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A volte ritornano: la difesa antimissile basata nello spazio

Miscela StrategicaNegli Stati Uniti circola nuovamente l’idea di dotarsi di un sistema antimissile basato nello spazio, con la possibilitĂ  concreta che rimanga sulla carta come è stato per la SDI

INTERCETTARE NELLO E DALLO SPAZIO – Sin da quando esistono i missili intercontinentali (Intercontinental Ballistic Missile – ICBM) armati con testate nucleari, gli sforzi e le risorse dedicati alla difesa antimissile sono stati ingenti. Tuttavia, nonostante anni di ricerca, sperimentazione e progettazione, ancora non ne esiste una efficace. Il massimo che si possa esprimere al momento è la copertura di obiettivi sensibili e non contro un attacco massiccio. Come è stato analizzato in passato, la difesa antimissile è possibile in tre fasi del volo del vettore obiettivo: iniziale, di volo extra-atmosferico e terminale. In questa analisi ci si concentrerĂ  sulla prima e sulla seconda. Queste risultano essere le preferite dai pianificatori perchĂ© permetterebbero di colpire un numero maggiore di testate, inoltre ridurrebbero i rischi di un’intercettazione “all’ultimo secondo” (come la dispersione di materiale radioattivo). Ad oggi, l’intercettazione nella fase di volo è affidata a missili dotati del cosiddetto Exo-atmospheric Kill Vehicle (veicolo per l’intercettazione extra-atmosferica – EKV), il quale viene rilasciato su una traiettoria d’impatto con la testata in arrivo, con l’obiettivo di distruggerla prima del rientro atmosferico. Sin da subito risulta evidente una grande lacuna: un EKV per una testata, perciò è facilmente raggirabile attraverso vettori dotati di MIRV (Multiple Independent targetable Reentry Vehicle – veicoli di rientro indipendenti multipli e puntabili) o dei piĂą efficaci MaRV (Maneuverable Reentry Vehicle – veicoli di rientro manovrabili). Per quanto concerne l’intercettazione nella fase iniziale, questa è affidata a sistemi di difesa posti nelle vicinanze del territorio nemico, magari tramite accordi politico-militari con Stati limitrofi oppure tramite forze navali. Possedere un sistema d’intercettazione in orbita terrestre potrebbe coprire queste lacune se non totalmente, almeno parzialmente.

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Fig. 1 – Missile intercettore del sistema AEGIS

IL SOGNO DELLA SDI – Come si sa, l’idea non è nuova. Negli Stati Uniti, l’amministrazione Reagan lanciò ufficialmente il progetto della Strategic Defense Initiative (Iniziativa di difesa strategica – SDI) nel 1983.Questo si basava su una combinazione di difese basate a terra e nello spazio per dotare gli USA di una copertura antimissile totale. La parte piĂą ambiziosa del programma era ovviamente quella spaziale, costituita da una rete satellitare che avrebbe colpito le testate in arrivo attraverso l’uso di laser. Alcuni studi erano mirati ad ottenere anche la capacitĂ  di fermare i missili stessi nella fase iniziale. La SDI non vide mai la luce a causa dei costi altissimi e della complessitĂ  tecnica. Ad esempio, i satelliti che avrebbero dovuto essere dotati di specchi per riflettere i laser provenienti da altre piattaforme (e indirizzarli sull’obiettivo) sarebbero stati di tali dimensioni da non entrare nella zona cargo dello Space Shuttle, mezzo deputato al loro trasporto in orbita. Nonostante non sia mai stato realizzato, la SDI ebbe il merito di essere uno dei fattori che costrinsero l’Unione Sovietica a rincorrere i progetti della Difesa statunitense, probabilmente accelerandone la disgregazione.

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Difesa antimissile statunitense

  • Ground-Based Midcourse Defense
  • THAAD
  • Patriot PAC-3
  • AEGIS [/box]

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Fig. 2 – Batterie di missili Patriot

UN’IDEA CHE A VOLTE TORNA – L’ipotesi di dotare gli Stati Uniti di un sistema d’intercettazione antimissile basato nello spazio è ricomparsa di recente. Durante il diciannovesimo Simposio annuale sulla difesa missilistica, tenutosi ad Huntsville (Alabama) lo scorso agosto, un report ha sottolineato come lo spazio sia ormai un ambiente armato e che la superioritĂ  statunitense è messa a rischio ogni giorno dai nuovi sistemi in via di sviluppo in Russia e Cina, ma anche in Iran e Corea del Nord che potrebbero rendere inefficace la rete di sorveglianza satellitare di Washington aprendo la via ad attacchi convenzionali e/o nucleari. Per questo motivo, l’idea degli intercettori spaziali è circolata di nuovo, in questo caso ampliata anche al compito di contrato alle minacce ASAT (antisatellite). L’obiettivo sarebbe quello di colpire i missili nemici nella fase iniziale quando non possono ancora usare contromisure e rilasciare la testata (o le testate). Inoltre, si eviterebbero i problemi di detriti spaziali (che si formerebbero in caso di distruzione nella fase di volo spaziale) e dell’eventuale dispersione di materiale radioattivo sugli Stati Uniti o dei loro alleati. Per il momento l’idea rimane tale e non ci sono progetti concreti ufficiali.

