Analisi – Russia e Arabia Saudita si scontrano sulle quote di produzione del petrolio, il cui prezzo al ribasso preoccupa molti dei suoi produttori. Una diatriba che sembra destinata a chiudere anticipatamente il formato OPEC+.
La Conferenza di Monaco e il declino dell’Occidente
Analisi – Durata tre giorni, l’annuale Conferenza sulla Sicurezza di Monaco del 2020 si è focalizzata sulla crisi dell’Occidente e il suo graduale declino geopolitico sulla scena internazionale.
LA CRISI DELL’OCCIDENTE
Con il termine “Occidente” si intende l’alleanza transatlantica tra Stati Uniti e Europa nata in seguito alla seconda guerra mondiale e basata su certi principi quale democrazia, capitalismo e il rispetto dei diritti umani. Dalla fine della guerra fredda, con gli Stati Uniti unica superpotenza globale, tali valori si sono quindi diffusi con successo nel resto del mondo. Tuttavia, gli ultimi dieci anni hanno visto una progressiva erosione dell’egemonia geopolitica e culturale occidentale. Ergo, la decisione di nominare “Westlessness” il tema della 56esima edizione della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco (14-16 febbraio 2020), e traducibile in italiano come “meno Occidente” o anche “mancanza di Occidente”.
L’egemonia occidentale è contestata dall’emergere sulla scena internazionale di altri attori geopolitici come Cina e Russia. Riluttanti ad accettare di far parte di un sistema internazionale fondato e dominato principalmente dall’Occidente, negli ultimi dieci anni, Mosca e Pechino hanno compromesso tale sistema unipolare, rendendolo più multipolare e meno eurocentrico. Mentre il recente attivismo geopolitico russo è motivo di preoccupazione per molti Paesi europei, la crescita cinese ha forzato Washington a spostare il baricentro strategico e militare verso il continente asiatico. Obiettivo principale: contenere l’ascesa della Cina quale superpotenza mondiale in grado di contestare la sicurezza e il ruolo egemone degli Stati Uniti. Non dovrebbe sorprendere dunque se durante la Conferenza una gran parte dei dibattiti ha ruotato intorno alle sfide poste da Russia e Cina, non solamente in senso geopolitico ma anche in termini valoriali. Da qui il conflitto tanto idealizzato quanto semplicistico tra democrazie liberali e regimi autoritari.
Tuttavia, la Conferenza di Monaco non ha evidenziato soltanto minacce e sfide provenienti dal mondo non occidentale, ma ha anche fatto risaltare ancora una volta le differenze interne all’alleanza transatlantica. Posizione geografica, esperienze storiche e interessi diversi stanno infatti portando Stati Uniti e Paesi europei ad adottare politiche divergenti in vari scenari geopolitici. Dalla Cina all’Iran sino alle tensioni interne alla NATO e all’UE, sono sempre meno i dossier su cui ci si trova d’accordo. Dunque, non solo un mondo meno occidentale, ma progressivamente anche un Occidente meno occidentale.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Intervento del Presidente francese Macron durante la Conferenza di Monaco, 15 febbraio 2020
LA POSIZIONE EUROPEA
A tale percepita crisi, i rappresentanti di Germania, Francia e Stati Uniti hanno espresso la loro visione e delineato quale secondo loro è la migliore politica da adottare. Da subito è saltata all’occhio l’assenza di alti profili a livello ministeriale da parte del Regno Unito, giustificata ufficialmente dal rimpasto del Governo Johnson durante i giorni della Conferenza. Sfortunata coincidenza o segno di isolamento diplomatico e perdita di leadership? Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto, gli interventi di Germania, Francia e Stati Uniti hanno confermato ancora una volta serie divergenze nelle priorità strategiche e negli interessi nazionali in seno alla coalizione occidentale.
