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Petrolio, l’oro nero dell’Argentina

In 3 sorsi – La vicenda del petrolio argentino è sempre stata una storia travagliata, ricca di alti e bassi. Dopo i due presidenti Kirchner, Macri è chiamato a ridare vita ad un settore sofferente, che necessita di investimenti stranieri, ma che potrebbe rivelarsi un’autentica miniera d’oro (nero).

1. DALLA SCOPERTA DEL PETROLIO A MENEM – La storia del petrolio in Argentina inizia ufficialmente nel 1907, quando venne scoperto il primo pozzo vicino alla città meridionale di Comodoro Rivadavia, nella provincia di Chubut. Tuttavia, la data a cui si fa solitamente riferimento è il 1922, anno in cui il Presidente Hipólito Yrigoyen creò la YPF (Yacimentos Petrolíferos Fiscales), seconda compagnia petrolifera al mondo ad avere gestione totalmente pubblica, che venne affidata al generale Enrique Mosconi.
La produzione di petrolio dell’Argentina continuò a crescere, e all’inizio degli anni Sessanta, sotto la presidenza di Arturo Frondizi, si raggiunse l’importante traguardo politico economico dell’autosufficienza energetica. A partire dagli anni Settanta, tuttavia, YPF iniziò a ridurre in modo sostanziale la propria produzione di petrolio, e nel 1992 il Governo neoliberista di Carlos Menem iniziò la privatizzazione della compagnia, che terminò nel 1999 con l’acquisto del 98% delle azioni da parte della compagnia spagnola Repsol S.A, che si trasformò in Repsol YPF.

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Fig. 1 – Un pozzo di petrolio in Argentina

2. L’EPOCA DEI KIRCHNER – Durante le due presidenze dei Kirchner, l’Argentina ha continuato ad esportare petrolio e gas verso i Paesi vicini, soprattutto verso il Cile, ma allo stesso tempo ha fortemente diminuito la produzione, ottenendo quindi un deficit nel commercio energetico, che nel 2011 è stato di 3 miliardi di dollari. Di conseguenza, il Governo argentino ha dovuto importare quantitĂ  sempre maggiori di gas dall’estero, soprattutto dalla Bolivia, e nei mesi piĂą caldi a Buenos Aires è arrivato al punto di sospendere le forniture di gas al Cile, senza tuttavia riuscire ad evitare pesanti black-out nel Paese.
La riduzione della produzione ha portato la Casa Rosada a criticare pesantemente la Repsol, accusandola di non fare investimenti. Da parte sua la compagnia si è difesa dicendo che il crollo della produzione era dovuto sia al progressivo prosciugarsi dei pozzi, sia alle ingerenze del Governo ed al controllo dei prezzi, misure che scoraggiavano gli investitori stranieri. Ne è nato un braccio di ferro che ha portato la Presidente Kirchner a proclamare, nel 2012, la nazionalizzazione della compagnia YPF.

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Fig. 2 – Il voto in Parlamento per la nazionalizzazione di YPF

Uno dei principali avvenimenti degli ultimi anni è stata la scoperta, nel 2011, di un enorme giacimento di idrocarburi, esteso per un totale di 30.000 chilometri quadrati, nella località di Vaca Muerta, ubicata nella provincia di Nequén. Il giacimento ha delle riserve provate ammontanti a 927 milioni di barili di petrolio, mentre una stima recente pone il totale delle riserve a 22,5 miliardi di barili, una quantità tale da permettere al Paese di riconquistare l’autosufficienza energetica. Gli idrocarburi presenti nella zona sono però di tipo non convenzionale, la cui estrazione richiede tecnologie avanzate e costose.
Per tale motivo il Governo argentino ha suddiviso l’area in lotti e ha affidato le concessioni a una serie di compagnie straniere, dopo essersi riservata per sĂ© una superficie di 12.000 chilometri quadrati. In questo campo Buenos Aires ha messo da parte la sua polemica anti-imperialista e ha siglato accordi anche con compagnie statunitensi, quali la Dow Chemical, la ExxonMobile e la Chevron Corporation. Oltre ad esse, nell’area sono presenti la francese Total S.A., la canadese Americas Petrogas, la brasiliana Petrobras e la malese Petronas, mentre sono stati siglati dei memorandum anche con la russa Gazprom e la cinese Sinopec.

