Londra attaccata di nuovo dal terrorismo e a Torino più di 1400 feriti tra la folla a piazza San Carlo a causa della psicosi attentato. Analisi e riflessioni in 5 punti
1) CHE COSA È SUCCESSO? – Ancora terrorismo, ancora il Regno Unito, ancora Londra. La capitale britannica è stata vittima di un attentato terroristico portato avanti con duplice modalità. Tre jihadisti alla guida di un pullmino hanno travolto decine di persone sul London Bridge prima di terminare la corsa con un incidente. A quel punto, i tre sono scesi dal veicolo e hanno iniziato ad accoltellare le persone nella zona del Borough Market, aiutati da finte cinture esplosive che hanno indebolito la volontà di reazione. Il bilancio è di 7 morti e 48 feriti. I terroristi sono stati tutti uccisi dalla polizia intervenuta durante l’attacco. L’ISIS, come ci si aspettava, ha rivendicato l’attentato.
A Torino invece la vicenda è ancora confusa. Non si è ancora riusciti a stabilire il fattore scatenante il panico tra la folla radunatasi a piazza San Carlo per assistere alla finale di Champions League tra la Juventus e il Real Madrid. Il bilancio è di più di 1.500 feriti più o meno gravi.
Tra i due episodi non ci sono collegamenti, essendo avvenuto prima quello di Torino rispetto a quello di Londra.
Fig. 1 – Il London Bridge
2) CHE COSA È CAMBIATO DALL’ATTENTATO DI MARZO? – L’attacco al London Bridge di sabato sera è molto simile a quello avvenuto a Westminster alcune settimane fa. Anche in quell’occasione un veicolo era stato infatti lanciato ad alta velocità contro i pedoni sul Westminster Bridge, ferendo circa una cinquantina di persone, e il suo guidatore aveva cercato poi di assalire con un coltello il personale di guardia del vicino Parlamento, pugnalando a morte un poliziotto. Le somiglianze però finiscono qui. L’attacco a Westminster appare infatti piuttosto amatoriale rispetto a quello eseguito sabato da un piccolo commando di tre persone. Anzitutto, l’investimento dei pedoni sul ponte è stato metodico e calcolato, con manovre addirittura in retromarcia per colpire le persone sfuggite alla prima “carica” del veicolo. Gli attentatori sono poi corsi velocemente verso la vicina area di Borough Market, accoltellando diversi avventori in entrata o uscita da pub e ristoranti. Un modo semplice ma efficace per colpire vittime vulnerabili e generare ulteriore terrore nella zona. Infine i membri del commando hanno indossato false cinture esplosive per complicare la risposta della polizia alla loro azione e per validare il proprio martirio in nome del jihad. Non si è trattato quindi di un attacco improvvisato, ma di un’operazione pianificata con cura per ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. A dispetto della reazione rapida della polizia, che ha eliminato i tre attentatori nell’arco di pochi minuti, l’impatto mediatico e psicologico dell’attacco è stato infatti enorme ed è riuscito a paralizzare il centro di Londra per diverse ore, gettando centinaia di migliaia di persone nel panico. Allo stesso tempo ha colto totalmente di sorpresa i servizi di sicurezza britannici, che non sono riusciti a svolgere alcun ruolo di supporto alla polizia nella gestione dell’emergenza. Tutto questo usando solo un furgone e poche armi da taglio.
Si tratta quindi di un pericoloso salto di qualità rispetto alle azioni solitarie (e spesso dilettantesche) viste in Europa nei mesi scorsi. Organizzato e eseguito con cura, l’attacco al London Bridge segna a suo modo il ritorno a operazioni terroristiche gestite da piccole cellule nascoste nelle periferie delle grandi città europee, sul modello di quanto avvenuto a Parigi nel novembre 2015. Ma rappresenta anche un’ulteriore evoluzione di tali operazioni, portate avanti con armi più semplici e con un apparato logistico più limitato. Queste caratteristiche rendono difficile il lavoro di prevenzione della polizia e aumentano il senso di insicurezza della popolazione, che non può più muoversi liberamente nella propria città senza temere di cadere vittima della violenza dei jihadisti.