Più di tutti, a sottolineare tale faglia geopolitica è stato il Presidente francese Emmanuel Macron. Non solo si è espresso a favore di una Europa più assertiva e forte in politica estera, ma ha anche manifestato la necessità per la Francia e i Paesi europei di acquisire quelle capacità strategiche che gli permetterebbero di operare autonomamente dagli Stati Uniti quando necessario. Per il Presidente francese infatti, causa opposti interessi nazionali e un minore interesse statunitense a venire coinvolti in conflitti militari, le nazioni europee non possono infatti basare la propria politica di sicurezza unicamente sul rapporto transatlantico. In particolare, Macron ha fatto riferimento alla necessità di un maggiore coinvolgimento nella regione mediterranea e nelle aree di instabilità dell’Africa sub-sahariana, a scapito di un graduale riapproccio geopolitico con la Russia. Obiettivo francese infatti non è lo smantellamento dell’alleanza transatlantica, ma una maggiore autonomia della sua componente europea e una maggiore attenzione verso priorità e interessi europei. Parigi prova dunque a capitalizzare sull’attuale atteggiamento statunitense, che offre a Macron la giusta finestra di opportunità per far convergere l’interesse europeo e quello francese.
Per i rappresentanti tedeschi invece, nonostante la consapevolezza di un relativo indebolimento dell’Occidente sulla scena internazionale e quindi della necessità di un’Europa più forte e unita in politica estera, un cambiamento all’attuale postura geopolitica è considerato troppo audace e poco pragmatico. L’alleanza transatlantica e l’ombrello di sicurezza americano continuano infatti a essere i cardini principali della politica estera tedesca. Formule diverse comporterebbero infatti maggior responsabilità che la leadership tedesca non è in grado di assumersi, almeno per il momento. Berlino preferisce quindi appoggiarsi a Washington, sperando che un nuovo Presidente alla Casa Bianca resetti le tensioni. Prospettiva supportata in parte anche da Paesi nordici, baltici e centro-orientali, per i quali l’alleanza con gli Stati Uniti rimane un imperativo in funzione anti-russa. Come affermato dalla svedese Anna Wieslander, direttrice per l’Europa del Nord nell’Atlantic Council, la visione francese per un’Europa autonoma “è troppo ambiziosa e troppo francese”.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Il Senatore repubblicano Lindsey Graham, parte della folta delegazione USA alla Conferenza di Monaco
LA POSIZIONE STATUNITENSE
Completamente diversa la reazione americana a questo percepito declino occidentale. Per il Segretario di Stato Mike Pompeo, l’Occidente “sta vincendo, e lo sta facendo collettivamente”. Gli Stati Uniti hanno infatti inviato una grossa missione diplomatica a Monaco per provare che il loro impegno a difesa dell’Europa e dei valori occidentali non sta diminuendo, ma è più forte che mai. Retorica trumpiana a parte, un distacco tra le due sponde dell’Atlantico non rientra infatti negli interessi statunitensi.
A dimostrarlo durante la Conferenza, sono stati i continui richiami ai leader europei per l’adozione di una politica comune nei confronti della Cina, e in particolare un bando totale di Huawei dall’installazione della prossima rete 5G. Per Washington infatti, non è la Russia ma la Cina a rappresentare il nemico numero uno al ruolo statunitense di superpotenza mondiale, nonché una minaccia ai valori occidentali. Tuttavia, per tanti Paesi europei, la Cina rappresenta più un’opportunità economica (seppure non semplice da gestire) che una diretta minaccia nazionale. Perfetta esemplificazione di tale divergenza è stata la recente decisione da parte del Governo britannico, uno dei più fedeli alleati di Washington, di consentire l’installazione del 5G da parte di Huawei, sebbene con forti limitazioni. Ergo, l’ambizione (o illusione) del Regno Unito e di tanti altri Paesi europei di continuare a fare affidamento sulla sicurezza americana e allo stesso commerciare proficuamente con la Cina.
Tuttavia, tali divisioni e divergenza di interessi in seno all’Occidente non dovrebbero essere esagerate. Una prospettiva storica mostra infatti come queste siano ricorrenti e abbiano resistito al passare del tempo. Basti pensare all’uscita della Francia dai comandi integrati della NATO durante la Guerra Fredda o le divisioni in merito all’invasione dell’Iraq nel 2003. Ciò che veramente emerge dalla Conferenza di Monaco e unisce tutte le Nazioni occidentali è la concreta possibilità per Stati Uniti e Europa di perdere quell’egemonia geopolitica e culturale goduta dal secondo dopoguerra a causa della crescita economia e tecnologica del resto del mondo, in particolare di Cina e Russia. Come affermato dal Ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar durante uno dei dibattiti, “era solo una questione di tempo prima che il ribilanciamento economico (tra Occidente e il resto del mondo avvenuto negli ultimi decenni n.d.r) si traducesse in ribilanciamento politico”.
