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ISIS: le roccaforti assediate

Anche se l’attenzione mediatica è rivolta altrove, in Siria e Iraq i combattimenti contro l’ISIS continuano, principalmente attorno alle roccaforti di Raqqa e Mosul. Il nostro aggiornamento

L’attenzione mediatica rivolta a crisi migratoria, vicende dell’amministrazione Trump, Brexit e terrorismo non deve farci dimenticare come il conflitto sul campo contro l’ISIS continui e stia raggiungendo una fase di culmine. Le varie offensive svolte contro il sedicente Califfato stanno infatti investendo quelle aree che erano il cuore dello stesso, in particolare le roccaforti di Mosul, in Iraq, e Raqqa, in Siria. Le dinamiche sono diverse.

MOSUL: L’OSTACOLO DELLA CITTÀ VECCHIA – Per quanto i combattimenti siano sempre stati continui e preceduti da azioni dei curdi Peshmerga, l’offensiva vera e propria contro Mosul è stata lanciata dalle truppe irachene a ottobre 2016, con l’appoggio della coalizione internazionale. L’avvicinamento alla città è stato rapido (dell’ordine di qualche settimana) mentre come previsto sono gli scontri all’interno della città stessa quelli più intensi e duraturi, come già visto per i casi di Fallujah e Manbij. Appariva chiaro che Mosul, molto più vasta (quasi 3 milioni di abitanti), avrebbe richiesto anche più tempo.

La città è divisa in due parti dal fiume Tigri e a novembre sono iniziate le operazioni militari nei distretti a est, più moderni e più facili da affrontare. A gennaio 2017 la liberazione della parte est della città è stata valutata completa. Da febbraio lo scontro si è spostato nella parte ovest, più difficile e più densamente popolata. L’ISIS aveva fatto crollare i ponti sul Tigri: invece di ricostruirli e provare a passare per quella strada, le truppe irachene hanno preferito avanzare da sud (soprattutto) e da nord-ovest. Nei mesi successivi gli scontro, molto intensi, hanno portato a una progressiva liberazione di quasi tutti i quartieri. A oggi (maggio 2017) l’unico vero ostacolo rimasto è costituito dalla zona della città vecchia. Non solo è un’area densamente popolata, ma anche molto fitta di costruzioni: cecchini e trappole esplosive, un problema durante tutta l’operazione, risultano qui ancora più letali e la densità di popolazione rende meno propensi i comandanti militari a usare le forze aeree, decisive altrove. Un altro problema è causato dall’uso di droni armati da parte dell’ISIS, piccoli apparecchi commercialmente disponibili modificati per portare armi, e troppo piccoli per essere colpiti dall’aviazione alleata. Il comandante USA delle forze speciali (SOCOM) Generale Raymond Thomas ha ammesso come in alcuni momenti essi abbiano costituito una vera spina nel fianco e come siano state necessarie contromisure elettroniche per ridurne l’efficacia.

 

Mappa di Mosul, Maggio 2017. In verde le aree liberate. Fonte: @iraqi_day

Un altro aspetto è quello della determinazione dell’ISIS a combattere. Alcuni guerriglieri iracheni sembra abbiano disertato, ma così non è stato per i foreign fighters, che, riconoscibili, farebbero fatica a nascondersi tra la popolazione e temono vendette. Con le spalle al muro, tendono a combattere fino alla morte, ovviamente rendendo più complesso lo scontro.

Mentre i combattimenti continuano, la domanda non è se la città vecchia cadrà (cosa che appare ormai inevitabile) ma quanto tempo ancora ci vorrà e quante vittime ci saranno ancora. Inoltre, rimane aperta una domanda chiave sul futuro della città e dell’intero Iraq: il governo iracheno saprà bilanciare interessi e richieste di sunniti, sciiti e curdi, evitando un nuovo futuro scontro settario nel Paese? L’organizzazione futura dello Stato e i rapporti tra le diverse anime della popolazione rimangono ad oggi l’incognita maggiore per il lungo periodo.

Per ora, parte dei problemi tra sciiti e sunniti sono stati evitati facendo sì che in città combattessero solo le unità regolari delle Forze Armate irachene, mentre le unità paramilitari sciite – in passato accusate di atrocità contro la popolazione sunnita – sono state incaricate di combattere nella zona circostante, tagliando di fatto le vie di comunicazione tra Mosul e Raqqa, in Siria.

