Analisi – Parte finale della serie di articoli di Christian Eccher sulle tensioni interne alla Serbia. Nonostante le difficoltà, il Presidente Vučić sembra destinato a restare il baricentro politico del Paese anche nel prossimo futuro.
I precedenti articoli della serie sono disponibili qui, qui e qui.
LA CONTROMANIFESTAZIONE E IL NUOVO PARTITO
In risposta al calo di popolarità seguito agli eccidi di maggio e alle grandi manifestazioni contro la violenza indette dall’opposizione che si tengono ormai settimanalmente, Vučić ha promosso una contromanifestazione che si è svolta il 26 maggio. Perché così tardi, vale a dire a quasi un mese di distanza dai sanguinosi fatti di Belgrado? Ci sono due motivi alla base di questa scelta: il primo è di carattere organizzativo. I manifestanti non sono semplici volontari e simpatizzanti, ma lavoratori pubblici e privati impiegati tramite l’SNS. Per loro, è stato necessario organizzare il trasporto e gli autobus andavano prenotati per tempo (sembra assurdo che il partito al Governo protesti contro la situazione politica nel Paese). Il secondo è invece legato al grande congresso dell’SNS che si è tenuto il 27 maggio, in cui Vučić ha rinunciato alla guida della segreteria del partito con l’idea di fondare un “Movimento Popolare per lo Stato” che ha l’obiettivo di dare un’illusione di novità politica all’elettorato sfiduciato e stanco. La mossa permetterà al Presidente di scaricare sul suo vecchio partito eventuali scandali e il malcontento popolare legato alla crescente inflazione. A capo dell’SNS è stato nominato (contro la Statuto del Partito, che prevede l’elezione e non la nomina da parte di Vučić) Miloš Vučević, ex sindaco di Novi Sad e attuale Ministro della Difesa (secondo una tradizione non scritta, in Serbia il delfino del Presidente va alla Difesa prima di prendere le redini del Partito o addirittura del Paese).
Fig. 1 – La fortezza di Petrovaradin a Novi Sad ospita il festival musicale Exit. Sull’effigie vicina al titolo della rassegna i contorni del Kosovo sono dipinti con il tricolore serbo / Foto: Christian Eccher
E L’OPPOSIZIONE?
L’opposizione riuscirà a utilizzare il successo delle manifestazioni che si susseguono ormai da un mese e a costruire un’alternativa politica a Vučić? È difficile che ciò accada. Manca infatti una figura dall’alto valore etico che possa unire i partiti contrari a Vučić, fra loro molto divisi. A Destra ci sono Boško Obradović con il suo movimento “Dveri“ e i “Giurati” (Zavetnici), che promuovono una politica nazionalista degna del Partito Fascista italiano dei primi anni Venti. A Sinistra ci sono i movimenti ecologisti e le organizzazioni civiche (“Non soffochiamo Belgrado”, “Dobbiamo insieme”, “Rivolta ecologica”, “Movimento dei liberi cittadini”) che non riescono a trovare un linguaggio comune e a riunirsi su una piattaforma politica collettiva. I partiti di opposizione con più influenza sull’opinione pubblica sono il Partito Democratico (diviso in due correnti perennemente in lotta fra loro), il Partito Socialdemocratico dell’ex Presidente della Repubblica Boris Tadić e il Partito Popolare dell’ex Ministro degli Esteri Vuk Jeremić. Tutti questi partiti e movimenti hanno programmi politici completamente diversi l’uno dall’altro, ma un elemento li accomuna: la totale incapacità di articolare un discorso sociale-mediatico volto a fare i conti con gli anni Novanta e con i crimini commessi dalla Serbia nello spazio dell’ex-Yugoslavia. La Serbia ha traumi passati che andrebbero analizzati tramite una sorta di psicanalisi di massa, come ha ben sottolineato il filosofo sloveno Slavoj Žižek. La politica del vittimismo (“l’Occidente ci odia, l’Oriente non ci aiuta abbastanza”, “Sì, noi abbiamo ammazzato i croati ma loro cosa ci hanno fatto nel corso della Storia”, queste sono le frasi che si sentono ogni giorno in tv, nei mercati, nei caffè e per le strade della Serbia) e del nazionalismo bloccano il Paese in un pantano che impedisce di risolvere questioni cruciali come i rapporti con il Kosovo (de iure e de facto indipendente) e l’avvicinamento all’Unione Europea, che ormai sembra essere una chimera. Non ci sono politici in grado di prendere le redini dell’opposizione e di affrontare questi temi. Negli ultimi trent’anni, i giovani che avrebbero voluto portare avanti questo discorso sono stati allontanati dalla vita pubblica e molti di loro sono emigrati all’estero. Dopo la morte di Tito, nel 1981, il motto dei leader comunisti yugoslavi era: “Dopo Tito, Tito”. Le cose non sono molto cambiate: c’è il rischio che dopo Vučić, ci sia ancora Vučić. La formazione del suo “Movimento Popolare Per lo Stato” testimonia infatti che il Presidente, dopo 12 anni al potere, è praticamente costretto a fare opposizione a sé stesso per continuare a governare. Dopo di lui, ci sarà sempre lui o uno come lui. Per ora non si vedono vere alternative. L’Opposizione spera che siano le cancellerie occidentali a trovare un’alternativa a Vučić, cosa che potrebbe anche accadere: in ogni caso, però, il rischio è che il nuovo Presidente, chiunque egli sia, non rappresenti il popolo serbo, ma gli interessi stranieri presenti nel Paese e dietro di lui potrebbe esserci proprio Vučić, l’unico politico con una concreta esperienza di Governo alle spalle.