Stefano Marras
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Ricordare per imparare: le radici dello Stato Islamico. Seconda parte
In 3 sorsi – Dopo aver analizzato la prima parte di storia irachena contemporanea, in questa seconda parte il focus verterà sulla nascita e il declino dell’autoproclamato Stato Islamico a partire dal ritiro delle truppe americane su suolo iracheno nel 2011.
È guerra mediatica tra Cina e USA
Ristretto – Ieri il Ministero degli Esteri cinese ha annunciato diverse misure restrittive nei confronti dei principali organi d’informazione statunitensi. In particolare, i giornalisti di New York Times, Wall Street Journal, Washington Post, Voice of America e Time Magazine dovranno lasciare il Paese nei prossimi giorni.
Allo stesso tempo tali media dovranno dare informazioni scritte al Governo di Pechino sulle proprie attività, finanze e proprietà su territorio cinese. Le autorità cinesi si riserveranno infine il diritto a ulteriori azioni restrittive nei confronti di altri giornalisti e media statunitensi in caso di eventuali rappresaglie di Washington contro i propri organi di stampa operativi in America. Le misure adottate valgono anche per Macao e Hong Kong, nonostante gli accordi di Londra garantiscano a quest’ultima un regime autonomo di libertà di stampa sino al 2047.
La decisione di Pechino è una risposta durissima alla recente decisione dell’amministrazione Trump di designare cinque organi informativi cinesi, tra cui il network televisivo CGTN, come “missioni straniere”. Questa decisione ha comportato restrizioni alle attività di tali media negli USA e una riduzione dei loro staff locali. La scelta di Washington era stata a sua volta dettata dall’espulsione di tre giornalisti del Wall Street Journal dalla Cina dopo la pubblicazione, su tale testata, di un articolo pesantemente critico della gestione dell’epidemia di coronavirus da parte di Pechino. Il Governo cinese aveva subito mal digerito tale “affronto”, ma ha atteso pazientemente alcune settimane prima di mettere in atto le proprie ritorsioni, sfruttando anche la rabbia per i discutibili tweet di Trump sul “virus cinese” per giustificare la propria decisione.
Molti osservatori credono che il Governo cinese punti a impedire completamente l’accesso dei propri cittadini ad un’informazione esterna o indipendente, soprattutto ora che l’epidemia ha messo parzialmente in discussione la legittimità politica del regime. Ciò è accompagnato anche dalle accuse cospirazioniste agli USA di aver creato e diffuso il coronavirus per colpire il popolo cinese, promosse persino da figure istituzionali come Lijian Zhao, portavoce del Ministero degli Esteri. Le affermazioni di Zhao hanno provocato l’ira del Dipartimento di Stato statunitense, che ha convocato nei giorni scorsi l’ambasciatore Cui Tiankai per chiedere spiegazioni sul comportamento del suo Governo. Inoltre l’amministrazione Trump non esclude nuove misure contro gli organi di stampa cinesi dopo l’espulsione di ieri dei propri giornalisti in Cina.
Insomma, nel bel mezzo di una pandemia e di una crisi economica globale, le due superpotenze non trovano di meglio che aprire un nuovo fronte della loro “guerra fredda”, aggravando le difficoltà di un sistema internazionale già sotto considerevole stress.
Simone Pelizza
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Primarie dem, Biden verso la nomination democratica
Ristretto – Continuano le votazioni per le primarie democratiche, questa volta in Florida, Arizona e Illinois. Manca all’appello lo stato dell’Ohio, che ha rinviato le elezioni causa Covid-19.
Brexit: a che punto siamo?
Analisi – A partire dal 31 gennaio 2020, il Regno Unito è ufficialmente uscito dall’Unione Europea, dando inizio a un periodo di transizione, che terminerà il 31 dicembre 2020. Sin da febbraio, i negoziatori di entrambe le parti hanno cominciato a confrontarsi sui temi più importanti per i futuri accordi bilaterali. In tre sorsi si analizzeranno le tempistiche per la conclusione dei negoziati, i temi centrali emersi durante le trattative e le possibili previsioni per i mesi a venire.
