto, il 15 aprile scorso lo Stato Maggiore cinese ha pubblicato il nuovo Libro Bianco della Difesa. A differenza del precedente, è un testo più snello, con la metà dei capitoli, ma molto incisivo. Già il titolo, “L’impegno diversificato delle Forze Armate della Cina” pur tra molte conferme lascia intuire alcune novità, che ricordano in qualche modo l’antica dottrina Usa dell’America “agli americani”. Vediamo insieme i punti chiave

Insicurezza globale, violenza locale

Cosa hanno in comune tra loro la morte di un contractor civile della NATO in Afghanistan, la nomina di Al Qaeda del nuovo leader nel Maghreb islamico e la crisi delle banche a Cipro? Gli avvenimenti di questa primavera sono tutti collegati ai tre nuovi marchi che ha recentemente assunto la privatizzazione della violenza: società militari private, terrorismo internazionale e criminalità organizzata.

 

 

L’INDUSTRIA DELLA SICUREZZA – La graduale erosione del monopolio della violenza da parte dello Stato, la cui esclusività ha costituito un momento fondamentale nella formazione del mondo moderno, si è fortemente accentuata a partire dalla fine della Guerra Fredda. Il crollo del sistema bipolare, la vittoria del capitalismo e l’incalzante globalizzazione hanno contribuito ad accelerare il processo di privatizzazione della politica e il conseguente intreccio di Stato e mercato.

La cessione d’appalto di servizi pubblici, anche in materia di guerra, fino ad oggi considerati di esclusiva competenza dello Stato a società private militari e di sicurezza, è forse la manifestazione più rappresentativa di questo fitto intreccio.

Mentre le spese degli Stati, che devono fare i conti con i tagli nel settore della difesa, si riducono, le casse di questi organismi aziendali specializzati nella fornitura di servizi militari si vanno ad ingrossare. Per avere una dimensione dell’industria della sicurezza, basti pensare che nell’ultimo anno le 100 maggiori compagnie private del mondo, secondo dati SIPRI, hanno incassato più di 400 miliardi di dollari, cifra pari al PIL di uno stato come il Belgio.

 

Croce Rossa
Anche le organizzazioni umanitarie hanno necessità di scorta armata, diventando spesso bersagli

PERCHE’ SI SPARA SULLA CROCE ROSSA – La tendenza verso un ridimensionamento generale delle forze armate non sta coinvolgendo solo gli Stati. Il ricorso sempre più frequente ai servizi delle società militari private da parte di imprese multinazionali, ONG e addirittura agenzie umanitarie ha privato queste ultime dei principi generali di neutralità su cui si basavano in passato, contribuendo a trasformare gli operatori umanitari sempre più spesso in bersagli e vittime.

Negli ultimi anni, almeno il 40% delle maggiori organizzazioni umanitarie ha usufruito di forme di servizi di protezione armata (sorveglianti, scorte o guardie del corpo) per una o più delle loro operazioni. Accade così che il contractor civile NATO deceduto lo scorso marzo nel distretto di Tagab in Afghanistan o i due contractor civili americani morti lo scorso aprile nella provincia di Zabul, sono solo gli ultimi nomi della lunga lista di caduti dei nuovi conflitti mondiali, in cui si stima che il 90% delle vittime siano civili.

 

IL BRAND “AL QAEDA” – Un altro marchio che la privatizzazione della violenza ha assunto ai nostri giorni è il terrorismo internazionale, ancor più redditizio delle società militari private. Le organizzazioni del terrore alimentano a tal punto il mercato della sicurezza da costituire un vero e proprio sistema economico, formato da una rete internazionale che collega tra loro i sistemi logistici e di supporto dei vari gruppi armati.

La rete terroristica di Al Qaeda è sicuramente l’esempio più rappresentativo del terrorismo dei nostri giorni. Un tempo caratterizzata dalla centralizzazione delle decisioni fondamentali e da una fitta rete di esecutori periferici reclutati in ogni parte del mondo, dal ritiro dalle scene di Osama Bin Laden, la leadership si è geograficamente isolata, concedendo “in franchising” il marchio di Al Qaeda a varie cellule locali per la conduzione delle azioni terroristiche. Tra queste spicca l’AQIM (Al Qaeda nel Maghreb Islamico), un gruppo terrorista islamista nato negli anni Novanta come “Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento” e affiliato ad Al Qaeda dal 2005, il cui nuovo leader, Djamel Okacha, è stato recentemente nominato in seguito alla morte del suo predecessore, Abu Zeid, durante gli scontri con l’esercito francese in Mali.

