Con la condanna a nove anni e mezzo dell’ex presidente, che stava accarezzando l’idea di ricandidarsi alla presidenza, probabilmente si chiude un’era politica e sociale. Lula è molto discusso ma, tra luci e ombre, ha saputo portare il Paese a livelli mai più raggiunti. Vediamo quali sono le prospettive per il Brasile di oggi
LULA E LA CONQUISTA DEL POTERE – Era il 2002 e il processo di revisione ideologica del Partido dos Trabalhadores guidato dal sindacalista barricadero Lula Inacio Da Silva, era al suo culmine. Una forza politica dichiaratamente di sinistra guidata da un socialista massimalista otteneva per la prima volta la guida del Brasile.
Un evento all’epoca da molti paragonato all’elezione di Allende in Cile con la coalizione di Unidad Popular. Nessun paragone fu mai più errato. La vittoria elettorale era stata preceduta da un quindicennio di vani tentativi, da parte di Lula, di entrare al Palacio do Planalto, la sede della presidenza della Repubblica. Stillicidio di sconfitte che hanno consentito la modificazione genetica del Pt il quale passò da posizioni massimaliste marxiste a più tenui istanze socialdemocratiche preparando così il terreno per la presa del potere. Di fatto ad ogni tornata elettorale aumentava la popolarità di quell’ex operaio di San Paolo privo di un’educazione dotta o formale. Ad ogni sconfitta susseguiva una crescita della sua credibilità politica sancita da quella che tra gli addetti ai lavori era chiamata ‘’la corsa verso il centro di Lula’’. Un processo simile a quello delle sinistre europee degli anni novanta che concepirono la nascita di una cosiddetta Terza via, che unisse difesa del libero mercato e minor interventismo statale a nuove forme di tutela sociale e welfare.
Lula aveva oramai rassicurato tutti sul suo essere un leader di sinistra differente dai populisti latinoamericani tradizionali. Un uomo del popolo sì, ma ancor di più un uomo di stato, ottenendo così un consenso trasversale ad ogni ceto sociale. La sua ‘’Lettera al Popolo Brasiliano’’ tracciava un programma economico i cui punti chiave erano responsabilità fiscale, riduzione del debito, crescita del mercato interno e risoluzione degli annosi problemi sociali. Contenuti in continuità con le politiche del predecessore, il centrista Fernando Henrique Cardoso.
Fig. 1 – Una immagine di Lula e Dilma con Raul Catro e Maduro
Da quel trionfo partorirono tre mandati presidenziali petisti, 19 milioni di cittadini brasiliani usciti dalla povertà, il rafforzamento economico del nascente ceto medio, l’entrata nel gruppo BRICS, una disoccupazione al 4,8% nel 2014, avvicinandosi alla piena occupazione. Praticamente in poco più di dodici anni il Brasile è riuscito ad ottenere la reputazione di paese ‘’serio’’ all’interno dei vari consessi internazionali, tanto da essere premiato con i mondiali di calcio e i giochi olimpici.
CONTINUITA’ AL POTERE, L’AVVENTO DI DILMA – Una credibilità e un capitale politico internazionale che inizia a svanire velocemente nel 2014. L’economia rallenta e mostra i primi sintomi di recessione, mettendo in dubbio la reale bontà delle politiche economiche di Lula e di Dilma Rousseff, l’ex guerrigliera succedutagli alla presidenza. La fine del periodo di crescita che ha tra le prime cause di freno il rialzo dei prezzi delle commodities, dal quale il Brasile dipende, ha fatto riapparire la ‘’polvere sotto il tappeto’’ che la quarta democrazia del mondo non aveva mai eliminato: spesa pubblica esorbitante, un importante debito pubblico, un welfare che per alcune fasce di reddito si è trasformato in mero assistenzialismo, eccessiva burocrazia, corruzione e ovviamente la sicurezza. Il tutto si è ripercosso sugli investimenti esteri e interni di un paese che ha un’importanza geopolitica chiave per risorse naturali e alimentari.
