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Xenofobia e Covid-19 (II): sinocentrismo e razzismo

Analisi Se è vero che all’estero le comunità cinesi (e asiatiche in generale) hanno conosciuto discriminazioni e persino violenze a causa del coronavirus, si può notare come anche all’interno della Repubblica Popolare Cinese la pandemia abbia purtroppo alimentato episodi di razzismo nei confronti degli stranieri. La seconda parte della nostra analisi si concentrerà dunque su tale aspetto, spiegandone il contesto politico e culturale.

La prima parte di questa analisi è disponibile qui.

GLI EPISODI DI RAZZISMO IN CINA AL TEMPO DEL VIRUS

Sebbene si siano verificati casi di evidente discriminazione interna nei confronti dei cinesi di Wuhan, rifiutati e isolati dai loro stessi compatrioti con l’accusa di aver bypassato i controlli medici, è particolarmente importante notare come l’intera comunità straniera in Cina abbia visto un repentino aumento degli episodi di razzismo a seguito del calo dei casi interni. Tra marzo e aprile il numero di ricoveri e decessi causati dalla Covid-19 è venuto a calare, a causa delle misure di controllo imposte dal Governo centrale. È stato poi riportato un lieve aumento dei casi, dovuti in parte a una seconda ondata immediatamente soppressa, ma anche alla riapertura delle frontiere che ha permesso l’importazione di malati provenienti dall’esterno.
Questo contesto ha creato i presupposti per un sentimento xenofobo pesante e aggressivo, che per fortuna non si è traslato in episodi di violenza ma ha complicato la vita alle comunità estere in Cina. I giornali britannici The Star e The Guardian sono stati fra i primi a riportare, già lo scorso marzo, questi casi: entrambi parlano di cittadini britannici ai quali è stato vietato l’accesso a bar e ristoranti o che hanno subìto degli insulti. Questi sentimenti ostili sono stati poi riecheggiati sul web cinese, con articoli su microblog che arrivano a chiamare gli stranieri 洋垃圾 (yang lese, letteralmente immondizia straniera), identificandoli come boriosi avvantaggiati dal Governo e raffrontando il loro trattamento con quello dei cinesi in patria.
Le massime Autorità cinesi in ambito di politica estera hanno espresso la loro opposizione a qualsiasi forma di discriminazione, ma alcuni tra i più importanti Stati africani hanno convocato gli Ambasciatori cinesi per discutere della gravità della questione. L’Unione Africana ha altresì espresso disappunto, richiedendo misure immediate: in una misura straordinaria il Consolato degli Stati Uniti a Guangzhou ha addirittura rilasciato un comunicato in cui informava i cittadini afroamericani di evitare quando possibile l’area metropolitana della città, definendo il sistema legale cinese come un sistema opaco, in cui l’interpretazione delle leggi può essere arbitraria.

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Fig. 1 – Le antiche mappe cinesi mostravano l’Impero al centro del mondo

