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Albania: così vicina eppure così lontana

Ancora impegnata nel tentativo di accettarsi nella propria straordinaria complessità culturale e religiosa, può l’Albania conciliare il sogno di unirsi all’UE con una popolazione in maggioranza di fede islamica? Quale ruolo può svolgere l’Italia nel perorare la causa di Tirana?

UN’IDENTITÀ COMPLESSA – Gli occhi di Anisa si illuminano mentre, percorrendo le sale deserte (plastica testimonianza del cammino ancora da percorrere sulla strada dell’appeal turistico) del Museo nazionale di Storia di Tirana, racconta delle gesta dell’eroe Skanderbeg, capace di tenere a lungo testa alle truppe turche nel XV secolo, e delle discendenze illiriche del popolo albanese.
È nella radicata, per certi versi acritica, convinzione di essere in qualche modo unici, diversi dai greci così come dagli altri popoli balcanici, che l’identità albanese trova la linfa di cui nutrire la retorica nazionale.
Sarebbe impossibile negare le peculiarità della lingua albanese o la realtà di un’identità culturale complessa e variegata, frutto della sovrapposizione di differenti percorsi storici amalgamatisi in questa terra di frontiera. Terra in cui convivono in maniera relativamente pacifica religioni diverse (alla maggioranza musulmana si accompagnano comunità ortodosse e cattoliche) e minoranze riconosciute e tutelate dal Governo centrale. La tolleranza e l’accoglienza sono forse il tratto più evidente dell’universo valoriale albanese. Tuttavia questa retorica e questo sentimento di unicità non si sono ancora strutturati in maniera matura e consapevole, assumendo piuttosto le sembianze di vaghi e indefiniti discorsi autoreferenziali, in posizione difensiva nei confronti di costruzioni ideologiche alternative, come quella serba che considera gli albanesi traditori unitisi ai turchi e convertitisi all’Islam. Restano moltissimi, nonostante le ondate migratorie degli anni Novanta, gli albanesi che non sono mai usciti dal Paese. L’assenza di contatti che possano fornire realistici metri di paragone mina alle fondamenta la possibilità di costruire un’identità nazionale forte e consapevole.
Questo limite appare in tutta la sua pienezza se si osserva la relazione albanese nei confronti del percorso di integrazione europea e rispetto alle avances della politica neo-ottomana di Erdogan.

ASPIRAZIONI EUROPEE – In maniera similare a quanto accade in altri Paesi che puntano a unirsi in futuro alla grande famiglia di Bruxelles, anche gli albanesi sono animati da sentimenti fortemente europeisti. Tirana si sente città europea e quando finalmente, a giugno, dopo due rifiuti consecutivi, i Governi UE hanno dato il loro assenso a che l’Albania diventasse il sesto candidato ufficiale all’ingresso nell’Unione, la notizia è stata salutata da manifestazioni di giubilo trasversali alle maggiori forze politiche.
Non sono passati inosservati i passi avanti compiuti dal piccolo Paese balcanico. Emblematiche in questo senso sono state le elezioni politiche del 2013 quando, contrariamente a ogni previsione, si è assistito a un abbastanza morbido passaggio di consegne tra il premier uscente Berisha e il suo successore Rama, in un quadro di universale accettazione del responso delle urne. La strada da percorrere è comunque ancora lunga e in salita. L’Albania resta uno degli Stati più poveri dell’Europa continentale, con problemi di corruzione endemica e una battaglia ancora da vincere contro il traffico di stupefacenti (e non solo). Inoltre lo status di Paese candidato non implica l’immediata e scontata apertura dei negoziati di adesione, per i quali è richiesta nuovamente l’unanimità del Consiglio. Tuttavia il cammino è tracciato e le aspirazioni europee di Tirana non sembrano in discussione.

