Politiche di lacrime e sangue sembra essere il mantra comune che attraversa il Pianeta. Da quest’anno anche il Brasile, gigante a rapida crescita economica fino a pochi anni fa, dovrà fare i conti con le politiche economiche neoliberiste di contenimento della spesa pubblica
SPESA PUBBLICA, A CHE COSA SERVE LA MACROECONOMIA
Se c’è una scienza che studia come trovare l’equilibrio di un sistema economico, questa si chiama macroeconomia. Il 1936 è la data alla quale si fa risalire la nascita di questi studi grazie all’opera di J.M. Keynes, titolata “The general theory of employment, interest and money”. Le variabili macroeconomiche che tra di loro interagiscono sono diverse e analizzate tutte insieme (ovvero a livello aggregato) generano teorie che condizionano le scelte di politica economica degli Stati nel breve, medio e (per i più lungimiranti) lungo periodo. Scenari presenti disegnati anni fa oppure scenari futuri che oggi iniziano il percorso e che condizioneranno per decenni le economie, le società e gli stili di vita quotidiani di popoli interi. Ovviamente, la spesa pubblica è una voce significativa all’interno di questo capitolo.
Fig. 1 – J. M. Keynes (al centro) è considerato il padre della macroeconomia
Quali sono le variabili sulle quali gli economisti studiano per elaborare modelli di sviluppo che tendano all’equilibrio economico? Sono molte e complesse, si influenzano a vicenda e soprattutto sono difficili da mettere in relazione nel loro insieme aggregato: domanda e offerta complessiva, Prodotto Interno Lordo, inflazione, disoccupazione, tasso di interesse del denaro, investimenti, importazioni ed esportazioni, bilancia dei pagamenti, moneta, risparmio, consumo, politica fiscale e monetaria, bilancio dello Stato. Insomma un bel grattacapo per politici ed economisti, ma di strategica importanza per definire l’andamento dei comportamenti umani e degli interessi globali.
OLTRE LA SPESA PUBBLICA, ALTRI INDICATORI MACROECONOMICI DEL GIGANTE SUDAMERICANO
Un paese geograficamente enorme, con risorse infinite e con una popolazione di oltre 200 milioni di abitanti: sono queste le condizioni di partenza del Brasile, prima di analizzarne le caratteristiche macroeconomiche.
La disoccupazione. Secondo i dati statistici forniti dall’IBGE, Instituto Brasileiro de Geografia e Estatistica, alla fine del terzo trimestre, nel paese sono 91,1 i milioni di persone occupate mentre sono 12,9 i milioni di persone senza lavoro: una riduzione del tasso di disoccupazione rispetto al trimestre precedente da 13,3% a 12,4%. Quali le ragioni di tale miglioramento? L’Istituto stima una occupazione informale (ovvero “in nero”) in continuo aumento e oggi pari a 10,9 milioni di persone nel settore privato oltre a un aumento dei titolari di nuove piccole attività in proprio. Percentuali che in generale non hanno nulla a che vedere con i tassi disoccupazione che risalgono a soli 3 anni fa, cioè a prima della crisi, quando si aggiravano intorno al 5%.
Fig. 2 – L’occupazione informale è molto diffusa e tollerata nei paesi emergenti
Il Prodotto Interno Lordo. Con 2,52 trilioni di dollari di PIL, il Brasile nel 2012 diventa la sesta economia mondiale, superando addirittura la Gran Bretagna ferma 2,48 trilioni. Allora la crescita economica sembrava miracolosa, sostenuta dagli alti prezzi delle materie prime e del petrolio (nono produttore mondiale di greggio); oggi, solo cinque anni più tardi, quei tempi sembrano davvero lontani: il crollo dei prezzi delle materie prime, il rallentamento della domanda estera (soprattutto cinese), la contrazione degli investimenti e i tagli alla spesa pubblica hanno messo in ginocchio il paese. Solo con il secondo trimestre di quest’anno si è rivisto il segno “+” (0,3%) dopo tre lunghi anni di stagnazione; l’ultima volta, + 1,9%, era stato nel maggio del 2014. Anche l’incandescente clima politico ha contribuito, in negativo, a far crollare la fiducia nelle istituzioni.