 

IL PADRINO. PARTE II – Allo stesso modo del terrorismo, anche il crimine organizzato è riuscito a reinventare se stesso negli ultimi vent’anni. In seguito all’aumento della repressione statale e alla rivoluzione delle tecnologie di comunicazione, l’influenza dei grandi gruppi mafiosi è diminuita in favore di una rete di piccole cellule che cooperano in base a una divisione funzionale del lavoro. Gli effetti della globalizzazione hanno contribuito notevolmente ad incrementare il giro d’affari della criminalità organizzata, che attraverso l’esercizio della violenza accumula risorse a livello locale che vengono poi investite sul mercato globale.

Sebbene le attività criminali si sviluppino in uno svariato numero di settori, il core business resta sempre il riciclaggio di denaro. L’importanza economica internazionale di questa forma di violenza privatizzata è impressionante, se si considera che solo l’entità del riciclaggio di denaro, attraverso società off shore e paradisi fiscali è stimata a circa 1000 miliardi di dollari. E’ proprio con la recente caduta di uno di questi paradisi fiscali, Cipro, che sono riemerse le accuse che vedono l’isola al centro di una sofisticato schema di riciclaggio dei proventi della mafia russa dalle vendite di armi in Medio Oriente.

 

Martina Dominici

Giappone-Turchia, accordo sul nucleare

La recente intesa tra i due premier di Turchia e Giappone prevede la costruzione da parte di imprese giapponesi del più grande impianto nucleare sulle coste turche del Mar Nero.

Cile, il ritorno di Michelle

L’ex Presidentessa socialista si ricandida alle elezioni che si svolgeranno alla fine dell’anno in Cile. I sondaggi la consacrano già come sicura vincitrice. Eppure il cambio potrebbe non essere del tutto positivo per il Paese che negli ultimi tre anni é stato governato con buoni risultati dall’imprenditore conservatore Sebastián Piñera, anche se sul piano dell’equità sociale la classe dirigente ha ancora un forte debito con la popolazione.

 

A VOLTE RITORNANO – E´ il caso di Michelle Bachelet, l’ex presidentessa del Cile tra il 2006 e il 2010, che ha annunciato dopo tre anni di assenza dalla vita pubblica cilena che sarà nuovamente candidata alle elezioni presidenziali previste per il prossimo novembre. Nel frattempo Bachelet si é impegnata alla testa del nuovo organismo dell’ONU per la promozione delle donne, UNWOMEN. Il ritorno di Bachelet rappresenta a tutti gli effetti un terremoto nello scenario della vita politica cilena, considerando l’altissimo capitale di notorietà del quale gode la prima Presidente donna nella storia di questa Repubblica, figlia di un generale delle forze armate assassinato ed esiliata durante la dittatura di Pinochet.

I sondaggi infatti la danno come probabile vincitrice, un successo che potrebbe addirittura ottenere direttamente al primo turno visto che le preferenze superano il 50% dei voti, sufficienti a rendere inutile un secondo turno. Il suo primo mandato era terminato con un sorprendente 84% d’approvazione della sua gestione. Prima delle elezioni comunque, per ufficializzare la candidatura, Michelle Bachelet dovrà affrontare nelle primarie della Concertación l’alleanza di centro-sinistra, Claudio Orrego, il candidato dell’altro partito (Democrazia Cristiana) che compone questa coalizione insieme ai socialisti e radicali; tale sfida viene comunque catalogata come una formalità.

 

