In 3 sorsi – Juan Manuel Santos è presidente della Colombia dal 2010. Sotto il suo governo, il Paese ha conosciuto una buona crescita economica ed ha raggiunto una tregua, seppur fragile, con le FARC. A metà del secondo mandato, andiamo a vedere come vanno le cose a Bogotà.
1. SEI ANNI DI PRESIDENZA – Da ormai sei anni la Colombia, Paese sudamericano noto al mondo soprattutto per il caffè, il narcotraffico e la lotta infinita dei guerriglieri delle FARC-EP, è governata da Juan Manuel Santos, eletto presidente nel 2010. Anche prima di assumere il governo, Santos aveva rivestito importanti ruoli politici, in quanto era stato ministro della difesa durante gli anni del secondo governo Uribe (2006-2010). In quelle vesti, Santos si era trovato a dover gestire una serie di vittoriose operazioni militari condotte da parte dell’esercito colombiano, che in quegli anni ha inflitto cocenti sconfitte alle FARC, catturando o (più spesso) eliminando molte figure di spicco, tra cui lo stesso comandante Raúl Reyes. Forte di questi successi, Santos si è candidato alle elezioni presidenziali del 2010, ottenendo una schiacciante vittoria. Una volta al potere però, Santos ha abbandonato la politica dello scontro militare perseguita durante il precedente governo ed ha intavolato trattative con i principali movimenti guerriglieri del Paese (FARC ed ELN), ritenendo che la fine dello scontro armato potesse essere raggiunta solamente in seguito ad un accordo di pace. Inizialmente molto popolare, il presidente ha visto il proprio consenso ridursi progressivamente, ed è riuscito ad ottenere la rielezione nel 2014 sconfiggendo il rivale Óscar Zuluaga solamente con il 50,9% dei voti. Durante il suo secondo mandato, Santos ha continuato la sua politica di pace con i guerriglieri, ed il processo ha registrato una tappa molto importante il 23 settembre 2015, con la firma di un accordo di pace preliminare tra il governo e le FARC, guidate dal comandante Rodrigo Londoño Echeverri.
Fig.1 – Stretta di mano tra il presidente Santos (a sinistra) ed il comandante delle FARC Rodrigo Londoño-Echeverry, alias Timochenco (a destra).
2. UNA FRAGILE SITUAZIONE INTERNA – Dalla firma dell’accordo però, il processo di pace si è scontrato contro una serie di ostacoli difficili da superare e si è impantanato. Da un lato, infatti, pesano i problemi e le difficoltà per mettere in atto dei punti dell’accordo. Dall’altro lato, invece, cresce l’opposizione all’accordo di pace guidata da alcune importanti figure politiche colombiane, tra cui l’ex-presidente Álvaro Uribe, secondo i quali l’accordo è eccessivamente sbilanciato a favore delle FARC. Allo stesso tempo, il governo si è ritrovato in difficoltà sulla propria proposta di tenere un plebiscito sull’accordo preliminare, proposta criticata sia dai guerriglieri stessi che da ampi strati del Congresso e della magistratura nazionale. Il governo è corso ai ripari promettendo che, qualora la Corte Costituzionale si pronunciasse contro il plebiscito, questo sarebbe sostituito da una consulta popolare in modo da dare in ogni caso ai Colombiani la possibilità di esprimere la propria opinione. Il voto previsto tuttavia si sta lentamente trasformando in un voto di gradimento sull’operato e sulla figura del presidente Santos, tanto che una vittoria del no metterebbe in pericolo non solo il processo di pace, anche la tenuta dello stesso governo.
