In un periodo di crisi del Sistema Internazionale e delle sue istituzioni, l’Unione Europea non si mostra immune dal contagio. Movimenti, partiti e, di conseguenza, una parte dell’opinione pubblica si pongono in disaccordo verso l’idea stessa di Europa unita. Quali sono le principali situazioni di difficoltà per l’UE? Su quali temi viene sfidata? Quale futuro la attende?
L’ORIGINE DELLE DIFFICOLTÀ – In un momento internazionale nel quale prevale una spinta tellurica verso la frammentazione e la disunità, il progetto europeo sta subendo pressioni non indifferenti, volte a rimettere in gioco la sua struttura, i suoi fini e i mezzi con cui attuarli. Per comprendere la natura delle sfide attuali all’Unione Europea, però, è fondamentale una breve disamina dei motivi per cui tali sfide sono emerse o si sono rafforzate. Vagliando i sondaggi a disposizione, emerge chiaramente come la crisi economica – iniziata nel 2008 – sia strettamente correlata al peggioramento dei vari indicatori sulla fiducia verso le istituzioni europee. I periodi di congiuntura avversa sono forieri di conseguenze negative per la stabilità politico-istituzionale generale e, in misura maggiore, per i progetti in evoluzione continua o non ancora stabili: l’Unione Europea, infatti – priva della sovranità adeguata per essere considerata uno Stato ma con abbastanza prerogative cedute dai Paesi membri per essere additata come capro espiatorio – ha subito notevolmente questo processo di erosione di fiducia: se nella primavera del 2007 il 57% dei cittadini dell’Unione dichiarava di avere fiducia verso le istituzioni europee, cinque anni dopo il dato è crollato al 31%, rimanendo poi sostanzialmente invariato fino all’autunno del 2014 (stando ai dati Eurobarometro della primavera 2015). All’interno di questa cornice, poi, sono emersi con forza partiti e movimenti euroscettici che stanno sfidando l’Unione Europea su più fronti.
Fig. 1 – Bandiere dell’Unione Europea e dei Paesi membri alla cerimonia di allargamento della stessa nel 2004.
LE SFIDE ECONOMICHE – Diretta conseguenza della congiuntura economica negativa è stata la decisione di Bruxelles di introdurre o irrobustire misure atte a evitare risultati macroeconomici ritenuti deleteri per i Paesi membri e l’Unione Europea nel suo complesso: oltre al rafforzamento del Patto di Stabilità e Crescita – che prevede obblighi su deficit e debito pubblico – è stato previsto un Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) con lo scopo di aiutare gli Stati in difficoltà per preservare l’equilibrio nell’eurozona. L’allora Troika (BCE, FMI, Commissione Europea) si è attivata per salvare dal fallimento alcuni Stati chiedendo come contrappasso, però, l’attuazione di rigide misure di austerity. Nonostante tali misure abbiano consentito ai Paesi coinvolti di ritrovare la stabilità – e tornare a crescere come nel caso di Irlanda, Spagna e Portogallo (con esclusione, per ora, della Grecia) – esse hanno anche generato un sentimento diffuso di ostilità verso istituzioni ritenute colpevoli di aver imposto manovre “lacrime e sangue” e di essere dunque responsabili dell’impoverimento generale dei cittadini. Numerosi partiti nei vari Stati europei hanno cavalcato l’onda del malcontento proponendo una revisione del Patto di Stabilità e delle connesse politiche di austerity. Lo stesso Presidente italiano Mattarella si è espresso in merito nel luglio scorso sostenendo come: «Solo rigore e austerity soffocheranno la Ue». Tuttavia, le critiche lanciate ai meccanismi macroeconomici europei, nonostante la loro diffusione e il loro successo politico-mediatico, non sembrano capaci di modificare sensibilmente le scelte europee: anche nei Paesi che hanno visto l’ascesa di partiti meno favorevoli all’austerità – come nel caso portoghese o greco – sta prevalendo l’accettazione verso i meccanismi cardine del sistema economico europeo. Inoltre, il ritorno alla crescita in Europa (aumento PIL reale dell’1,9% su base annuale; stime Commissione Europea) potrebbe fungere da calmiere per le istanze più radicali. Per meglio comprendere il futuro dell’Unione Europea, dunque, sono altre le sfide che risulta cruciale esaminare.
Fig. 2 – Il Primo ministro Cameron parla durante una conferenza stampa a Bruxelles.