Ma soprattutto esplode la Lava Jato, la tangentopoli brasiliana. Uno scandalo di corruzione che ha rivelato un giro di tangenti al momento di 5 miliardi di dollari che ha coinvolto il gotha dell’imprenditoria continentale e l’intera classe politica brasiliana. Il pool della procura di Curitiba responsabile dell’indagine ha fatto arrestare politici tra i più importanti del paese, personaggi che il sentire comune riteneva fossero degli intoccabili. Il contraccolpo politico della vicenda giudiziaria è stato talmente forte, da far cadere un governo (ma non per corruzione) e farne vacillare un altro, quello del presidente Temer, ex alleato di Lula, anch’egli citato più volte nell’inchiesta e accusato di corruzione.
Pochi giorni fa l’ennesima condanna eccellente: proprio quella di Lula Inacio da Silva. Sei anni per corruzione passiva più tre anni e sei mesi per riciclaggio di denaro, per un totale di 9 anni di carcere e una multa di 1,2 milioni di dollari. Il giudice che ha emesso la sentenza è Sergio Moro del Tribunale di Curitiba, oramai salito alla ribalta delle cronache politiche come il giustiziere di una classe politica corrotta fino al midollo. L’ex presidente è accusato di aver ricevuto una tangente sotto forma di immobile con annessa ristrutturazione da parte dell’azienda di costruzioni OAS, la quale avrebbe ricevuto in appalto vantaggiosi contratti dal colosso statale Petrobras. Fondamentale per la condanna la deposizione ai fini del patteggiamento dell’ex manager OAS, Leo Pinheiro.
Fig.2 – Immagine del magistrato Sergio Moro, grande accusatore di Lula e del Pt
CORRUZIONE E CRISI ECONOMICA – Moro ha deciso di non applicare la custodia cautelare del carcere considerando ‘’i traumi che l’incarcerazione di un’ex presidente della Repubblica può portare’’ lasciando così che la condanna definitiva spetti alla Corte di Appello del Tribunale Regionale Federale (TRF) di Porto Alegre presso il quale Lula ricorrerà in appello entro la fine di agosto. La sentenza prevede l’interdizione dai pubblici uffici per 7 anni, inoltre il Tribunale di Curitiba ha disposto il sequestro di tutti i suoi beni tra i quali un conto corrente con 600mila reais (165mila euro) e tre appartamenti. Lula si è difeso dichiarandosi vittima di una persecuzione politica.
Tenuto conto della debolezza politica domestica e internazionale del governo Temer falcidiato dagli scandali e senza la prospettiva di una vera ripresa economica attualmente solo flebile, l’unico obiettivo è quello di implementare al più presto le riforme chiave del programma di governo, quella delle pensioni e quella del lavoro. Impresa ardua da attuare con l’orizzonte dell’appuntamento elettorale del 2018. Potrà dunque Lula candidarsi? La legge della Ficha Limpa (della Fedina Penale Pulita), prevede il divieto di eleggibilità per i condannati in secondo grado. Dunque nel caso il TRF confermasse la sentenza Lula si vedrebbe preclusa la possibilità di entrare per la terza volta da presidente al Palacio do Planato. Una possibilità del tutto concreta secondo l’ultimo sondaggio Datafolha che lo vede in testa ai sondaggi con il 30%. Considerando i tempi di giudizio di quel tribunale di circa un anno e mezzo per i processi della Lava Jato, è molto probabile che l’ex presidente riuscirà a candidarsi e chissà forse a vincere. Ma se la sentenza di secondo grado arrivasse prima, in quel caso le uniche porte che si aprirebbero per Lula sarebbero quelle del carcere.