Edi Rama incontra Lady Ashton
Edi Rama incontra Lady Ashton

IL RUOLO DELL’ISLAM – Allo stesso tempo, come accennato in precedenza, l’Albania è un paese a maggioranza musulmana, membro dal 1992 dell’Organizzazione per la cooperazione islamica. Non si tratterebbe di nulla di particolarmente significativo, se non fossero gli stessi albanesi (e consistenti segmenti dell’intellighenzia politica e culturale, legati al mondo cattolico) a vivere in maniera problematica questo legame col mondo musulmano. Questo disagio si è manifestato in occasione dei due passati rifiuti del Consiglio UE, quando si è trovato appunto nell’Islam il capro espiatorio da accusare per la mancata concessione dello status di candidato, rifiutandosi di vedere i reali problemi strutturali del Paese, quelli sì vera ragione delle titubanze di Bruxelles.
Le simpatie religiose della maggioranza della popolazione non si possono peraltro cancellare e comunque, a detta di diversi studiosi, l’identità albanese è strettamente legata alla dimensione religiosa, che ha aiutato in passato a evitare un’assimilazione culturale nei confronti dei serbi, rispetto ai quali non sono così marcate le differenze etniche.
Il comune collante religioso rappresenta il terreno su cui si sviluppano le politiche neo-ottomane di Erdogan verso la regione. Lo sforzo turco di penetrare culturalmente in Albania è notevole e passa attraverso la costruzione di scuole, istituti di cultura e la rottura del monopolio televisivo italiano che in passato ha caratterizzato il Paese. E non si può dire che gli albanesi vivano male questa sinergia con Ankara, con la quale i contatti si vanno sempre più intensificando.

E L’ITALIA? – A fronteggiare l’offensiva turca è ovviamente innanzitutto l’Italia. Gli storici legami con la comunità albanese, nonché le nostre priorità strategiche, ci impongono di evitare un pericoloso disimpegno nei confronti di Tirana, spingendoci piuttosto a continuare a essere «l’avvocato della causa albanese in Europa», per usare le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in visita ufficiale lo scorso marzo. Gli interessi della nutrita realtà imprenditoriale italiana presente nel Paese balcanico vanno tutelati e incoraggiati, in quanto capaci di sprigionare un potenziale economico di proporzioni notevoli. Rimanendo solo alle opere dal più alto valore geopolitico, impossibile non menzionare la Trans Adriatic Pipeline, che dovrebbe portare il gas azero in Puglia passando appunto dall’Albania, così come la Ionic Adriatic Pipeline, che risalirà invece la Croazia. Il semestre di presidenza europea offre al nostro Paese un’opportunità unica di perorare la causa albanese a Bruxelles da una posizione privilegiata, nonché di dare ulteriore slancio ai progetti europei di creazione di un’area adriatico-balcanica.
Sta ora a Tirana dimostrarsi capace di sfruttare appieno il capitale diplomatico che le deriva dalla sua duplice aspirazione europea e appartenenza all’Organizzazione per la cooperazione islamica. Su ciò si potrebbe far leva per proporsi come mediatori tra le strutture euro-atlantiche e la realtà islamica, ma per ambire a tale ruolo strategico è necessario che gli albanesi accettino e riconoscano nella propria complessità culturale e religiosa la cifra del proprio eventuale successo geopolitico. Una presa di coscienza finalmente critica e matura della propria identità sembra dunque un requisito imprescindibile.

Pietro Eynard

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Un chicco in più

Potete trovare qui un resoconto del recente viaggio compiuto da papa Francesco in Albania, il primo del pontefice in Europa.[/box]

 

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Pietro Eynard
Pietro Eynard

Laureando in relazioni internazionali presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. La passione per il viaggio, nonché la necessità di imparare finalmente a cucinare da solo, mi hanno condotto a vivere diverse esperienze di studio all’estero. Ho trascorso un semestre presso l’Ecole Normale di Lione, uno presso l’Università di Utrecht e ho frequentato corsi alla London School of Economics. Recentemente ho svolto uno stage all’Ambasciata italiana in Georgia, dove mi sono scoperto innamorato della politica post-sovietica in generale e di quella caucasica in particolare.

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