Fig. 2 – Vuk Jeremić, Segretario del Partito Popolare ed ex Ministro degli Esteri durante l’era Tadić, partecipa a una manifestazione delle opposizioni contro la violenza, maggio 2023 / Foto: Christian Eccher
IL KOSOVO
Il 26 maggio, il giorno della grande manifestazione indetta da Vučić, il Nord del Kosovo, abitato quasi esclusivamente dalla popolazione serba, era vuoto. Tutti i serbi erano a Belgrado. Il Premier kosovaro Kurti ne ha approfittato per insediare i sindaci albanesi nei municipi del nord, sindaci eletti con meno del 2% dei voti, dato che i serbi hanno boicottato la competizione elettorale dello scorso aprile. Il 27, quando i serbi kosovari sono tornati a casa (con autobus messi a disposizione da ditte kosovare albanesi con targhe kosovare) sono cominciati gli scontri fra i manifestanti serbi, la polizia kosovara e le forze del contingente multinazionale di pace della KFOR. Una mossa (secondo alcune fonti concordata con lo stesso Kurti) che è servita a Vučić per distogliere, almeno temporaneamente, l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi legati alla politica interna. Ci è riuscito solo in parte: la società civile ha continuato e continua a protestare. Vučić ha subito cambiato registro: ha proposto ai partiti di opposizione una piattaforma comune per superare le divergenze e lavorare insieme per il bene del Paese. Le opposizioni hanno categoricamente rifiutato. Da allora, i toni del dibattito politico interno si fanno sempre più violenti e il Presidente, nelle sue continue apparizioni televisive, ha invitato addirittura i propri oppositori a ucciderlo: non è disposto, infatti, a cedere sulla richiesta di dimissioni del Ministro degli Interni Bata Gašić. Con molta probabilità, nei prossimi giorni Vučić indirà elezioni politiche e presidenziali straordinarie: tramite la macchina del Partito, il Presidente spera di avere un chiaro mandato dal popolo che metta a tacere una volta per tutte le opposizioni.
Fig. 3 – Kosovska Mitrovica, epicentro delle tensioni tra serbi e albanesi nel nord del Kosovo / Foto: Christian Eccher
IL CREMLINO ALLE PORTE DI BELGRADO
Nel frattempo, il Cremlino potrebbe approfittare della situazione per creare instabilità nei Balcani. L’ambasciatore russo a Belgrado Aleksander Botsan-Kharchenko rilascia continuamente dichiarazioni alla stampa filogovernativa serba e accusa l’Occidente di organizzare allo stesso tempo gli scontri in kosovo e le manifestazioni, con l’intento di dar vita a una vera a propria “primavera serba”. Questo è un chiaro segnale a Vučić: la Russia è dalla tua parte, se ti schieri con noi, ti difendiamo. Il problema è che la Serbia vive grazie alle donazioni dell’UE e agli investimenti stranieri occidentali; allo stesso tempo, la popolazione serba, soprattutto quella rurale, è profondamente filorussa: Vučić non può scegliere senza scontentare qualcuno, è vittima della politica delle due sedie da lui stesso promossa. Qualsiasi opzione potrebbe portare alla sua caduta, per questo punta tutto sulla vecchia carta del nazionalismo e del Kosovo. Un eventuale rigurgito di estremismo nazionalista in Serbia traboccherebbe oltre i confini del Paese e causerebbe l’esplosione della Bosnia, un Paese etnicamente diviso e istituzionalmente poco funzionale. Per ora, Vučić è riuscito a porsi come garante degli accordi di Dayton e dell’integrità della Federazione della Bosnia Erzegovina, ma, in caso di mutamento degli equilibri internazionali, non avrebbe difficoltà a tornare agli ardori giovanili, ai tempi in cui si aggirava, insieme al suo capo Šešelj, con un kalashnikov in mano, sui monti che circondano Sarajevo. Il Cremlino aspetta solo un’occasione simile per infiltrarsi definitivamente nei Balcani e creare scompiglio in Europa. Vučić è un camaleonte politico, degno del Principe di Machiavelli; mentre, però, per Machiavelli il principe deve governare a favore del popolo, per Vučić è il popolo che deve essere al servizio e appoggiare incondizionatamente la classe al potere. Anche a costo di morire sulle colline della Bosnia o nella pianura slavona in Croazia.
Christian Eccher
“MONTENEGRO SERBIA” by marijanana is licensed under CC BY-SA