A livello economico, i risultati del governo di Santos sono, come accade quasi sempre, contraddittori. Da un lato infatti bisogna notare come l’economia della Colombia, nonostante la grave crisi che attanaglia l’intero continente, abbia mantenuto dei tassi di crescita sostenuti, raggiungendo nel 2015 il tasso del 3,1% e nel primo trimestre del 2016 quello del 2,5%. A trainare lo sviluppo della Colombia non sono più solamente le tradizionali esportazioni di materie prime (principalmente petrolio, carbone, caffè, banane, fiori, oro e smeraldi), ma anche lo sviluppo dell’industria automobilistica e delle infrastrutture, che stanno attirando verso il Paese numerosi investimenti dall’estero. Allo stesso tempo tuttavia, il governo non è riuscito a ridurre la disuguaglianza economica in modo sostanziale né a combattere la corruzione, che rimane molto diffusa.
Fig.2 – operai al lavoro in una piantagione di caffè colombiano.
3. DIMENSIONE INTERNAZIONALE – Anche nelle relazioni con i vicini, la Colombia è sempre stata influenzata dalla sua esplosiva situazione interna, che ha impedito al Paese di assumere il rango di potenza regionale a cui potrebbe potenzialmente aspirare. Tradizionalmente, la Colombia è sempre stata molto vicina agli USA, dai quali dipende per gli aiuti, militari ed economici, nella lotta contro la guerriglia ed il narcotraffico. Al contrario, Bogotà ha sempre avuto difficili relazioni con i Paesi confinanti, soprattutto con il Venezuela, con il quale i rapporti sono peggiorati in seguito alla salita al potere di Hugo Chávez, più volte accusato dal governo colombiano di fornire aiuto ed asilo ai combattenti delle FARC. Una volta divenuto presidente, Santos ha cercato di migliorare le relazioni con Caracas, ottenendo però scarsi risultati. Al contrario, i rapporti sono addirittura peggiorati durante gli anni della presidenza di Maduro, soprattutto in seguito alla sua decisione di chiudere la frontiera con la Colombia e contemporaneamente di espellere i Colombiani residenti in Venezuela. Caracas si è giustificata dichiarando che tale decisione si è resa necessaria per combattere il contrabbando di beni venezuelani e per fermare l’ingresso di paramilitari colombiani, mentre molti analisti internazionali hanno visto in questa mossa un tentativo di sviare l’attenzione dei Venezuelani dalla grave situazione interna, cercando di addossarne le colpe ad un Paese estero. Da parte sua, il presidente Santos non ha adottato contromisure e si è limitato a criticare duramente l’operato del presidente venezuelano.
Per cercare di rompere l’isolamento, Santos ha coltivato i rapporti con gli altri Paesi dell’America latina che condividono una politica economica di stampo liberista. In questo modo, la Colombia si è avvicinata al Cile, al Messico ed al Perù, con i quali ha fondato nel 2012 l’Alleanza del Pacifico. Grazie a questa mossa, la Colombia ha rafforzato il proprio ruolo internazionale ed il proprio peso nei mercati americani ed asiatici, anche se per ora, unico Paese dell’AP, non ha ancora firmato il TPP.
Fig.3 – I quattro leader dell’Alleanza del Pacifico. Da sinistra a destra Peña Nieto (Messico), Bachelet (Cile), Ollanta Humala (Perù) e Santos (Colombia).
Grazie alla collaborazione all’interno della AP, la Colombia è riuscita a migliorare le relazioni con il confinante Perù, con cui i rapporti sono stati a lungo tesi, soprattutto a causa di dispute di confine. Anche la recente elezione di Pedro Pablo Kuczynski alla presidenza del Perù non dovrebbe modificare le buone relazioni tra i due Paesi. Il neo-presidente peruviano è infatti un noto sostenitore all’Alleanza del Pacifico, ed appena insediatosi ha ricevuto un messaggio di congratulazioni ed amicizia da parte del presidente colombiano.
In definitiva, dunque, un bilancio del governo Santos ci presenta uno scenario molto in chiaroscuro. Al di là dei risultati economici e di politica internazionale, il giudizio sugli anni di Santos è legato principalmente al successo o meno dell’accordo di pace con le FARC, che diventa sempre più fragile ogni giorno che passa.
Umberto Guzzardi
Foto: yulian_franco