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Il mondo nel 2019 – Asia

In breve

  • Il 2018 non è stato un anno facile per l’Asia: le tensioni politiche e economiche tra Cina e USA hanno scosso seriamente gli equilibri regionali, come testimoniato dalla crescente instabilità dei mercati finanziari locali e dal fallimento del vertice APEC di Port Moresby (Nuova Guinea). Inoltre si è assistito a un pesante arretramento della democrazia, specialmente nel Sud-est asiatico, e a un indebolimento di strutture multilaterali come l’ASEAN, vittime delle pressioni contrastanti di Washington e Pechino.
  • Impegnata in un duro confronto con l’amministrazione Trump, la Cina di Xi Jinping resta il perno principale attorno a cui si muoverà l’attualità asiatica nell’anno appena iniziato. Tutti i Paesi della regione si posizioneranno infatti in base alle decisioni di Pechino, appoggiandole o ostacolandole a seconda dei propri interessi.  
  • L’ambizioso progetto della Belt and Road Initiative (BRI) rimane cruciale per Pechino, anche se incontra difficoltà sempre maggiori a causa della diffidenza dei Paesi coinvolti e del rallentamento economico del gigante cinese.
  • Il fronte avverso alla Cina (USA, Giappone, India) rimane privo di alternative valide alla BRI per attirare gli Stati scontenti dell’assertività cinese, specialmente nel Sud-est asiatico. Nonostante alcuni progressi, come il Dialogo 2+2 tra India e USA, manca ancora una strategia concertata per sfidare efficacemente la politica di potenza cinese.  

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Fig. 1 – Discorso di Xi Jinping per commemorare il quarantesimo anniversario delle riforme economiche di Deng Xiaoping, 18 dicembre 2018

Aree di crisi

  • Guerra commerciale Cina-USA: nonostante la tregua annunciata al G20 di Buenos Aires, restano forti dubbi su una reale ricomposizione delle tensioni economiche sino-americane, alimentate anche dal caso Huawei e da un confronto sempre più duro nel settore tecnologico.
  • Taiwan: fulcro delle tensioni sino-americane in Asia orientale, deve fare i conti con una Presidente indebolita (Tsai Ing-wen) e le minacciose richieste di riunificazione avanzate da Pechino negli ultimi mesi.
  • Corea del Nord: una crisi che rimane estremamente pericolosa, a dispetto della recente distensione diplomatica intercoreana e del dialogo tra Kim e Trump. Finora Pyongyang ha infatti concesso pochissimo in termini di denuclearizzazione e minaccia anche di fare marcia indietro senza un sostanziale alleggerimento delle sanzioni.
  • Mar Cinese Meridionale: dispute territoriali e contese marittime irrisolte, a dispetto del dialogo Cina-ASEAN. USA sempre più assertivi nell’area in funzione anti-Pechino.
  • Myanmar: conflitti etnici nel Rakhine e nello Shan, rimpatrio dei profughi Rohingya dal Bangladesh.
  • Afghanistan: protagonista di un difficile processo di pace, tra attacchi terroristici e possibile ritiro degli USA.
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Fig. 2 – I leader delle due Coree, Moon Jae-in e Kim Jong-un, durante il loro ultimo summit dello scorso settembre

Opportunità

  • Spazi di manovra politica e economica: uno scenario così frammentario e volatile sta aprendo interessanti possibilità per diverse medie potenze, interessate a sfruttare lo scontro Cina-USA a proprio vantaggio. Si veda, ad esempio, il ruolo sempre più importante di Singapore e Corea del Sud nel Sud-est asiatico. Anche Francia e Gran Bretagna mirano a ritagliarsi uno spazio diplomatico e economico di rilievo nella regione, non necessariamente allineato con gli USA. Da questo punto di vista l’Italia appare pericolosamente inadeguata, anche a causa di una profonda ignoranza della regione e dei suoi equilibri interni. Un’inadeguatezza che, se non corretta in tempo, rischia di diventare sempre più pesante col passare degli anni. 
  • Tentativi di ripresa democratica: nonostante un generale declino regionale, le tendenze democratiche restano forti in Asia e vengono alimentate da movimenti dal basso sempre più intraprendenti, specialmente nei Paesi del subcontinente indiano. Il ritorno della Thailandia alla politica attiva, con le prime elezioni dopo il golpe militare del 2014, potrebbe poi aprire spiragli interessanti anche nel Sud-est asiatico, soprattutto se verranno adeguatamente supportati dalla comunità internazionale.  