Fig. 2 – Il Sindaco di Londra Sadiq Khan è il Commissario della Polizia Metropolitana Cressida Dick
3) LE CONSEGUENZE INTERNE – Il Regno Unito ha subito tre attentati in poco piu’ di tre mesi, che rivelano come la sicurezza interna non sia affatto garantita. Alla luce di questa successione di eventi, è doveroso pensare alle conseguenze politiche che questa escalation di atti terroristi potrebbero provocare. È fin troppo facile infatti pensare ad un collegamento con le elezioni parlamentari che si terranno giovedi’ 8 giugno: indette a sorpresa dal Primo Ministro Theresa May con l’intento di aumentare notevolmente la maggioranza conservatrice a discapito di un Labour considerato alle corde, in realtà le urne potrebbero restituire un esito meno scontato del previsto. Il candidato laburista Jeremy Corbyn ha recuperato parecchi punti nei sondaggi nelle ultime settimane (o li ha persi la May?) ed è abbastanza chiaro che gli attentati di Londra e Manchester avranno una ripercussione, quantomeno a livello psicologico, nella mente degli elettori. Difficile dire se sposteranno voti a favore del Primo Ministro uscente May: nonostante la sua promessa di adottare un atteggiamento più duro verso i terroristi (“enough is enough” – quel che è troppo è troppo), in realtà la leader Tory deve scontare le critiche per il suo lavoro svolto da Ministro degli Interni dal 2015 al 2016, durante il quale ha ridotto le risorse e il personale destinato alle forze dell’ordine.
Difficile anche per il Primo Ministro annunciare di voler chiudere le frontiere e di adottare il “pugno di ferro” contro l’immigrazione, in parallelo con i negoziati per la Brexit. Infatti i terroristi che hanno colpito in Gran Bretagna sono cittadini britannici dalla nascita, che si sono radicalizzati solo in un periodo recente. In gioco non dovrebbero dunque esserci le regole – più o meno aperte – sull’immigrazione, ma la discussione di un intero modello sociale, il multiculturalismo britannico, che non si puo’ risolvere con dei semplici annunci pre-elettorali o con misure restrittive alla libertà di circolazione. Ancora una volta, si tratta di problemi che richiedono soluzioni di lungo periodo e che, purtroppo, vanno ben oltre la durata dei cicli elettorali, provocando però effetti nefasti nel breve periodo. Il nuovo Governo britannico sara’ all’altezza di affrontare queste sfide epocali?
Fig. 3 – La polizia scientifica sul luogo dell’attacco
4) DIPENDE SOLO DALLA NOSTRA RISPOSTA IN EUROPA? – Gli eventi in Europa non devono farci dimenticare come il fenomeno del terrorismo sia comunque figlio della situazione mediorientale, dove agli errori occidentali si somma il conflitto – per il dominio regionale, ma su linee settarie – tra Arabia Saudita ed Iran, con tutte le conseguenze connesse (dalla lotta in Siria e Iraq, al conflitto in Yemen, alle dispute settarie in Bahrein…) e la sfida all’interno del mondo sunnita (del quale il recente ostracismo del Qatar è solo l’ultimo evento). In questo scenario ogni fazione e gruppo armato (inclusi quelli terroristi) diventa non tanto una minaccia quanto uno strumento: da aiutare, finanziare, sfruttare per attaccare i propri avversari – pur con tutti i rischi che, poi, si rivolti contro. Il terrorismo non dipende quindi dalla semplice esistenza dell’ISIS (uno degli attori materiali) ma dall’esistenza stessa delle condizioni di instabilità politica, sociale ed economica che hanno contribuito a crearlo e che, anche assente l’ISIS, continuerebbero a dare origine e forza a gruppi simili. In quest’ottica, la politica occidentale di continuo appoggio alle monarchie mediorientali andrebbe rivalutata: da un lato, vista la riluttanza dell’opinione pubblica occidentale ad impegnarsi direttamente, costituiscono la più naturale sponda a cui appoggiarsi. Dall’altro, esse agiscono per proprio interesse, non per il nostro, e dunque anche i nostri finanziamenti e appoggi tendono a inasprire il conflitto (che loro vedono comunque come vitale) e non a ridurlo. Se si vuole ridurre la proliferazione dei gruppi terroristi, e dunque la loro pericolosità anche fuori area, bisogna partire da qui. Non è impossibile, ma è bene essere chiari: rivedere tali politiche ha costi politici ed economici. Il punto è proprio questo: rinunceremmo a vantaggi a breve termine per maggiori benefici a lungo termine, ma siamo disposti a farlo? In politica estera si può fare di tutto, a patto di conoscere le conseguenze. E accettarle.