RAQQA: CHI CI ENTRERÀ?  Dopo il fallimento dell’offensiva di Assad verso Tabqa nel 2016 e l’ossessione dello stesso e dei suoi alleati russi contro Aleppo, ci sono solo le Syrian Defence Forces a maggioranza curda a condurre l’offensiva verso Raqqa, appoggiate dalla coalizione internazionale. L’avanzata da autunno 2016 a oggi è stata costante ma ha visto numerose direttrici: prima Manbij (che ha permesso di tagliare i rifornimenti ISIS dalla Turchia, anche se ha poi contribuito a provocare l’intervento turco), poi Raqqa con una deviazione oltre Eufrate a prendere la cittadina chiave di Tabqa, per proteggere la diga accanto e che di fatto contribuisce a isolare ulteriormente la città.

Zona di Raqqa, 11 Maggio 2017. In giallo le aree liberate dalle SDF. Tabqa è nella zona gialla in basso a sinistra. Fonte: @nieuwsblog

L’attacco vero e proprio contro il centro abitato non è ancora iniziato, anche per motivi diplomatici: i curdi sono dimostrati i combattenti migliori, ma Raqqa è a maggioranza araba, e non è detto sarebbero visti come liberatori. Al tempo stesso, manca però un accordo con Turchia (e ovviamente con Assad) per alternative, dunque la via dell’attacco curdo sembra, al momento, la più accreditata. Come per Mosul, avvicinarsi alla città è il problema minore: la vera sfida sarà il combattimento urbano, generalmente brutale e, purtroppo, facilmente foriero di vittime civili.

Qui si sta osservando però un’altra dinamica. Mentre le notizie delle disfatte a Mosul e dintorni continuano, e anche Assad riprende ad avanzare (vedi sotto), alcuni rapporti indicano come i foreign fighters e alcuni alti gradi dell’ISIS (tra cui, secondo alcuni rumors, anche il “Califfo” Abu Bakr al-Baghdadi) si stiano spostando nella zona est della Siria, attorno a Deir-ez-Zor. Città assediata da qualche anno, in quella zona potrebbe provare a resistere (o, più probabilmente, darsi alla macchia) il nocciolo duro dei terroristi. La coalizione non sembra avere fretta di chiudere tale via di fuga, poiché meno combattenti determinati rimangono a Raqqa, meno dura potrebbe essere la resistenza. Ad ogni modo Raqqa stessa appare fortificata e, in alcuni punti, è stata pure allagata per rallentare l’avanzata avversaria, dunque i combattimenti dureranno, presumibilmente, sempre dei mesi.

PALMIRA E DEIR-EZ ZOR: DOPO ALEPPO, CI SI RIPROVA – Conquistata Aleppo e ripresi vaste aree a est della stessa per bloccare l’avanzata turca nel Paese, le forze di Assad ripendono anche l’avanzata verso est contro l’ISIS, soprattutto a est di Aleppo e nella zona di Palmira. Nella prima zona, dove sembra stiano operando le cosiddette “Forze Tigre”, il regime siriano ha recuperato recentemente la base aerea di Jirah. Assad non può permettersi che il merito della liberazione di Raqqa vada solo a curdi e coalizione internazionale, e le sue truppe nominalmente puntano anch’esse verso la città. Partecipare all’attacco vero e proprio è invece un’altra cosa, sia per la distanza ancora eccessiva, sia per le ovvie divergenze con la coalizione a guida USA, sia perché i Curdi sono di fatto in mezzo.

Zona tra Aleppo e Raqqa, 13 Maggio 2017. In giallo forze SDF, al centro ISIS, a sinistra forze di Assad. Fonte: @PetoLucem

In realtà molti analisti notano come nel mirino di Assad ci sia soprattutto l’eventuale liberazione di Deir-ez-Zor. Come detto assediata da anni dall’ISIS, togliere tale morsa sarebbe un colpo mediatico importante, oltre a garantire al regime la regione circostante, di fatto quella più ricca di petrolio. A togliere forza (e interesse) da questa azione rimane però lo scontro con varie milizie ribelli nella zona di Idlib (nella mappa sopra, si trova ulteriormente a ovest delle posizioni di Assad). Una recente iniziativa russa di de-escalation per la creazione di zone di tregua ha ridotto gli scontri, cosa che favorisce proprio Assad, ma non li ha fermati del tutto, e vari gruppi ribelli rifiutano di aderirvi. Lì, nonostante l’appoggio russo, gli scontri sono stati duri e le offensive del regime non sempre riescono ad avanzare. È in quella zona che si trova Khan Sheikoun, dove è avvenuto l’uso di armi chimiche il 4 Aprile scorso.

Lorenzo Nannetti

 

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Sull’attacco chimico condotto a Khan Sheikoun, la risposta statunitense e le reazioni internazionali vi ricordiamo la nostra analisi: Trump e Siria: dieci punti per analizzare l’attacco[/box]

Foto di copertina di quapan Licenza: Attribution License

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Lorenzo Nannetti
Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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