Personaggio dell’anno

Xi Jinping. Il Presidente cinese deve affrontare le prime grandi sfide della sua leadership, riconfermata in pompa magna dal XIX Congresso del Partito Comunista nel 2017. Dallo scontro commerciale con Trump alle tensioni con Taiwan, dal rallentamento dell’economia alla crisi nordcoreana, Xi si ritrova infatti a gestire una situazione sempre più complessa e delicata che potrebbe compromettere le ambizioni globali di Pechino. Per uscire dall’impasse il Presidente e i suoi collaboratori dovranno elaborare una strategia flessibile e di lungo periodo per rintuzzare le pressioni statunitensi e rassicurare i propri vicini regionali, sempre più innervositi dalle manovre economiche e militari cinesi. Anche il progetto della BRI avrà bisogno di una nuova impostazione per superare l’ostilità occidentale e lo scetticismo degli altri paesi asiatici.     

Eventi dell’anno

  • Negoziati commerciali Cina-USA (gennaio-febbraio)
  • Secondo summit Kim-Trump (febbraio)
  • Elezioni parlamentari in Thailandia (tarda primavera)
  • Elezioni presidenziali in Indonesia (17 aprile)
  • Elezioni parlamentari in India (aprile-maggio)
  • Elezioni federali in Australia (maggio)
  • Vertice ASEAN a Bangkok (22-23 giugno)
  • Elezioni per la Camera alta giapponese (luglio)
  • Settantesimo anniversario della RPC (1 ottobre)
  • Vertice APEC in Cile (16-17 novembre)

Simone Pelizza

Il mondo nel 2019 – America Latina

In breve

  • Continente a destra. Il 2018 ha portato diversi scossoni. L’inerzia politica è completamente cambiata, con diversi Paesi che hanno scelto presidenti e programmi conservatori, caratterizzati da tagli alla spesa pubblica, liberalizzazioni, lotta (almeno a parole) alla corruzione e coinvolgimento dei militari nella gestione dell’ordine pubblico. Ogni situazione, è ovvio, presenta peculiarità proprie ma possiamo scorgere tratti comuni nelle nuove presidenze di Cile, Brasile, Honduras, Colombia, Perù, Paraguay.
  • Socialismo, o comunque governi d’ispirazione socialista rimangono quelli di Evo Morales in Bolivia (ma in ottobre si va al voto) e l’Ecuador di Lenín Moreno, che già si è scagliato contro il predecessore Correa.
  • Stabile l’Uruguay, abbastanza indebolita a causa di complicazioni monetarie l’Argentina, il Venezuela rimane in balia di se stesso.
  • La vera novità, oltre all’elezione di Bolsonaro, viene dal Messico, che ha eletto López Obrador alla guida del gigante azteco. Un presidente di ultra sinistra, che ha già avuto modo di ripensare alcune posizioni, passando dal massimalismo alla realpolitik.

Aree di crisi

  • Venezuela; va avanti grazie al  patto tra Governo e militari ma presenta una situazione molto difficile per la popolazione. La rabbia è sempre pronta ad esplodere.
  • Argentina: a ottobre si vota e Macri deve riuscire a rimettere in sesto i conti pubblici e l’economia reale, se non vuole disordini.
  • Bolivia; anche qui si vota a ottobre, Evo Morales si batterà ma il risultato non è acquisito.

Opportunità

  • Spazio di manovra politica: in uno scenario così frammentato, con la grande volatilità dei prezzi delle materie prime a farla da padrone, con le problematiche economico – finanziarie legate alla redistribuzione delle risorse, registriamo due fatti importanti nell’area. Venuto meno il tentativo brasiliano di trasformare il peso economico in politico, con l’aggravarsi della crisi venezuelana, la scomparsa della guerriglia in Colombia e la transizione in atto a Cuba, si è creato dello spazio di manovra che alcune potenze stanno cercando di occupare.
  • Asse con Washington; Lungi dal disinteresse obamiano, Donald J. Trump sembra aver rispolverato la dottrina Monroe ed ha ricominciato ad interessarsi all’area, non solo per respingere migranti provenienti dal Rio Grande, in ciò favorito dalla mano tesa del 38esimo presidente brasiliano, che intende stabilire un asse nord – sud a discapito delle alleanze regionali.
  • Interesse delle grandi potenze; In maniera più soft, come nel suo stile, anche la Cina di Xi Jinping vanta numerosi crediti nell’area, soprattutto alla ricerca di cibo a basso costo e di nuovi mercati disposti ad accettare capitali e manodopera cinese. Si sta affacciando nell’area anche la Russia, per via della crisi venezuelana; ha nel mirino le ricchezze della foce dell’Orinoco. La recente visita di Erdogan nel continente si spiega, poi, con le mire espansionistiche della Turchia , anche se per il momento ha trovato canali tutto sommato chiusi. Il dato è certo; dopo un quindicennio di disinteresse, spiegato anche dalla leadership politica ed economica di Brasilia (ma il prezzo delle materie prime aiutò non poco), l’America latina torna a destare l’interesse dei grandi e tutto sommato sembra conclusa, o comunque in via di esaurimento, l’esperienza delle unioni o alleanze continentali come l’ALBA.

