In 3 Sorsi – In Sudan continuano gli scontri tra l’esercito di al-Burhan e le RSF di Hemetti. Il numero di vittime civili comincia a salire e la comunità internazionale teme che il Paese crolli definitivamente nella guerra civile.
1. AGGIORNAMENTI SUL CONFLITTO
In Sudan siamo ormai al terzo giorno di scontri tra l’esercito regolare fedele al Presidente del Consiglio Sovrano di Transizione, Abdel Fattah al-Burhan, e i paramilitari delle Rapid Support Forces (RSF) del vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti. Secondo l’Associazione dei Medici Sudanesi il bilancio delle vittime civili potrebbe aggirarsi intorno ai cento morti, con oltre 940 feriti (compresi alcuni combattenti), mentre non ci sono dati sulle perdite tra le fazioni armate. Riguardo alla situazione sul campo, dopo una prima avanzata delle RSF, che avevano conquistato alcune postazioni strategiche a ridosso della capitale Khartoum (come la città di Omdurman) e lungo il Nilo (per esempio la base aerea di Merowe), sembra che l’esercito sudanese stia recuperando rapidamente numerose posizioni. Le milizie di Hemetti, infatti, avevano colto di sorpresa le forze di al-Burhan, contando su una maggiore mobilità, su un equipaggiamento migliore e sull’esperienza maturata in Libia e nella regione del Lago Ciad. Col passare delle ore, tuttavia, l’esercito è riuscito a organizzarsi e contrattaccare con un abbondante ricorso ad artiglieria pesante, mezzi corazzati e forza aerea. Dagli aggiornamenti del 17 aprile emerge comunque un quadro ancora piuttosto fluido, con scontri in tutto il Paese e possibili ribaltamenti in aree nelle quali le RSF possono contare su roccaforti e reti di sostegno, a cominciare dal Darfur centrale e occidentale.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Immagini di scontri all’aeroporto di Khartoum
2. LE OMBRE DI UNA GUERRA CIVILE ESTESA
Al momento è difficile prevedere come evolverà lo scenario, ma un rischio è che i combattimenti si tramutino in una guerra civile sul modello libico. La conformazione del Sudan e la polarizzazione dell’epoca successiva alla caduta di Omar al-Bashir rende infatti verosimile un conflitto basato su zone occupate nelle quali agisca anche un intricato sistema di insorti e islamisti. È possibile che la reazione dell’esercito riesca a ridimensionare l’offensiva delle RSF, ma lo scontro potrebbe cristallizzarsi qualora Hemetti si rifugiasse nel Darfur, una regione nella quale ha già tristemente operato con forti sospetti di crimini contro l’umanità alla guida delle milizie Janjawid. Considerata la complessa vicenda locale e la presenza di storici gruppi ribelli, la sua presenza nel quadrante potrebbe portare a uno stato di guerriglia che vanificherebbe anche il percorso di pacificazione avviato dagli accordi di Giuba del 2020. La comunità internazionale ha unanimemente condannato le violenze in Sudan, invitando le parti a un cessate il fuoco che al momento pare improbabile. L’Organizzazione regionale del Corno d’Africa, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD), ha intanto incaricato il Presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, e il Presidente di Gibuti, Omar Guelleh, di tentare una mediazione nella crisi.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Il Presidente del Consiglio Sovrano di Transizione, al-Burhan (al centro), e il vicepresidente Hemetti (a sinistra)
3. C’È LA RUSSIA DIETRO AL TENTATO GOLPE IN SUDAN?
Diverse analisi ritengono che il colpo di Stato in Sudan sia stato ispirato dalla Russia. Nonostante la forte influenza di Mosca nel Paese, però, questa volta il Cremlino potrebbe essere estraneo. La netta dicotomia proposta da vari osservatori nelle ultime ore contrappone al-Burhan golpista filo-occidentale (riluttante) e garante di una transizione imperfetta a Hemetti filo-russo e uomo vicino al Gruppo Wagner incaricato dalla Russia di prendere il controllo. Gli schieramenti, tuttavia, sono forse più complessi. È vero che al-Burhan ha aperto al dialogo con Egitto, Arabia Saudita e Israele, con gli USA sullo sfondo, ma il suo obiettivo di riportare il Sudan (sospeso dall’Unione Africana e sanzionato per esempio la Banca Mondiale) nella comunità internazionale non pregiudicherebbe i rapporti con la Russia. Al-Burhan, inoltre, ha acconsentito a una mediazione con le opposizioni civili a dicembre per arrivare alle elezioni nel 2023, adottando il motto di piazza “Soldati nelle caserme, partiti alle urne”. La scelta non è una svolta democratica, quanto un tentativo (contestato) di mantenere comunque il potere. Quanto a Hemetti, il vicepresidente è certo prossimo alla Russia (era a Mosca due giorni prima dell’invasione dell’Ucraina) e in contatto con il Gruppo Wagner, ma non è detto che il Cremlino gli abbia ordinato il colpo di Stato. Le RSF non sono amate dal popolo e la vittoria di Hemetti potrebbe rendere il Sudan ancora più isolato. L’ipotesi che vede il golpe come una reazione – in un senso o nell’altro, c’è molta confusione – all’eventualità di una base russa sulle coste sudanesi del Mar Rosso non tiene di conto che il progetto fosse in dubbio già mesi fa. Khartoum si è anche astenuta nel voto ONU contro la guerra in Ucraina del 23 febbraio scorso. Insomma, la Russia guadagnerebbe poco da una vittoria delle RSF. La contesa tra al-Burhan ed Hemetti è piuttosto uno scontro di potere interno al Sudan, circa soprattutto sia l’eventualità di una riorganizzazione delle Forze Armate che potrebbe limitare il margine di manovra delle RSF, sia una transizione politica della quale al-Burhan vorrebbe essere perno. Resta il fatto che il Sudan, Paese strategico per Africa e Mediterraneo allargato, a cavallo tra aree di crisi multidimensionale, è piombato nel rischio di una guerra civile che graverebbe su popolazioni già in ginocchio e rimanderebbe ancora la normalizzazione attesa dal 2019.
Beniamino Franceschini
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