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Dalla Corea alla Corea: la fine della storia è la nascita della tragedia

In 3 sorsi –La rassegna del Caffè del 7 luglio 2017 conteneva, tra tanti spunti interessanti, un articolo di Foreign Policy dal titolo “The end of history is the birth of tragedy”, veramente stimolante per una riflessione un po’ fuori dalle righe, che si intreccia con quella fatta recentemente sulla lista dei dieci regimi più sanguinari della Storia. Ed ecco quindi l’occasione per una contestualizzazione storica dell’attuale situazione geopolitica in Asia, che, se vorrete seguirci, continueremo a monitorare anche nei prossimi mesi

1. LE TRAGEDIE CHE FANNO LA STORIA – Anche noi del caffè abbiamo cercato, in questa estate bollente, di prendere seriamente le tragedie, come gli antichi greci. Ci siamo riuniti, come loro, nelle nostre agorà, le pagine web, per ricordare le vicende che hanno fatto la storia, cercando, nel passato, le chiavi per aprire il futuro, perché il destino della società, oggi come nel V secolo avanti Cristo, era ed è nelle mani di uomini fallibili e per questo il mondo intero sta sempre ad un passo dall’abisso. Di questo baratro abbiamo letto in numerosi articoli, come quello recentemente pubblicato da Foreign Policy, e il tema offre diversi spunti di riflessione sul ruolo globale giocato dagli USA che, per 70 anni, hanno costruito e difeso l’ordine mondiale, baluardo della democrazia e poi, quale unica superpotenza superstite, mantenendo la pace internazionale per un altro quarto di secolo. Negli ultimi tempi, però, l’America è andata perdendo progressivamente ruolo e funzioni, e l’ordine internazionale da essa protetto, fiaccato da terrorismo, guerre e crisi economiche, ha cominciato inesorabilmente a sfaldarsi. A nostro avviso si tratta di un processo iniziato addirittura subito dopo la seconda guerra mondiale, quando il sogno americano, che non è mai stato privo di contraddizioni e di errori, si è allontanato dai suoi ideali originali per abbracciare piano piano bieche logiche spartitorie, malattie ogni giorno più gravi, delle quali abbiamo trascurato, tanti anni fa, i sintomi e che, oggi, ci sembrano incurabili. Per questo ci troviamo a combattere con dittatori folli, che lanciano missili con testate nucleari come fossero aquiloni, e di fronte al pericolo incombente, che sorvola le acque del Pacifico, non solo non scorgiamo il senso della tragedia, ma nemmeno ci spaventiamo più di tanto. Tutte le rotture dell’ordine, bene o male (più male che bene) costruito nel secondo dopoguerra, hanno lacerato i sogni e le speranze di pace.

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Fig. 1 – Segnali stradali allusivi alla situazione geopolitica internazionale

2. UN PRESENTE ANODINO – Molti rimproverano oggi agli Stati Uniti una forma grave di amnesia riguardo ai tragici insegnamenti del passato e agli altri players internazionali l’incapacità di gestire le sempre più profonde conflittualità che, dopo decenni di latenza, sono esplose in rivoli di conflitti multidimensionali e multisettoriali. Attenzione a banalizzare la storia, a buttare benzina sulle scintille di un fuoco (come accadde tra Sparta ed Atene, tra cattolici e protestanti, e in Europa dopo le due guerre mondiali) che può ridurre in cenere imperi e civiltà. Forse non basta più contenere i conflitti nei limiti locali perché tale sistema nel mondo globalizzato non funziona più. I nostri padri hanno combattuto per dei valori cui oggi nessuno crede più, in quanto percepiti come validi solo per alcuni e non per tutti. La storia si ripete, a partire da Atene, patria di una democrazia non veramente democratica, cioè non aperta agli schiavi e alle donne, per finire a Guantanamo, dove l’America post-guerra fredda ha perduto la sua aurea morale. E lo stesso discorso vale per i coreani, dei quali il mondo sapeva poco; per i vietnamiti, di cui il mondo ha saputo tutto; per i tibetani, di cui il mondo fa finta di non sapere; per gli iracheni, invasi per le armi di distruzione di massa mai trovate; e per gli afghani, armati prima contro gli invasori sovietici, poi dimenticati per anni e infine bombardati in nome della lotta al terrorismo e dei diritti umani.