Personaggio dell’anno

Senz’altro il nuovo Presidente brasiliano Jair Bolsonaro, che è anche la più grande sorpresa. Il 2019 si presenta così, come appendice ed epilogo del 2018. Sembra passata l’epoca della collaborazione per rafforzare la dimensione politica continentale; il Brasile continuerà a tirare la volata ma lo farà in ottica “atlantica”, mentre le potenze del Pacifico cercheranno di rafforzare un’intesa dalla loro parte. Bolsonaro ha vinto parlando di privatizzazioni, di legame con Trump, di sicurezza, di una nuova era della politica internazionale. Vedremo cosa riuscirà a fare. Certo sembra avere tutto dalla sua parte; controlla le camere, ed è praticamente senza nemici nel continente. L’Argentina potrà fare ben poco, impegnata con le elezioni presidenziali di ottobre e intenta a dimostrare la propria solvibilità all’FMI, dopo aver ricevuto l’ennesimo prestito da 50 miliardi. Sarà interessante, anche se non decisivo per gli equilibri continentali, vedere dove porteranno le lezioni boliviane.

Eventi dell’anno

  • 1° gennaio, Insediamento Bolsonaro in Brasile
  • 3 febbraio, elezioni in El Salvador
  • 24 febbraio, voto per la nuova Costituzione Cubana
  • 5 maggio, elezioni a Panama
  • 16 giugno elezioni in Guatemala
  • 27 ottobre elezioni presidenziali in Argentina
  • Ottobre, elezioni presidenziali in Bolivia
  • Novembre, presidenziali in Uruguay
  • 24 novembre Ballottaggio in Argentina

E L’Italia? L’Italia sembra poco interessata al continente che ospita qualche decina di milioni di connazionali. Non ci sono particolari relazioni con i Paesi dell’area (a parte magari Argentina, Uruguay e Brasile); momento di grande risalto delle cronache è stato l’arresto del latitante Battisti. Il nostro Paese, al momento, appare più concentrato sulla difficile partita europea e sulla questione – bilancio. Poi dopo le europee di maggio, eventualmente, si vedrà.