ANALISI, LE PRESIDENZIALI DEL 2018 – L’opinione pubblica vive una fase di profondo sdegno e di allontanamento dalla politica. Vi è al contempo però un’apatia e assuefazione agli scandali diffusa che, stando all’analisi di Brian Winter di Americas Quarterly, fa apparire lontane le manifestazioni anche violente del 2013 e del 2014. In tutto ciò il Pt che già sopravisse ad uno scandalo di corruzione nel 2004 (il mensalao) ma soprattutto Lula, conservano ancora un certo consenso popolare. Alcuni di quei risultati della stagione di governo petista sono innegabili e una parte dei sostenitori dei socialisti non vogliono dimenticarli in nome della lotta alla corruzione. Lula che da un lato nel 2002 comprese appieno l’importanza geopolitica del Brasile, polmone e granaio del mondo, dall’altro ha mostrato durante i suoi governi una certa debolezza nella lotta alla corruzione. Il giudice Moro ha svelato l’impianto sistemico della corruttela, mettendo alla sbarra un intero ceto politico. E trattandosi proprio di un sistema decennale e consolidato, non bisogna stupirsi della debolezza con cui i governi di Lula hanno affrontato la questione.
Fig. 3 – Il deputato, e probabile candidato alla presidenza, Bolsonaro
Intanto l’opposizione del PSDB è alla ricerca di un candidato credibile dopo la messa sotto indagine dell’ex candidato presidenziale Aecio Neves. I papabili sono rispettivamente il governatore e il sindaco di San Paolo, Geraldo Alckim e Joao Doria. Entrambi glissano però sulla loro candidatura. Doria ex giornalista, ex consulente di marketing, famoso per il reality O Aprendiz (versione brasiliana di The Apprentice, ideato da Donald Trump) sembrerebbe il profilo migliore per i cosiddetti tucanos (militanti e sostenitori del Psdb). Tra chi scalpita per la presidenza della Repubblica, vi è anche Marina Silva, l’ecologista evangelica già candidata alle ultime elezioni. A capo del partitino Rede, l’ex ministro dell’Ambiente (solo per pochi mesi) del primo governo Lula, spera di intercettare i voti dei delusi del Pt. Un punto a suo favore è che non è stata colpita da nessuno scandalo. L’essere immacolati sotto il profilo dell’onestà è caratteristica comune al vero ‘’uomo nero’’ delle prossime politiche, Jair Bolsonaro, deputato eletto nella circoscrizione di Rio de Janeiro. Ex capitano dei paracadutisti dell’esercito, leader di un piccolo partito della destra evangelica, è noto per i suoi eccessi e le sue dichiarazioni polemiche. L’ultimo sondaggio Datafolha lo dà in netta crescita al 16% subito dietro Lula. Bolsonaro è noto per le sue posizioni intransigenti per temi quali la sicurezza e i diritti civili spesso tacciate di omofobia. I suoi appelli alla pulizia contro il malaffare di Brasilia stanno riscuotendo ampi consensi e i suoi interventi pubblici sono sempre partecipati da folle numerose. La fama di Bolsonaro ha varcato i confini nazionali quando durante la dichiarazione di voto per l’impeachment della Rousseff omaggiò il comandante Brilhante Ustra, famoso per la pratica della tortura a dissidenti e terroristi durante il regime militare. L’unico ostacolo per una sua candidatura verrebbe dall’indagine per incitazione allo stupro da parte della Corte Suprema: durante un diverbio con una deputata del PT, le rinfacciò ‘’di non meritare neanche di essere stuprata’’.
Mentre il Paese assiste quasi fosse un film allo scontro Lula-Moro e agli arresti degli odiati politici, nessuno tra gli osservatori crede che Bolsonaro possa rappresentare un candidato credibile né tanto meno vincente. Un’opinione diffusa tra i media simile a quella riferita a Trump nell’emisfero nord del continente americano al momento della sua candidatura. Con il presidente della Corte di Appello di Porto Alegre che assicura che la sentenza su Lula arriverà prima dell’ottobre 2018 data delle elezioni, con Lula o senza Lula, il futuro del sempre eterno ‘’paese del futuro’’ non è mai stato così incerto.
Emiliano Caliendo
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Per comprendere il livello dell’attuale dibattito in Brasile oggi, rimandiamo ad un approfondimento della Folha de Sao Paulo. [/box]
Foto di copertina di PT Brasil Licenza: Attribution License