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Fig. 3 – Un pozzo petrolifero del giacimento di Vaca Muerta

3. L’EPOCA DI MACRI– Appena arrivato alla Casa Rosada, il neo-presidente Macri ha dovuto dunque confrontarsi con questo scenario di luce e ombre, con un’Argentina a rischio crisi energetica e in disperato bisogno di investimenti stranieri per rafforzare una produzione declinante e sviluppare le promesse del nuovo giacimento di Vaca Muerta. A tutto ciò si è aggiunto il crollo del prezzo degli idrocarburi, il che ha fortemente disincentivato gli investimenti nel settore. Nonostante questo, Macri ha cercato di incoraggiare lo sviluppo del settore, prendendo decisioni per migliorare la credibilitĂ  internazionale dell’Argentina, come per esempio il pagamento di una prima parte del debito che il Paese deve alla Bolivia per il suo gas, pari a un totale di 300 milioni di dollari.
Allo stesso tempo, il Governo Macri ha continuato a cercare investimenti stranieri per lo sviluppo dei propri giacimenti, raggiungendo un accordo con la compagnia cilena Enap (Impresa Nacional de Petróleo) per estendere di ulteriori dieci anni il contratto per l’estrazione degli idrocarburi della Patagonia. In particolare, l’accordo si focalizza sulla Cuenca Marina Austral de Argentina, un’area compresa tra la provincia argentina di Santa Cruz, quella cilena di Magellano, e la Terra del Fuoco. L’accordo prevede inoltre l’investimento congiunto di circa 165 milioni di dollari.
Per quanto invece riguarda il giacimento di Vaca Muerta, nel primo mese di Governo sono già stati firmati due importanti accordi. Il primo con la compagnia Dow Chemical, al fine di continuare l’estrazione di gas non convenzionale. In base a questo accordo, la compagnia statunitense si impegna a investire 500 milioni di dollari, che vanno ad aggiungersi ai 350 già spesi negli anni precedenti.
Un secondo accordo, anche se ancora preliminare, è stato invece firmato con la compagnia statunitense American Energy Partners, per avviare un progetto di sviluppo ed estrazione di gas d’argille, sempre nel giacimento di Vaca Muerta, e per l’esplorazione di aree vicine. In questo caso, il costo dell’investimento è stimato in 500 milioni di dollari in tre anni.
Ovviamente è troppo presto per dire quale futuro avrà il settore energetico argentino, un campo tra l’altro dove le decisioni di attori esterni sono spesso molto più importanti di quelle degli esecutivi nazionali. Tuttavia, già adesso si può individuare un punto fondamentale, ovvero la credibilità dell’Argentina a livello internazionale.
Per ottenere gli investimenti esterni e le tecnologie necessarie per lo sviluppo dell’industria argentina, Macri dovrà infatti riuscire a migliorare l’immagine e l’affidabilità del Paese. L’eliminazione di parte dei sussidi e dei controlli sul petrolio ed il gas naturale, il pagamento di parte del debito con la Bolivia, e gli accordi appena siglati sono sicuramente degli ottimi segnali che fanno ben sperare per il futuro. Ma ciò probabilmente non basterà; il nuovo corso della casa Rosada deve in qualche modo riconquistare i favori del FMI dopo la vicenda del default del 2001. Ciò servirà a migliorare la ragione di scambio con il resto dei Paesi industrializzati e a trovare una più confacente posizione internazionale.

Umberto Guzzardi

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””] Un chicco in piĂą

  • Ogni barile di petrolio (bbl) contiene 42 galloni USA, pari a 158,99 litri.
  • Per petrolio non convenzionale si intendono qualitĂ  di greggio quali il petrolio da sabbie bituminose (sands oil) e il petrolio da scisto bituminoso (shale oil). [/box]

Foto: Care_SMC

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Umberto Guzzardi
Umberto Guzzardi

Nato a Novara nel 1991, appassionato di geopolitica, relazioni internazionali, storia antica e moderna, ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’UniversitĂ  di Bologna campus di Forlì. Ha trascorso vari periodi di studio all’estero, tra cui uno in Lituania ed un altro a Buenos Aires. Attualmente viaggia spesso per lavoro tra Europa e Africa.

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