RITORNO AL POTERE? – In questo modo la Concertación punta a riconquistare il comando del Paese dopo che nel 2010,  per la prima volta dal ritorno della democrazia, si era imposto un candidato conservatore, l’imprenditore miliardario Sebastian Piñera, la cui famiglia era stata vicina al regime del generale Pinochet e tra i cui sostenitori spiccano personalità che non hanno mai ripudiato questo periodo.
Ciononostante, il risultato espresso dai sondaggi sembra ingiusto nei confronti dell’attuale Presidente, il cui mandato, iniziato con critiche riguardanti possibili conflitti d’interesse ed una politica potenzialmente favorevole ai poteri forti e alle classi più abbienti, si è rivelato essere un successo. Nei tre anni trascorsi al comando della nazione, il Cile ha ritrovato un livello di crescita importante (attorno al 6%), la disoccupazione ha toccato il minimo storico (740 mila nuovi posti di lavoro creati) e l’inflazione è rimasta sotto le stime più ottimiste della Banca Centrale. Anche sul piano sociale il governo ha promosso alcune iniziative di rilievo, come l’estensione del periodo post-maternità a sei mesi, l’aumento del salario minimo (attualmente in discussione nel Parlamento) ed un ambizioso programma di sussidi per l’acquisto della prima casa. Piñera vince anche in un confronto a distanza con la precedente amministrazione Bachelet. Sebbene la carismatica socialista si sia contraddistinta per alcune politiche sociali di rilievo come la riforma previdenziale che ha esteso i benefici della pensione minima a tutta la popolazione ed il programma “Chile crece contigo”, orientato alla cura dell’infanzia in ogni suo aspetto, il suo Governo non ha brillato particolarmente dal punto di vista economico. Durante la sua gestione l’economia è cresciuta alla modesta media del 3%, nonostante il beneficio derivato dall’alto prezzo di cui godeva il rame in quel periodo (3,5 US$ la libbra, oggi scesa a 3), materia prima che costituisce il 50% delle entrate pubbliche totali del paese. Tuttavia, va anche detto che nel 2009 la sua amministrazione ha saputo far fronte alla crisi economica mondiale, i cui impatti negativi sul Cile furono moderati proprio grazie ad un ingente innesto di 4 miliardi di dollari derivanti dai risparmi generati in precedenza dalla vendita del rame.
PERCHE’ VINCERA’ – La popolarità della Bachelet e l’impopolarità di Piñera (il suo tasso d’approvazione da parte della popolazione é sceso al 30%), comunque non sono gli unici fattori che spiegano il ritorno in auge della candidata socialista.

Non c’é dubbio che una maggioranza dei cileni considera Bachelet più adatta per promuovere riforme a carattere sociale. Negli ultimi anni, il Paese é stato costantemente scosso da proteste sociali, spesso culminate con manifestazioni che criticano il sistema educativo privatizzato ed esclusivo. Il movimento studentesco, in particolare, ha denunciato l’esercizio del lucro da parte delle scuole, cosa esplicitamente vietata dalla costituzione, ottenendo in aprile l’allontanamento del Ministro dell’Educazione, considerato colpevole di non aver fatto applicare la legge. Dietro alle proteste si cela inoltre una profonda critica al modello neoliberale imperante nel Paese, che ha fatto del Cile uno dei paesi più diseguali al mondo a discapito dei buoni indicatori macroeconomici. Non per niente infatti, Michelle Bachelet ha messo al centro della sua campagna la lotta contro l’ineguaglianza e l’educazione gratuita e di qualità. Proprio la mancanza di pari opportunità consiste infatti uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo del Cile.

 

Il presidente uscente del Cile, il miliardario Sebastián Piñera
Il presidente uscente del Cile, il miliardario Sebastián Piñera

PRIMARIE NEL CENTRODESTRA – Un secondo fattore che avvantaggia Bachelet è dato dal fatto che il suo avversario non sarà il Presidente uscente, bensì sarà determinato dalle primarie convocate dalla Alianza, la coalizione di centro-destra al potere. Infatti, nonostante la bassa approvazione della quale conta lo stesso Piñera, la valutazione dell’elettorato è piuttosto positiva quando si tratta di giudicare i risultati economici dell’attuale amministrazione. L’attuale Presidente é percepito come competente nell’ambito economico e la gente gli riconosce una buona gestione della crisi del post-terremoto che ha colpito il Cile nel 2010 al termine del mandato della Bachelet. Nonostante un inizio marcato da questo handicap, infatti, il suo Governo ha ottenuto notevoli risultati, anche se l’opera di ricostruzione non si può ancora considerare terminata. L’amministrazione di Piñera paga invece successi molto più moderati nella lotta alla povertà che colpisce ancora una parte importante del paese e che il governo in un anno elettorale ha cercato di ridimensionare, cadendo però nell’errore di manipolare i risultati del censimento realizzato nel 2012.
I due membri del Governo, Andrés Allamand e Pablo Logueira, che si contendono il posto di sfidante della Bachelet  non sembrano avere i numeri  per contrastare un avversario che gode di grande approvazione da parte dell’opinione pubblica, oltre che di una lunga esperienza politica (era già stata Ministro della Repubblica in due occasioni) e di un’aura conferita dal passato di resistente alla dittatura. Inoltre, i conservatori sono ulteriormente indeboliti da uno scandalo che ha colpito di recente un altro Ministro del governo, Laurence Golborne, che fino a poco tempo fa era additato come la principale carta del governo alla corsa presidenziale, ritenuto colpevole da un tribunale di permettere prelievi indebiti sui consumatori affiliati a una grande catena commerciale della quale era stato il Direttore generale. Una truffa da 70 milioni di dollari che ha costretto la Alianza ha ritirato la sua candidatura.

