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Bomba…a orologeria?

Il Giro del Mondo in 30 Caffè – Nonostante le speranze della Comunità Internazionale, il 2010 non ha visto alcuna soluzione per la questione nucleare iraniana; eppure sarebbe errato negare che ci sia stata un’evoluzione della situazione, anche se essa non è avvenuta nella direzione auspicata. Le premesse per questo nuovo anno, dunque, non sono positive

 

L’AIEA NON E’ CONVINTA – L’Iran a tutt’oggi dichiara che il proprio programma ha scopi unicamente civili, tuttavia gli stessi ispettori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) non sono in grado di confermarlo. Al contrario, il 10 Giugno 2010 l’Agenzia ha invece pubblicato un rapporto dove afferma di non aver ricevuto sufficienti garanzie al riguardo ed elenca gli ambiti di mancata o solo parziale collaborazione. L’ultimo rapporto, pubblicato il 2 Dicembre 2010, ha confermato e ripetuto tali risultati. Come avevamo già spiegato, la differenza tra programma ad uso civile o ad uso militare è molto sottile in quanto gli impianti e i processi coinvolti sono sostanzialmente gli stessi e la semplice ispezione dei siti non permette quindi di ottenere risposte adeguate.

 

Teheran del resto ha sempre contestato e rifiutato tutti gli accordi contenenti clausole che permettevano il controllo internazionale degli step critici (come l’arricchimento dell’uranio da eseguire unicamente all’estero) e rendendosi disponibile solo a soluzioni ove tali clausole erano mancanti (come l’accordo proposto a maggio 2010 da Brasile e Turchia).

 

Tale atteggiamento non ha dunque confortato la comunità internazionale e ha posto seri dubbi sulla buona fede della leadership iraniana; ne sono risultate ulteriori sanzioni economiche. Queste ultime appaiono aver parzialmente intaccato la disponibilità economica di molte banche e società legati al regime degli Ayatollah, ma sono ancora lontane dal risultare decisive.

 

INDIPENDENZA TECNOLOGICA? –Neppure le difficoltà tecnologiche del progetto appaiono tali da spingere a un accordo: il 5 Dicembre 2010 infatti l’Iran ha dichiarato di aver chiuso il ciclo dell’uranio, ovvero di essere capace di affrontare con successo e senza aiuti esterni tutti gli step della produzione di combustibile nucleare, dall’estrazione in miniera del minerale all’utilizzo finale. Tale fatto contribuisce a eliminare buona parte dell’interesse rivestito dalle offerte di collaborazione per lo sviluppo di un programma civile; se l’Iran infatti già possiede il controllo dell’intero ciclo dell’uranio, non sarà più indispensabile (anche se comunque conveniente) accettare l’aiuto esterno offerto come contropartita in cambio di maggiori garanzie e trasparenza. Ne deriva un considerevole indebolimento del potere negoziale occidentale.

 

LA POSIZIONE IRANIANA – La leadership di Teheran ha subito approfittato di tale successo dichiarando di essere disposta al dialogo e alla trasparenza ma che i risultati raggiunti portano a non negoziare il diritto al nucleare né a fornire ulteriori informazioni sui punti contestati dall’AIEA. Tali parole non sono dissimili da quanto affermato in passato e le condizioni poste al dialogo continuano a non convincere né la comunità internazionale né gli analisti; i punti controversi rimangono infatti accuratamente evitati. Le stesse parole usate dai leader iraniani confermano l’intenzione di non essere disposti ad accordi vincolanti in quegli aspetti del programma considerati decisivi.

 

Tutto questo rafforza la convinzione che l’Iran stia cercando di guadagnare tempo con promesse di dialogo fittizio, così da raggiungere la capacità di costruire armi atomiche e presentare al mondo il fatto compiuto.

 

Perfino la recente offerta di un tour dei siti nucleari (esponenti USA esclusi) appare come uno specchietto per guadagnare tempo, in quanto tali siti sono già monitorati dall’AIEA e non esistono presupposti perché si possano avere risultati differenti.

 

TEMPO – Il problema è appunto il tempo. Quanto tempo servirebbe ancora all’Iran per raggiungere la bomba atomica? Le opinioni al riguardo divergono, con le stime spesso prorogate dalle croniche difficoltà tecniche che secondo fonti di intelligence continuano a colpire il programma. La vera domanda in realtà è: quanto la coalizione anti-Iran è disposta ad attendere ancora?

 

Israele è ovviamente il paese che più è minacciato da un Iran nucleare, ma un attacco aereo indipendente avrebbe difficoltà a risolvere il problema a lungo termine e – nonostante il supporto sotterraneo anche di paesi arabi – porterebbe con sé una forte condanna internazionale. Gerusalemme ora preferisce quindi una guerra sotterranea che punti a rallentare il programma iraniano tramite sabotaggi e uccisione di scienziati, ma è una strategia lenta e rimangono i problemi di ritorsione da parte di Hezbollah in Libano.

 

I paesi arabi moderati, in particolare Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, chiedono da anni agli USA un attacco militare il prima possibile, e stanno già affrontando una minaccia sciita che, tramite ribellioni e infiltrazioni in Yemen, Iraq, Egitto e Libano, vedono crescere di giorno in giorno. La loro posizione al riguardo è ulteriormente evidenziata dalle voci di intelligence che citano un accordo con Israele per affittare alla Israeli Air Force una base aerea nel nordovest dell’Arabia Saudita, così da ridurre la distanza verso i bersagli, consentendo nel frattempo il libero passaggio agli aerei con la Stella di Davide. Analogamente è stata recentemente eseguita una grossa esercitazione combinata tra Ryhad e Il Cairo, mirata a reagire ad eventuali rivolte sciite sempre in Arabia Saudita in caso di conflitto.

 

L’ultimo elemento è costituito dagli Stati Uniti, che rappresentano invece l’anima più moderata e dialogante di questa eterogenea coalizione perché consci non solo delle difficoltà tecniche, ma soprattutto dei rischi di instabilità regionale derivanti da un nuovo conflitto. Difficile infatti che una campagna di bombardamento non comporti lo scoppio di fronti secondari altrove, col rischio di coinvolgere l’intero Medio Oriente in una guerra più vasta.

 

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2011 ANNO DECISIVO? – Tali timori portano Washington e la comunità internazionale a rivolgersi ancora al soft power sperando in un radicale cambio di rotta a Teheran per evitare il peggio, nonostante le premesse elencate non lo giustifichino. Nel frattempo nel 2011 si ritiene continui la corsa agli armamenti nella regione, il rafforzamento del dispositivo militare USA e alleato nel Golfo e l’azione di sabotaggio da parte delle forze speciali Israeliane. Ma questi appaiono solo palliativi e sempre in preparazione a un conflitto.

 

La destituzione del Ministro degli Esteri Manouchehr Mottaki mostra come probabilmente anche all’interno della leadership iraniana non esista una visione unica, tuttavia la nomina di Ali-Akbar Salehi (foto), capo dell’Agenzia Nucleare Iraniana, come sostituto lascia presagire la conferma della linea attuale. Inoltre, parte del rifiuto iraniano deriva probabilmente anche dal desiderio di non mostrare di cedere ora alle pressioni e perdere così la faccia davanti all’opinione pubblica interna. Si tratta di una situazione senza uscita dove l’Iran vede negativamente ogni soluzione e solo il rapido raggiungimento della bomba nucleare può fornire la sicurezza desiderata.

 

Forse la vera sfida diplomatica rimasta è proprio quella di trovare una soluzione pacifica che permetta a tutti di apparire vincitori e dunque salvare la faccia; in caso contrario, o se a Teheran predominasse la linea dura a tutti costi, il 2011 potrebbe essere l’anno di un nuovo conflitto mediorientale.

 

L’anno nuovo delle ‘grandi’

Il Giro del Mondo in 30 Caffè – La crisi del sistema finanziario che ha quasi messo in ginocchio paesi come la Grecia e l’Irlanda, le difficoltà nell’adottare strategie unanimi in sede comunitaria ma soprattutto una certa fragilità diffusa da parte di molte delle politiche interne relative agli stati membri dell’Ue hanno contribuito a far dell’anno che stiamo per lasciarci alle spalle una parentesi non propriamente rosea. Analizzare la tenuta politica delle cosiddette “grandi” d’Europa; Germania, Francia e Regno Unito, può essere dunque importante per verificare limiti e prospettive di un vecchio continente nei confronti del quale sono riposte numerose aspettative di ripresa economico/politica per il 2011.

