Come perseguire l’interesse economico nazionale? Prima ancora di pensare a ricette di politica economica, bisognerebbe concentrarsi sulle persone, come ci spiega la Prof. Simona Beretta, docente di Politiche Economiche Internazionali all’Università Cattolica di Milano e membro del nostro Comitato Scientifico
Gestire l’era Trump
- Le relazioni bilaterali tra Italia e Stati Uniti godono, al momento, del vantaggio di avere punti politici in comune tra i Governi (immigrazione, sovranismo).
- L’Italia ha un surplus commerciale rispetto agli Stati Uniti, cosa che l’amministrazione Trump in generale non tollera.
- L’Italia non spende il 2% del PIL nel settore Difesa come richiesto più volte dagli Stati Uniti.
- Trump rimarrà in carica per almeno altri due anni. L’interesse italiano è riuscire a mantenere il livello attuale delle relazioni, vantaggiose soprattutto a livello commerciale.
Status delle relazioni
Il rapporto con Washington è sempre stato importante nella politica estera dell’Italia repubblicana. Non sono certo mancati momenti di crisi, come, per citarne due, il caso Sigonella nel 1985 e quello del Cermis nel 1998. È un fatto che nonostante i cambi di Presidenti e amministrazioni statunitensi e quelli (ben più frequenti) dei Governi italiani, le relazioni tra i due Paesi si siano mantenute sempre su buoni livelli.
Nella scheda del Dipartimento di Stato statunitense, aggiornata al febbraio 2018, la partneship con l’Italia è definita “una delle più forti” e il nostro Paese viene ringraziato per il contributo dato alle missioni di peacekeeping, alla lotta ai traffici di esseri umani e di droga e al terrorismo.
Un fattore che contribuisce alla stabilità delle relazioni anche con l’amministrazione Trump è la comunanza di vedute su alcuni temi tra i due esecutivi. Prima di tutto, la linea dura sul tema dell’immigrazione, più volte apprezzata dallo stesso Trump via Twitter
A questo c’è da aggiungere l’impostazione “sovranista” di entrambi i Governi anche se con nette differenze. Ad esempio, gli Stati Uniti sono su un sentiero di denuncia del multilateralismo a favore di accordi bilaterali, dove possono far valere il loro maggior peso nei negoziati, oltre a un ritiro, per ora annunciato, da diversi teatri di crisi. Per quanto riguarda l’Italia, invece, l’impostazione sovranista è rivolta soprattutto nei confronti dell’Unione Europea e a una critica alle istituzioni di questa organizzazione internazionale, specialmente la Commissione.
Nel rapporto bilaterale con gli USA, a livello commerciale l’Italia ha un discreto surplus tra importazioni ed esportazioni. Queste ultime eccedono il doppio rispetto alle prime.

Fig. 1 – saldo commerciale in beni tra Italia e Stati Uniti (valori in milioni di dollari). Dati www.census.gov
Gli Stati Uniti rappresentano rispettivamente il 9,1 e il 9,7% dello sbocco delle esportazioni italiane in beni e servizi.

Fig. 2 – dati WTO.

Fig. 3 – i dati di questi grafici sono elaborati dalla World Trade Organization (WTO)
Problematiche
Nonostante i proclami di reciproca amicizia e stima, fatti sui social media e durante gli incontri bilaterali, sui rapporti Italia-USA pendono due spade di Damocle. Durante la sua Presidenza, Trump non ha mai fatto mistero di voler modificare tutti quei rapporti commerciali che vedono Washington in deficit. Inoltre, ha ripreso la campagna già avviata dai suoi predecessori per l’aumento delle spese per la Difesa dei partner europei della NATO fino al tetto del 2% del PIL. Stando ai dati, l’Italia è “colpevole” su entrambi i fronti. I grafici in precedenza hanno dimostrato il saldo commerciale positivo del nostro Paese nei confronti degli Stati Uniti. A ottobre 2018, il saldo dell’ultimo anno vedeva un surplus italiano di 25,662 miliardi di dollari. Nel 2017 si era arrivati a 31,512 miliardi di dollari. Per ora, l’Italia non è entrata nel mirino di Trump e ha beneficiato anche di esenzioni per quanto riguarda l’applicazione delle sanzioni all’Iran. Questo può essere dato da due fattori. Il primo è che il nostro Paese agisce nel contesto dell’Unione Europea, che è il primo obiettivo di Trump a livello commerciale. Il secondo è che, nell’ottica di Trump, la Germania è il bersaglio grosso. Con Berlino, Washington soffre di un deficit commerciale di 56,491 miliardi di dollari a ottobre 2018.
Anche per quanto riguarda le spese per la Difesa la situazione non è delle migliori. Secondo i dati NATO, l’Italia spenderà l’1,13% del PIL nel 2019, con un leggero calo rispetto al 2018 (1,15%). Come si può notare, quest’anno ci sarà un differenziale di 0,87 punti percentuali rispetto al tetto “preteso” dagli Stati Uniti.
Obiettivi
- Strategia “conservativa” per almeno i prossimi due anni (tempo minimo di permanenza di Donald Trump alla Casa Bianca) per mantenere gli attuali livelli di relazioni.
- Mettere in evidenza il contributo italiano alle missioni militari all’estero, molte delle quali a sono o sono state volute e guidate dagli Stati Uniti, per controbattere alla retorica del 2% del PIL in Difesa.
- Essere pronti a mettere sul piatto uno spostamento politico diplomatico verso Parigi e Berlino (soprattutto a Brexit avvenuta) in caso di minacce di dazi commerciali. La differenza in peso economico e politico è troppo ampia per permettere all’Italia di affrontare gli Stati Uniti da sola e fuori dal contesto europeo.