Primarie democratiche vs “social distancing”
In 3 sorsi – Con l’annuncio dello stato di emergenza, molti stati hanno posticipato il voto, ma oggi le primarie vanno avanti. Vediamo insieme chi vota.
Fra coronavirus e propaganda, l’Europa alla prova del 2020
Analisi – L’emergenza del coronavirus ha riportato a galla i problemi dell’Unione Europea, legati soprattutto ai limiti della sua struttura intergovernativa. Nel mentre, l’ombra dell’influenza cinese si riaffaccia ai confini del Vecchio Continente. È necessario un cambio di passo nel percorso di integrazione?
COVID-19: SOLIDALE EMERGENZA?
Come analizzato in precedenza, tre fattori condizionano pesantemente la capacità di reazione e gestione di una crisi: l’intensità della stessa, la quantità di crisi compresenti in un arco temporale ristretto, e la volatilità dei mercati internazionali.
Da settimane, ormai, l’Unione Europea si ritrova davanti a un’ulteriore serie di ampie problematiche, dopo la crisi finanziaria del 2008-2009 e l’eccezionalità del fenomeno migratorio del 2015-2016:
- L’emergenza legata al coronavirus (COVID-19);
- Il ripresentarsi delle pressioni migratorie ai confini fra Turchia-Grecia e Turchia-Bulgaria;
- I difficili negoziati sul Quadro Finanziario Pluriennale 2021-27, la Politica Agricola Comune 2021-27, la Farm to fork e il Green Deal.
In particolare, questa analisi si concentra solo sulla prima questione, i suoi risvolti interni e il ruolo della Cina.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Christine Lagarde è stata al centro di forti polemiche negli ultimi giorni
Da quando è scoppiata l’emergenza COVID-19 le fragilità europee sono riemerse, mettendo in luce le criticità legate all’incompiutezza dell’Unione e alla carenza di solidarietà e coordinamento. Al di là del rilevante sostegno offerto dalla Presidente della Commissione von der Leyen, la quale ha dichiarato che si fornirà all’Italia “tutto quello che chiede”, molteplici Stati Membri hanno infatti trattato il Paese – primo a essere colpito dall’epidemia – più come un problema da isolare che come un alleato da aiutare e sostenere: frontiere chiuse, restrizioni all’export di mascherine e dispositivi di protezione individuale, un malcelato senso di superficialità dei Paesi partner sulla reale pericolosità della situazione. Tale reazione dei Paesi europei, legata sia a un banale comportamento umano (sottovalutazione del rischio, chiusura mentale rispetto alle novità) sia alla volontà dei governanti di mostrarsi forti e inattaccabili di fronte al proprio elettorato, ha condotto a due conseguenze:
- Un diffuso senso di abbandono e isolamento da parte dell’Italia, culminato nella stizzita nota del Quirinale a seguito delle maldestre dichiarazioni della Presidente della BCE Christine Lagarde, che hanno causato pesanti turbolenze sui mercati finanziari;
- Il rapido contagio del virus negli altri Stati Membri, che oggi si vedono costretti a dichiarare a loro volta pesanti misure di emergenza e contenimento, quando avrebbero potuto prendere a esempio l’esperienza italiana. Ciò, chiaramente, produrrà perdite umane ed economiche pesanti e diffuse che la Commissione Europea ha affermato di attendersi una recessione dell’Unione intera.
Fig. 2 – Da Ursula von der Leyen è arrivato un sostegno deciso all’Italia
OMBRE CINESI: RISCRIVERE LA STORIA?
Di fronte allo scarso coordinamento degli Stati europei, la Cina ha invece intrapreso una profonda azione di propaganda e disinformazione relativamente al COVID-19: da un lato ha iniziato ad accusare gli Stati Uniti di aver infettato il Paese, facendo circolare bizzarre teorie del complotto. Dall’altro la sua narrativa elogia il “modello Wuhan”, sorvolando sui brutali metodi coercitivi impiegati per contenere l’epidemia. In tal modo, Pechino prova a proporsi come Paese solidale e collaborativo, oscurando le efficaci risposte di Stati democratici come la Corea del Sud.
