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Argentina, i primi due anni di Macri e la sua vittoria alle elezioni

A due anni dalla sua elezione, il presidente Macri ha ottenuto risultati positivi ma da molti ritenuti non ancora sufficienti. Gli elettori però continuano ad appoggiare la sua opera di riforma. 

UNA LENTA RIPRESA ECONOMICA

Quando il 10 dicembre 2015 Mauricio Macri ha assunto l’incarico di 57° presidente della Repubblica Argentina, si è trovato a capo di un Paese in una situazione economica molto difficile, con un’inflazione che si aggirava intorno al 30% e un deficit pubblico del 5%, mentre il 29% degli Argentini viveva sotto la soglia di povertà. A livello internazionale invece il Paese era isolato e trattato alla stregua di un paria dal mondo occidentale, e in rapporti spesso conflittuali anche con i vicini sudamericani.

Le prime azioni del nuovo presidente sono state necessariamente rivolte a “normalizzare” l’economia argentina e a traghettarla verso posizioni più liberiste. Per questo compito Macri ha deciso di avvalersi della collaborazione di Alfonso Prat Gay, ex membro di JP Morgan con una lunga esperienza nel settore privato, nominato ministro dell’economia e delle finanze pubbliche. In primo luogo, Macri ha reso nuovamente autonomi l’istituto di statistica nazionale e la Banca centrale e ha rimosso il blocco all’acquisto di dollari (e euro) da parte dei privati, cancellando così il mercato nero della valuta (o mercato blu, come veniva eufemisticamente chiamato in Argentina). Grazie all’accordo con i fondi speculativi internazionali, in base al quale Buenos Aires accetta di rimborsare gli investitori colpiti dal fallimento del 2001, l’Argentina è potuta tornare a finanziarsi all’estero. Il governo ha subito approfittato di questa possibilità emettendo una grande quantità di titoli pubblici, alcuni dei quali con una scadenza a cento anni. Per ridurre il preoccupante deficit pubblico e frenare l’inflazione, Macri ha adottato una serie di politiche volte a ridurre la spesa pubblica, tagliando i sussidi e riducendo le sovvenzioni pubbliche alle imprese meno competitive. A causa però dell’impopolarità di molte di queste riforme e della mancanza di una maggioranza in entrambe le Camere, Macri ha adottato un appoggio definito “gradualista” che tuttavia ha profondamente limitato i risultati macroeconomici della sua opera di riforma. Dopo una breve recessione, infatti, il Paese è tornato a crescere ma solo al (relativamente) modesto tasso del 3%, mentre l’inflazione è ora attestata al 21,6%, in diminuzione rispetto al 2015 ma ancora lontana dall’obiettivo del 12-17% fissato dalla Banca Centrale. Il tasso di povertà invece, dopo essere cresciuto, si attesta ora al 28%, una diminuzione minima rispetto al livello di inizio mandato. Forse a causa di questi tiepidi risultati, alla fine del 2016 si è verificata una frattura tra il presidente e il suo ministro, tanto che Prat Gay ha dovuto rassegnare le proprie dimissioni. Il suo ministero è stato successivamente diviso e la responsabilità per le finanze è stata affidata a Luis Caputo e quella per l’economia a Nicolás Dujovne, entrambi con un passato nel settore privato.

Come la maggior parte dei governi argentini, anche Macri ha puntato molto sullo sfruttamento delle materie prime di cui il Paese è ricco, tra le quali petrolio, litio e soia. Se però la precedente amministrazione aveva promosso uno sviluppo economico basato su capitali interni e aiuti di Stato, Macri ha invece aperto il settore agli investitori stranieri, portatori di capitali e tecnologie altrimenti difficilmente reperibili. Per incoraggiare l’ingresso di tali capitali, il governo ha cercato di migliorare la “facilità di fare impresa” del Paese albiceleste eliminando molti dei regolamenti e dei vincoli all’investimento. Anche in questo campo tuttavia il governo non è riuscito ad avere un ruolo incisivo, in parte a causa del basso prezzo di molte materie prime, che ha scoraggiato gli investimenti, e in parte perché la maggioranza dei regolamenti interni cadono sotto la responsabilità dei governi provinciali, sui quali la Casa Rosada ha un’influenza limitata.