BERLINO, LA TENACIA DELLA CANCELLIERA – Il quinto anno da cancelliera per Angela Merkel di certo è stato anche il più complesso e delicato. Politicamente la sua coalizione di governo formata dal Cdu e dai liberali della Fdp nel mese di maggio ha subito un colpo durissimo durante le elezioni regionali nel Nord Reno – Westfalia, da sempre considerata per forza produttiva una zona strategica in ambito nazionale e non solo. Questa pesante sconfitta a livello federale ha comportato la necessità di un continuo confronto con le forze d’opposizione, socialdemocratici su tutti, in particolare per quanto riguarda la stesura di numerosi disegni di legge ritenuti imprescindibili.

Ad oggi, diversi sondaggi affermano che se si votasse in Germania con ogni probabilità il partito della Merkel subirebbe una battuta d’arresto senza precedenti mentre l’alleato liberale rischierebbe di non superare lo sbarramento del 5% necessario per entrare a far parte del Bundesrat.

Nonostante ciò, la cancelliera di Amburgo in un recente confronto interno al partito della Cdu ha ottenuto una larghissima maggioranza, circa il 90% delle preferenze, confermando così la sua posizione di forza all’interno del partito e della sua coalizione di governo. E proprio all’interno della coalizione governativa potrebbero esserci nuovi innesti nel 2011, in particolare pare che la Merkel stia guardando con sempre maggior interesse ad un potenziale accordo con i Verdi che potrebbero garantire con i loro voti più ampi margini di governabilità.

All’interno dell’opinione pubblica tedesca, l’impressione è che la debacle elettorale patita nello scorso maggio possa essere figlia di un atteggiamento ritenuto troppo protezionistico nei confronti della crisi che ha colpito la Grecia. Pare infatti che, alla maggioranza dei tedeschi non sia andato giù il fatto di dover pagare di tasca propria la disastrosa gestione finanziaria greca. Da qui un euroscetticismo che negli ultimi tempi sta prendendo pericolosamente piede in Germania, un disinnamoramento da non sottovalutare soprattutto tenendo conto che Berlino con la sua virtuosità costante per ciò che riguarda la crescita economica è il primo motore trainante dell’Ue.

PARIGI, DALLE STELLE ALLE STALLE – Risulta complesso utilizzare una frase differente che possa ben riassumere la parabola politica all’Eliseo di Nicolas Sarkozy, soprattutto per quanto riguarda quell’appeal che ha caratterizzato la fase d’insediamento del Presidente e che ora pare realmente essere un lontanissimo ricordo.

La bocciatura del partito presidenziale dell’Ump nelle elezioni regionali dello scorso marzo è stata solo l’inizio di un periodo caratterizzato da una mobilitazione di massa che ha portato più volte la Francia alla paralisi totale. L’anno appena trascorso ha visto alzarsi un’unica, fortissima voce di dissenso e di critica nei confronti di quell’uomo che per molti avrebbe dovuto smuovere la Francia da una pericolosa situazione di torpore ed immobilismo per avviare una nuova stagione di riforme. Le aspettative riposte nell’uomo Sarkozy sono andate infrante con il passare del tempo, grazie anche ad una serie di attuazioni legislative assolutamente impopolari; tra tutte la riforma del sistema pensionistico. Tuttavia anche i diversi tagli indiscriminati alla cultura e all’istruzione hanno contribuito a scatenare la feroce protesta dei movimenti studenteschi riportando Parigi ad un clima da fine anni sessanta.

Considerando ciò, Sarkozy nel mese di novembre è stato costretto ad effettuare un radicale rimpasto di governo. Dimessi tutti i componenti del vecchio esecutivo, l’unico ad aver conservato il proprio posto è stato il premier Fillon.

Accusato di eccessivo protagonismo, Sarkozy sarà chiamato nei prossimi mesi ad un compito arduo: riconquistare la fiducia di una nazione che allo stato attuale delle cose pare avergli voltato definitivamente le spalle.

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LONDRA, LA SFIDA – Dare stabilità ad un paese che ha visto in faccia lo spettro della ingovernabilità.  E’ questa, prima di ogni altra considerazione, la sfida che David Cameron e Nick Clegg hanno lanciato ad una Gran Bretagna “appesa” ad un hung parliament che il voto del 7 maggio 2010 aveva inequivocabilmente lasciato presagire.

La giovane coppia generata dalle contrattazioni post voto ha avuto il merito di mantenere i nervi saldi senza cedere pericolosamente su quelli che sarebbero potuti essere facili motivi di scontro tra i due leader. Infatti, non è un mistero che buona parte della programmazione politica proposta agli elettori dai conservatori e dai liberaldemocratici inglesi poggi su basi politiche molto diverse e per certi versi forse anche difficilmente incompatibili. Fare di necessità virtù è risultato indispensabile per governare un paese che nel frattempo assisteva alla fine di quel ciclo progettuale di un nuovo laburismo centrista tramontato definitivamente con Gordon Brown e che aveva caratterizzato tutta l’epoca targata Tony Blair.

Tuttavia, l’anno 2010 ha portato con sé una crisi finanziaria così forte da scuotere anche le solide fondamenta del sistema economico britannico. I tagli in diversi settori del pubblico impiego sono stati indispensabili e la strada che porta al risanamento dei conti pubblici è tuttora molto lunga da percorrere. Un ulteriore aspetto da non sottovalutare e che molto probabilmente impegnerà l’azione di governo nei prossimi mesi è la necessità di porre un freno al crescente tasso di disoccupazione che, ormai da qualche anno a questa parte, affligge il Regno Unito.

Andrea Ambrosino

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Se il leone torna a ruggire

Il Giro del Mondo in 30 Caffè – Il 2010 ha segnato ufficialmente il ritorno dell'Africa sotto i riflettori della comunità internazionale, e non soltanto per il successo organizzativo e mediatico dei mondiali di calcio in SudAfrica . Già da almeno un paio d'anni l'Africa è rientrata in punta di piedi nel mainstream della comunicazione dei media internazionali e i Mondiali di Calcio non hanno fatto che accelerare questo cambiamento.

SI PARLA DI AFRICA – L'ultima volta che si era parlato di Africa fu in occasione del concerto del LIVE 8 contemporaneo al summit del G8 di Gleneagles nel 2005. La novità tuttavia è che rispetto a quella rappresentazione dell'Africa il continente nero è tornato all'attenzione dei media sotto un'altra veste. L'Africa infatti, lungi dall'essere rappresentata ancora come la "ferita sulla coscienza del mondo" di blairiana memoria, è ormai assurta al ruolo di nuova terra delle opportunità. In maniera spesso confusa e semplicistica il continente nero è presentato come nuovo BRIC (il SudAfrica ha appena aderito al meccanismo di cooperazione BRIC). In realtà l'Africa, un territorio più esteso di Cina, India, Europa e Stati Uniti messi insieme, non esiste. Esistono "le Afriche" e  i loro mille volti, divise tra esperienze e realtà anche radicalmente diverse. Tuttavia per fare una sintesi e dare ragione del "ritorno" dell'Africa basta guardare ai dati di crescita aggregati del continente nero. Nel 2010 secondo i dati diffusi dalla Banca Africana di Sviluppo il prodotto interno lordo complessivo è cresciuto in media del 5% e aumentera' nel 2011 del 6% con una punta del 6,5 per l'Africa sub-sahariana (5,5 % secondo una stima più prudente del FMI). La previsione migliora le stime precedenti che parlavano di un miglioramento del 5,2% e riporta la crescita sui valori medi precedenti la crisi internazionale mettendo per sempre alle spalle il 2009 chiuso al 2,9%. Una crescita spinta per lo più dai prezzi crescenti delle materie prime, ma anche da un miglioramento complessivo del clima per gli investimenti di medio e lungo termine, da un'imprenditoria diffusa in crescita e dal costante afflusso di capitali (non solo Cinesi).

IL NORD – L'economia dell'area del Nord Africa cresce con un tasso medio del 6% favorita da una generale stabilità politica. Oltre alla spinta derivata dell'export di materie prime il Nord Africa (accanto ai partner tradizonali come Francia e Italia) è la meta preferita per gli investimenti dei paesi Bric attirati da una serie di fattori determinanti: energia a basso costo, posizione strategica quale piattaforma produttiva/logistica per trasportare prodotti in Europa e Usa, agevolazioni fiscali per svariati anni per le imprese che investono e perfino un costo del lavoro prossimo agli standard cinesi. Dunque non sono solo i fosfati del Marocco, il gas dell'Algeria o il petrolio libico a spingere la crescita ma anche i settori del tessile, della meccanica, delle energie rinnovabili (come il progetto Desertech), dell'agribusiness, delle costruzioni, dei servizi e del turismo. Non a caso il NordAfrica è diventato meta delle delocalizzazioni di molti capitali Europei ed Italiani (a discapito di un Europa dell'Est in gravissima crisi). In Nord Africa stanno nascendo nuovi impianti per l'assemblaggio di automobili dove i brand cinesi contano di conquistare un mercato di più di 150 milioni di persone e l'industria tessile è in forte espansione. Lo sviluppo corre: in Marocco per esempio, dove operano già compagnie low cost europee (fattore fondamentale dell'intergrazione comunitaria), i francesi di Alstom creeranno le prime linee ad alta velocità dell'Africa e dopo numerosi accordi commerciali degli ultimi anni si prevede entro il 2020 la liberalizzazione degli scambi con la UE. In Algeria, che dagli inizi degli anni '90 si è aperta al libero mercato, la disoccupazione continua il suo ciclo decennale di drastica riduzione e nel mirino vede il traguardo della singola cifra. Nel 2011 gli algerini senza lavoro si prevede saranno il 9,8%  della popolazione attiva rispetto ad un dato che vedeva la disoccupazione oltre il 30% solo dieci anni fa. I paesi della sponda sud del Mediterraneo sono dei piccoli dragoni a cui non si presta sufficiente attenzione, e non a caso Mediobanca è sbarcata quest'anno in Tunisia con la creazione di un nuova banca a capitale misto libico e Italiano. 