Tuttavia due nozioni meritano di essere tenute in considerazione: in politica internazionale raramente esistono spazi vuoti, e la dottrina strategica cinese – al contrario di quella europea – si basa sulla concezione che ogni dimensione è un campo di battaglia. Pertanto il rischio è che Pechino provi a impiegare la sua narrativa per espandere ulteriormente la propria influenza sugli Stati aiutati: per esempio, Huawei si è già proposta di aiutare la sanità italiana tramite la messa a disposizione dei propri servizi informatici. Tuttavia, le aziende cinesi non operano come attori economici puri, specie nei settori più critici, bensì sono obbligati a contribuire all’interesse e alla strategia nazionali.
UNIONE EUROPEA: DALLA TEORIA ALL’AZZOPPAMENTO
Come gli individui, anche gli Stati non sono isole, bensì si relazionano gli uni gli altri in maniera non ufficialmente gerarchica, benché alcuni siano più influenti o forti della maggioranza dei Paesi. Da ciò ne consegue che gli Stati tendono a ricercare alleanze più o meno solide in modo da livellare i rapporti di potenza che li vedono sfavorevoli. Queste nozioni base di relazioni internazionali sono state più volte smentite dall’osservazione della politica europea: uniti alla riduzione graduale di influenza economica, demografica e militare a livello globale, alle difficoltà di un traghettamento dall’unilateralismo statunitense a un’epoca dinamica e interconnessa, e alla problematicità di coniugare rischi e opportunità delle nuove tecnologie al dibattito politico-istituzionale dei propri Paesi, gli interessi particolari degli Stati membri hanno spesso prevalso sulla collaborazione interna in materia di sfide comuni.
Pertanto l’Unione stessa continua a presentarsi poco solida ed efficiente, e i suoi maggiori nemici sembrano essere più le tensioni fra gli Stati Membri che le pur sempre vive e pericolose infiltrazioni da parte di Paesi terzi, specie Cina e Russia. Di fronte a questa nuova emergenza continentale di COVID-19, che non rispetta confini o geografie politiche, gli Stati Membri si troveranno quindi di fronte a dilemmi importanti, che metteranno in discussione il futuro stesso dell’Unione.
UN CAMBIO DI PASSO EUROPEO
Tuttavia alcuni segnali di speranza si scorgono all’orizzonte. Dopo l’incauta uscita della Presidente della BCE Lagarde, la Commissione Europea guidata dalla Presidente von der Leyen ha confermato che metterà in atto ogni misura necessaria per sostenere gli Stati Membri e le loro economie, sistemi sanitari e situazioni socio-lavorative nel complesso, anche su spinta di Italia, Spagna e Francia, predisponendo un’allocazione iniziale di €25 miliardi. Inoltre, le Istituzioni europee si preparano a una serie di interventi di contrasto all’impatto di COVID-19 sul contesto europeo (fra cui una proposta di blocco dei voli “non essenziali” verso l’Europa), e al Consiglio dei Ministri di Economia e Finanza di ieri dovrebbe essere stata presentata una proposta di sostanziale sospensione del Patto di Stabilità e Crescita per l’intero 2020, congiuntamente a un allentamento delle regole per gli aiuti di Stato. Al contempo la minaccia di una procedura di infrazione accelerata e la richiesta di chiarimenti sulla posizione francese hanno indotto Berlino e Parigi a non porre blocchi all’export di mascherine e dispositivi di protezione individuale verso l’Italia. Rimane il nodo dei confini, con diversi Paesi che hanno bloccato le frontiere con i propri vicini per limitare i contagi. Infine, il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha annunciato di aver convocato per oggi un Consiglio europeo straordinario sull’emergenza.
A quanto pare, l’emergenza di COVID-19, nei prossimi giorni, metterà a dura prova gli Stati Membri, rendendo sempre più impellente la scelta fra maturare, entrando da protagonisti nell’agone internazionale che si sta prefigurando, o persistere in un declino che dura ormai da anni.
Paolo Corbetta
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