Infine, occorre notare che cambiamenti imposti da Macri all’economia del Paese non sono stati indolori per i suoi concittadini. Anche se l’eliminazione del blocco al libero scambio del dollaro e la riduzione dell’inflazione sono stati accolti con favore, le politiche di austerità e l’eliminazione dei sussidi hanno fatto aumentare i prezzi delle bollette e costretto al fallimento molte attività locali, rendendo più difficili le condizioni di vita per molti Argentini. La lotta condotta dal governo contro il potere dei sindacati in economia ha causato inoltre una profonda spaccatura nella società, che si è evidenziata in numerosi scioperi da parte di molte categorie di lavoratori, compreso  uno sciopero generale che lo scorso 6 aprile ha completamente paralizzato il Paese.

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Fig.1 – Il presidente Macri in arrivo al Forum economico di Davos.

UNA POLITICA ESTERA DA PROTAGONISTA

Al contrario della politica economica, il campo della politica estera è tradizionalmente prerogativa quasi assoluta del governo, e così Macri ha trovato meno vincoli e impedimenti nel rimodellare i rapporti esteri dell’Argentina. Per dare maggiore incisività al suo nuovo corso, il presidente ha voluto come ministra degli esteri Susana Malcorra, con un passato da Vice-segretaria generale dell’ONU per le missioni di peace-keeping e con un’importante esperienza nel settore privato (prima IBM, poi Telecom Argentina).

Anche in questo campo la priorità è stata data alla normalizzazione dei rapporti tra l’Argentina e il mondo, con l’obiettivo di ristabilire buone relazioni con i Paesi occidentali. Dopo aver accettato di rifondere gli hedge fund internazionali, Macri ha infatti ricucito le relazioni con molti Paesi europei, rafforzate da numerose visite di Stato all’estero e in patria (tra cui occorre ricordare gli incontri con il primo ministro italiano Renzi, con il presidente francese Hollande e con la cancelliera tedesca Merkel). Allo stesso tempo, l’Argentina ha riallacciato le relazioni con gli Stati Uniti, che si erano rovinate durante gli anni precedenti a causa della propaganda anti-statunitense del governo dei coniugi Kirchner. Al contrario, il governo Macri ha incontrato sia il presidente Obama che il presidente Trump, e con entrambi gli incontri si sono svolti in un clima molto amichevole e intimo. Inoltre, per rafforzare il suo legame con l’Occidente, la Casa Rosada ha manifestato la propria volontà di aderire all’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) l’organizzazione che riunisce la maggior parte dei Paesi con il più alto indice di sviluppo economico e umano.

Tuttavia, il palcoscenico d’azione per eccellenza del presidente è l’America latina, dove Macri ha saputo ritagliarsi un ruolo sempre più ampio grazie alla debolezza del governo brasiliano, continuamente scosso da scandali e inchieste, e alla vicinanza ideologica con il presidente verde-oro Temer. All’interno del Mercosur, il blocco regionale che riunisce Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela, la prima novità è stata la fine dell’opposizione agli accordi di libero scambio e di maggiore integrazione economica. Al contrario, Macri ha più volte caldeggiato la creazione di vincoli economici più stretti e ha auspicato che l’accordo commerciale tra Mercosur e Unione Europea, di cui si dibatte ormai da più di quindici anni, riesca finalmente a vedere la luce. Inoltre, il Capo di Stato argentino più volte si è espresso a favore della fusione tra il Mercosur e l’Alleanza del Pacifico, altro grande blocco dell’America latina di carattere marcatamente liberale che riunisce Messico, Colombia, Perù e Cile. In netto contrasto con gli anni dei Kirchner, Macri e la ministra Malcorra hanno rovesciato il rapporto amichevole nei confronti del Venezuela e hanno anzi criticato duramente l’operato del presidente Maduro, colpevole ai loro occhi di violare i diritti umani e di affamare il suo popolo, L’offensiva di Buenos Aires ha raggiunto il suo culmine nel dicembre 2016 quando, con il fondamentale appoggio di Brasilia e degli altri membri, il blocco ha votato la sospensione del Paese dal Mercosur per mancato rispetto delle clausole democratiche. Nel giugno del 2017 si è verificato un avvicendamento alla guida del ministero degli esteri e la ministra Malcorra è stata sostituita da Jorge Faurie, ex ambasciatore a Parigi. La politica estera del Paese non ha tuttavia subito importati cambiamenti e l’Argentina, insieme ad altri Paesi del Sud America, ha sottoscritto la Dichiarazione di Lima in cui afferma di non riconoscere l’Assemblea Costituente venezuelana.