Emiliano Battisti
L’Italia e l’interesse nazionale: parola di Ambasciatore
Si può parlare di “interesse nazionale” senza pregiudizi di valore ma ragionando sulla base di considerazioni di carattere geopolitico? Certamente: ecco cosa dovrebbe fare l’Italia per perseguire il suo interesse secondo l’Ambasciatore Gianni Castellaneta, membro del Comitato Scientifico del “Caffè”
Il 2019 visto da San Pietro
Il tradizionale discorso del papa al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede rappresenta sempre un’occasione preziosa per tracciare un bilancio dell’azione svolta dalla diplomazia pontificia nell’anno appena trascorso, e per fissare i punti dell’agenda del papa per l’anno appena iniziato. Anche il lungo e articolato discorso che Papa Francesco ha rivolto ai diplomatici il 7 gennaio scorso non fa eccezione da questo punto di vista. Qui di seguito proviamo ad esaminare alcuni dei principali scenari sui quali si giocherà l’azione della Santa Sede sul piano internazionale nei prossimi mesi
Le nuove Vie della Seta: una scommessa per l’Italia
In breve
- Il progetto cinese della nuova Via della Seta si spinge fino all’Europa e riguarda direttamente anche l’Italia
- Uno dei sei percorsi che si spingono verso Occidente approdano nel Mediterraneo coinvolgendo i principali porti italiani
- Il Governo di Roma sta guardando sempre più a Oriente nell’ottica di aumentare gli scambi commerciali e gli investimenti con Pechino
Le vie della seta del XXI secolo
“One Belt, One Road” (OBOR) oppure “Belt and Road Initiative” (BRI), in cinese 一 带 一 路Yīdài yīlù, una cintura, una via, sono gli acronimi con cui viene indicato un piano epocale, per un controvalore di mille miliardi di dollari (circa sette volte il piano Marshall), che riecheggia le antiche Vie della Seta, un grande spazio fisico non solo per lo scambio di merci, ma per la costruzione di modernissime infrastrutture, anche nelle terre più desolate, per creare lavoro, ricchezza, progresso e scambi culturali, in un’ottica di equità. Queste nuove Vie della Seta si ramificano in sei corridoi che corrono per l’Asia e arrivano fino al cuore dell’Europa e si spingeranno, nel 2019, molto più a Nord, fino alla penisola artica di Yamal, 600 km oltre il Circolo Polare Artico, su quella che viene chiamata la Via della Seta Polare. Alle vie di terra si aggiungono poi i “blue economic passages” per la cooperazione marittima, un partenariato blu per lo sviluppo sostenibile, che si dirige verso l’Oceano Indiano, collegandosi con l’Africa, nella quale il Governo cinese sta espandendo la propria influenza, con i recenti stanziamenti per oltre 60 miliardi di dollari. Il percorso marittimo, risalito il Mar Rosso, entra nel Mediterraneo dove approda in Italia per ricollegarsi ai corridoi terrestri.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – La bandiera cinese sventola su un cantiere del porto pakistano di Gwadar, centro nevralgico della nuova Via della Seta nell’Oceano Indiano
Obiettivi e criticità
L’ampiezza di questa progettualità sta però suscitando timori e sospetti in molti Stati, sia per l’asimmetria dei rapporti, che ha spinto diversi Paesi a recedere dagli accordi, sia per l’assertività della Cina sui mari, che traspare sotto la copertura dei blue economic passages. I rischi economici ventilati ricordano gli ammonimenti presenti nel VI e nel XII libro della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (I sec. d. C.), per limitare il commercio della seta, che aveva causato un disavanzo nelle casse dell’erario romano che ammontava a circa 100 milioni di Sesterzi! D’altro canto, nel discorso di Capodanno, il Presidente Xi Jinping ha assicurato un sempre maggiore impegno finanziario nel progetto, che ha determinato una crescita dei flussi commerciali straordinaria. Questa connettività rende il piano il più imponente del secolo, assurto a dignità costituzionale con l’inserimento nell’emendamento dell’11 marzo 2018 alla Carta Costituzionale della RPC, vigente del 1982. L’obiettivo che il Dragone si prefigge è quello di creare mercati e sviluppo economico per dare sbocchi alle industrie cinesi, attraverso un’ulteriore apertura che le consentirà di “spalancare” le porte al mondo ed assicurare quella stabilità indispensabile per l’ascesa verso il primato globale. Un Paese non più emergente, ma emerso alla luce della continuità imperiale sinocentrica.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Giuseppe Conte: i tre personaggi chiave dell’attuale Governo italiano hanno idee diverse e spesso contrastanti sulla partecipazione di Roma alla Belt and Road Initiative cinese
L’impatto geopolitico italiano
Le nuove Vie della Seta rappresentano per l’Italia una grande opportunità che consentirebbe allo Stivale di dare un notevole contributo alla creazione di un mondo globale multipolare. La collocazione geografica rende inoltre molto appetibili, nell’ottica BRI, i principali porti italiani, al centro del Mediterraneo, complementari ad Haifa, Ambarli (Turchia) ed anche al Pireo, ormai acquisito, per il 51%, da parte cinese dal 2016. Nel 2019, mentre il nuovo sistema portuale Genova – Savona si appresta a fungere da raccordo con il Nord Europa, Trieste da cerniera con i Paesi dell’Est, Venezia continua a rappresentare la naturale porta dell’Europa verso Oriente, con un porto, antico di 1200 anni, collegato ad una rete ferroviaria sviluppata e moderna e un hub imprenditoriale, presente nel territorio circostante, in grado di interfacciarsi con la controparte cinese per un interscambio complementare e proficuo per entrambi. A fronte della riluttanza dell’Unione Europea a manifestare una qualche progettualità coordinata, l’Italia, che offre competenze distintive in diversi settori, dovrà però rapportarsi con un Governo come quello di Pechino che, avvezzo ai Piani quinquennali, alle vision decennali e a progettazioni che arrivano al 1949 (per il centenario della fondazione della RPC), si aspetta da Roma coordinamento, costanza e continuità. Il Governo italiano, che guarda con molta attenzione al ritorno di questa potenza geoculturale che ha saputo cavalcare le dinamiche della globalizzazione con estrema rapidità, sarà in grado di garantire impegni di medio e lungo periodo in un’ottica strategica, che coinvolga gli interlocutori istituzionali, le autorità portuali, i gruppi imprenditoriali? Saprà sensibilizzare gli ambiti scientifici e tecnologici più avanzati e stimolare una sempre maggiore internazionalizzazione delle imprese? Vincere questa scommessa consentirebbe all’Italia di giocare un grande ruolo geopolitico dando una forte spinta alla tanto agognata ripresa economica, in un contesto di pace e stabilità.
Elisabetta Esposito Martino
L’Italia e l’UE nel 2019: tra euroscetticismo e realpolitik
In breve
- Elezioni europee e rinnovo della Commissione saranno al centro dei rapporti tra Italia e UE nel 2019, ma non è escluso che in autunno si ripeta il braccio di ferro sulla manovra.
- I rapporti di Roma con Parigi e Berlino (e Mosca) condizioneranno quelli con Bruxelles.
- L’euroscetticismo italiano è destinato a restare.
Un 2019 tra elezioni, diplomazia e rinnovo delle Istituzioni Europee
Il 2019 si annuncia come un anno molto importante per i rapporti tra Italia e Unione Europea. Innanzitutto, perché tra il 23 e 26 maggio si svolgeranno le elezioni europee, che rinnoveranno il Parlamento Europeo e porteranno, nel giro di alcuni mesi, a una nuova Commissione. Ma anche perché si attende di capire come evolverà la politica europea del governo italiano formatosi nella scorsa primavera, il primo esecutivo nazionale ad essere apertamente euroscettico (con sfumature antieuropeiste) nella storia del nostro Paese. Inoltre, bisognerà capire come procederanno le relazioni tra Roma e le due capitali più importanti d’Europa: Parigi e Berlino. Teoricamente estranee alla materia, i rapporti italo-francesi e italo-tedeschi rivestono in realtà una grande importanza pratica nel legame tra il nostro Paese e l’Unione Europea. Infine, il cambio della guardia al vertice della Banca Centrale Europea comporterà l’uscita dall’Eurotower (dopo 8 anni) di Mario Draghi, forse la figura italiana più importante ad avere rivestito incarichi europei dal 1957 ad oggi. La sua successione sarà cruciale per capire in che direzione si muoverà la politica economica europea.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Mario Draghi è in uscita dalla BCE
La disputa sulla manovra e i suoi strascichi
La partita più importante del 2018 tra Roma e Bruxelles è stata, non sorprendentemente, la manovra economica. Le tensioni tra Governo italiano e Commissione Europea, iniziate alla fine dell’estate e culminate in un braccio di ferro durato per tutto l’autunno, hanno pochi precedenti nella storia dei rapporti tra l’UE e il nostro Paese. Certo, anche in passato la presentazione della legge di Bilancio ha spesso comportato frizioni, ma mai così lunghe e drammatiche. Il compromesso tra Roma e Bruxelles ha evitato la possibile apertura di una procedura di infrazione e la Commissione ha dato l’impressione di essere riuscita a “piegare” l’esecutivo italiano (il deficit del nostro Paese si dovrebbe attestare al 2,04% del PIL), ma la sensazione è che i partiti di maggioranza abbiano ceduto solo nella speranza di rimandare il confronto al 2019, contando su un eventuale ammorbidimento delle posizioni della Commissione in seguito a un’auspicata (ma del tutto da verificare) “ondata populista”. Insomma, Lega e Movimento 5 Stelle confidano in una sorta di “4 marzo europeo” per spazzare via la “vecchia politica” anche dagli ingranaggi della macchina comunitaria.