Il mondo nel 2019 – Medio Oriente e Nord Africa

In breve

  • Il 2018 si è confermato come un anno di conflitti in Medio Oriente, trend ormai stabile almeno dal 2003 (qualcuno direbbe: “da sempre”). Se negli anni precedenti l’attenzione principale si è concentrata sulla lotta all’ISIS, la sua riduzione a poche enclave ha portato alla luce la sottostante sfida tra potenze regionali e internazionali, che ora domina il panorama dell’area.
  • Il conflitto tra Iran e Arabia Saudita continua ad evitare un confronto diretto tra i due Paesi, concentrandosi invece a livello politico e anche militare per procura in molti Paesi: Siria, Yemen, sfida GCC-Qatar. Nessun contendente appare sul punto di cedere e il 2019 non si presenta come un anno “risolutivo” ma semplicemente “di continuità” rispetto al passato.
  • L’opposizione USA all’Iran (incluse le sanzioni) rimangono uno degli aspetti che maggiormente mostra come la crisi mediorientale tocchi gli equilibri internazionali. L’Europa è interessata a salvaguardare il JCPOA, ma le imprese europee (e non solo) faranno fatica a interfacciarsi con i partner iraniani. Le difficoltà economiche iraniane crescono, ma il regime appare ancora lontano dal cedere come spera l’amministrazione Trump.
  • Il rapporto tra Curdi siriani e Turchia rappresenterà invece la Spada di Damocle sulla stabilizzazione in Siria. I Curdi temono di essere abbandonati dagli USA e consegnati di fatto a una Turchia che si prepara a prendere il controllo del nord della Siria. Ne potrebbero beneficiare Mosca e Assad, che a questo punto si potrebbero presentare come difensori dei Curdi siriani, ma Washington sa che sarebbe una sconfitta strategica e temporeggia. L’evoluzione dello stallo sarà una delle caratteristiche da osservare.
  • L’Egitto rimane nella morsa del Presidente al-Sisi, ma la dinamica più rilevante del Paese è lo sviluppo dei progetti di gas e idrocarburi in genere nel bacino del Levante, in primis il giacimento di Zohr (che proprio nel 2018 ha iniziato la produzione). Altri progetti minori sono stati scoperti e sviluppati, a testimonianza di un’area che potrebbe riservare molte nuove sorprese a vantaggio dei Paesi mediorientali e dell’Europa, in quanto importatore.
  • La parola del 2019 e oltre però rimane “ricostruzione”. Dall’Iraq post ISIS alla Siria che pur non pacificata vede ora vaste aree lontano dai combattimenti, ricostruire materialmente le città e le infrastrutture (e spiritualmente le persone e i legami) risulta la vera sfida mediorientale per eccellenza. Lo sarà anche per Paesi devastati come lo Yemen una volta usciti dal conflitto, quando avverrà. Corruzione e divisioni settarie rimangono il problema principale, ma la chiave per un Medio Oriente diverso rimane questo.

Aree di crisi

  • Yemen: gli accordi firmati in Svezia lo scorso dicembre hanno fatto sperare in negoziati proficui, ma il conflitto yemenita è ben lungi dal volgere al termine e nessuna condizione stabilita è stata ancora rispettata. Entrambe le parti sperano ancora in una vittoria militare. Da un lato gli Houthi auspicano un possibile ritiro dei sauditi dal conflitto, mentre le forze filo-governative, forti dei risultati ottenuti sul campo, sperano che gli avversari accettino le condizioni per la fine del conflitto.
  • Libia: il sostegno dato al generale Haftar dalla Russia, dall’Egitto e dalla Francia non è sufficiente a porre fine al caos libico e in particolare la Tripolitania rimane profondamente divisa tra varie milizie. Le elezioni della prossima primavera hanno l’obiettivo di riportare in primo piano la politica rispetto all’uso delle armi, ma si teme producano l’ennesimo risultato di scarso valore pratico se le numerose milizie locali continueranno ad essere escluse da un processo che a loro appare “imposto” dall’esterno.
  • Il Golfo: a quasi due anni di distanza la crisi del Golfo sembra non trovare una distensione, soprattutto dopo l’annuncio del Qatar di uscire dall’OPEC. Nel frattempo il Qatar stesso continuerà a rafforzare i propri rapporti con la Turchia e l’Iran per sopravvivere all’embargo e trovare nuovi alleati.
  • Siria: nonostante alcuni fattori facciano pensare ad una normalizzazione della crisi siriana, il conflitto è ben lontano dall’essere risolto. Più del 40% del territorio siriano non è sotto il controllo del governo di Damasco e gli attori coinvolti non hanno ancora trovato una soluzione comune. Il ritiro delle truppe americane (più lento di quanto non sembrasse dalle dichiarazioni del Presidente USA Donald Trump) non farà altro che aumentare la competizione tra Russia, Iran e Turchia e potrebbe spingere Israele, critico dell’espansione iraniana in Siria, ad un approccio più aggressivo.

Opportunità

Difficile trovare note di speranza in un’area dove conflitti e problemi abbondano, proprio per questo però è da notare come conflitti tragici come quello dello Yemen, fino a qualche anno fa pressoché dimenticati dall’opinione pubblica internazionale, sono ora ampiamente documentati e questo ha fatto nascere una maggiore spinta da parte di opinione pubblica e organizzazioni internazionali perché si trovi una soluzione. Se da un lato è l’appoggio estero che permette ai contendenti di continuare a combattere, sarà la perdita di tale appoggio a fermarli?