LE SFIDE ISTITUZIONALI – «Nello Stato nazione, la questione della legittimità è in linea di principio risolta. Di norma il disaccordo sulle politiche non mette in discussione la polity, il sistema politico. Invece nell’Unione Europea la legittimità dipende ancora dal raggiungimento di risultati concreti. Questo spiega perché, generalmente, il mancato sostegno alle istituzioni o ai partiti politici nazionali non si trasformi in una minaccia all’unità nazionale, mentre il mancato sostegno alle istituzioni dell’Unione può diventare una minaccia alla stessa integrazione europea». Lo stralcio del discorso riportato – pronunciato l’8 maggio 2014 dall’allora Presidente della Commissione europea José Manuel Durão Barroso – chiarisce perché il progetto comunitario è meno stabile di quanto si possa pensare. Esistono sfide, infatti, in grado di mettere in discussione il concetto stesso di Europa unita. Per esempio, in un referendum tenutosi il 3 dicembre, il popolo danese ha detto “no” a una maggiore integrazione del Paese nei meccanismi dell’Unione Europea. La Danimarca, infatti, grazie alle clausole opt-out sottoscritte in materia di Unione Economica e Monetaria, Giustizia e affari interni e Politica Estera e di Sicurezza Comune, ha la facoltà di decidere se implementare o meno le misure europee che vertono su tali ambiti. Il referendum, sostenuto dai partiti più europeisti, spingeva per l’eliminazione di queste clausole: il 53% dei votanti, tuttavia, ha espresso un parere negativo. La minaccia istituzionale più seria, però, viene da uno dei paesi più rilevanti per gli assetti europei: il Regno Unito, uno dei cosiddetti “Big Three” (insieme a Francia e Germania). Il Premier Cameron, dopo aver promesso un referendum da sottoporre ai cittadini in merito alla permanenza britannica nell’Unione, ha sottoposto al vaglio del Presidente del Consiglio Europeo Tusk le richieste inglesi per scongiurare il voto e, di conseguenza, evitare il rischio di una Brexit. Esse vertono soprattutto sulla richiesta inglese di vedere preservata la sovranità del Paese – escludendo una maggiore integrazione nei meccanismi europei – oltre che sulla gradualità dell’accesso al welfare inglese per i cittadini dell’Unione. Tali richieste, naturalmente, pongono un ulteriore freno al processo di integrazione europea. L’alternativa, però, sarebbe il rischio serio di un’uscita del Regno Unito dall’UE: gli ultimi sondaggi, infatti, danno un testa a testa tra i favorevoli e i contrari all’uscita (52% contro 48%) e il clima che si respira in Europa – soprattutto dopo la crisi dei migranti e l’attentato a Parigi – potrebbe pesare ulteriormente a favore dei primi.
Fig. 3 – Le principali istanze per i cittadini dell’Unione Europea. Da notare l’ascesa dell’immigrazione come problema più sentito: un dato che, visti i recenti avvenimenti, potrebbe contribuire all’ulteriore ascesa dei partiti più estremisti (primavera 2012 – primavera 2015).
IL COLLANTE – Esiste, però, un collante in grado di congiungere le principali sfide poste all’idea di Europa e di rappresentarne forse la principale minaccia: il nazionalismo. In un’epoca segnata da revival identitari, l’Europa non è esente da tale fenomeno. Fenomeno che, sempre a causa delle dinamiche derivanti dalla crisi economica sopra citate, non ha fatto che ingigantirsi. Se partiti fortemente nazionalisti, xenofobi e fieramente euroscettici come Jobbik in Ungheria o Sverigedemokraterna in Svezia prima della crisi (nelle elezioni 2006) avevano ottenuto rispettivamente il 2,20% e il 2,93% delle preferenze, la situazione attuale li vede affermarsi come terza forza nel loro Paese (20,54% e 12,9% alle ultime elezioni del 2014). Le recenti difficoltà nel gestire la crisi dei migranti, poi, non hanno fatto altro che aumentare ulteriormente il consenso verso queste formazioni: numerosi Paesi membri (quali, ad esempio, la Polonia, la Danimarca e l’Ungheria) hanno osteggiato i vari progetti di redistribuzione dei migranti dai Paesi di approdo ai restanti componenti dell’Unione. Tale vicenda, dunque, sta mostrando, una volta di più, quanto sia lontano il raggiungimento di una solidarietà e una condivisione di intenti forte tra i Paesi UE. Anzi, è emerso con forza proprio “l’interesse nazionale” come principale motore dell’azione statuale. Maggiore preoccupazione, però, desta l’ascesa del Front National di Marine le Pen. Il successo del partito, infatti, garantirebbe l’opportunità a istanze quali l’uscita dall’Euro o la ricalibrazione delle politiche macroeconomiche di imporsi in uno dei Paesi cardine per la stabilità e il futuro dell’Unione Europea. L’Eurobarometro primaverile ha mostrato come il 51% dei francesi non nutra fiducia nelle istituzioni europee: questo dato, unito allo spauracchio islamico seguito ai tragici fatti del 13 novembre, prospetta la possibilità per il partito della Le Pen di guadagnare ulteriormente terreno. Il revival nazionalista, dunque, pone una sfida sensibile all’idea di Europa Unita, non fosse altro perché uno Stato-Nazione forte e completamente sovrano non può coesistere con la visione unitaria e comunitaria di Europa Unita: l’unico esito concepibile è uno scontro senza possibilità di incontro.