Le elezioni europee e le posizioni dei partiti di maggioranza
Un altro elemento che rende estremamente interessanti, almeno dal punto di vista italiano, le elezioni europee della prossima primavera è il fatto che nessuno dei due partiti della maggioranza (largamente favoriti nei sondaggi politici italiani) appartenga a una “famiglia” partitica europea ben definita. Entrambi, Lega e Movimento 5 Stelle, siedono in gruppi “populisti” abbastanza recenti, poco compatti e piuttosto marginalizzati nei palazzi di Bruxelles e Strasburgo. In parte, si tratta di un retaggio dell’epoca politica precedente (soprattutto per la Lega, che, alle scorse elezioni europee, ottenne appena il 6%). In parte, e qui è il caso dei 5 Stelle, è la conseguenza di una certa ostilità verso le famiglie politiche tradizionali e verso la classica distinzione destra-sinistra.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Non sarà un anno facile per Emmanuel Macron
I rapporti con la Francia rimarranno tesi
Sempre il voto di maggio sarà l’occasione per fare un primo bilancio di una delle contese politiche europee più laceranti del 2018: quella tra il Presidente francese Emmanuel Macron e i “populisti italiani”. I rapporti con la Francia sono infatti peggiorati nel corso del 2018, confermando un trend iniziato nella primavera del 2017, con l’elezione di Macron all’Eliseo. Già in quell’anno, infatti, il governo italiano si era scontrato con Parigi, nonostante la teorica vicinanza politica alle idee del neo-Presidente francese. Nessuna sorpresa, quindi, che le relazioni si siano ulteriormente deteriorate con l’entrata in carica del governo Conte. Immigrazione e Libia sono stati e sono i temi più caldi. La disputa, tuttavia, è diventata meno “tecnica” e molto più “politica”. Lo dimostrano i commenti poco diplomatici di alti esponenti del governo italiano sui gilet gialli o le dure affermazioni di Macron sul populismo che contagia i Paesi del continente “come una lebbra”. Insomma, Roma e Parigi (o, meglio, i rispettivi vertici politici) vedono l’altro come l’unico vero avversario sull’arena europea, con importanti ricadute interne. Che questa percezione, consacrata recentemente anche dal Financial Times, sia fondata ha un’importanza tutto sommato secondaria. Macron da una parte e Di Maio e (soprattutto) Salvini dall’altra si vedono come i principali campioni, rispettivamente, di “europeismo” e “sovranismo” sulla scena politica europea. Non solo. Sono anche fermamente convinti che sarà la lotta tra questi due concetti a determinare il loro destino politico, quello del vecchio continente e quello delle loro nazioni. Una soluzione che preveda la “coesistenza pacifica” di entrambi questi concetti è al momento scartata, dato che la vittoria politica di uno schieramento metterebbe in pericolo la sopravvivenza dell’altro in Europa e nei rispettivi Paesi natali. Ecco dunque che i protagonisti lottano retoricamente senza esclusione di colpi, dando un’immagine lontana dal mondo diplomatico e della politica internazionale e più vicina ad ambienti e stili delle campagne elettorali domestiche. Il primo banco di prova per misurare i rapporti di forza a livello continentale tra “europeismo” e “sovranismo” saranno le elezioni di maggio.
La Germania: un “elefante nella stanza”
Essendo in rapporti burrascosi con la Francia, per l’Italia la convenzionale contromossa sarebbe quella di coltivare buoni rapporti con la Germania. Va detto che in questo caso il governo Conte sembra in parte aver seguito la tradizione. I membri dell’esecutivo italiano hanno molto apprezzato la discrezione del governo tedesco durante il braccio di ferro sulla manovra e, in generale, le frizioni sono molto minori che con la Francia. In questo ha aiutato il fatto che Angela Merkel abbia uno stile molto differente da quello di Macron. La Cancelliera non ama i conflitti e rifugge lo scontro. Inoltre, è sempre più debole e ormai al termine della sua parabola politica. La prudenza tedesca, tuttavia, non deve trarre in inganno. Merkel o non Merkel, se l’Italia nel 2019 dovesse mettere (volontariamente o meno) a rischio la tenuta dell’area euro o della stessa UE, Berlino, insieme a Parigi, farebbe di tutto per contenere i danni ed evitare effetti disgregatori sull’Unione.
Il nodo Russia
La questione dei rapporti con la Russia, fin dallo scoppio della crisi ucraina nel 2014, ha comportato alcune frizioni tra l’Italia e i suoi partner euroatlantici, specialmente in sede europea. Sebbene Roma abbia condiviso la politica delle sanzioni UE contro Mosca, spinta soprattutto da Berlino (e Washington), ha sempre cercato di attenuarne l’impatto e di porre le basi per il loro superamento. Questo atteggiamento è dovuto all’importanza attribuita dal nostro Paese ai rapporti energetici, politici ed economici con la Russia. Il nuovo governo italiano, in questo senso, non sembra essersi discostato molto dalle orme dei suoi predecessori: le critiche alle sanzioni sono più aperte (sebbene molto più rare che in campagna elettorale), ma quando si è trattato di venire al dunque Roma ha approvato il prolungamento delle misure contro Mosca senza drammi. Alla fine dell’anno le sanzioni sono state rinnovate fino al luglio del 2019 (l’incidente nello stretto di Kerch ha avuto come effetto quello di ricompattare l’Unione). Si vedrà se l’esecutivo cercherà di opporsi a un ulteriore prolungamento, ma è improbabile che il nostro Paese riesca a bloccare il rinnovo in assenza di novità sostanziali che rompano il “fronte della fermezza” (composto da USA, Regno Unito, Germania, Francia, Polonia e Paesi Baltici) formatosi nell’UE e nella NATO a partire dal 2014.
L’euroscetticismo italiano non scompariràÀ
I rapporti tra UE e Italia nel 2019 saranno estremamente influenzati dalla politica interna del nostro Paese. La stabilità della coalizione di governo, da questo punto di vista, giocherà un ruolo cruciale. Tuttavia, è improbabile che l’euroscetticismo italiano si sciolga come neve al sole al momento dell’eventuale caduta dell’attuale governo. Gli italiani hanno in gran parte perso molte delle illusioni che avevano alimentato il loro storico europeismo e non da oggi. La crisi economica e dei debiti sovrani, insieme alla questione migratoria, hanno infatti messo a nudo alcune contraddizioni di fondo nella costruzione europea. Contraddizioni che erano sempre esistite, ma che la nostra opinione pubblica e la nostra classe politica avevano lungamente ignorato. Sebbene questo cambiamento presenti anche dei rischi non indifferenti (in particolare se si cedesse alla tentazione di addossare la colpa di tutti i mali del nostro Paese all’UE), questa evoluzione della percezione dell’Unione dovrebbe essere sfruttata dagli europeisti italiani per costruire un europeismo più moderno, meno ideologico e più ancorato alla realtà e a politiche fattibili e concrete. Il 2019 dell’Italia, per quanto riguarda i rapporti con l’Unione Europea, sarà quindi caratterizzato da due fenomeni: l’euroscetticismo dell’opinione pubblica e di una parte importante della classe politica e le necessità della realpolitik, riconosciute anche dai critici italiani dell’Unione. Insomma, gli italiani non amano l’UE, ma al momento sentono di non poterne nemmeno fare a meno, come dimostra l’ultima edizione del sondaggio Eurobarometro che rivela che solo il 43% degli italiani ritiene di aver avuto vantaggi dall’appartenenza all’UE, ma il 63% è favorevole all’utilizzo della moneta unica. La combinazione tra questi due elementi non è affatto semplice, ma sarà compito del nostro Governo cercare di giocare un ruolo primario nella nuova legislatura europea al fine di difendere i nostri interessi politici ed economici. Puntare su un’alleanza con gli altri Stati “sovranisti” come Austria, Ungheria e Polonia potrebbe essere riduttivo o addirittura controproducente: si tratta per lo più di Paesi dal peso politico ed economico relativamente limitato e fautori di un rigore di bilancio difficilmente compatibile con il programma dell’attuale Governo italiano. Lo svolgimento di tale ruolo non potrà quindi prescindere da una relazione costruttiva e collaborativa con Francia e Germania.