A SUD DEL SAHARA – L'Africa Subsahariana è ancora la cenerentola dello sviluppo mondiale. Il 51% della popolazione vive con meno di 1,25 dollari al giorno, e proprio per questo motivo rimane l'area dalle potenzialità maggiori e che presenta a macchia di leopardo sia storie drammatiche che di successo. Impossibile tracciarne in poche righe un profilo completo, ma ci sono alcuni trend significativi che si sono confermati nel 2010 e alcuni appuntamenti decisivi per il 2011. La situazione politica generale non ha subito particolari evoluzioni nel 2010 (eccezion fatta per le prime elezioni democratiche nella travagliata Guinea Conakry). Tuttavia la rapida escalation post elettorale di questi giorni che sta portando la Costa d'Avorio sull'orlo di una nuova guerra civile (un paese la cui economia vale da sola l'intero West Africa esclusa la Nigeria) è un duro colpo alle speranze di coloro che speravano in una nuova stagione della politica Africana. La voracità e l'inettitudine della classe politica africana e le divisioni tribali e religiose rimangono il freno più forte all'afflusso di capitali non riconducibili all'estrazione mineraria e al settore Oil & Gas. Nonostante alcuni paesi come la Liberia e la Sierra Leone sembrano essersi definitivamente messi alle spalle la stagione delle guerre civili, l'instabilità politica rimane il principale ostacolo allo sviluppo. Le elezioni presidenziali di Marzo 2011 in Nigeria, il paese africano più popoloso, saranno il più importante "stress test" sulla tenuta politica dell'Africa. Un altro momento decisivo sarà il referendum  del 9 Gennaio in Sudan che dovrebbe sancire la divisione tra Sudan del Nord e Sudan del Sud. I rischi sono l'implosione del primo produttore di petrolio dell'Africa nera (Nigeria)  e la ripresa delle ostilità nel paese che negli ultimi 15 anni grazie ai dollari cinesi è passato dall'essere un cumulo di pietre all'avere una delle più belle skyline del continente. Due paesi il cui futuro a breve termine dipenderà principalmente dalla capacità politica interna di negoziazione, spartizione non violenta e "buona" gestione delle royalties dell'estrazione del greggio. Non è un caso che in Costa d'Avorio (tra i maggiori paesi esportatori al mondo di cacao e legname) gli ultimi 10 anni di violenze ed instabilità abbiamo coinciso con la scoperta di giacimenti di petrolio. Quest'anno nel Golfo di Guinea sono state scoperti nuovi grossi giacimenti (in particolare in Ghana e in Guinea Equatoriale) di petrolio: risorsa o maledizione?

AL CENTRO E AL SUD – In Africa centrale e meridionale le storie di successo che anche nel 2010 hanno attirato l'attenzione di media ed investitori e che saranno sempre più modello per gli altri paesi sono il Rwanda di Paul Kagame e l'Angola: due paesi resuscitati dopo guerre civili disastrose e che stanno tracciando il nuovo modello di sviluppo per l'Africa subsahariana. Nota: il Lussemburgo ha appena stretto una partership privilegiata con il governo di Luanda, e si sa come il Governo di questo paese non si muova a caso.

Il 2010 ha visto anche la conferma del fenomeno definito come "land grabbing", ovvero dell'afflusso di capitali (privati e fondi sovrani) per l'affitto a lungo termine di grandi appezzamenti di terra. In cambio di  terra ceduta in concessione per pochi dollari all'ettaro e per periodi che vanno dai 50 ai 99 anni gli investitori offrono finanziamenti per la realizzazione di infrastrutture come sistemi di irrigazione, centri di raccolta, siti di stoccaggio, centri di studio e di formazione, oppure per acquistare sementi ibride e fertilizzanti. Alcuni paesi africani come Mozambico, Madagascar, Tanzania, Etiopia, Sudan, Zambia, Angola hanno spalancato le porte con entusiasmo al denaro e ai trattori stranieri convinti che questo sia il modo per introdurre tecnologie moderne, creare posti di lavoro e garantire cibo alla popolazione limitando i rischi legati alla dipendenza dal petrolio. La Banca Mondiale stima che nel solo 2009 nel mondo siano stati concessi circa 45 milioni di ettari, un’area equivalente alla Svezia, destinati per lo più a coltivazioni funzionali alla produzione di biofuel. Il ruolo dei governi africani dovrebbe essere quello di censire delle aree più o meno adatte allo sviluppo agricolo. Invece il criterio generalmente utilizzato è semplicemente quello del potenziale produttivo e la tendenza è quella di concludere accordi classificando quanta più terra possibile come disponibile, con enormi conseguenze sociali ed ambientali.

L' altro settore che in Africa mostra i piu' alti tassi di crescita e le migliori prospettive al mondo è quello della telefonia: gli Africani ne fanno un utilizzo quasi compulsivo e il cellulare è utilizzatissimo perfino per le piccole transazioni di denaro. Il principale operatore del continente, la sudafricana MTN, ha appena annunciato di aver raggiunto a settembre il record storico di clienti a quota 135 milioni e ha scatenato una bagarre commerciale con l'altro grande operatore, Zain, che a sua volta ha pianificato investimenti per 1,1 miliardi di dollari in tre anni per migliorare ed estendere il proprio network e conquistare altri clienti. E se lo sviluppo non è solo questione di cifre ma anche di segnali, vale la pena segnalare lo sbarco in Africa annunciato da Yum Brands Inc. proprietaria del noto marchio Kentucky Fried Chicken (ma anche PizzaHut, già presente sul continente).  La compagnia ha in programma di raddoppiare la sua presenza di ristoranti in Africa con l'obiettivo di incassare due miliardi di dollari nei prossimi 4 anni.

Il 2010 è stato un anno di grandi trasformazioni per l’Africa dal punto di vista economico ma soprattutto mediatico, e se i mondiali di calcio hanno accesso i riflettori sul continente è necessario mantenere quelle luci accese, anche perché altri paesi lo fanno già da tempo: il SudAfrica ha appena aderito al meccanismo di cooperazione BRIC su invito della Cina e proprio il SudAfrica, nonostante una crescita economica non eccellente (intorno al 3% nel 2010 dopo un tonfo del – 2% nel 2009) e una divisione della ricchezza fortemente ineguale (tra le dieci più ineguali al mondo), presenta delle opportunità importanti nei settori dei servizi, dell’agricoltura e dell’estrazione mineraria. In questi stessi settori le compagnie SudAfricane si stanno espandendo molto nei paesi limitrofi e lo sviluppo dell’Africa del Sud dipenderà in gran parte dalle sorti del SudAfrica.

 Il 2011 offre quindi uno scenario contrastato nel quale sulle straordinarie opportunità di crescità e sviluppo pende la spada di Damocle della "solita" politica africana e dell’andamento dei prezzi delle materie prime: e se per quest’ultimo fattore il trend in crescita spinto dai BRIC non sembra possa subire grandi cambiamenti, la grande incognita rimane la politica.