A due anni dall’elezione, la politica estera di Macri ha sì riabilitato l’Argentina agli occhi del mondo, ma non si è dimostrata molto incisiva in termini economici, soprattutto per quanto riguarda gli accordi multinazionali di libero scambio. La firma di un accordo tra Mercosur e UE rimane ancora lontana, mentre l’avvicinamento con l’Alleanza del Pacifico rischia di essere vanificato dal prossimo ingresso nel Mercosur della Bolivia, Paese di stampo bolivariano contrario ad accordi di libero scambio e in cattivi rapporti con il Cile. Anche nei confronti della crisi del Venezuela, le misure dell’Argentina non sono riuscite a compattare il resto dei Paesi dell’America latina, né al momento sono riuscite a mettere in difficoltà la tenuta del presidente Maduro.

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Fig.2 – Il presidente Macri insieme ai leader del Mercosur.

LA VITTORIA ALLE ELEZIONI DI METÀ MANDATO

È con questi risultati non molto positivi in campo interno ed esterno che il governo Macri ha dovuto affrontare la sfida delle elezioni parlamentari di metà mandato, che prevedevano il rinnovo di metà dei deputati alla Camera e un terzo dei senatori. A causare ulteriori problemi al governo è arrivata la vicenda della sparizione e morte di Santiago Maldonado, un giovane attivista scomparso lo scorso agosto in seguito alla repressione di una protesta a favore dei diritti del popolo Mapuche, il cui corpo è stato trovato solo più di due mesi più tardi nel fiume Chubut. La vicenda ha scosso l’Argentina per il richiamo ai tristi anni della dittatura e alla tragedia dei desaparecidos, e da molte parti si sono levate voci contro la corruzione e la violenza della polizia e contro lo stesso governo, accusato di aver trascurato la vicenda. Anche l’Onu si è unita alle critiche, accusando l’ammistrazione Macri di non aver gestito le indagini con imparzialità.

Nonostante queste difficoltà, lo scorso 22 ottobre, giorno delle elezioni, il partito di governo Cambiemos ha trionfato in gran parte del Paese, vincendo nelle popolose province di Buenos Aires (slegata dalla capitale omonima), Córdoba e Santa Fe, nonché nella stessa capitale. In particolare, la vittoria più significativa è stata registrata proprio nella provincia di Buenos Aires, dove il candidato senatore vicino a Macri Esteban Bullrich, ex ministro dell’educazione, ha sconfitto sia l’ex-presidente Cristina Kirchner sia Sergio Massa, terzo arrivato nelle elezioni presidenziali di due anni fa e possibile nuovo volto del peronismo.

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Fig.3 – il presidente Macri durante la festa per la vittoria di Cambiemos.

Grazie alla vittoria, Macri ha potuto allargare i propri numeri nelle Camere e rafforzare il capitale politico, oltre ad assicurarsi con tutta probabilità la ricandidatura per le elezioni presidenziali del 2019. Proprio in questi giorni, infatti, il leader argentino ha presentato un ambizioso pacchetto di riforme, che comprende una riforma del mercato del lavoro, una riforma tributaria e una riforma della pubblica amministrazione. Tuttavia, anche in seguito a questa vittoria il partito di Macri conta 107 deputati su 257 e 24 senatori su 72, rimanendo ben lontano dall’avere la maggioranza in entrambe le Camere. Inoltre, anche se sconfitta Cristina Kirchner, la sua principale oppositrice, è riuscita a essere eletta al Senato, da dove continuerà a condurre una fiera opposizione contro il presidente.

È quindi probabile che Macri continuerà la sua opera riformatrice dell’economia e della società argentina, ma sarà comunque costretto a un costante e faticoso negoziato con le opposizioni, che probabilmente lo costringerà a rivedere e annacquare molte delle sue riforme marcatamente liberiste.

Umberto Guzzardi

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””] Un chicco in più Per informazioni più dettagliate sui risultati delle elezioni argentine di metà mandato, si rimanda a questa pagina. [/box]

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Umberto Guzzardi

Nato a Novara nel 1991, appassionato di geopolitica, relazioni internazionali, storia antica e moderna, ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna campus di Forlì. Ha trascorso vari periodi di studio all’estero, tra cui uno in Lituania ed un altro a Buenos Aires. Attualmente viaggia spesso per lavoro tra Europa e Africa.

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