Davide Lorenzini
L’Italia, i rapporti con Francia e Germania e la decisione di lungo periodo
- Le relazioni dell’Italia con Francia e Germania sembrano deteriorarsi per via delle differenti vedute sulla gestione interna ed europea dei principali temi economici.
- L’Italia reclama da tempo un rapporto paritetico tra Roma, Parigi e Berlino. Ma la mancanza di visione di lungo periodo unita alla cattiva gestione economica rende l’Italia debole ed inaffidabile agli occhi di partner che, al contrario, hanno linee di azione politica che trascendono il singolo governo.
- La demografia è un argomento ampiamente sottostimato, ma che ha un grande impatto sul margine di manovra di ciascuno Stato. Tema sfruttabile solo nella pianificazione di lungo periodo.
ECONOMIA E DEMOGRAFIA IN FRANCIA E GERMANIA
Secondo le previsioni della Commissione Europea per il lungo periodo, tra il 2050 e il 2060 la popolazione francese e quella tedesca si uguaglieranno. La Francia non ha problemi demografici e la sua popolazione continuerà ad espandersi fino a circa 77 milioni di persone, mentre la popolazione tedesca si contrarrà progressivamente attestandosi sui 79 milioni di individui nel 2070, con sorpasso della Francia dal 2080. Dal punto di vista economico, non è previsto alcun “boom” per l’economia francese, ma un’espansione lineare pressoché proporzionata all’aumento di popolazione. Insomma, niente di impressionante, ma il Paese crescerà su tutti gli indicatori, perlomeno in prospettiva. Il dato più succulento per Parigi è che ci si attende che il PIL francese e quello tedesco si eguaglieranno anche prima del 2050, dunque la crescita demografica francese è sostenuta anche da una maggiore produttività. Al contrario, l’invecchiamento progressivo della popolazione tedesca implicherà una riduzione delle ore lavorate complessivamente e la crescita della spesa per le pensioni. Pertanto, la crescita tedesca è destinata a ridursi, e ciò spiega anche la riluttanza tedesca a fare spese allegre al momento. È come se l’intero Paese stesse “risparmiando per la pensione”.
Alcuni economisti, facendo le usuali comparazioni, fanno notare che la ricchezza tedesca è spesso legata alla produzione, quella francese alle persone. In effetti, la Francia è tra i Paesi che attirano più capitale d’investimento in Europa nonostante il costo del lavoro sia altissimo, comparabile a quello italiano, e la tassazione per le imprese elevata. Questo paradosso è dovuto al fatto che, in effetti, la Francia non manca di personale altamente qualificato in tutti i settori, dall’agricoltura alla ricerca, dall’industria ai servizi.
Diversamente, la Germania continuerà il suo percorso all’insegna della competitività per compensare la mancanza di espansione demografica con margini di profitto più grandi possibili per le proprie aziende, indispensabili per sostenere l’invecchiamento progressivo della popolazione (qualcuno fa ironia sul fatto che i tedeschi abbiano deciso di “spegnersi serenamente” nel lunghissimo periodo, ma che vogliano passare una buona vecchiaia).
Ovviamente per i sempre ambiziosi francesi il “pareggio” con la Germania è roba da leccarsi i baffi, ma non è detto che ciò sia bene per l’Europa. Difatti la scelta tedesca basata su un modello così introspettivo significherebbe la tendenza a piani sempre meno ambiziosi fuori dai propri confini nazionali, con l’impatto negativo che ciò può avere per l’UE. Insomma, Parigi continua sulla strada delle ambizioni, spesso ampiamente superiori a ciò cui potrebbe aspirare realmente, ma a quanto pare funziona, perché trascina comunque il Paese verso rotte positive. Berlino invece non ne vuole proprio sapere di essere tra i trend maker nel mondo, ma può comunque godersi i frutti di decenni di duro lavoro.
È fondamentale tener presente che il trend delineato viene calcolato a “bocce ferme”, ovvero è la fotografia futura in funzione di ciò che è possibile conoscere oggi. Ciò che abbiamo descritto non è dunque un “destino inesorabile” ma la tendenza a parità di condizioni. A che serve, allora? La fotografia serve ai Governi a prendere decisioni nel lungo periodo. Per esempio, tenuta presente questa previsione, l’esecutivo guidato da Macron non ha intenzione di accontentarsi della crescita moderata e costante, ma vorrebbe maggiore competitività ed una crescita sostenuta. Non è detto che riesca, considerando anche le forti contestazioni di alcune misure economiche, ma nell’operato del Governo traspare la consapevolezza del trend che abbiamo descritto e la decisione politica conseguente. Analogamente, il Governo tedesco potrebbe non volersi rassegnare al destino descritto e, per esempio, tentare di invertire il trend attirando lavoratori qualificati, cambiando il proprio atteggiamento sull’immigrazione o proponendo nuove politiche per la famiglia. Per fare un esempio concreto, è quanto accaduto sul recente Trattato di Aquisgrana, per la parte riguardante la gestione delle regioni di confine tra Francia e Germania. A dispetto del Trattato dell’Eliseo, ci si è accorti che da parte tedesca non avveniva il previsto insegnamento della lingua francese nelle zone di confine e che i documenti venivano redatti solo in tedesco. Il nuovo trattato rispolvera il progetto del bilinguismo nelle aree interessate e propone l’armonizzazione delle rispettive amministrazioni. Probabilmente, questo si tradurrà in un consistente flusso di cittadini francesi che andranno a lavorare in Germania. Dunque, soddisfazione per Berlino, che in quelle regioni ringiovanisce la forza lavoro con cittadini europei, ben qualificati e ben integrati (e quindi con nessuno sforzo economico) e soddisfazione per Parigi, che offre nuove opportunità di impiego a beneficio della riduzione del tasso di disoccupazione francese, che seppur in calo rimane al 9% circa. Per concludere, dietro le decisioni prese dai Governi tedesco e francese si legge spesso la volontà di modificare in meglio i trend di lungo periodo, previa presa di coscienza (e spesso a prescindere dal colore politico dei governi).

