AstroCaffè – Sembra strano, ma la Brexit potrebbe avere conseguenze anche fuori dall’orbita terrestre. Il Regno Unito è molto coinvolto in programmi congiunti tra ESA e UE, e l’industria del Paese ne ha tratto molti benefici
LO SPAZIO BRITANNICO – La Gran Bretagna ha una agenzia spaziale solo dal 2010. Nonostante questo, ha una tradizione per quanto concerne sia le attività in orbita terrestre sia per l’esplorazione. Un esempio in questo settore è il rover Beagle-2, facente parte della missione europea Mars Express. Il veicolo avrebbe dovuto atterrare su Marte, ma se ne persero le tracce. Solo di recente si è scoperto che la manovra ha avuto successo, ma per qualche motivo i contatti con la sonda si sono interrotti. Il Regno Unito dà un contributo importante ai fondi per la Stazione spaziale internazionale (International Space Station – ISS). A livello nazionale, il Paese si propone come un polo per le attività spaziali commerciali nonché guida della ricerca per un veicolo a decollo orizzontale in grado di raggiungere l’orbita e rilasciare diversi tipi ci carichi (progetto Skylon). Per quanto riguarda i satelliti, il Regno Unito ne costruisce di civili e militari dagli anni Sessanta del XX secolo.
Fig. 1 – Modello dello Skylon
ESA NON UE – Il Regno Unito è membro dell’Agenzia spaziale europea (European Space Agency – ESA) dal 1978. Nel corso degli anni, il Paese è diventato il quarto contributore dopo Germania, Francia e Italia. Quinto se si considerano i fondi dati dall’Unione Europea. La Brexit non cambia la posizione del Paese all’interno dell’Agenzia. Anche Norvegia e Svizzera sono membri ESA e non UE. Un primo problema riguarda le conseguenze economiche della decisione. Se i danni fossero sensibili, il contributo di fondi britannici diminuirebbe, dando all’Agenzia minori risorse per i programmi. Il Regno Unito contribuisce per circa il 9,9% del budget tra i membri. Una fetta importante, ma non decisiva. Questo dovrebbe contenere gli effetti negativi.
Fig. 2 – Lancio di una coppia di satelliti Galileo con un vettore Soyuz
GALILEO E COPERNICUS – I nodi vengono al pettine quando si parla di uno programmi congiunti tra ESA e UE: il Galileo per la navigazione e il posizionamento satellitare. L’Agenzia si occupa della parte tecnica, mentre all’Unione spetta la proprietà e la gestione. Qui la contraddizione tra Regno Unito membro dell’una e non dell’altra viene a galla. Il Paese è coinvolto a livello industriale nella fornitura per l’elettronica dei satelliti tramite l’azienda Surry Satellite Technology Ltd. (SSTL). Ora, il contratto per 22 piattaforme siglato con la OHB (tedesca, capocommessa), che si avvale del lavoro di SSTL, è stato firmato ben prima della Brexit quindi non crea problemi. La Commissione Europea ha deciso di riaprire il bando per la costruzione di ulteriori 6 satelliti. OHB si presenta forte dell’esperienza accumulata finora, ma Airbus Defence and Space e Thales Alenia Space (quest’ultima costruttrice dei primi quattro usati per i test, dei quali tre sono ancora operativi) non staranno a guardare. La presenza di SSTL nella squadra della OHB rappresenta un problema proprio perché entro due anni diventerà una società extracomunitaria. Altra questione spinosa è l’accesso al segnale PRS (Public Regulated Service), simile al Military Code del GPS statunitense e accessibile ai militari e agli enti governativi. I Paesi membri UE lo avranno automaticamente appena disponibile. I Paesi ESA non UE come Norvegia e Svizzera devono sottostare ad accordi specifici. Il Regno Unito rientrerà in questa categoria, ma non subito.
Problemi simili si riscontreranno per l’accesso ai servizi del programma Copernicus, la costellazione di satelliti per l’osservazione della Terra. Questa si divide in missioni nazionali contributrici e satelliti dedicati veri e propri della serie Sentinel. I fondi arrivano direttamente dalla Commissione Europea tramite i Quadri finanziari pluriennali.
Fig. 3 – Lancio del satellite Sentinel-1A del programma Copernicus
QUESTIONI APERTE – Più che fornire risposte, l’analisi delle conseguenze spaziali della Brexit pone molte incognite. Il Regno Unito continuerà a dare un contributo importante all’ESA? Potrà continuare a partecipare ai programmi gestiti dall’Unione Europea? Se sì, in che modo? Ci saranno ripercussioni politico-diplomatiche? Che fine farà l’industria aerospaziale britannica che ha usufruito negli anni di fondi europei? Domande che non hanno ancora una risposta. Chissà se David Cameron ci ha pensato all’atto di indire il referendum.
Emiliano Battisti
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