Stefano Gardelli

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L’ora di Dilma

Il Giro del Mondo in 30 Caffè – Il primo gennaio si è insediato in Brasile il nuovo esecutivo, guidato da Dilma Rousseff, prima donna a governare il Paese. La Rousseff, scelta da Lula come suo “delfino”, raccoglie un'eredità molto pesante ed è chiamata a confermare gli straordinari successi ottenuti dal suo predecessore negli scorsi otto anni. Ecco le sfide che si pongono dinanzi al gigante sudamericano

L'EREDE DI LULA – Il momento di Dilma Rousseff alla fine è giunto. Il primo gennaio scorso il nuovo Presidente della Repubblica Federale Brasiliana, prima donna alla guida del Paese, si è insediato a Brasilia insieme all'esecutivo, formato da trentasette ministri. La Rousseff, che ad ottobre aveva sconfitto il suo rivale José Serra alle elezioni presidenziali dopo il ballottaggio, è esponente del Partito dei Lavoratori (PT) ed è stata scelta dal Presidente uscente, Luis Inácio Lula da Silva, dopo essere stata ministro della Casa Civil durante la legislatura 2007-2010. Il curriculum del nuovo Presidente del Brasile – un vero e proprio colosso popolato da duecento milioni di persone – non è quello del politico “di razza”: dopo un passato da guerrigliera opposta alla dittatura militare negli anni 'Settanta, la Rousseff ha intrapreso la carriera di economista. E' lei una delle “menti” a cui si deve il PAC (Programma Accelerato di Crescita), una serie di misure di politica economica che ha contribuito a favorire l'eccezionale sviluppo economico di cui il Brasile si è reso protagonista in questi anni. Priva del carisma di Lula, Dilma sembra però dotata di profonde competenze che la aiuteranno nel difficile compito che la attende nei prossimi quattro anni.

 

IL BRASILE OGGI – La grande nazione sudamericana inizia dunque il nuovo anno, e il nuovo decennio, con un nuovo “timoniere”. La presidenza di Cardoso prima, di Lula poi, hanno permesso al Brasile dapprima di stabilizzare la propria economia e in un secondo momento di intraprendere un percorso di crescita e sviluppo straordinario. Durante gli otto anni di governo di Lula, il primo povero a guidare il Paese (di umili origini, lavorò fin da giovanissimo come operaio prima di iniziare la carriera di sindacalista), oltre venti milioni di brasiliani sono usciti dalla condizione di povertà grazie ai programmi di ridistribuzione del reddito e inclusione sociale “Bolsa Familia” e “Fome Zero”e l'economia è cresciuta ad una media di oltre il 4% annuo. Dal punto di vista politico, inoltre, il Brasile è entrato nel gruppo del G-20 guadagnando crescente prestigio a livello internazionale: le dimostrazioni più lampanti sono state l'assegnazione dei Mondiali di Calcio e delle Olimpiadi, che si svolgeranno nel 2014 e 2016.

Nonostante persistano ancora grandi sacche di povertà e sottosviluppo, oltre che problemi legati ad insicurezza e criminalità, non si può però più guardare al Brasile come un Paese del “Terzo mondo”, ma va al contrario visto come una delle maggiori potenze mondiali nel medio periodo.

 

LE SFIDE – Il 2011 sembra dunque davvero un orizzonte temporale troppo breve per parlare di Brasile. Il futuro del gigante sudamericano sembra roseo: le prospettive di crescita economica si mantengono positive, l'organizzazione dei due grandi eventi sportivi offrirà grandi opportunità in termini di investimenti e di ricadute politiche, la recente scoperta di ricchissimi giacimenti petroliferi nell'Oceano Atlantico lascia presupporre che il Brasile diventerà una potenza energetica, esportatrice netta di “oro nero”. Il cammino, tuttavia, non sarà facilissimo, perchè permangono alcuni fattori di rischio. Il primo fattore che le autorità dovranno tenere sotto controllo è il tasso di interesse: da parecchi anni si attesta su livelli alti (l'anno scorso era al 10,75%) ed è mantenuto elevato nel tentativo di contenere l'inflazione. Questo comporta una politica monetaria restrittiva, non favorevole agli investimenti, ma il nuovo Presidente della Banca Centrale, Alexander Tombini, ha annunciato di volerlo ridurre progressivamente fino al 2% entro il 2014. Un trade-off delicato con l'inflazione che andrà maneggiato con molta cura.

Non va poi trascurato un altro aspetto, potenzialmente ancor più rischioso. Nell'ultimo periodo, nonostante una gestione finanziaria oculata, la spesa pubblica è aumentata del 18% su base annua, in linea con l'orientamento promosso da Lula volto a favorire una maggiore partecipazione pubblica nella gestione dell'economia. La Rousseff, che condivide questa impostazione, dovrà cercare di far quadrare il cerchio tra esigenze di spesa (solo per fare un esempio, nei prossimi anni serviranno enormi investimenti in infrastrutture per ospitare Mondiali e Olimpiadi) e allo stesso tempo di mantenere il bilancio statale in ordine. La promessa di ridurre il rapporto debito/Pil dall'attuale 42% al 30% nel giro di quattro anni sarà una delle più ardue da mantenere.

Dal punto di vista politico, per quanto riguarda la situazione interna la difficoltà più grande per la nuova Presidentessa sarà quella di non far rimpiangere il proprio predecessore. Lula ha concluso il suo mandato con un'approvazione popolare record, pari all'85%: la mancanza di appeal potrebbe costituire un handicap che potrebbe essere girato a vantaggio degli avversari politici.

Per quanto concerne lo scenario internazionale, invece, il Brasile è chiamato a proseguire il cammino che lo sta portando ad essere un attore di primo piano. E' probabile che la Rousseff “raffreddi” i rapporti con uno dei partner più discussi e scomodi degli ultimi anni, l'Iran di Ahmadinejad, ma è innegabile che per avere una voce autonoma ed autorevole dovrà continuare a mantenere una politica estera originale, volta a ricoprire il ruolo di guida dei Paesi del “Sud” del mondo. Problematica appare in quest'ottica la relazione con gli Stati Uniti: Lula si è recentemente dichiarato “deluso” dall'atteggiamento di Barack Obama, che non ha dato finora seguito alle promesse di instaurare un rapporto più stretto con l'America Latina. Buoni rapporti con Washington saranno comunque fondamentali se Brasilia spera di ottenere un seggio nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nel caso di un'eventuale riforma di tale organismo.

 

I RAPPORTI CON L'ITALIA – Non si può tralasciare di dare uno sguardo alle relazioni bilaterali tra Roma e Brasilia, alla luce di quanto accaduto negli ultimi giorni. La vicenda Battisti (molto seguita anche in Brasile, dato che era sulle prime pagine dei quotidiani) ha suscitato l'indignazione di tutte le istituzioni italiane, alla quale non si è fatta attendere la risposta del nuovo Ministro della Giustizia brasiliano, José Eduardo Cardozo, il quale ha confermato la legittimità della decisione presa da Lula il 31 gennaio. Il punto, in questa sede, non è capire se il pluriomicida Cesare Battisti verrà estradato, quanto quello di esaminare se una crisi diplomatica tra i due Paesi è effettivamente probabile. La risposta è no: gli interessi economici delle nostre grandi imprese (Fiat, Telecom, Pirelli, Finmeccanica su tutte) sono troppo importanti per essere messi a repentaglio, e il Brasile ha ormai un'autonomia e un'influenza troppo forti per poter sortire effetti attraverso minacce di ritorsioni o boicottaggi. Il nostro Governo ha il diritto e il dovere di andare avanti nella questione per assicurare che giustizia venga fatta, ma l'impressione è che l'affare Battisti non dovrebbe avere ricadute al di fuori delle aule dei tribunali. Certo è che da una presidenza di enorme successo come quella di Lula ci si sarebbe attesi un finale diverso.

 

Davide Tentori

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L’anno del dragone

Il Giro del Mondo in 30 Caffè – Con il nuovo anno, il “Caffè” si ripresenta ai lettori con una prima, importante novità. Parte infatti oggi “Il Giro del Mondo in 30 Caffè”, una rubrica speciale con la quale cercheremo di offrirvi un’ampia panoramica dei principali eventi in tema di politica e relazioni internazionali che sono accaduti nel 2010 e delle prospettive per il 2011 che è appena iniziato. Si parte con la Cina e il suo miracolo economico… ma non solo. Tensioni politiche agitano dall’interno il colosso asiatico, che sarà chiamato nel decennio appena iniziato a giocare un ruolo sempre più da protagonista sullo scacchiere globale.

Con il nuovo anno, il “Caffè” si ripresenta ai lettori con una prima, importante novità. Parte infatti oggi “Il Giro del Mondo in 30 Caffè”, una rubrica speciale con la quale cercheremo di offrirvi un’ampia panoramica dei principali eventi in tema di politica e relazioni internazionali che sono accaduti nel 2010 e delle prospettive per il 2011 che è appena iniziato. Sarà insomma il nostro personale “Outlook” per il nuovo anno, attraverso il quale vi porteremo in tutti i continenti fermandoci giorno per giorno, e per tutto il mese di gennaio, in una diversa area del globo andando ad esaminare le principali questioni geopolitiche “sul tappeto”. Il tutto, ovviamente, con il nostro consueto stile che avete ormai avete avuto modo di conoscere e (speriamo) di apprezzare: snello, semplice e diretto, caratterizzato da un linguaggio accessibile anche ai non “addetti ai lavori”.