Fig. 1: evoluzione demografica (dati Eurostat)
ECONOMIA E DEMOGRAFIA IN ITALIA
Prendendo lo stesso periodo di riferimento, la popolazione italiana ha già cominciato a contrarsi. La proiezione per il periodo di riferimento è di circa 55 milioni di individui nel 2070. Contestualmente, l’aspettativa di vita supera gli 85 anni, con riduzione della popolazione attiva ed un impegno costante del 15% del PIL in spesa pensionistica, in leggera crescita fino al 16% nel 2045 (sempre secondo le proiezioni Eurostat). Secondo l’OCSE, l’economia italiana crescerà di appena 0.9% nel 2019 e nel 2020, e il FMI che prospetta una crescita dello 0.8% negli anni successivi, fino al 2023. Più ottimistica l’UE, che fino a novembre 2018 stimava la crescita italiana a 1,2% nel 2019 e 1,3% nel 2020. Tuttavia, alla luce dei dati preoccupanti sugli ultimi due trimestri del 2018, che hanno certificato un arresto dell’economia italiana, tanto da indurre lo stesso Governo italiano ad abbassare le proprie previsioni di crescita dall’1,5% all,1% (cifre giudicate comunque molto ottimistiche da tutti gli organismi indipendenti), è scontato che la performance dell’Italia sarà decisamente peggiore – come confermato dalle recenti dichiarazioni di Giuseppe Conte e Giovanni Tria. Dunque, con una crescita così debole o con una recessione, non c’è molto margine per grandi manovre. Per migliorare la situazione si potrebbe optare per un modello vicino a quello tedesco, dunque aumentando la produttività collettiva e individuale in modo che ciascun individuo produca più ricchezza, oppure provare ad imitare il modello francese stimolando la crescita demografica e quindi aumentando la popolazione attiva. Chiaramente, anche altri approcci misti o innovativi sono possibili, ma le stringhe entro le quali ci si può muovere sono date e limitate. In pratica, se il governo italiano fosse consapevole delle dinamiche generali, ci si aspetterebbe una grande enfasi sulla qualità del sistema scolastico e universitario, sui grandi progetti di innovazione tecnologica e sulla ricerca di base e avanzata. A corredo, ci si aspetterebbero anche politiche sociali che incoraggino l’immigrazione in Italia di personale altamente qualificato (a qualunque livello, dall’operaio specializzato al ricercatore) e politiche per la famiglia. Anche le politiche migratorie, per la situazione attuale, dovrebbero andare in direzione opposta a quella attuale. Ciò che l’Italia non può assolutamente permettersi è invece la spesa improduttiva, l’appesantimento del sistema pensionistico, e il pagamento di forti interessi sul debito (che privano di capitali per investimento). Tirando le somme, i governi italiani (non è una novità, anzi, l’attuale governo è in perfetta linea con i precedenti) tendono a guardare al breve e brevissimo periodo, senza considerare il quadro di lungo periodo pressoché in tutti i campi. Pertanto, nel momento in cui ci si coordina con la Francia, con la Germania, o con entrambe, siamo spesso strutturalmente diversi nel modo di ragionare e di decidere. Senza entrare nel merito, questo metodo tende a renderci disomogenei in termini di esigenze ed obiettivi. Ancora peggio, confermare i trend economici di lungo periodo prolungando lo status quo mentre Paesi come la Francia e la Germania cercano di invertirli ci farebbe diventare sempre più piccoli rispetto a loro se questi dovessero, invece, riuscire nell’intento.

Fig. 2 – Stime del FMI prima dell’annuncio della recessione economica

Fig. 3 – La crescita delle aspettative di vita (dati Eurostat)
OBIETTIVI
- Tenere presente i trend di lungo periodo nell’interfacciarsi con gli altri Paesi europei, specialmente Francia e Germania. Questo aiuterebbe l’Italia a parlare la loro stessa lingua.
- Concentrarsi su politiche più adeguate a promuovere la crescita. Crescere è indispensabile per conservare le stesse proporzioni demografiche ed economiche nei confronti di Francia e Germania. Altrimenti si diventerà ancora più piccoli e dunque meno rilevanti.
- Utilizzare come metodo di misura il miglior interesse del maggior numero possibile di cittadini e non soltanto quello della conquista dell’elettorato.
- Stimolare la crescita culturale e tecnologica del Paese per supplire alla quantità con l’alta qualità dell’output economico.
Marco Giulio Barone
La Cooperazione Italia-Marocco: quali scenari nel Mediterraneo?
In breve
- Il Mediterraneo rappresenta da sempre per l’Italia una sfida e un’opportunità, non solo per quanto riguarda la questione migratoria ma anche per la crescita economica del Paese.
- Gli ottimi rapporti tra l’Italia e il Marocco, data la stabilità politica ed economica di quest’ultimo, fanno pensare ad un modello di cooperazione positiva nel Mediterraneo.
- Modelli di co-sviluppo tra la diaspora marocchina in Italia e alcune regioni del Marocco potrebbero essere la strada da seguire per futuri investimenti.
- La crescente attrazione di investimenti esteri diretti da parte del Marocco e gli strumenti europei che li incoraggiano rappresentano per l’Italia una grande occasione di dialogo e cooperazione con il Regno.
QUALE COOPERAZIONE PER L’ITALIA NEL MEDITERRANEO?
Il Mediterraneo è da sempre un “affare” italiano e una priorità politica, che lo si voglia vedere come una opportunità o come una minaccia. Nell’Atto di Indirizzo del Ministero della Difesa “la regione euro-mediterranea e le aree contigue di interesse strategico permarranno l’ambito prioritario delle attività nazionali, a tutela, nell’immediato, delle nostre esigenze di sicurezza e, nel tempo, di una più stabile cornice internazionale. L’Italia ha già dimostrato sia le capacità sia la volontà di esercitare un riconosciuto ruolo di responsabilità in questa sua area di riferimento, ove continuerà ad agire, in armonia con la comunità internazionale, per contribuire alla pace e allo sviluppo regionale. In tale ambito, la Difesa continuerà a profondere un crescente sforzo, assumendo un ruolo di guida nelle attività di proiezione di stabilità.”
Le sfide che il Mediterraneo offre all’Italia sono sicuramente molte, a cominciare dalla questione migratoria a cui è necessario dare una risposta di lungo periodo. Una cooperazione che ha come priorità la sicurezza nazionale, potrebbe risultare miope e a tratti inefficace, riducendo le opportunità che una strategia strutturata potrebbe offrire. Inoltre, la legge di Bilancio 2019 ha invertito la progressione che si era avuta dal 2013 al 2017 dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo, fissando per il prossimo triennio un andamento decrescente. Questo potrebbe mettere a rischio anche l’impegno italiano nel Mediterraneo.

Fig. 1 – Quanto ha destinato l’Italia per l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo negli ultimi anni?
LE RELAZIONI CON IL MAROCCO: TRA INTERESSI ECONOMICI E QUESTIONI MIGRATORIE
Tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, il Marocco è un attore chiave per la gestione delle migrazioni ma anche per gli interessi economici dell’Italia.
Per quanto riguarda gli scambi commerciali con l’Italia, secondo i più recenti dati ISTAT, l’interscambio nei primi nove mesi del 2018 è cresciuto del 33% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le nostre esportazioni, pari a 1,49 miliardi di euro, sono cresciute del 9,7% nello stesso periodo di riferimento, mentre le importazioni dal Marocco (748 milioni) sono diminuite dell’1%. Il saldo commerciale rimane quindi nettamente in favore dell’Italia (+742 milioni). Le esportazioni italiane hanno raggiunto nel 2018 il livello più elevato degli ultimi 10 anni, superando ampiamente gli 1,68 miliardi registrati nel 2008. A fine 2018, l’Italia si è confermata 5° partner commerciale del Marocco (InfoMercatiEsteri, Farnesina). La stabilità e i trend positivi di crescita economica del Paese sono terreno fertile per investimenti da parte delle imprese italiane.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Un’immagine di Fez, antica capitale del Marocco
Per quanto riguarda i flussi migratori, gli accordi con l’Europa hanno ridotto la migrazione illegale dal Regno diretta principalmente in Spagna e Italia. E’ importante sottolineare che la diaspora marocchina costituisce la terza diaspora più numerosa nel nostro Paese. Essa può svolgere un ruolo molto importante, costituendo la spinta per uno sviluppo del paese d’origine e del territorio in cui risiede. Pensare a modelli di co-sviluppo e sostenerli a livello statale, significa pensare alla migrazione in termini sostenibili, puntando sulla crescita economica delle regioni di partenza e di arrivo e delle imprese che investono in questi processi.
QUALI PROSPETTIVE PER IL 2019?
Recentemente uno studio del 2018 di Ernst & Young ha affermato che il Marocco e il Sud Africa sono primi nel continente africano per attrazione di investimenti esteri diretti. Inoltre, il Regno ha guadagnato nove posizioni nella classifica della Banca Mondiale “Doing Business 2019”, grazie a nuove policy più favorevoli per le imprese.
Insieme a questi trend positivi, si inseriscono tutti quegli strumenti e quelle politiche europee atte a contribuire ed incoraggiare gli investimenti di imprese private nei paesi africani, primo fra tutti il Fondo Europeo di Sviluppo Sostenibile (EFSD).