Personaggio dell’anno

Mohammed bin Salman: indebolito da questo 2018, il principe ereditario ha da giocare molte partite nello scacchiere mediorientale. La crisi del Golfo e la più stretta relazione del Qatar con l’Iran e la Turchia non era proprio quello che il principe si aspettava dall’imposizione dell’embargo. Anche da qui deriva la decisione di creare una “NATO araba” per contrastare l’espansione iraniana nella regione, formata da Arabia Saudita, EAU, Kuwait, Bahrein, Egitto e Giordania. Il progetto non è nuovo, e gli analisti sono dubbiosi circa il suo reale valore. Il sostegno alle forze filo-governative nel conflitto in Yemen rappresenta un altro impegno da mantenere, sempre in linea con l’obiettivo di arginare il soft power iraniano.  A seconda dei risultati, il 2019 potrebbe rappresentare per lui un anno di ripresa o la conferma di un’ascendente in calo ed è quindi cruciale.

Eventi dell’anno

  • Gennaio: il Qatar fuori dall’OPEC
  • Fine gennaio: nuovo incontro per la risoluzione del conflitto in Yemen tra i ribelli Huthi e forze filo-governative
  • Marzo: vertice della Lega Araba in Tunisia
  • Aprile: elezioni presidenziali in Algeria a cui Bouteflika parteciperà per ottenere il suo quinto mandato nonostante i dubbi sulla sua salute
  • Giugno: elezioni presidenziali in Libia
  • Ottobre-Novembre: elezioni presidenziali in Tunisia

Lorenzo Nannetti – Altea Pericoli

Il mondo nel 2019 – Russia e CIS

In breve

  • Superata con successo la prova dei Mondiali di calcio, la Russia di Putin ha vissuto un 2018 piuttosto incolore, tra tensioni esterne con l’Occidente e crescente insoddisfazione interna per le difficoltà dell’economia. La figura del Presidente è parsa meno incisiva e meno popolare rispetto al passato, soprattutto a causa della controversa riforma delle pensioni promossa dal Governo Medvedev.
  • Nonostante ciò, Mosca ha continuato a giocare un ruolo di rilievo in Medio Oriente e ha difeso con forza le sue posizioni in Ucraina, arrivando addirittura al blocco navale dello Stretto di Kerch lo scorso novembre. Putin ha anche rafforzato l’alleanza con la Cina in Asia e ha mostrato un crescente interesse verso l’Africa subsahariana, avviando contatti diplomatici e militari con diversi paesi della regione.
  • Nulla di nuovo invece nei rapporti con Europa e USA, ormai bloccati in una spirale di sospetti e recriminazioni. In tal senso il caso Skripal sembra aver danneggiato seriamente ogni possibilità di distensione a breve termine, nonostante i tentativi di alcuni Governi europei (Italia compresa).
  • Il 2018 è stato relativamente grigio anche per gli altri membri del Commonwealth of Independent States (CIS), con la significativa eccezione dell’Armenia. La “rivoluzione di velluto” di aprile ha infatti alterato radicalmente gli equilibri politici del Paese e potrebbe avere importanti conseguenze per il futuro del Caucaso, specialmente se porterà a una parziale distensione con l’Azerbaijan sul Nagorno-Karabakh.   

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Fig. 1 – Vladimir Putin con il Presidente turco Erdogan, suo importante e problematico interlocutore nello scacchiere mediorientale

Aree di crisi

  • Russia-Ucraina: resta il conflitto principale dell’area post-sovietica e quello più pericoloso per gli equilibri internazionali. Le schermaglie nel Mar d’Azov, lo stallo armato nel Donbass e l’autocefalia polemica della Chiesa ortodossa ucraina mantengono alta la tensione, rendendo impossibile una reale tregua tra Mosca e Kiev. Da questo punto di vista, le elezioni presidenziali ucraine di fine marzo saranno cruciali per capire i prossimi sviluppi dello scontro tra i due Paesi;
  • Armenia: il Governo di Nikol Pashinyan dovrà mantenere le promesse di riforme interne e cercare un nuovo profilo internazionale, specialmente nella regione caucasica. Da tenere d’occhio i rapporti con Mosca, che non ha accolto favorevolmente gli eventi rivoluzionari dello scorso anno;
  • Terrorismo islamista: rimane una minaccia seria sia per la Russia che per le repubbliche dell’Asia Centrale, alimentata dai conflitti in Siria e Afghanistan;
  • Proteste regionali in Russia: molte aree periferiche della Federazione Russa (Inguscezia, Buriazia) sono sempre più insofferenti del centralismo di Mosca e dell’arretratezza economica in cui sono costrette a vivere. Il 2018 ha già visto diverse proteste anti-governative, che potrebbero conoscere una significativa escalation nell’anno appena iniziato. 
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Fig. 2 – I leader dei Paesi del Commonwealth of Independent States (CIS) durante il loro ultimo summit a San Pietroburgo (dicembre 2018)