Trattandosi di un outlook e dovendo tracciare delle prospettive , potevamo non cominciare con il futuro che avanza? Ecco dunque il primo articolo del nostro speciale, che parla di Cina e del suo miracolo economico… ma non solo. Tensioni politiche agitano dall’interno il colosso asiatico, che sarà chiamato nel decennio appena iniziato a giocare un ruolo sempre più da protagonista sullo scacchiere globale.

Francesco Boggio Ferraris, responsabile della Scuola di Formazione Permanente della Fondazione Italia-Cina, ci porta a Pechino per scoprire dall’interno com’è stato il 2010 e come potrebbe essere il 2011 del dragone. Allacciate le cinture quindi… e buona lettura!

Cina 2011: l'anno del dragone

L'ANNO CONCLUSO – Con la fine del 2010 si avvicina al termine anche un anno della tigre che, in pieno rispetto del calendario lunare cinese, ha confermato le previsioni di espansione, potere e autorità che ad esso erano state attribuite nonostante la crisi economica mondiale facesse presagire scenari ben diversi.

Il 2010 è stato per la Cina un anno carico di significati simbolici ma al contempo ricco di eventi che hanno contribuito concretamente alla determinazione di un preciso modello di governance.

Si celebrano trent’anni dall’inizio dell’emigrazione dalle campagne verso le città, ovvero dalla nascita della nuova classe dei nongmingong, gli “operai contadini”, artefici materiali di questo miracolo cinese, responsabili della trasformazione delle megalopoli costiere nella fabbrica del mondo. E trent’anni fa sorgeva nel territorio di Shenzhen la prima Zona Economica Speciale (ZES) finalizzata ad attrarre massicci investimenti stranieri.

E’ doveroso cominciare dal basso per capire che il successo dell’Expo di Shanghai, inaugurato il primo maggio e visitato da 70 milioni di persone, mai così tante nella storia della kermesse, sia da ricercarsi nelle politiche di sviluppo promosse nella seconda metà del secolo scorso. Dunque un cammino di apertura che se non ha radici antichissime ha tuttavia potuto contare su progetti e policies che meglio di altre hanno saputo interpretare a proprio favore la natura globalizzata ed interconnessa dell’attuale sistema internazionale.  Sono stati 190 i paesi rappresentati ed uniti nello slogan “Better city, better life”, a sottolineare quanto sia centrale oggi il tema del futuro delle città e della sostenibilità ambientale.

Inutile dire, tuttavia, che il 2010 non verrà ricordato solo per il successo del World Expo. Fedele ad un’immutabile carattere che alterna vertiginosamente critica ed autocritica, inaccettabili contraddizioni  e primati invidiabili, la Cina si presenta alla platea internazionale con le mille maschere dell’Opera di Pechino, capace di ammaliare e disorientare allo stesso tempo.

LUCI… ED OMBRE – Se per sei mesi il mondo intero è stato conquistato dai padiglioni futuristici di Shanghai, è bastato un solo giorno per rimescolare le carte: l’8 ottobre. La Commissione Nobel ha conferito al dissidente Liu Xiaobo, docente e critico letterario già insignito nel 2004 da Reporters sans frontières del premio “Fondation de France” per la sua opera di strenuo difensore della libertà di stampa, il Premio Nobel per la Pace. La voce dello Stato non ha tardato a farsi sentire attraverso il portavoce del Ministro degli esteri Ma Zhaoxu, il quale ha sostenuto che il conferimento del Nobel per la Pace a Liu Xiaobo è “contrario agli obiettivi del premio e costituisce una profanazione dello stesso premio che dovrebbe invece essere destinato a persone che si sono impegnate nella promozione dell’armonia nazionale, dell’amicizia tra paesi, del disarmo e nell’organizzazione di conferenze per la diffusione della pace”.

Se tuttavia gli osservatori internazionali riconoscono scarso rilievo alle finalità di un premio che passa dalle mani di un incredulo Barack Obama al professor Liu, due sono i dati interessanti dell’intera vicenda. Il primo riguarda la prontezza con cui il governo cinese per evitare di perdere la faccia sul piano internazionale ed interno, con conseguente eventuale erosione di autorevolezza agli occhi di un quinto dell’umanità, ha rilanciato il “Premio Confucio per la Pace”.

Vincitore Lian Chan, presidente onorario del Kuomintang, il partito nazionalista di Taiwan, ormai su posizioni filocinesi. Ma il secondo fatto è ancora più prezioso ai fini della nostra analisi. Sono stati ben 18 i paesi che per non urtare la sensibilità del partner commerciale cinese hanno disertato la cerimonia di Oslo. I loro nomi, in fila, disegnano alla perfezione l’asse geoeconomico di questo nuovo millennio: Russia, Kazakhstan, Colombia, Tunisia, Arabia Saudita, Pakistan, Serbia, Iraq, Iran, Vietnam, Afghanistan, Venezuela, Filippine, Egitto, Sudan, Ucraina, Cuba e Marocco.

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IL CASO GOOGLE – Il 2010 si è giocato anche sul filo della precaria libertà telematica che Pechino concede ai netizens cinesi ma anche questa volta il nodo è più complesso di quanto non appaia, visto il coinvolgimento internazionale suscitato dal caso Google.

Eric Schmidt, amministratore delegato di Google, aveva dichiarato a marzo che l’azienda avrebbe mantenuto in Cina il suo reparto di ricerca e sviluppo a patto che si fosse interrotta l’azione censoria operata dal great firewall of China.

La verità è che il polverone innalzato da Google ha convinto pochi, visto che la strategia scelta è parsa quasi un’operazione di marketing, per nulla in grado di modificare le sorti di un sistema di ricerca che in Cina resta quasi misconosciuto, ampiamente surclassato dai vari Baidu, Sina e Sohu.

Come ha dimostrato il caso Liu Xiaobo, ciò non ha minimamente influito nelle direttive politiche del governo di Pechino.

Il 30 dicembre, infatti, il direttore dell’Ufficio Stampa del Consiglio di Stato Wang Chen ha diramato i dati sulla campagna speciale di risanamento della rete condotta nell’arco del 2010: chiusi oltre 60 mila siti web e puniti 2.200 casi per contenuti informatici ritenuti inaccettabili. D’altro canto gli utenti che hanno aperto un Bulletin Board System (BBS), ovvero la risposta in mandarino ai social network occidentali,  sono arrivati a quota 120 milioni, come l’intera popolazione del Giappone.

I neologismi nati nella rete negli ultimi anni sono decine di migliaia: si va da  heiké ovvero hacker, letteralmente “ospite nero” in cinese, grazie ad una buona resa sia fonetica che semantica, fino ad una serie di espressioni della forma passiva utilizzate sarcasticamente dai giovani blogger per condannare indirettamente le sparizioni di presunti dissidenti o gli effetti della politica dello sviluppo armonioso, rispettivamente: bèi zìsh¨ ovvero “venire suicidati” e bèi héxié, venire armonizzati”.

A rafforzare la sensazione che il 2010 abbia costituito per la Cina un’ulteriore dimostrazione di forza agli occhi di un Occidente sempre più in crisi di legittimazione ed economicamente debole, ha contribuito la vicenda, giocata secondo le nuove regole del soft power cinese del neodimio, del lantanio, del cerio e del terbio.

I nomi esotici di 17 cosiddette “terre rare” sono rimbalzati sui giornali di tutto il mondo in seguito al taglio del 40% nelle quote d'esportazione dalla Cina, Paese che controlla oltre il 90% della produzione di questi preziosissimi metalli. Il mondo ne è sempre più affamato, dal momento che trovano un vasto impiego nell'energia verde e negli ultimi ritrovati dell'hi-tech, come l'iPod o il Blackberry.

CAMBIAMENTI IN ARRIVO.. DAL BASSO? – In conclusione, il panorama che ci si presenta oggi non può prescindere dalle numerose prove di forza attraversate da questo Paese nell’ultimo anno. Tutti i fatti sembrano dare ragione a chi sostiene che la stretta autoritaria sia più salda che mai ma la convinzione che qualche equilibrio, alle soglie dell’ascesa al potere della nuova classe dirigente nel 2012, sia destinato a modificarsi è rafforzata dalla novità delle vittoriose rivendicazioni degli operai in sciopero alla Foxconn, nei mesi di giugno e luglio. Per la prima volta nella storia della Cina post maoista è stato utilizzato con successo lo strumento dello sciopero. Oggi gli operai della linea di assemblaggio riceveranno 1.200 yuan invece di 900.

Forse, ancora una volta, la chiave di lettura per comprendere l’evoluzione sociale ed economica di questo Paese dalle dimensioni di un continente, sarà destinata ad arrivare dal basso.