Fig. 4 – Piazza San Carlo a Torino dopo il caos
5) CINTURE FALSE, PETARDO FALSO – Poco più di dettagli, rispetto a quanto accaduto nella tarda serata del 3 giugno. Ma significativi nel cogliere piccole o grandi evoluzioni di come ci rapportiamo al terrorismo, del clima che stiamo vivendo, e di come i terroristi stiano cogliendo tutto questo.
A Torino, basta un nulla per scatenare una psicosi collettiva. Non c’è nulla, non si fugge da un nemico, ma paradossalmente è chi fugge che può diventare il tuo carnefice, complici anche i difetti organizzativi già in più sedi descritti. La stessa cosa sarebbe avvenuta due anni fa? Forse no, ed è segno di una paura che si è instillata e che esplode cieca, al solo sentore di un avvenimento, senza che nessuno aiuti a trovare quegli strumenti che ci possono aiutare almeno in parte in queste situazioni.
Se analizzassimo in un contesto diverso il dettaglio delle cinture false di Londra, fuori dal dramma avvenuto, sembrerebbe quasi una cosa ridicola, da “terroristi di terza serie”, come chi prova a rapinare una banca con una pistola giocattolo. E invece quella cintura porta con se una evoluzione: è uno strumento comunicativo, che blocca, provoca paura e rende più facile una azione con un coltello. Il terrorista ora sa, probabilmente più di prima, che il possibile obiettivo è allarmato, ha paura, e sfrutta questo a vantaggio della propria azione.
Si fa presto a dire resilienza. Ne parliamo da anni, eppure giustamente in una chat di redazione uno di noi mi ha sottolineato, mentre ne parlavo: «Giusto, ma se vedo una cintura esplosiva mica penso se è vera o no». Sacrosanto.
Eppure, per quanto detto in mille occasioni, è inevitabile che un luogo pubblico non potrà mai essere completamente sicuro. E al di là di come affrontare il fenomeno terrorismo nel suo complesso o le singole azioni, non si può non iniziare a coinvolgere la cittadinanza in questo percorso, proprio perche questi eventi possono accadere. Saper provare a minimizzare rischi e panico in attacchi veri (o presunti) è tutt’altro che un dettaglio, e può fare la differenza. Questo video della polizia inglese aiuta molto bene ad iniziare ad affrontare questo tema. E solo un primo passo, ma anche da noi dovremo iniziare. L’alternativa è che – se anche le attività di sicurezza e prevenzione venissero sempre compiute nel migliore dei modi – senza questo lavoro con la popolazione il panico sia sempre un passo avanti, ed autoalimentandosi si trasformi nel miglior alleato del terrorismo.
Hanno contribuito a questo articolo: Emiliano Battisti, Lorenzo Nannetti, Simone Pelizza e Alberto Rossi
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Foto di copertina di West Midlands Police Licenza: Attribution-ShareAlike License