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Argentina, si riaccende la lotta mapuche

In 3 Sorsi – L’Argentina, indebolita dalla pandemia e dall’accordo per evitare il default, affronta la questione dei Mapuche, protagonisti negli ultimi mesi di scontri con la popolazione e il Governo centrale. Il Presidente Alberto Fernandez tenta una mediazione.

1. MAPUCHE, IL FRONTE CALDO DELLA PATAGONIA

Cresce il livello dello scontro tra il Governo centrale argentino e la comunità dei Mapuche, minacciando di scatenare una guerra civile in un Paese già martoriato dalla pandemia e dalla crisi economica. Dopo un agosto caldo di tensioni, infatti, nelle ultime due settimane la tensione è esplosa, allargandosi a macchia d’olio in molte zone della Patagonia, terra nativa degli indigeni. I mapuche, circa 300mila in tutto il Paese, infatti, sono ancora discriminati e emarginati, in contrasto rispetto a quanto fissato all’art. 75 della Costituzione argentina, che riconosce “la preesistenza etnica e culturale dei popoli indigeni argentini”. La lotta dei Mapuche è tesa verso questo obiettivo: il riconoscimento dell’identità culturale e dei conseguenti diritti territoriali.
A dare il via all’escalation di violenza, sabato 29 agosto, è stata la carovana di 200 auto che ha cercato di raggiungere con una “spedizione patriottica” Villa Mascardi, vicino San Carlos de Bariloche, parte delle terre occupate dalla comunità di Lafken Winkul Mapu dal 2017. Un luogo denso di significato: tre anni fa, infatti, durante un tentativo di sfratto, la polizia uccise un mapuche con un colpo di pistola alla schiena. La rabbia per il tentato attacco ha portato i Mapuche a replicare con la lotta armata. Da alcuni giorni bruciano le province limitrofe di Rio Negro e Chubut a causa di incendi intenzionali e si segnalano attacchi dei nativi a guardiaparchi e funzionari statali.

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Fig. 1 – Una donna mapuche in protesta mentre la polizia argentina spara acqua per disperdere i manifestanti

2. LE RADICI DELL’ODIO

Il conflitto sociale tra la popolazione e i nativi mapuche ha preso il via alla fine dell’Ottocento, quando Argentina e Cile, spinti dai proprietari terrieri che volevano aumentare la produzione agricola, decisero di occupare i territori degli indigeni in Patagonia. Il processo argentino, la “Conquista del desierto, avvenne sotto forma di campagna militare e costò la vita a 20mila mapuche. In cambio il Governo ottenne oltre 20 milioni di ettari di territorio coltivabile. Una parte consistente, 900mila ettari, venne ceduta come pagamento a una società di cittadini inglesi che avevano finanziato la spedizione militare. Nel corso del secolo si sono succeduti numerosi proprietari e l’attuale detentore dei terreni è la famiglia italiana Benetton, che li ha comprati nel 1991 per 50 milioni di dollari. Tra le sue attività, oltre ad agricoltura, allevamento ed estrazione mineraria, c’è anche il campo industriale, immobiliare e finanziario. 
Il movimento dei Mapuche è entrato nella scena pubblica nazionale negli Sessanta-Settanta e ha acquisito notorietà, in parte, per via del crescente uso della violenza. Fatti oggetto di frequenti arresti arbitrari, i nativi hanno risposto infatti con occupazioni di territori privati e scontri con la polizia, rischiando il carcere o la morte. Tra i casi più famosi vanno ricordati Milagro Sala e Santiago Maldonado: la prima, leader indigena del movimento Tupac Umaru detenuta dal 2016 con varie accuse, l’altro attivista vicino ai Mapuche scomparso durante una protesta nel 2017 e ritrovato morto due mesi più tardi.

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Fig. 2 – Marcia in memoria dell’attivista argentino Santiago Maldonado a Buenos Aires

3. LA BARRIERA ECONOMICA AI DIRITTI

Anche a causa della maggiore incidenza numerica – due terzi dei Mapuche totali si trovano a ovest della cordigliera delle Andein Cile gli scontri sono sempre stati regolari, ma in Argentina non si era mai arrivati a questo livello di tensione. Negli ultimi tre anni il confronto tra i nativi e la popolazione ha toccato livelli impossibili da ignorare, ormai più vicini a una vera e propria lotta armata. La comunità mapuche, infatti, ha occupato un totale di 30 ettari e ha compiuto più di 100 atti di violenza, spesso in risposta ad attacchi subiti. E le Organizzazioni internazionali, dall’ONU alla Commissione interamericana sui diritti umani (CIDH), di fronte a casi come quelli di Sala e Maldonado, che hanno avuto una risonanza mondiale, sono tornate a far sentire la propria voce, chiedendo il rispetto dei diritti umani.
Durante il suo mandato l’ex Presidente Mauricio Macri ha demonizzato il fenomeno, etichettandolo come “terrorismo mapuche” e ha chiuso un occhio sulla repressione delle Forze dell’ordine. Ma con la presidenza di Alberto Fernandez, nonostante una maggiore apertura al dialogo e la spinta della società civile, la musica non sembra destinata a cambiare. Il disinteresse del Governo argentino a risolvere il problema, infatti, è legato al peccato originale della sua conquista: gli interessi del settore agricolo, minerario, immobiliare e turistico. I Mapuche necessitano della terra per vivere, il capitale per creare profitti e lavoro. E in un’Argentina allo stremo, colpita dall’inflazione e con l’incubo del nono default sfiorato, è facile immaginare a chi verrà data ancora la precedenza.

Luca Gasperoni

Photo by MonoRenal is licensed under CC BY-NC-SA

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Perchè è importante

  • In Argentina, colpita duramente dalla pandemia e della crisi economica, nelle ultime settimane è salita la tensione in Patagonia a causa di scontri e proteste tra la comunità mapuche e la popolazione argentina locale.
  • I nativi lottano per la loro identità culturale e rivendicano i territori occupati da proprietari privati secoli fa. Negli ultimi tre anni il conflitto si è indurito in seguito ai casi di Milagro Sala e Santiago Maldonado, sfociando nella lotta armata.
  • L’ex Presidente Macri ha demonizzato i Mapuche, ma con Alberto Fernandez la musica non sembra destinata a cambiare per via degli interessi economici legati ai territori in Patagonia.

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Luca Gasperoni
Luca Gasperoni

Classe 1994, toscano, giornalista praticante. Laureato in giurisprudenza all’università di Firenze ho poi studiato alla scuola di giornalismo di Urbino. Appassionato di politica internazionale, seguo con attenzione Usa e America Latina. Irrequieto e curioso, parlo quattro lingue. Nella mia vita viaggi in solitaria, libri distopici e vinili folk.

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