Francesco Boggio Ferraris

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Il giro del mondo in 30 Caffè

Con il nuovo anno, il “Caffè” si ripresenta ai lettori con una prima, importante novità. Parte infatti oggi “Il Giro del Mondo in 30 Caffè”, una rubrica speciale con la quale cercheremo di offrirvi un’ampia panoramica dei principali eventi in tema di politica e relazioni internazionali che sono accaduti nel 2010 e delle prospettive per il 2011 che è appena iniziato. Si parte con la Cina e il suo miracolo economico… ma non solo. Tensioni politiche agitano dall’interno il colosso asiatico, che sarà chiamato nel decennio appena iniziato a giocare un ruolo sempre più da protagonista sullo scacchiere globale.

Con il nuovo anno, il “Caffè” si ripresenta ai lettori con una prima, importante novità. Parte infatti oggi “Il Giro del Mondo in 30 Caffè”, una rubrica speciale con la quale cercheremo di offrirvi un’ampia panoramica dei principali eventi in tema di politica e relazioni internazionali che sono accaduti nel 2010 e delle prospettive per il 2011 che è appena iniziato. Sarà insomma il nostro personale “Outlook” per il nuovo anno, attraverso il quale vi porteremo in tutti i continenti fermandoci giorno per giorno, e per tutto il mese di gennaio, in una diversa area del globo andando ad esaminare le principali questioni geopolitiche “sul tappeto”. Il tutto, ovviamente, con il nostro consueto stile che avete ormai avete avuto modo di conoscere e (speriamo) di apprezzare: snello, semplice e diretto, caratterizzato da un linguaggio accessibile anche ai non “addetti ai lavori”.

Trattandosi di un outlook e dovendo tracciare delle prospettive , potevamo non cominciare con il futuro che avanza? Ecco dunque il primo articolo del nostro speciale, che parla di Cina e del suo miracolo economico… ma non solo. Tensioni politiche agitano dall’interno il colosso asiatico, che sarà chiamato nel decennio appena iniziato a giocare un ruolo sempre più da protagonista sullo scacchiere globale.

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Francesco Boggio Ferraris, responsabile della Scuola di Formazione Permanente della Fondazione Italia-Cina, ci porta a Pechino per scoprire dall’interno com’è stato il 2010 e come potrebbe essere il 2011 del dragone. Allacciate le cinture quindi… e buona lettura!

La redazione – Davide Tentori

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Cristiani sotto attacco

Focus Egitto – L’autobomba esplosa nella notte di Capodanno ad Alessandria d’Egitto che ha provocato la morte di 21 cristiani  all’uscita dalla messa di mezzanotte è solo l’ultimo anello di una catena d’odio religioso che sta drammaticamente cavalcando le fragili fratture della società in tutto Medio Oriente.

Evviva il terremoto!

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Il planetario aquilano e i suoi mondi distrutti. Il Pianeta Sisma e la sua costellazione di borghi e migranti. Tante le similitudini tra questo contesto e quello dell’esilio, dell’apolidia, dell’espatrio; di una vita, così com’era pensabile nel quotidiano, che per troppe sfumature non  ci sarà ancora. Questo mese la rubrica ci porta verso un Altro estremo: percepibile, narrabile, ma estraneo  all’empatia della completa comprensione.

“Onna era un segreto magnifico, i cui conoscitori rispettavano, nel tentativo di preservare il paese da intrusioni che ne avrebbero alterato la qualità arcaica di un territorio inesplorato”. Onna è una frazione del comune dell’Aquila, poco più di trecento abitanti, Un borgo incantevole e microscopico. Onna, quanti sapevano cosa e dove fosse, prima del 6 Aprile 2009? Invece, fulminea, è una colonna di polvere che si innalza da case in pezzi. Di tutti i tasselli dell’aquilano, è il più frantumato, quello che riporta il maggior numero di vittime per numero di residenti (circa quaranta, per lo più ragazzi, su 310 abitanti):il luogo simbolo di tutti i luoghi simbolo del terremoto 2009 che hanno oscurato la realtà di un territorio intero distrutto. Onna, oggi. Un cumulo di detriti e pietre accatastate, una sull’altra (nella foto in basso un'immagine del paese dopo il terremoto). Un paese che non esiste più, di fatto, che è ridisegnato e reinventato da chi ancora la vive.

Pasquale ha perso due figlie, quella notte; Edmondo due sorelle: “Benedetta, chesfidava la logica dell’impossibile, aveva il sole dentro” e Susanna,”un futuro magnifico(…) riusciva a essere presente rendendosi invisibile”. Il palcoscenico di un terremoto ha per protagonista soprattutto il dolore, prima di tutte le emozioni e le figure che riesce a far interagire. Da questo, dal Noi motivante d’apertura di questa serie da otto racconti cucita nel libro, gli autori “provano a immaginare e descrivere situazioni, fatti e persone per cui “Ci voleva il terremoto!” affinchè potessero migliorare o rivelarsi per quello che realmente sono”. Ecco il motivo della scelta di questo e non di altri innumerevoli prodotti letterari seguenti il sisma: il desiderio e la forza di narrare quello che è accaduto e che nessuno potrà negare, parlando di speranza, “che in questo momento fa fatica a prevalere nei nostri cuori”, di chi è riuscito a interrompere un pianto rovesciato su se stesso e a non arrendersi.

L’opera, mobile sulla linea di demarcazione tra fiction e non fiction, si compone di tanti personaggi comuni, della loro vita quotidiana, di avvenimenti semplici intrecciati a quello di durata così breve che li ha completamente sconvolti, distrutti e rimodellati nel medesimo vivere Post, laddove il latino del prefisso ha preso atto della morte del prima senza avere certezza alcuna sulla forma del dopo. C’è Giuseppina, con la sua misantropia rappresentata da un cancello alto e scuro, venuto su in una sola notte; il piccolo Pippo, il brontolio del suo stomaco e il suo amore per il mare; Nicola, contadino erudito e introverso, i suoi piccoli tic e una nuova scansione delle ore, che gli dà la possibilità di farsi ascoltare; Buono e la scoperta intempestiva del gentil sesso; Paolo, ligio alle regole e alla nicotina. C’è la Germania e il suo debito storico, il senso di colpa mai rimarginatosi per l’eccidio che nel giugno del 1944 costò la vita a diciassette cittadini onnesi:una storia della Storia fagocitata nel caos della guerra mondiale, al grandangolo molto simile a quelle inghiottite dalla Terra oggi, tornata alla memoria e ai media grazie all’impegno promesso dai tedeschi per la ricostruzione del borgo (il primo contributo concreto della solidarietà e del lavoro svolto dall’Ambasciata è “Casa Onna”,centro civico di aggregazione sociale inaugurato lo scorso ottobre).

C’è Pietro, una vita speculare al sostrato narrativo che la contiene. Ci sono Dada, Lola, Dora e Camilla, razza canina, felina e rettile declinata al femminile, con cui Benedetta aveva impreziosito il suo nucleo familiare, insieme al vicino di casa Sirè: pregi, vizi e aneddotti a mostrarli nel quotidiano, che quella notte l’hanno vissuta al pari degli uomini, fuggendo, ferendosi, arrampicandosi sui cumuli di detriti e “mugolando in un punto ben preciso”.

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Nessun colpo di scena, nessuna strumentalizzazione del dolore e delle crepe personali delle vittime degli eventi, che sono anche i sopravvissuti. Nessuna esposizione e scelta stilistica che avrebbero, e di fatto hanno, trovato spazio sui giornali e in televisione, dall’immediato della diretta straordinaria. Nessuna denuncia da realismo giornalistico, nemmeno una polemica taciuta, per quanto questo specifico scenario postmigratorio ne abbia bisogno come pochi altri. La lingua scarna, docile, modellata secondo le caratteristiche del luogo che rievoca, non ha pretese barocche, non ha guizzi letterari che non si confarebbero allo scopo della narrazione e della lettura. La capacità di Pasquale e di Edmondo è quella di colpire al cuore senza bisogno di spettacolo, senza creare pathos raddoppiato dall’invenzione.

La forza di opere come questa, la capacità di ridare voce alle pietre e ai cittadini, la combattività di chi non si è arreso al previsto imprevedibile nell’Europa Occidentale dell’ennesimo millennio, rende valore alla scritta che campeggiava sulle lacrime del mondo nel giorno dei funerali, sul piazzale della Scuola della Guardia di Finanza: Nec recisa recedit. “Neanche spezzata recede”, tradurrebbe compiaciuto Nicola.