 

CHE CILE SARA’? – Se l’elezione di Michelle Bachelet sembra quindi essere scontata nonostante manchino ancora sei mesi allo svolgimento dei comizi, ci si può comunque chiedere come potrebbe evolvere il Paese nel caso che la scelta degli elettori ricadesse proprio su di lei. Molti dei suoi sostenitori puntano sulla militante socialista in quanto credono che sia l’unica in grado di promuovere cambiamenti in senso sociale. Ciononostante, i più critici la attaccano chiedendo perché le azioni che oggi promette (educazione gratuita, lotta alla ineguaglianza) non siano state realizzate durante il suo primo governo. Il movimento studentesco nacque proprio nel 2006 durante il suo mandato. La Bachelet acconsentì a una riforma della legge generale d’educazione che risaliva ancora all’epoca della dittatura ,ma le innovazioni introdotte furono minime e la nuova legge non ha risolto i problemi denunciati dagli studenti riguardo ad una migliore educazione pubblica e di qualità, l’eliminazione del lucro e l’accesso all’università. Sul piano sociale, il suo Governo non ha toccato il salario minimo di 200 mila pesos (350 euro circa). C’é da chiedersi se il sistema politico cileno, bloccato da una legge elettorale che impedisce l’accesso a nuovi partiti al di fuori delle due coalizioni che governano il paese da oltre vent’anni, é effettivamente in condizione di promuovere riforme di questo tipo.

 

DINAMICHE REGIONALI – Sul piano internazionale invece, l’elezione di Bachelet potrebbe contribuire a smorzare i toni delle relazioni regionali che il Cile ha visto inasprirsi negli ultimi anni. Durante l’attuale gestione, il governo di Piñera é stato oggetto di due denunce alla Corte Internazionale dell’Aia da parte dei sui vicini del nord, il Perú e più recentemente la Bolivia, riguardo a questioni territoriali irrisolte. Tali denunce sono radicate in ferite ancora aperte la cui origine sono i conflitti militari della fine del secolo XIX e non sono quindi collegate a circostanze politiche attuali. Michelle Bachelet era però indubbiamente portata a creare un clima di dialogo, deterioratosi con Piñera, in particolare nei confronti del leader boliviano Evo Morales, che reclama costantemente un accesso all’Oceano Pacifico per il suo Paese. Pure con l’Argentina, con cui Santiago mantiene anche questioni territoriali irrisolte, Bachelet aveva creato un’ alleanza con Cristina Kirchner, con cui condivideva tanto il carisma quanto l’impronta socialista. A conferma delle sue doti diplomatiche, la Bachelet aveva dato un importante stimolo all’integrazione latinoamericana, quando per risolvere una crisi generatasi nel 2008 in Bolivia che minacciava la stabilità del governo legittimo di Morales, convocò i paesi membri dell’UNASUR, l’organizzazione latinoamericana di difesa, in una riunione nella quale i principali leader della regione diedero un forte messaggio di solidarietà e unione.

Trattandosi di un periodo elettorale, Michelle Bachelet in questa occasione ha mostrato una dura opposizione alle richieste peruviane e boliviane, allineandosi con la posizione del Governo, ed i cileni, giustamente nazionalisti, approvano la nuova veste della candidata. Resta da vedere se quest’ultima sarà capace di soddisfarli anche nell’ambito delle loro richieste sociali ed economiche.

 

Gilles Cavaletto

Settant’anni di minacce nucleari


Le minacce della Corea del Nord hanno riportato alla ribalta il problema ben più ampio dell’aumento delle potenze che si son dotate di armamenti nucleari negli ultimi sessantotto anni. Quel che è certo è che da quel tragico agosto del 1945 di Hiroshima e Nagasaki non è certo la prima volta che l’utilizzo del nucleare a scopi bellici è motivo di preoccupazione per la comunità internazionale.

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I termometri Usa della minaccia coreana

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