Opportunità

  • Dialogo diplomatico tra Russia e Unione Europea: la Russia vorrebbe relazioni più distese con i Paesi UE per alleggerire le sanzioni internazionali adottate dopo l’annessione della Crimea. Finora i tentativi della diplomazia russa sono falliti, soprattutto a causa delle recrudescenze della crisi ucraina, ma Francia e Germania sembrano comunque interessate a un dialogo pragmatico con Mosca sulle principali questioni internazionali. L’Italia potrebbe sostenere questo loro interesse e usarlo per tutelare gli interessi degli operatori economici attivi sul mercato russo, colpiti più o meno seriamente dalle sanzioni. Ciò richiederà però un atteggiamento diverso da quello polemico espresso dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini nei mesi scorsi, che non ha fatto altro che indispettire molti partner europei e alimentare le accuse di “filo-putinismo” al Governo Conte;
  • Riformismo in Asia Centrale: diversi Paesi dell’Asia Centrale stanno conoscendo un periodo di interessanti riforme economiche e politiche. L’Uzbekistan, ad esempio, ha adottato un ambizioso programma di liberalizzazioni, mentre il Kazakistan cerca di proporsi sempre più come un hub finanziario e tecnologico di rilievo in ambito eurasiatico. Tutte le repubbliche dell’area stanno poi cercando di sfruttare la spinta propulsiva della Belt and Road Initiative (BRI) cinese, aumentando il proprio peso sulla rete di nuovi collegamenti stradali e ferroviari tra Oriente e Occidente. Per l’Italia e la UE queste dinamiche sono di estrema importanza e possono offrire grandi opportunità, sia diplomatiche che commerciali. Roma però sembra ancora priva di una strategia efficace per approfittare della situazione;  
  • Spiragli sul Nagorno-Karabakh?: la “rivoluzione di velluto” armena potrebbe favorire negoziati diplomatici tra Yerevan e Baku per risolvere l’annosa questione del Nagorno-Karabakh. In tal senso alcune dichiarazioni di Pashinyan fanno ben sperare, mentre il Governo azero ha inviato diversi messaggi distensivi all’indirizzo del nuovo Premier armeno. Tuttavia le posizioni restano estremamente distanti e l’assenza di un mediatore capace potrebbe vanificare qualsiasi sforzo diplomatico tra le due parti. Al momento la Russia non sembra avere alcun interesse a sostenere seriamente un dialogo Yerevan-Baku, e anche gli USA non hanno particolari stimoli per farlo. Sarà la UE a colmare questo vuoto?   

Personaggio dell’anno

Vladimir Putin e Nikol Pashinyan. Putin dovrà cercare di riaffermare il suo primato in politica interna e difendere le posizioni conquistate a livello internazionale. Da questo di punto vista, l’avvio di riforme economiche serie sarà fondamentale per rinsaldare l’autorità del Cremlino, così come l’adozione di un profilo più cauto all’estero. Pashinyan dovrà invece implementare il rinnovamento promesso dalla “rivoluzione di velluto” e tutelare la fragile posizione dell’Armenia nel Caucaso, cercando il dialogo con l’Azerbaijan e mantenendo rapporti amichevoli con la Russia.

Eventi dell’anno

  • Visita di Putin in Italia (prima metà dell’anno)
  • Elezioni presidenziali in Ucraina (31 marzo)
  • Consiglio Supremo dell’Unione Economica Eurasiatica ad Astana (maggio)
  • Summit della Shanghai Cooperation Organisation in Kirghizistan (giugno)
  • G20 di Osaka (28-29 giugno)
  • International Economic Forum di San Pietroburgo (6-8 giugno)
  • Eastern Economic Forum di Vladivostok (4-6 settembre)
  • Summit CIS in Turkmenistan (11 ottobre)
  • Forum Russia-Kazakistan a Omsk (novembre)

Simone Pelizza

Armi in America Latina: paese che vai, legge che trovi

In 3 sorsi – Dopo il via libera in Brasile a una normativa più soft che permette maggiore facilità di acquisto e di possesso di armi, vediamo come funziona nel resto della regione latina. 