Fig. 4 – L’evoluzione della fiducia dei cittadini nell’Unione Europea (primavera 2007 – primavera 2015).
QUALE FUTURO? – La mole delle sfide lanciata all’Unione Europea, pertanto, potrebbe essere in grado di portare a un’involuzione del percorso di integrazione fino a oggi perseguito. A ogni buon conto, i dati contenuti nell’ultimo Eurobarometro (primavera 2015) consentono di esprimere una previsione fiduciosa sul progetto europeo: nonostante sia d’obbligo la prudenza – non è ancora chiaro l’effetto della crisi dei migranti, della crisi greca e della strage di Parigi sull’opinione pubblica europea – gli ultimi sondaggi denotano una crescita complessiva della fiducia verso le istituzioni europee. La forbice tra coloro che mostrano fiducia/sfiducia nell’Unione Europea, difatti, si è quasi annullata (40% – 46%), con un trend positivo che dura da più di un anno. La ripresa economica potrebbe poi contribuire al miglioramento ulteriore di tale dato. Nondimeno, resta inteso che il progetto europeo non potrà rimanere lo stesso. L’Unione ha due destini di fronte a sé: la prosecuzione sulla via di una maggiore integrazione al fine di creare un’entità davvero sovrana, in grado di avere un’unica linea politica e, di conseguenza, capace di perseguire il bene dell’Unione stessa o, al contrario, subire un ridimensionamento delle sue prerogative a vantaggio del riemerso – e mai scomparso – concetto di Stato-Nazione.
Simone Zuccarelli
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
- La percentuale di italiani che non ha fiducia nell’Unione Europea si attesta al 44%; nel Regno Unito il dato è 55%.
- La percentuale dei cittadini che ritiene “totalmente positiva” l’esperienza dell’Unione è in crescita in quasi tutti i Paesi. Eccezioni importanti sono la Francia (con -4% di giudizi positivi rispetto alla rilevazione precedente) e la Polonia (-8%). Tra i più pessimisti sul futuro dell’UE troviamo sempre la Francia insieme a Regno Unito e Italia.
- Le clausole opt-out valgono anche per Regno Unito (per Area Schengen, Unione Economica e Monetaria, Giustizia e affari interni e Carta dei Diritti fondamentali dell’UE), Irlanda (Area Schengen e Giustizia e affari interni) e Polonia (Carta dei Diritti fondamentali dell’UE).
- Il Meccanismo Europeo di Stabilità è un’istituzione finanziaria internazionale – indipendente, dunque, dall’Unione Europea stessa. Nasce per trattato tra le parti contraenti che si vincolano a esso. Ogni Stato è tenuto a sottoscrivere una parte di capitale (con lo stesso sistema di sottoscrizione previsto per le quote della BCE) e l’obiettivo del MES «è quello di mobilizzare risorse finanziarie e fornire un sostegno alla stabilità, secondo condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto, a beneficio dei membri del MES che già si trovino o rischino di trovarsi in gravi problemi finanziari, se indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e quella dei suoi Stati membri. A questo scopo è conferito al MES il potere di raccogliere fondi con l’emissione di strumenti finanziari o la conclusione di intese o accordi finanziari o di altro tipo con i propri membri, istituzioni finanziarie o terzi”, come da articolo 3 del trattato istitutivo».
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Foto: T.Flat ッ