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Fig. 3 – Missile Trident II dotato di testate nucleari

PROBLEMI LEGALI E STRATEGICI – Se per ipotesi un programma di difesa antimissile che contempli un sistema d’intercettazione dallo e nello spazio divenisse realtĂ  porrebbe numerosi problemi. Il Trattato sull’uso dello spazio (Outer Space Teatry – OST) ratificato da tutte le potenze con capacitĂ  spaziali, proibisce esplicitamente l’uso di sistemi d’arma in orbita terrestre e oltre. Dispiegarli offrirebbe all’avversario la possibilitĂ  di portare la questione al palcoscenico delle Nazioni Unite che mantiene tutt’ora una sua rilevanza anche se relativa. Potrebbe non essere neanche sufficiente l’argomentazione che suddetti sistemi sono prettamente a scopo difensivo, poichĂ© nessuno potrebbe escludere che possiedano anche capacitĂ  offensive, come disabilitare o distruggere altri satelliti.
Schierare un sistema antimissile con teorica capacitĂ  di copertura totale metterebbe a rischio il concetto grazie al quale la Guerra Fredda non è diventata calda: la mutua distruzione assicurata (Mutual Assured Destruction – MAD). Questa si basa sulla certezza che nessuno dei contendenti possa prevalere in un conflitto nucleare data l’impossibilitĂ  di distruggere completamente le forze del nemico. Una difesa antimissile completa conferirebbe a uno dei contendenti la cosiddetta capacitĂ  di primo colpo, ossia il poter lanciare i propri missili senza temere la rappresaglia disarticolando l’architettura della MAD.

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Fig. 4 Test ASAT degli Stati Uniti condotto con un missile SM-3 del sistema AEGIS

QUESTIONI TECNICHE E OPERATIVE – Per attivare un sistema di difesa antimissile basato nello spazio è necessario affrontare diverse questioni.

[tabs type=”vertical”]
[tabs_head]
[tab_title] 1. Minaccia ASAT [/tab_title]
[tab_title] 2. Difficoltà tecniche [/tab_title]
[tab_title] 3. Costi [/tab_title]
[/tabs_head]
[tab]Un sistema satellitare è vulnerabile alle minacce cyber e alle nuove armi antisatellite che alcuni Paesi, Cina su tutti, stanno sviluppando. Perciò, tra i requisiti del progetto ci deve essere anche la capacità di proteggersi da questo tipo di assets oltre ad avere un sistema informatico molto resistente agli attacchi esterni.[/tab]
[tab]Come è giĂ  stato per la SDI, mettere in orbita un tale sistema non è semplice. I progressi in fatto di miniaturizzazione hanno fatto passi da gigante in piĂą di trent’anni, ma non esiste ancora un sistema affidabile che possa colpire missili e testate in arrivo. Gli intercettori cinetici sono poco efficienti, mentre gli studi sulle armi al laser hanno ancora diversi anni di studio e sperimentazione da affrontare.[/tab]
[tab]Il progetto di un sistema di difesa antimissile basato nello spazio è stato presentato sia al Pentagono sia all’Agenzia per la difesa missilistica (Missile Defence Agency – MDA), ricevendo un’accoglienza fredda. Inoltre il Congresso ha stimato un costo che va dai 30 ai 300 miliardi di dollari in venti anni. Esorbitante, se si pensa che l’intero bilancio dei programmi spaziali del Dipartimento della Difesa arriva a 22 miliardi dei quali 19 sono dedicati al rinnovo della costellazione SBIRS (Space Based Infrared System – Sistema infrarosso basato nello spazio).[/tab]
[/tabs]

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Fig. 5 – Immagine dell’area cargo dello Space Shuttle. Si notino le grandi dimensioni (la navetta era lunga in tutto circa 30 metri). Nonostante questo i satelliti per la SDI non sarebbero entrati

[one_half] [box type=”warning” align=”” class=”” width=””]RISCHI

  • Disarticolazione MAD
  • Escalation militare
  • Minaccia ASAT
  • Costi eccessivi
  • DifficoltĂ  tecniche

[/box]

[/one_half][one_half_last]

[box type=”note” align=”” class=”” width=””]VARIABILI

  • Copertura antimissile quasi totale
  • Difesa anti-ASAT
  • Sviluppo della tecnologia laser a fini bellici
  • CapacitĂ  di primo colpo nucleare (temporanea)

[/box][/one_half_last]

Emiliano Battisti

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Il Caffè Geopolitico si è già occupato della difesa antimissile:

La difesa antimissile
La difesa antimissile degli Stati Uniti
La difesa antimissile della Russia
La difesa antimissile di Israele
La difesa antimissile in Europa
Il sistema di difesa antimissile e antiaerea AEGIS
La difesa antimissile italiana
[/box]

Foto di copertina di NOAA Photo Library Rilasciata su Flickr con licenza Attribution License

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Emiliano Battisti
Emiliano Battisti

Consulente per la comunicazione per un’azienda spaziale e Project Officer and Communications per OSDIFE, sono Segretario Generale e Direttore della comunicazione dell’APS Il Caffè Geopolitico e Coordinatore dei desk Nord America e Spazio. Ho pubblicato il libro “Storie Spaziali”.

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