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La Turchia in equilibrio tra oriente ed occidente

Lo scorso 20 novembre i leader dei paesi NATO si sono riuniti a Lisbona per discutere, tra l'altro, l’adozione da parte dell’Alleanza di una difesa missilistica per l’Europa. La Turchia ha accettato di ospitare sul proprio territorio parte del sistema missilistico, assecondando da un lato gli interessi occidentali di contenimento della Russia nella regione, e prestando attenzione dall’altro a non inasprire le relazioni con il Cremlino

L’INCONTRO DI LISBONA – Il comportamento turco all’incontro segue la linea di politica estera portata avanti da tempo da Ankara, che mantiene buone relazioni con i partner occidentali e sperimenta al contempo un nuovo avvicinamento alla Russia. Il progetto di difesa missilistica (chiamato BMD) offre una maggiore protezione a popolazione, territorio, e truppe NATO e il posizionamento dei missili in Turchia è giunto dopo lunghe negoziazioni, che hanno convinto Ankara ad aderire nonostante la forte riluttanza iniziale. La Turchia ha infatti preteso una forte autonomia nella gestione dei missili sul proprio territorio e ha ottenuto che nessun Paese (Russia, Iran o Siria) venisse citato negli accordi come fonte di minaccia. In particolare, ha voluto sottolineare la propria indipendenza da Polonia e Repubblica Ceca, che desiderano mostrarsi agli USA come oppositori della Russia. Il comportamento turco, insomma, riflette una certa prudenza e intelligenza, poiché serve gli interessi nazionali di collaborazione con Washington senza alterare le relazioni con Mosca.

UNA POLITICA A META’ – La collocazione geografica e politica della Turchia la rende un ponte tra Asia ed Europa, un collegamento tra due continenti e, nell’ambito dell’energia, un importante corridoio di passaggio. Lo sfruttamento di questa condizione presenta innumerevoli vantaggi, il cui conseguimento dipende da una politica estera mediata con gli interessi degli altri attori del panorama internazionale. Sotto la guida del Ministro degli Esteri Ahmet DavutoÄŸlu, Ankara sta portando avanti un attivismo diplomatico finalizzato ad una politica definita “azzeramento dei problemi” con i propri interlocutori, che mira a rafforzare la posizione della Turchia come potenza regionale e a sfruttare tutte le possibilità in campo. Infatti, candidata all’ingresso nell’Unione Europea dal 1987 e membro della NATO, la Turchia mantiene legami importanti con i paesi europei e una alleanza con gli Stati Uniti da un lato, dall’altro condivide rapporti privilegiati con alcuni i paesi islamici in virtù della comune base religiosa e sta sperimentando un nuovo avvicinamento alla Russia, da cui dipende per un buon 64 per cento per le forniture energetiche e con la quale non può permettersi di inasprire le relazioni.

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RUSSIA E UNIONE EUROPEA – I rapporti tra Mosca ed Ankara corrono da tempo su un filo ambiguo di cooperazione e competizione. Infatti, se i due Paesi stanno collaborando dal punto di vista economico con accordi commerciali soprattutto nel settore energetico, essi stanno al contempo rivaleggiando nel Caucaso, sul quale entrambi desiderano esercitare una certa influenza. La Turchia mira al contenimento della Russia nell’area e al raggiungimento dello status di potenza regionale, e ha lanciato tentativi per il miglioramento dei rapporti con l’Armenia e una piattaforma indipendente per la Georgia. Nonostante questo, Turchia e Russia stanno sperimentando un avvicinamento, e Ankara ha esercitato forti pressioni affinché gli accordi presi a Lisbona non irritassero la Russia. L’avvicinamento tra Russia e Turchia non stupisce considerata la nuova politica adottata da Ankara e lo stato attuale delle relazioni tra Turchia ed Europa che, seppur buone, non stanno facendo significativi passi avanti. Troppi i problemi che ostacolano l’adesione turca all’Unione Europea: la questione di Cipro ancora aperta, la popolazione che si aggira intorno ai 77 milioni e che renderebbe la Turchia il paese con più peso decisionale dopo la Germania all’interno dell’Unione, i dubbi sul reale rispetto dei diritti umani nel paese e sulla gestione della sicurezza dei nuovi confini comunitari, che dopo l’adesione raggiungerebbero Iran ed Iraq.

PROSPETTIVE FUTURE – La Turchia sta portando avanti negli ultimi anni un proprio percorso autonomo che, molti affermano, l’ha allontanata da Unione Europea e l’ha in parte avvicinata alla Russia. Ankara ha infatti adottato una politica estera più conforme ai propri interessi, che persegue contemporaneamente diversi obiettivi; tuttavia, benché migliorati, i rapporti con Mosca continuano a essere in parte ambigui e, in quanto candidata all’UE e membro della NATO, le relazioni tra Turchia e Occidente non sono in discussione.

Tania Marocchi

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E’ Natale, nascono progetti nuovi

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Il 2010 si chiude con una buona serie di risultati per il nostro progetto, che alimentano gli stimoli per l’anno venturo e che ci aiutano a comprendere meglio i nostri punti di forza, le debolezze, le criticità e le opportunità. L’esperienza acquisita in questo primo anno di attività strutturata come Associazione Culturale ci trasmette anzitutto un messaggio: l’idea del Caffè Geopolitico attecchisce facilmente…

RISULTATI E CRITICITA' – Gli obiettivi primari che avevamo individuato ad inizio anno sono stati raggiunti: costituire ai sensi di legge l’Associazione Culturale e mettere online un sito internet che potesse rispondere alle esigenze di base del nostro progetto, anche se molto va ancora fatto per il sito, che sarà presto migliorato sotto diversi aspetti. Abbiamo inoltre consolidato una rete di collaboratori, in Italia ed all’estero, che ci ha consentito di avere un sito sufficientemente aggiornato e con una buona qualità degli articoli pubblicati.

Ma non sono solo rose e fiori… Vi sono delle valutazioni organizzative e pratiche che richiedono ulteriore riflessione. Da una parte, anzitutto, fronteggiamo le difficoltà tipiche di qualunque progetto in start-up e su base volontaria: mantenere stabilità e qualità della produzione, attraverso un gruppo di collaboratori che possa far propri in maniera costante gli scopi associativi. D'altro canto il nostro è un progetto culturale, non un business, e purtroppo, a quanto pare, in molti credono che “con la cultura non si mangia”.

Questo ci spinge a cercare un maggiore coinvolgimento dei nostri collaboratori e di tutti coloro che condividono la nostra idea, per fare in modo che la nostra visione sia sempre più supportata e per fare in modo che l'esperienza del Caffè sia sempre più un modo di creare cultura dalla base, con la spinta tipica di chi, giovane e preparato, guarda al mondo in maniera attiva, da protagonista.

UN ANNO DI NUOVI PROGETTI – La programmazione 2011 sarà quindi mirata su alcuni punti cardine. Anzitutto la strutturazione del lavoro di redazione, anche attraverso il coinvolgimento in compiti gestionali di alcuni dei collaboratori che maggiormente si sono distinti. Sarà poi fondamentale affinare lo stile. Lo sforzo che tutti gli autori dovranno fare sarà quello di rendere gli articoli sempre più adatti alle esigenze del nostro pubblico eletto: i non addetti ai lavori.

E poi, soprattutto, ci sono i progetti di redazione, che rappresentano la vera sfida per il 2011. Il 2010 ci ha dato due ottimi esempi, due progetti pilota: “Il Caffè Mondiale”, con una serie di articoli che hanno preso spunto dai Mondiali di Calcio in Sud Africa per raccontare il legame tra sport e politica nei 32 Paesi partecipanti. Al progetto hanno preso parte oltre 20 autori, che hanno prodotto più di 30 articoli su un tema che in Italia ben pochi hanno voluto raccontare. Il secondo pilota, di taglio diverso, è stato rappresentato dalla collaborazione con il VIS – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, una ONG che si occupa di cooperazione allo sviluppo. Per loro abbiamo prodotto, un documento di accompagnamento per la Settimana di Educazione alla Mondialità, a cui hanno preso parte circa 50 persone che hanno visitato Romania e Moldavia, approfondendo, tra l’altro, i temi legati alle relazioni tra i due Paesi ed alle dinamiche regionali.

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DUE PROGETTI SONO GIÀ IN CANTIERE – Nel 2011 si celebra il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Auguri, Italia! In questa occasione vogliamo ricordare e raccontare la storia delle relazioni internazionali del nostro Paese, per capire come sono nate le alleanze di oggi, quali sono i maggiori interessi geopolitici italiani e molto altro. Vogliamo provare a comprendere e spiegare dove si colloca l’Italia oggi, quale sia la sua posizione sullo scacchiere internazionale. L’obiettivo è ambizioso: comprendere il passato, riconoscersi nel presente, contribuire ad immaginare e creare il futuro. Noi, organizzazione fatta di giovani, vogliamo aggiungere il nostro piccolo mattone nella costruzione del futuro del nostro Paese, puntando anche sullo sviluppo della cultura della politica estera, per contribuire a riempire di contenuti il concetto troppo spesso negletto, se non sconosciuto, di interesse nazionale.

