Analisi – Il premier Shinzo Abe è stato infine costretto alle dimissioni dalla colite ulcerosa, malattia cronica di cui soffre ormai da molti anni. Difficile al momento individuare un leader della sua statura: al momento l’ipotesi più plausibile è che il suo partito (LDP), attualmente detentore della maggioranza in Parlamento, opti per l’affidamento della premiership ad un membro del Governo, in attesa delle elezioni generali del settembre 2021.
ABE, LA SUA CARRIERA E LA SUA VISIONE POLITICA
Shinzo Abe è un conservatore nazionalista. Durante tutta la sua carriera politica ha sempre avuto un certo peso, in negativo, l’eredità storica della sua famiglia: il nonno Nobusuke Kishi, già Primo Ministro del Giappone dal 1957 al 1960 e precedentemente uomo politico del gabinetto di guerra, era stato arrestato dagli Alleati per crimini di guerra, ma mai processato né tantomeno condannato. Seguendo le orme dei suoi stessi familiari, Abe è entrato nel Partito Liberal Democratico (LDP) divenendo poi delfino di Jun’ichirō Koizumi, capo del Governo dal 2001 al 2006. Dopo un primo mandato tra il 2006 e il 2007 terminato, tra le altre cause, anche in seguito all’aggravarsi delle condizioni cliniche, Abe ha governato ininterrottamente dal 2012 sino ad oggi: la vittoria elettorale del 2018 gli avrebbe garantito la carica fino al settembre 2021.
Il premier giapponese non ha mai tenuto nascoste le proprie idee di stampo nazionalista, talvolta rese fin troppo esplicite e passibili di aspre critiche, dentro e fuori dal Giappone. Un caso emblematico fu la visita allo Yasukuni Jinja, il santuario dedicato ai soldati che combatterono al servizio dell’Imperatore, inevitabilmente deplorata sia dalla Cina che dalla Corea del Sud. Così come altri membri di spicco dell’LDP, Abe è un sostenitore del Nippon Kaigi, un movimento politico di tipo ultranazionalista e revisionista che non nasconde una certa nostalgia del passato e che mira a una restaurazione sia della potenza economica del Giappone che di quella militare. Abe ha tradotto questa visione in due obiettivi concreti: portare il Sol Levante fuori dai decenni di stagnazione economica e svincolarlo da una Costituzione ritenuta troppo stretta e obsoleta, di cui l’articolo 9 (che consente al Giappone di utilizzare le Forze Armate solo per scopi difensivi) è la massima espressione.
Fig. 1 – Shinzo Abe annuncia ufficialmente le proprie dimissioni, 28 agosto 2020
VITTORIE POLITICHE
Questo secondo punto è certamente il più complesso. Nonostante se ne parli da anni, nemmeno il Governo Abe ha avuto la forza di contrastare un’opinione pubblica fortemente improntata al pacifismo: neppure il tentativo di far leva sulla minaccia proveniente dalla Corea del Nord è servito allo scopo. È molto più probabile che Abe venga ricordato per i suoi successi in politica economica, ovvero per la serie di riforme e le manovre di politica monetaria marcatamente espansiva che portano il suo stesso nome. La Abenomics ha effettivamente garantito, almeno sino all’attuale fase recessiva iniziata nel 2019, un PIL su base annua positivo. Nella sua visione di sostegno alla crescita nel lungo periodo, Abe ha anche “osato” mettere mano su questioni sensibili da un punto di vista sociale e culturale, ovvero la maggiore partecipazione delle donne e degli stranieri nel mercato del lavoro come contromisura a un continuo aumento della quota di anziani tra la popolazione.
In politica estera Abe ha dimostrato abilità nel mantenere solide relazioni con lo storico alleato, gli Stati Uniti, e conquistare contemporaneamente nuovi spazi di autonomia. Il premier giapponese si è così garantito non solo una forte credibilità sul piano internazionale, ma ha anche dato prova nei fatti di saper portare avanti delle iniziative focalizzate sugli interessi specifici di Tokyo. Un chiaro esempio è come il Governo Abe abbia mantenuto relazioni cordiali con i Paesi del Golfo, essenziali per garantire al Giappone le risorse energetiche di cui ha bisogno. Inoltre c’è da considerare l’ancora più articolata questione del rapporto con la Cina (in particolare la sua Belt and Road Initiative, BRI) resosi ulteriormente intricato dall’esacerbarsi della guerra commerciale Cina-USA. Tokyo continua a mantenere un rapporto cordiale con Pechino (non dimentichiamoci della visita di Stato del premier giapponese nella capitale cinese nel 2018), nonostante la permanenza di nodi irrisolti di primaria importanza (in primis la disputa sulle Senkaku/Diaoyu), avallando la BRI nella misura in cui un miglioramento delle infrastrutture tra i Paesi del Pacifico avvantaggia anche il commercio giapponese. Il Giappone di Abe sostiene ancora la centralità del libero scambio e lo ha dimostrato sostituendosi agli Stati Uniti come Paese guida nella firma della Trans-Pacific Partnership (TPP), ma anche con la firma del JEFTA, un accordo multicomprensivo con l’Unione Europea che regola gli scambi commerciali (e non solo).