Le contese nel Mar Cinese Meridionale: verso una svolta?

In 3 sorsiLe dispute nel Mar Cinese Meridionale continuano a rappresentare una pericolosa area di crisi in Asia orientale. Al fine di evitare un’escalation militare si è a lungo ricercata una collaborazione diplomatica tra i Paesi coinvolti: nel 2018 gli sforzi per tale collaborazione hanno portato alla redazione di una bozza di “codice di condotta” per la zona, non scevra di aspetti ambigui e controversi.

Green revival: la nuova onda verde europea

AnalisiSviluppo sostenibile, integrazione europea e ‘nazionalismo green’: così i verdi si sono affermati in Baviera, Belgio e Paesi Bassi, a spese dei socialdemocratici, ma anche dei sovranisti.

El Salvador si prepara alle elezioni

In 3 sorsi – Il popolo di El Salvador si prepara a eleggere il nuovo Presidente con un voto che potrebbero rompere il bipartitismo che domina il Paese da quasi trent’anni.

Carabinieri via da Hebron: Israele non rinnova la TIPH


Ristretto – Israele decide di non rinnovare la TIPH2 (Temporary International Presence in Hebron), una missione internazionale alla quale prendono parte anche Carabinieri.

L’importanza della presenza delle TIPH a Hebron risiede nella complicata situazione della città, a maggioranza palestinese (circa 200.000) ma con un nucleo (meno di mille) di coloni israeliani ultraortodossi insediati vicino alle “Tombe dei Patriarchi”, che costituiscono un rilevante sito religioso ebraico, protetti da un consistente apparato militare delle IDF. In seguito al massacro alla Moschea di Ibrahim nel 1994, e una seguente condanna da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, Israele e Autorità Nazionale Palestinese hanno concordato con Italia, Danimarca e Norvegia una presenza internazionale temporanea per monitorare la situazione, riportare eventuali violazioni e contribuire a un clima più sereno. Nonostante la difficoltà del compito, la presenza è continuata ininterrotta fino ad ora: il 31 gennaio infatti il mandato scadrà e non verrà rinnovato per decisione israeliana, e ci saranno tre mesi per le operazioni di rientro del personale. I compiti della TIPH sono sette: promuovere il senso di sicurezza della popolazione palestinese di Hebron tramite la propria presenza; aiutare a promuovere stabilità e un ambito adatto per il benessere della popolazione palestinese di Hebron e il suo sviluppo economico; osservare lo sviluppo della pace e della prosperità tra i Palestinesi; assistere nella promozione ed esecuzione di progetti sviluppati dai Paesi donatori; incoraggiare lo sviluppo e la crescita economica di Hebron; fornire rapporti sulla situazione; coordinare le proprie attività con le autorità Israeliane e Palestinesi. Per svolgere tali compiti i membri della TIPH godono di immunità diplomatica e sono autorizzati a registrare (anche con video e foto) quanto avvenga nella loro area di responsabilità, una delle più difficili del mondo. La cessazione di tale presenza non contribuirà a rasserenare gli animi e renderà meno facile la documentazione di quanto avvenga nell’area, a tutto svantaggio della pacificazione.


Lorenzo Nannetti

Un altro record infranto dal Tycoon

In 3 sorsi Donald Trump è riuscito a battere un altro record: il recente shutdown parziale del Governo è il più lungo della storia degli Stati Uniti. I 34 giorni senza fondi della sua Amministrazione hanno superato i 21 giorni dell’era Clinton. Che cosa è successo, e cosa significa di preciso “government shutdown”?

Macron e gilet gialli: la consultazione popolare per riavvicinarsi ai francesi

In 3 sorsi – Dopo circa due mesi di proteste e scontri a opera dei “gilet gialli”, il Presidente francese Emmanuel Macron opta per il dialogo e indice una consultazione popolare che sarà aperta fino al 15 marzo per interrogare i cittadini francesi su svariati temi d’attualità, dal fisco all’immigrazione. Che contraccolpo ha avuto e avrà sul consenso elettorale del leader liberale?

Le ultimissime dalla Somalia

In 3 sorsi – Nuove problematiche di politica interna attanagliano il Governo Federale e il presidente Farmaajo, mentre sul fronte della sicurezza si registra un aumento delle ostilità tra al-Shabaab e coloro che combattono per lo Stato Islamico in Somalia.