Il secondo progetto, di cui vedrete i risultati sul nostro sito già nelle prossime settimane, ci porterà a fare Il giro del mondo in 30 caffè: vi racconteremo gli eventi geopolitici più importanti del 2010, e proveremo a capire quali saranno le ripercussioni ed i loro sviluppi nel 2011.

Volete salire a bordo? Continuate a seguirci!

 

Buone feste,

Alberto Rossi, Presidente

Pietro Costanzo, Segretario Generale

La Redazione

Libia, porta d’Europa

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Facciamo chiarezza sul delicato tema dell’immigrazione proveniente dalla Libia. Negoziati e aiuti economici sono le carte messe sul tavolo dall’Unione Europea per fermare i clandestini. Le parti hanno da poco siglato un accordo non vincolante, anche se Gheddafi, come sempre, gioca al rialzo. Ecco tutte le questioni in gioco, dai diritti umani alle esorbitanti richieste economiche libiche

Iran e Corea del Nord, una nuova politica di appeasement?

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Due situazioni diplomatiche difficili, due tavoli negoziali molto delicati che potrebbero rivelarsi un banco di prova importante per la diplomazia occidentale. Iran e Corea del Nord, due regimi invisi alla comunità internazionale intera capaci di paralizzare le discussioni diplomatiche per mesi, o anni, continuando intanto a sviluppare programmi nucleari che potrebbero essere utilizzati per la costruzione di ordigni bellici devastanti. Come uscire da un’impasse diplomatica sempre più pericolosa?

 

Da: Centro di Formazione Politica

 

L’IRAN E I NEGOZIATIDopo oltre un anno di paralisi, i negoziati di Ginevra fra la leadership iraniana e il gruppo dei 5+1, composto dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania, si sono conclusi con un nulla di fatto. Le parti hanno deciso di riunirsi nuovamente ad Istanbul nel prossimo gennaio, nel tentativo di riprendere le trattative sulla questione del programma nucleare iraniano in un clima di maggiore collaborazione. Pur confermando l’intesa sul nuovo appuntamento, il capo negoziatore iraniano Said Jalili ha dichiarato che nel prossimo incontro in Turchia non potrà essere messa in discussione l’interruzione del processo di arricchimento dell’uranio richiesto dalle Nazioni Unite. L’Iran non intende quindi negoziare i propri diritti in materia di nucleare, questo si evince dalle parole di Jalili, e il prossimo round di colloqui tra le parti potrebbe rivelarsi null’altro che una mera formalità per salvare un processo negoziale arenatosi ormai più di un anno fa. Il leader iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha fatto sapere che Teheran non rinuncerà mai ai suoi diritti sul nucleare, all’arricchimento dell’uranio al 20% e alla costruzione di impianti nucleari. Al contempo, affinché i prossimi colloqui in gennaio siano fruttuosi, ha chiesto che vengano cancellate tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e le sanzioni imposte dalla comunità internazionale negli ultimi mesi. Le parole del presidente iraniano sembrano essere l’ennesimo segnale di aperta sfida alla comunità internazionale e ai negoziatori del gruppo del 5+1, che si trovano ora a dover affrontare una situazione negoziale piuttosto delicata. Le dichiarazioni rilasciate dal Catherine Ashton, Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera, sono apparse caute. Pur riconoscendo i diritti dell’Iran sul nucleare, la Ashton ha ribadito l’obbligo per la leadership di Teheran di rispettare le decisioni della comunità internazionale. Come detto, quindi, sembra permanere quello stallo negoziale iniziato quattordici mesi fa con la rottura diplomatica tra le parti e la decisione di aumentare la pressione sull’esecutivo iraniano imponendo nuove sanzioni. L’impasse non sembra però essere facilmente aggirabile, né sono trascurabili le posizioni iraniane sulla questione. A questo punto, infatti, la richiesta del gruppo dei 5+1 di sospendere l’arricchimento dell’uranio potrebbe rivelarsi non solo controproducente, poiché gli iraniani hanno già fatto sapere che su questo punto non sono disposti a trattare, ma soprattutto potrebbe essere interpretata come un chiaro segnale di debolezza al tavolo negoziale. Dopo aver prodotto il primo carico di uranio grezzo necessario per la successiva raffinazione e arricchimento, quella che viene comunemente definita yellowcake, il governo iraniano ha ottenuto il controllo completo del ciclo di arricchimento dell’uranio. Inutile, quindi, chiedere una sospensione del ciclo di sviluppo ad un governo che ha fatto passi avanti considerevoli negli ultimi mesi per poter divenire sempre più indipendente nella produzione di energia nucleare.

 

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LA COREA DEL NORD TRA CINA E USA– Pyongyang e Pechino hanno trovato un accordo nelle ultime ore, la tensione in Corea e nel quadrante asiatico sembra essere rientrata entro i livelli minimi di allerta. L’agenzia di stampa cinese ha fatto sapere che il consigliere di Stato e vice premier cinese Dai Bingguo e il leader nordcoreano Kim Jong-Il hanno raggiunto un’intesa sulle relazioni bilaterali e sulla situazione nella penisola coreana. Nei colloqui si è anche discusso di come migliorare le relazioni già amichevoli tra i due paesi: in pratica Pechino avrebbe chiesto a Pyongyang di non esasperare ulteriormente la situazione pena il ritiro dell’appoggio cinese alle istanze nordcoreane rispetto allo sviluppo del programma nucleare. La leadership cinese ha deciso di intervenire con una certa fermezza date le continue critiche da parte statunitense e la crescente instabilità in una regione fondamentale per gli interessi politici ed economici del gigante asiatico. Nel corso delle ultime settimane la Casa Bianca ha ripetutamente invitato Pechino ad esercitare pressioni sull’alleato nordcoreano poiché, come dichiarato dall’Ammiraglio Mike Mullen, Capo di Stato Maggiore della Difesa statunitense, dal momento che le provocazioni di Pyongyang sembrano assumere una frequenza preoccupante anche il pericolo di possibili ritorsioni aumenta in maniera esponenziale. Anche in questo caso, dal punto di vista diplomatico ci si trova in una situazione di stallo.

 

A differenza del caso iraniano, però, al momento l’impasse è dovuta al braccio di ferro in corso tra Pechino e Washington. La leadership cinese ha ripetutamente chiesto all’esecutivo statunitense di riaprire i negoziati a sei con la Corea del Nord ma dalla Casa Bianca è giunto un netto rifiuto. Tornare a dialogare con il regime di Pyongyang costituirebbe, agli occhi degli statunitensi, un premio inutile ad una leadership resasi colpevole di atti destabilizzanti per l’intera regione. Dello stesso avviso sono i governi di Giappone e Corea del Sud, potenziali obiettivi per nuovi attacchi da parte nordcoreana. Al momento la Cina sembra essere intenzionata a rimanere a fianco dell’alleato storico, anche se sempre più ingombrante, a costo di dover sfidare le posizioni del resto della comunità internazionale. Il confronto potrebbe essere già in atto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sede in cui Pechino sta bloccando con il proprio veto qualsiasi azione concernente l’impianto di arricchimento per l’uranio nordcoreano e l’attacco portato alla Corea del Sud nelle scorse settimane.

 

CONCLUSIONIEntrambe le questioni sembrano essersi arenate, Iran e Corea del Nord stanno tenendo sotto scacco la comunità internazionale intera con richieste che, per quanto abbiano un fondo di legittimità, non potranno essere accettate senza garanzie precise e un impegno importante da parte di tutte le leadership coinvolte. I risultati arriveranno per forza o per inerzia, è infatti probabile che all’Iran sia concesso lo sviluppo del programma nucleare civile mentre si tenterà di coinvolgere maggiormente la Cina per bloccare la Corea del Nord, un finale che lascia qualche dubbio, e preoccupazione, per il futuro. Difficile ora poter uscire da pericolose situazioni di stallo come quelle verificatesi con Teheran e Pyongyang, doveroso però sottolineare che sembra esserci un ritorno preoccupante verso quella politica di appeasement o, per dirlo all’italiana, accomodamento, che ha caratterizzato la politica internazionale nel periodo precedente alla Seconda Guerra Mondiale. Sebbene siano questioni come la pubblicazione degli inutili scoop di Wikileaks ad attirare l’attenzione del pubblico e dei media, ci troviamo ora davanti a dilemmi delicati che corrono su un filo sottile. Sebbene sia giusto tentare in ogni modo di scongiurare l’intervento militare, fino a che punto è giusto tollerare le bizzarrie di regimi capaci, lo si è visto con la Corea del Nord, di porre in essere attacchi imprevedibili? Quanto è ancora lontana quella linea fino a cui la diplomazia può spingersi, prima di lasciar spazio alla “continuazione della politica con altri mezzi”, in grado però di preservare la sicurezza di paesi alleati e, soprattutto, del nostro stesso futuro?

 

Simone Comi

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