Fig. 2 – Abe e Obama durante la storica visita del Presidente statunitense a Hiroshima, 27 maggio 2016
QUESTIONI ANCORA APERTE
Oltre alla già citata questione della revisione costituzionale e alla “pace armata” con la Cina, il successore (o i successori) di Shinzo Abe dovranno portare avanti problematiche non semplici, prime fra tutte i rapporti con la bellicosa Corea del Nord e la rancorosa Corea del Sud, con la quale pesano ancora le conseguenze della Seconda guerra mondiale. A questo proposito va anche menzionata la disputa delle isole Curili con il vicino russo, per la quale una soluzione è ancora lungi dall’essere trovata.
Da un punto di vista prettamente simbolico, tra i momenti più importanti del Governo Abe ricordiamo la storica visita di Barack Obama a Hiroshima nel 2016, la prima di un Presidente statunitense dopo la fine del conflitto mondiale. In tale occasione Washington ha tenuto a precisare che non si trattava di scuse formali, ma segna in ogni caso una maturazione del rapporto tra i due Paesi, non più improntato sulla dipendenza de facto del Giappone, ma su una maggiore equità che lascia maggiore spazio di manovra a Tokyo. La visione regionale di Shinzo Abe, che difficilmente verrà ignorata né tantomeno scardinata dai suoi successori, è quella di un “Mediterraneo Asiatico” (definizione data da N.J. Spykman nel 1944) aperto al commercio e al transito, in cui lo Stato di diritto regna sovrano. L’alleanza storica con gli Stati Uniti è la pietra miliare di questa strategia, che si fonda anche sulla stretta cooperazione militare tra i membri del Quad (Giappone, Stati Uniti, Australia e India) in contrapposizione alla crescente assertività cinese.
Fig. 3 – Yoshihide Suga, visto da molti come il più probabile successore di Abe nel breve periodo
CHI SARÀ IL PROSSIMO PREMIER?
Normalmente il leader dei Liberal Democratici viene eletto con un sistema che attribuisce il 50% del peso ai tesserati del partito (più di un milione di persone) e l’altro 50% ai membri del Parlamento. Tuttavia lo stesso statuto del LDP prevede che in circostanze emergenziali si possa procedere solamente con gli eletti alla Camera: questo tipo di soluzione è l’ipotesi più verosimile. Il nuovo leader dovrà godere della maggioranza assoluta, quindi è possibile che si debba ricorrere al ballottaggio. Al momento i media internazionali stanno esplorando un ventaglio di possibili candidati. Un nome che sta circolando con una certa insistenza è quello di Yoshihide Suga, 71enne veterano dei Liberal Democratici considerato il braccio destro di Abe. Attuale Segretario Generale del Governo, potrebbe essere la scelta ideale per mantenere la continuità della linea politica di Abe almeno in questa fase, che molti analisti vedono come transitoria. Trattandosi infatti di una fase delicata per il Paese e anche all’interno del partito, è plausibile che non riesca a emergere un vero leader che possa realmente definirsi “successore di Abe”. Altri nomi sulla lista sono il vicepremier Taro Aso e il ministro della Difesa Taro Kono, che tuttavia si è spesso dimostrato riluttante a seguire le linee guida della maggioranza di partito. Ci sono poi Fumio Kishida, ministro degli Esteri dal 2012 al 2017, di stampo moderato e per lungo tempo considerato come il possibile erede di Abe, anche se negli ultimi anni molti membri dell’LDP hanno dichiarato di preferire Suga a Kishida. Quest’ultimo infatti non gode di molta popolarità e lo stesso Abe lo ha persuaso a farsi da parte in passato nel timore che sarebbe stato sconfitto da Shigeru Ishiba, candidato battuto da Abe nel 2012 con un margine ristretto. Ishiba, che nel 2015 aveva fondato una corrente interna al partito, gode invece di un discreto supporto dell’opinione pubblica, tale da renderlo una possibile minaccia per il favorito Suga. Trattandosi di un voto “emergenziale” basato solo sui membri del Parlamento, è comunque difficile che Ishiba riesca a vincere contro l’establishment. Un vero colpo di scena in questa corsa potrebbe essere non tanto il successo di un candidato minore, quanto l’elezione di una donna a premier, evento mai verificatosi nella storia del Giappone.
Mara Cavalleri
“Japan Prime Minister Shinzo Abe” by Anthony Quintano is licensed under CC BY