A fronte di tutto questo, l’interesse nazionale italiano dovrà essere in linea con una visione europea di sviluppo sostenibile per l’Africa e cooperare in questo senso anche con i Paesi del Nord Africa. Nella programmazione triennale 2017-2019 i paesi indicati come prioritari erano Tunisia, Egitto e Libia. Quest’ultima rimarrà sicuramente al centro della strategia italiana, mentre il rapporto con il Marocco potrebbe diventare sempre più cruciale.
Altea Pericoli
Turismo, la rotta africana: quali opportunità per l’Italia?
In breve
- Per molte economie emergenti il turismo rappresenta un settore in forte crescita, destinato a creare, nel prossimo decennio, sempre maggiori opportunità di sviluppo e posti di lavoro.
- I Paesi dell’Africa subsahariana saranno tra i maggiori beneficiari degli investimenti esteri in questo settore. Questo rinnovato interesse per il continente è una diretta conseguenza dell’instabilità politica che ha investito i Paesi del Nord Africa negli ultimi anni e che ha provocato un declino nel numero di visitatori verso queste destinazioni. Di contro, in Africa orientale e meridionale la percentuale di turisti continua ad aumentare.
- Nel 2017, il Rapporto annuale della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) ha reso noto che l’Italia è uno dei maggiori finanziatori dei progetti di sviluppo avviati nei Paesi dell’Africa subsahariana.
- L’accresciuto interesse delle imprese italiane nei confronti dei Paesi africani è ribadita dalla nascita di iniziative e organizzazioni che si pongono l’obiettivo di rinsaldare i rapporti tra il nostro Paese e il continente e facilitare la nascita di nuove partnership: tra i più recenti l’Italia-Africa Business Week o il Summit Sudafrica/Italia.
L’importanza del turismo
In tutte le economie emergenti del mondo, il turismo rappresenta un settore di primaria importanza, che incrementa il PIL nazionale e crea nuove opportunità di lavoro. L’interesse nei confronti dei Paesi in via di sviluppo ha subito un’impennata, tanto che si stima che tra il 1990 e il 2009 il numero di turisti nei Paesi emergenti sia passato dal 32% al 47%. Nel 2007, i turisti hanno speso circa 295 miliardi di dollari per visitare Paesi emergenti, una cifra che equivale a circa tre volte il totale degli aiuti allo sviluppo elargiti ai Paesi emergenti nello stesso anno. Ovviamente questo fenomeno non poteva che interessare anche i Paesi dell’Africa sub-sahariana. Anzi, sembra che saranno proprio loro i grandi protagonisti delle rotte del turismo internazionale nel prossimo decennio: entro il 2030 le spese in turismo, servizi e attività culturali e ricreative raggiungeranno i 261,77 miliardi di dollari, circa 137,87 miliardi in più rispetto al 2015. Al momento, però, ad eccezione dei più gettonati Mauritius e Seychelles, negli altri Paesi il turismo è ancora in una fase embrionale. Le motivazioni sono da ricercarsi soprattutto nella diffidenza dei viaggiatori, soprattutto occidentali, dovuta all’instabilità politica e alla mancanza di una rete di infrastrutture e di servizi solida. Il numero di turisti internazionali che hanno attraversato il continente è cresciuto di circa 36 milioni tra il 2000 e il 2017, di cui 24,7 milioni solo nei Paesi dell’Africa sub-sahariana. Nel secolo scorso, il Nord Africa aveva un settore turistico molto sviluppato. Nel 1995, Algeria, Egitto, Libia, Marocco e Tunisia accoglievano, in totale, ogni anno lo stesso numero di visitatori del resto del continente (circa 10,5 milioni contro 13 milioni). Tuttavia, a partire dal 2011, l’instabilità politica generata dallo scoppio delle Primavere arabe e la minaccia del terrorismo hanno reso queste destinazioni meno popolari. Così, mentre il turismo in Nord Africa attraversa una fase di declino, nel resto del continente i visitatori aumentano progressivamente. Ovviamente tra le diverse regioni si registrano delle differenze. Il PIL generato dal settore turistico è superiore nei Paesi dell’Africa orientale (4.5%) e meridionale (3%), più basso in quelli dell’Africa occidentale (2.1%) e centrale (1,7%).

Fig. 1 – I primi cinque Paesi africani per numero totale di visitatori (dati aggiornati a gennaio 2018). Fonte: https://www.e-unwto.org/toc/wtobarometereng/16/1
L’Italia è tra i primi investitori nel continente africano
Nel 2017, l’Italia ha annunciato nuovi investimenti esteri diretti destinati ai Paesi africani,per un totale di 10 miliardi e 383 milioni di dollari (circa 9 miliardi di euro). È quanto emerge dai dati pubblicati nel report annuale della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD). Già nel 2016, gli investimenti italiani in Africa rappresentavano il 4,3% del totale degli investimenti destinati al continente. A sottolineare il crescente interesse delle imprese nostrane a investire nei Paesi africani è altresì la nascita di iniziative e summit volti a promuovere la cooperazione bilaterale e l’adozione di politiche volte ad agevolare l’arrivo di capitali dall’estero. Un esempio su tutti è l’Italia-Africa Business Week (IABW) il primo Forum economico interamente dedicato a imprenditori italiani e africani. La seconda edizione – svoltasi lo scorso ottobre – ha visto la partecipazione di oltre 200 ospiti provenienti da ben 36 Paesi, scelti tra imprenditori, diplomatici, broker e giornalisti. In questa occasione, Carlo Robiglio, Presidente di Piccola industria e Vicepresidente di Confindustria, ha spiegato come il modello di business della piccola-media impresa italiana sia estremamente adattabile al contesto economico, sociale ed imprenditoriale di molte realtà africane. La via tracciata dalle PMI italiane è un modello win-win anche secondo Saida Neghza, Presidente di Businessmed, l’Unione delle confederazioni mediterranee delle imprese. Nel discorso che ha tenuto a IABW 2018, Neghza ha inoltre ricordato che la valorizzazione delle partnership in settori come agricoltura, turismo ed energia servirà a incentivare lo sviluppo delle realtà locali, e contestualmente creare nuove occasioni di crescita per gli investitori stranieri.
Fig. 2 – L’intervento di Saida Neghza, Presidente di Businessmed, l’Unione delle confederazioni mediterranee delle imprese, durante l’ultima edizione dell’Italia-Africa Business Week, Roma 2018
Investire nell’industria del turismo in Africa: un’opportunità
Dato l’interesse espresso dai Paesi occidentali, molti Paesi (come Gambia, Kenya, Sudafrica, Tanzania, Ruanda) si stanno attivando per accedere alle nuove opportunità di investimento legate al turismo. A livello regionale, la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) ha recentemente introdotto una politica dei visti che consente la libera circolazione delle persone tra i diversi Stati membri, anche al fine di agevolare gli spostamenti dei viaggiatori internazionali e incentivare gli spostamenti da un Paese all’altro. Per quanto riguarda il nostro Paese, il successo delle iniziative messe in atto dipenderà dalla capacità delle singole imprese e del governo di saper reagire ai cambiamenti che stanno interessando il settore turistico a livello globale. Uno di questi riguarda l’accresciuta domanda di percorsi turistici autentici e non mediati, volti a entrare realmente in contatto con le culture locali. Al tempo stesso, sempre più viaggiatori sono sensibili alla necessità di incentivare percorsi di turismo sostenibile ed ecologico. Un altro fattore da prendere in considerazione è l’affermazione del turismo digitale e l’impatto che quest’ultimo avrà nei prossimi anni nella ridefinizione delle rotte turistiche e del modo in cui il viaggio viene concepito. In particolare, quest’ultima tematica è stata tra gli argomenti di discussione della quinta edizione del Summit Sudafrica-Italia/INDABA, svoltosi a Johannesburg lo scorso ottobre. Obiettivo dell’iniziativa è implementare azioni coordinate in collaborazione con le istituzioni locali al fine di promuovere strategie di sviluppo che non sfruttino incondizionatamente le risorse africane ma aiutino la popolazione a prendere parte attivamente al cambiamento in atto.