IL SINOCENTRISMO IMPERIALE: LA CINA COME FULCRO DEL MONDO

Il trattamento ostile ricevuto dagli stranieri non si limita al periodo della Covid-19, per quanto durante la pandemia siano avvenuti episodi più eclatanti. Per analizzare in maniera più completa l’evoluzione del fenomeno è necessario focalizzarci sulle sue origini e prima ancora su un altro elemento risalente addirittura alla Cina imperiale.
Durante l’epoca del Celeste Impero, il sinocentrismo era un elemento imprescindibile della visione del mondo cinese: la distinzione Hua-Yi (ovverosia la differenziazione culturale tra la Cina, definita come 華夏 Huaxia, e gli 夷 Yi, barbari o stranieri) garantiva la superiorità morale della Cina. Al di fuori della sfera culturale dell’Impero risiedevano infatti i cosiddetti Stati vassalli, un gruppo di regni tributari dell’Estremo Oriente e dell’Asia Sud-Orientale che includeva Corea, Giappone, Thailandia, Vietnam e altri. Il rapporto con tali vassalli veniva regolato secondo un meccanismo di investitura, a seguito della quale le missioni provenienti dall’esterno dell’Impero portavano omaggi all’Imperatore, ricevendo in cambio dei doni. Ai mercanti nelle ambascerie veniva altresì data la possibilità di commerciare, con l’argento come valuta il cui valore veniva deciso in relazione ai prezzi cinesi. Il potere dell’Imperatore non si limitava però a questa seconda sfera: secondo il principio del 天下 tianxia, tutto ciò che risiede sotto il cielo, si estendeva per l’appunto a ogni terra. Conscio della presenza di ulteriori regni al di fuori della cerchia dei tributari, l’Impero li annoverava comunque nella lista dei barbari. Di particolare importanza risulta però essere un passaggio nei classici confuciani: negli Annali delle Primavere e degli Autunni, il più antico annale cinese, lo studioso e scrittore cinese Wang Tao identificava come gli Yi fossero solo coloro che seguivano le maniere dei barbari. Al contrario, coloro che seguivano il 礼 Li (etica e riti propri della Cina) venivano parificati agli Hua.
La distinzione non è dunque territoriale, ma si basa unicamente sulla condivisione di principi e valori cinesi, andando a collocarsi nella più ampia sinicizzazione. Tutto ciò trascende il concetto di razza, dal momento che presuppone un’autorità assoluta (quella dell’Imperatore) e una visione del mondo che si basa sulla cultura cinese: sebbene si possa parlare della superiorità della Cina nei confronti del resto del mondo non c’è però una rigida distinzione, dal momento che l’obiettivo è la condivisione del Li cinese con gli altri popoli.

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Fig. 2 – Membri della comunità africana di Guangzhou

DALLA CULTURA ALLA RAZZA: IL RAZZISMO NELLA CINA MODERNA

Nelle parole dello storico Frank Dikötter, solo alla fine della Dinastia Qing (l’ultima dinastia imperiale cinese) si arriva alla transizione dall’esclusività culturale all’esclusività razziale negli anni Venti del secolo scorso. In realtà, a livello storico, la nozione di “razza” nasce con i movimenti anti-monarchici a seguito della cancellazione della Riforma dei Cento Giorni del 1898: i rivoluzionari contrastavano i governanti mancesi con gli Han, coniando dunque il termine 民族 minzu a partire dai due ideogrammi che identificavano popolo (min) e l’idea di una discendenza (zu). Ogni discorso sulla razza venne formalmente bandito con l’ascesa del Partito Comunista, in quanto nell’idea di Mao i problemi di razza erano solo “problemi di classe”. Nonostante la Cina si fosse fatta capofila durante la decolonizzazione di tutte le popolazioni non bianche, la realtà era però differente: il paternalismo cinese nei confronti delle popolazioni africane rinforzava l’immagine negativa di questi ultimi come passivi beneficiari dei frutti di una più alta civilizzazione.
Dikötter riporta poi come la riapertura del Paese dopo Mao abbia spostato il focus del discorso da una questione ideologica a una dimensione di mero scontro basato sulla superiorità razziale, con diversi casi tra gli anni Ottanta e Novanta in cui studenti cinesi ebbero scontri violenti con studenti africani a Nanchino, Pechino, Shanghai e Tianjin. Negli ultimi anni questa afrofobia è venuta a galla diverse volte, dai terribili commenti a seguito dell’apparizione in un talent show di una ragazza di madre cinese e padre afroamericano fino agli ultimi episodi durante l’epidemia di Covid-19. Con la sempre crescente centralità dell’Africa ai fini delle risorse naturali e la sua importanza per il progetto della Belt and Road Initiative (BRI), la questione della discriminazione razziale in Cina è un elemento da affrontare per lo sviluppo di migliori relazioni: sembra però che l’esistenza di questo problema continui a essere negata o minimizzata dal Governo cinese.

Andrea Angelo Coldani

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Perchè è importante

  • Durante la pandemia, la Cina ha visto un aumento significativo degli episodi di discriminazione verso gli stranieri, particolarmente nei confronti della comunità africana di Guangzhou.
  • Nel passato imperiale c’era un senso di superiorità nei confronti delle altre popolazioni, che non dipendeva tanto dalla provenienza geografica quanto dalla cultura: il Li distingueva cinesi e barbari.
  • L’era maoista vedeva i problemi di razza come problemi di classe. Nella Cina post-ideologica è rinato il concetto di razza, un problema sistemico che potrebbe pesare sulle relazioni sino-africane e sulla Belt and Road Initiative.

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