http://gty.im/126333555

Fig. 2 – Filo spinato a Guantanamo: un simbolo del declino del sogno americano

3. UN FUTURO LIQUIDO O SOLIDO? – L’America è cambiata: non appartiene più agli americani, e come durante gli anni della cortina di ferro, così oggi nuovi muri si stanno alzando e nuove ombre stanno calando, generando diverse ansietà. Il problema di fondo non è, secondo noi, stato centrato: i think tank continuano a veicolare molti impegni, soprattutto quelli fuori dall’Europa, come opera di diffusione dei valori democratici, ma troppe contraddizioni fanno perdere alla democrazia il suo “aroma”. Forse sono stati evitati conflitti più grandi, come in Corea e nel Vietnam, ma ad un prezzo troppo alto, che ha sradicato speranze e tolto significato a quei valori che si volevano tutelare.  La “vigilanza” americana era l’onere per una pace duratura, ma da questo impegno la nuova amministrazione Trump si sta svincolando, come cento anni fa, e ne conosciamo i risultati. D’altro canto non si può non ammirare, e quindi gelosamente difendere, quella libertà che ci permette oggi di rileggere gli errori passati, senza timori e senza prigioni.

Fig. 3 – Cartello stradale in cui si evoca il sogno cinese definendolo “il mio sogno”

Tutti questi dubbi, conservati  in tante note dissonanti, si fondono con quelli che sbiadiscono le nuove speranze sia a Mosul, appena liberata e già ostaggio di sciti e sunniti, sia nell’ospedale di Shenyang dove  Liu Xiaobo  è morto, dopo inutili quanto tiepidi tentativi internazionali di lasciarlo andare. Una vicenda, quest’ultima, che mostra come il sogno cinese non riuscirà a sostituire quello americano fin tanto che i valori della tradizione confuciana, come la compassione per esempio, non riempiranno realmente di nuovi contenuti le libertà e i diritti umani, unica speranza di pace per i popoli oppressi  «All we are saying is give peace a chance», per i quali questa chance è ancora, purtroppo, una chimera tra ideali deboli e relazioni liquide.

Elisabetta Esposito Martino

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Un volume molto interessante sugli argomenti discussi nell’articolo è Kill Anything that Moves: The Real American War in Vietnam (New York: Picador, 2013) di Nick Turse, giovane giornalista americano. Classe 1975, laureato alla Columbia University, Turse conduce un’approfondita inchiesta sulle stragi americane in Vietnam, ben documentate, e denuncia con fervore anche le guerre del XXI secolo in Iraq e Afghanistan.[/box]

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Elisabetta Esposito Martino
Elisabetta Esposito Martinohttp://auroraborealeorientale.wordpress.com/

Sono nata nello scorso secolo, anzi millennio, nel 1961. Mi sono laureata in Scienze Politiche, Indirizzo Internazionale, presso La Sapienza con una tesi sul consolidamento della Repubblica Popolare cinese (1949 – 1957); ho conseguito il  Diploma in Lingua e Cultura Cinese presso l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente di Roma ed il Perfezionamento in Lingua Cinese presso l’ISMEO. Sono stata delegata italiana per l’International Youth culture and study tour presso la Tamkang University Taipei, e poi docente di discipline giuridiche ed economiche. Ho lavorato come consulente sinologa e svolto attività di ricerca. Ora lavoro in un ente di ricerca e continuo la mia formazione (MIP Business School del Politecnico di Milano e dalla SDA Bocconi School of Management, Griffith College di  Dublino, Francis King School of English di Londra, EC S.Julians di Malta). Ho pubblicato sull’”Osservatorio Costituzionale”, dell’associazione italiana dei costituzionalisti  (AIC) , su “Affari Internazionali” e su “Mondo Cinese”.
Dopo aver sfaccendato tra pappe e pannolini per quattro figli, da quando sono cresciuti ho ripreso alla grande la mia antica passione per la Cina, la geopolitica  e le istituzioni politiche e costituzionali. Suono la chitarra, preparo aromatici tè ma non mi sveglio senza… il caffè!

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