Caterina Pucci
Fonti:
Landry Signé, Africa’s Tourism Potential: Trends, Drivers, opportunities, and strategies, Africa Growth Initiative at Brookings
Africa Tourism Monitor, The High 5s – Tourism as a Pathway to Industrialization, Integration, Quality of life, Agriculture and Powering up Africa, 2018: https://www.afdb.org/fileadmin/uploads/afdb/Documents/Publications/Africa_Tourism_Monitor_2018.pdf
Robert Clarke-Paris, Tourism and its potential in Africa, The Africa Report: http://www.theafricareport.com/Editorial/tourism-and-its-potential-in-africa.html
Il mondo nel 2019 – Nord America
In breve
- I due Paesi che compongono la regione continuano a essere simbolo di due approcci molto diversi sia in politica estera sia interna. Tanto è unilateralista (o al massimo bilateralista) Trump tanto Trudeau cerca di avere un approccio di tipo multilaterale, senza rigettare le istituzioni internazionali né i partner tradizionali. I negoziati per il trattato che dovrebbe sostituire il NAFTA, lo USMCA, hanno registrato scambi molto duri a livello retorico tra Washington e Ottawa. Per non parlare delle dichiarazioni di Trump al momento di lasciare il G7 tenutosi in Canada nel 2018.
- Le elezioni di midterm hanno indebolito Trump sul piano interno, ma l’aver mantenuto il Senato dalla sua parte e l’avere una maggioranza conservatrice alla Corte Suprema gli garantiscono, con quasi certezza, la permanenza alla Casa Bianca almeno fino al 2020. Il Presidente statunitense ha notevoli poteri d’iniziativa in politica estera e non esiterà a a usarli per compensare stalli interni.
- Il Canada ha in un certo senso “subito” lo USMCA, ma è riuscito a mantenere diversi punti chiave per la sua strategia commerciale. Il Paese rimane stabile e si prepara alle elezioni politiche del 2019, dove il Premier Trudeau cercherà la riconferma.
- Il trattato USMCA deve essere ancora ratificato da tutti e tre i Paesi firmatari.
Aree di crisi
- Cina: non è un mistero che diversi punti dell’USMCA siano stati voluti da Washington per fermare, o quanto meno rallentare, l’avanzata commerciale della Cina nell’area nordamericana (più il Messico). Nonostante i toni più cauti, anche il Canada è coinvolto in prima linea, come testimoniato dall’arresto, avvenuto sul proprio territorio della direttrice finanziaria della Huawei.
- Iran: l’obiettivo principale di Trump e dei repubblicani in Medio Oriente. Le sanzioni sono di nuovo in vigore e il Segretario di Stato Pomepo ha avvertito Teheran che non saranno tollerati neanche lanci satellitari.
- Corea del Nord: al di là della retorica, non ci sono stati passi concreti verso la denuclearizzazione del Paese (come era da aspettarsi). Il dossier è strettamente legato a quello cinese. Una ripresa della guerra commerciale a tutto campo con Pechino potrebbe far sì che Pyongyang possa riprendere i test missilistici con l’avallo (non esplicito) del suo potente vicino.
- Russia: Trump ha finora agito ambiguamente nei confronti di Mosca. Se, da un lato, ha provato a modo suo a normalizzare i rapporti con Putin, dall’altro non ha provato a impedire il rinnovo delle sanzioni internazionali. A ciò si è aggiunta la recente uscita di Washington da trattato INF. L’annunciato ritiro unilaterale statunitense dal teatro Siriano potrebbe essere un “regalo” (non si sa quanto voluto) alla Russia. Rimane in piedi la collaborazione a livello spaziale.
Opportunità
- Commercio: dato l’ormai chiaro atteggiamento degli Stati Uniti in tema commerciale, il Canada offre una buona alternativa in questo settore. Nei rapporti con l’Unione Europea il principale strumento potrebbe essere il trattato CETA, il quale è solo parzialmente in vigore in attesa della ratifica da parte degli Stati Membri.
- Difesa: nonostante i toni non sempre cordiali tra i due Governi, Stati Uniti e Canada continuano a condividere diversi asset in materia di Difesa, il principale dei quali è il NORAD (North American Aerospace Defense Command), oltre al fatto che le maggiori forniture di armamenti per le Forze Armate di Ottawa sono made in USA.
Personaggio dell’anno
Trump: la composizione di questa regione (due Paesi) rende la competizione meno ardua, ma si può essere certi che il Presidente statunitense avrebbe “vinto” anche in un contesto più ampio. Da quando è stato eletto, sembra che tutto, sia in politica interna sia estera, ruoti intorno a lui e spesso ai suoi tweet. È arrivato a metà del suo mandato e ha già smantellato diverse eredità di Obama soprattutto a livello internazionale. Il 2019 però inizia in salita: la Camera in mano ai democratici, il braccio di ferro sul muro (che ora è una barriera di ferro) al confine con il Messico, l’inchiesta Russiagate che diviene ogni giorno più concreta.
Eventi dell’anno
- 29 gennaio, discorso di Trump sullo Stato dell’Unione
- febbraio, primo lancio del veicolo spaziale Crew Dragon della SpaceX;
- 28-29 giugno, vertice G20 in Giappone;
- 20 luglio, 50° anniversario del primo atterraggio sulla Luna;
- 25-29 agosto, vertice G7 in Francia;
- entro 21 ottobre, elezioni federali in Canada.
Emiliano Battisti
Il mondo nel 2019 – Africa
In breve
- Sono passate poche settimane dal suo inizio e già il 2019 si sta rivelando un anno carico di novità per il continente africano. Per cominciare, le proteste in Sudan (cominciate a novembre) e il tentativo di colpo di Stato in Gabon mostrano chiaramente come, anno dopo anno, le popolazioni africane siano diventate sempre più insofferenti nei confronti dei regimi autoritari che ne hanno dettato le sorti per decenni.
- A riprova di ciò, alle ultime elezioni presidenziali in Congo ad aggiudicarsi la vittoria è stato il candidato dell’opposizione Felix Tschisekedi, che ha battuto Emmanuel Shadary, il candidato sostenuto dal Presidente uscente Joseph Kabila, provocando le reazioni di molti, tra cui quella della Conferenza episcopale che accusa Tschisekedi di brogli. Nonostante ciò, il FCC (Common Front for Congo) ha mantenuto la maggioranza dei seggi in Parlamento, costringendo il neo-Presidente a un accordo per garantire la governabilità del Paese.
- Tra i venti Paesi africani che affronteranno nuove elezioni figurano anche Sud Africa e Nigeria, due delle economie più importanti del continente. In Nigeria, le elezioni si svolgeranno in un clima viziato dall’incombente minaccia islamista. A contendersi la Presidenza saranno il Presidente uscente Muhammadu Buhari e Atiku Abubakar. Per il Sud Africa, a seguito delle dimissioni di Jacob Zuma, Cyril Ramaphosa ha assunto la guida dell’ANC (African National Congress), il partito di maggioranza alla guida del Paese sin dal 1994.
- A dicembre gli Stati Uniti hanno lanciato una nuova strategia d’intervento per l’Africa, che pone l’accento sulle responsabilità nello sviluppo delle relazioni commerciali e nel mantenimento della pace. Nell’illustrare la nuova strategia, il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton ha insistito sulla scarsa fiducia che nutre nei confronti delle istituzioni internazionali e sulla necessità di contrastare l’atteggiamento “predatorio” della Cina e della Russia nei confronti del continente africano.
Aree di crisi
- Somalia: Gli attacchi che hanno colpito la capitale Mogadiscio negli ultimi mesi del 2018 fanno presagire che anche nel 2019 i gruppi terroristi legati ad Al-Qaeda rappresenteranno ancora un fronte di preoccupazione per il Paese.