L’inflazione. L’inflazione è la variazione percentuale dell’indice dei prezzi al consumo, calcolato con cadenza mensile. Una delle conseguenze della crisi è il calo dell’inflazione registrato quest’anno: il tasso medio annuo è passato da 8,77% nel 2016 all’attuale 3,67%, ovvero i prezzi dei beni e dei servizi in vendita nel paese si sono abbassati, così moneta e salari hanno acquistato maggiore potere di acquisto. Non è detto però che i consumatori brasiliani decidano di immettere quel denaro nell’economia del paese acquistando beni e servizi, infatti potrebbero decidere di aumentare il loro risparmio. In tal caso le aziende per vendere i loro prodotti dovrebbero abbassare i prezzi, cosa che ridurrebbe i ricavi, incentivando i licenziamenti e quindi aumentando il tassi di disoccupazione.
La bilancia dei pagamenti. La caduta dei prezzi delle materie prime agricole e del petrolio è stata una delle cause dell’odierna stagnazione in cui versa il Brasile. Il contesto globale e il commercio con i mercati esteri giocano un ruolo strategico per il mantenimento degli equilibri economici interni. E’ così infatti che il Brasile è diventato rapidamente un paese emergente (BRIC: Brasile, Russia, India, Cina) ed è per le stesse ragioni che oggi sta attraversando un periodo di crisi economica.
Per definizione la bilancia dei pagamenti dovrebbe risultare in pareggio, cioè il valore delle importazioni è pari al valore delle esportazioni. Nel 2005 il Brasile ha vissuto un periodo economicamente radioso, il migliore della sua storia, con 14 miliardi di dollari di avanzo positivo; da allora è però cominciato un periodo in controtendenza che ha visto precipitare la bilancia dei pagamenti in un disavanzo che nel 2014 ha toccato i meno 103 miliardi di dollari, cioè il peggior risultato della storia economica del Brasile.
I principali partner commerciali rimangono oggi Cina, Usa e Argentina. Le principali merce esportate sono i prodotti agricoli, quelli alimentari e quelli minerari; sul fronte delle importazioni, i principali prodotti sono quelli chimici, elettronici e i macchinari.
La corruzione. Quest’ultima non si può annoverare tra le variabili scientifiche degli studi macroeconomici, ma certamente, insieme all’inefficienza dell’apparato burocratico, incide fortemente sui rapporti di equilibrio socio-economico. La recente operazione denominata Lava Jato (la più grande operazione anti-corruzione della storia del paese) ha fatto emergere alla luce del sole un elevato tasso di corruzione stratificata nelle sfere più alte dello Stato brasiliano. Un tale comportamento condiziona radicalmente le scelte di investimento di imprese estere, incentiva la fuga di capitali e innesca una miccia di instabilità dell’intera regione sudamericana.
QUALE FUTURO PER IL BRASILE?
Il leggero aumento del PIL degli ultimi mesi e la diminuzione dell’inflazione dell’ultimo anno stanno trainando una timida ripresa, legata soprattutto all’aumento dei consumi delle famiglie e un aumento dell’occupazione, seppur informale.
Fig. 3 – Michel Temer è stato fortemente contestato con imponenti manifestazioni popolari
Il Presidente Temer, considerata la situazione del paese, ha annunciato – tra le proteste in piazza – un nuovo ciclo di politica economica (neoliberista), caratterizzato da un trattamento shock di austerità. Il 2017 è infatti iniziato con un emendamento alla Costituzione Federale che prevede per i prossimi 20 anni un tetto alla crescita della spesa pubblica legato all’inflazione dell’anno precedente. Una bella sforbiciata a settori come l’educazione e la sanità che hanno un grave impatto sulle fasce più povere della popolazione, anche se, secondo il Fondo Monetario Internazionale, si tratterebbe di una misura necessaria soprattutto per aumentare la fiducia negli investitori internazionali. Sul fronte del mercato del lavoro, il Parlamento ha approvato una legge che rende possibile la terziarizzazione di tutte le attività produttive e un’altra che allunga l’orario di lavoro a 12 ore giornaliere. Il Governo propone inoltre un innalzamento dell’età pensionabile da 50 a 62/65 anni (ovvero pari all’aspettativa di vita di alcune regioni interne del paese), con un obbligo di contribuzione di 49 anni.
Temer ha dichiarato che “non esiste un piano B per il Brasile” e ha difeso il su operato sottolineando che l’iniziativa presa dal suo governo “non verrà interrotta”.
Dario Urselli
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Uno degli aspetti sui quali si è concentrata la critica neoliberista alla teoria macroeconomica di Keynes è il ricorso al deficit di bilancio, considerato tutt’altro che utile nel migliorare la situazione economica.
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Foto di copertina di George Vale Licenza: Attribution License