- Camerun: L’insurrezione delle aree anglofone del Camerun occidentale era cominciata nell’ottobre del 2016 come una rivendicazione pacifica. Tuttavia, l’escalation di violenze ai danni della maggioranza francofona del Paese si è progressivamente trasformata in una guerra civile che rischia di disgregare l’unità territoriale del Paese. Il Presidente Paul Biya ha minacciato una repressione durissima, escludendo l’ipotesi di intraprendere un dialogo con i dissidenti che potrebbe invece arginare le spinte secessioniste.
- Sahel: Nonostante l’invio di contingenti internazionali, l’insurrezione jihadista cominciata sette anni fa nel nord del Mali non sembra dare segni di cedimento, anzi, continua a riverberarsi in tutta la regione. Il processo di radicalizzazione avviene con modalità diverse rispetto, per esempio, ai Paesi mediorientali. La religione non sembra essere il principale fattore di affiliazione. Sono invece la povertà, la disoccupazione, l’emarginazione sociale e il richiamo etnico-nazionalistico a spingere molti giovani ad unirsi alle milizie del Califfato.
Opportunità
Buone notizie dall’Etiopia, dove il primo ministro Abiy Ahmed sta perseguendo il cambiamento a un ritmo impressionante, trainando una delle economie africane in più rapida ascesa. Da quando ha preso il potere l’anno scorso, Abiy ha cercato di ristabilire un sistema democratico e multipartitico in un Paese che per venticinque anni è stato guidato dal Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope.
Personaggio dell’anno
Abiy Ahmed. Eletto lo scorso aprile, durante i primi cento giorni di governo, il premier etiope ha stipulato uno storico accordo di pace con l’Eritrea, ha legalizzato le opposizioni politiche, ha liberato numerosi prigionieri politici e ha avviato una lotta alla corruzione all’interno della sua stessa coalizione politica. Il riavvicinamento con il Presidente eritreo Afewerki avrà conseguenze economiche e commerciali importanti, perché l’Etiopia avrà nuovamente accesso ai porti eritrei di Assab e Massaua e non sarà più costretta a dipendere da Gibuti per le esportazioni.
Eventi dell’anno
- Gennaio, elezioni nella Repubblica Democratica del Congo
- Febbraio, elezioni in Nigeria
- Aprile, elezioni presidenziali in Algeria
- Ottobre, elezioni in Tunisia (parlamentari e presidenziali)
- Maggio, elezioni in Sud Africa
- 4-6 settembre, World Economic Forum a Cape Town (Sudafrica)
Caterina Pucci
Il mondo nel 2019 – Europa
In breve
- Rinnovamento ed euroscetticismo nell’UE. In primavera si terranno le elezioni europee, che rinnoveranno Parlamento Europeo e Commissione Europea. Gli esiti di questo processo avranno una profonda influenza sui prossimi 5 anni in una miriade di campi, legati più o meno strettamente alle politiche dell’Unione: governance dell’Eurozona e difesa i più importanti.
- Brexit. Il 29 marzo il Regno Unito dovrebbe uscire dall’UE. Almeno in teoria, visto che, nel momento in cui scriviamo, tutte le opzioni restano ancora sul tavolo: uscita con il “May deal”, uscita senza nessun deal, nuovo deal, elezioni anticipate, nuovo referendum e/o nessuna uscita. Alcune delle precedenti opzioni sono cumulabili e combinabili tra loro.
- Populismo di lotta e di governo. Il 2018 è stato un anno che ha visto il “populismo” europeo barcamenarsi tra lotta (ad esempio, i gilet gialli in Francia) e governo (Italia). Il 2019 sarà importante per capire se le sue prospettive di crescita elettorali e politiche si confermeranno e se la sua progressiva affermazione sia compatibile con gli attuali equilibri istituzionali e politici nell’Unione Europea.
- La nuova BCE e la fine del QE. Il 2019 segna la fine dei primi 20 anni di vita dell’euro, ma è anche l’anno in cui il Consiglio Europeo dovrà scegliere l’erede di Mario Draghi alla presidenza della Banca Centrale Europea, che ricopre questo cruciale incarico dal 2011. Quasi a segnare la fine di un’epoca, il quantitative easing (simbolo dell’era Draghi, iniziato nel 2015) si è concluso nel dicembre 2018.
Aree di crisi
- Eurozona. Sebbene la zona euro sia più solida degli anni “neri” 2011-2012, il 2019 vedrà complessivamente un rallentamento della crescita per i 19 Paesi che utilizzano la valuta comune europea, che dovranno fare i conti anche con la fine del QE.
- Ungheria e Polonia. Varsavia e Budapest sono ormai considerate le “democrazie illiberali” del vecchio continente. Lo scontro tra Polonia e UE non sembra destinato ad esaurirsi facilmente, mentre in Ungheria le proteste di piazza contro il governo hanno fatto tremare Orbán, per la prima volta dal 2010.
- Regno Unito. Il 2019 si annuncia come l’anno decisivo per la Brexit. È ben possibile che il problema Brexit si ponga anche nel 2020 e che la questione non venga risolta definitivamente nemmeno quest’anno (del resto, si tratta di un processo pluriennale). La sensibilità dell’argomento, tuttavia, assicura che, qualunque soluzione venga adottata nei prossimi mesi, si innescherà una crisi politica interna al Regno Unito.
Opportunità
- Integrazione europea. Francia e Germania, seppur i rispettivi leader si siano notevolmente indeboliti nel 2018, sembrano interessate ad aumentare la loro collaborazione bilaterale (hanno appena rinnovato il Trattato dell’Eliseo del 1963) e a rilanciare l’asse franco-tedesco all’interno dell’UE, in particolare sulla difesa. Pesa anche la diffidenza di Parigi e Berlino nei confronti di Washington.
- Balcani occidentali. L’accordo tra Macedonia e Grecia rimane in bilico, ma se passasse sarebbe un tassello importante per migliorare la situazione nell’area (a cominciare dal Kosovo). Il ragionamento vale, tuttavia, anche al contrario: il fallimento dell’accordo di Prespa farebbe passare i Balcani occidentali da “opportunità” ad “area di crisi”.
Fig. 1 – Secondo noi il personaggio da “tenere d’occhio” in Europa nel 2019 sarà Annegret Kramp-Karrenbauer, nuova leader della CDU in Germania
Personaggio dell’anno
Senza dubbio Annegret Kramp-Karrenbauer, nuova leader della CDU. Soprannominata AKK, ha vinto la corsa per succedere ad Angela Merkel alla presidenza dello storico partito cristiano-democratico tedesco. Nel corso del 2019 l’importanza di Kramp-Karrenbauer sulla scena politica tedesca ed europea aumenterà e non è escluso che sostituisca Merkel alla cancelleria già nel corso dell’anno appena iniziato, attraverso nuove elezioni o una staffetta a metà mandato. In ogni caso, l’attuale Cancelliera ha annunciato che lascerà la politica al più tardi del 2021. Insomma, nel Paese più importante d’Europa si avvicina sempre più il momento di un cambio al vertice, per la prima volta dal 2005.
Eventi dell’anno
- Fine gennaio, previsto voto del Parlamento greco sull’accordo con la Macedonia
- 29 marzo, teorica data per il compimento della Brexit
- 23-26 maggio, elezioni europee
- 26 maggio, elezioni federali in Belgio
- Estate-autunno, nuova Commissione Europea
- 6 ottobre, elezioni legislative in Portogallo
- 20 ottobre (o prima), elezioni legislative in Grecia
- Entro novembre, elezioni legislative in Polonia
- Novembre-dicembre, elezioni presidenziali in Romania
- Seconda metà dell’anno, nomina del nuovo Presidente della Banca Centrale Europea
Davide Lorenzini


