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Bolivia, Morales a caccia del quarto mandato

Ristretto Dopo il primo turno delle elezioni presidenziali Evo è un po’ meno forte.

Dopo aver scrutinato il 91% delle schede, il presidente indio Evo Morales si è attestato poco sopra il 45% delle preferenze espresse, distanziando di 7 punti percentuali il suo antagonista, quel Carlos Mesa che fu presidente tra il 2003 ed il 2005. Il ballottaggio di dicembre appare, in base alle notizie attualmente disponibili, inevitabile.

Il presidente in carica (dal 2006) ha rivendicato il risultato come memorabile ma a ben guadare, anche se è ancora in vantaggio, la sua sembra più una mancata elezione. Comunidad Ciudadana, il raggruppamento che sostiene il giornalista e scrittore Mesa, è una coalizione che ha un solo anno di vita e non appare radicata in tutto il paese.

Sulla gestione di Morales pesa la questione della riforma costituzionale (realmente mai digerita da una buona parte di popolazione) e della successiva sconfitta al referendum popolare del 2016; è la prima volta che si va al ballottaggio, Morales è circa dieci punti sotto il suo peggior risultato elettorale (il 53,74% che gli consentì di divenire presidente per la prima volta). E’ riuscito a far coagulare buona parte delle varie opposizioni attorno a Mesa, sostenuto da  un raggruppamento che va dai liberali ai marxisti. E stavolta il voto è davvero rappresentativo, oltre il 90% degli aventi diritto si è recato alle urne. Mancano ancora i dati delle sezioni più remote, tradizionalmente fedeli al comandante indio, ma nessuno crede che supererà il 50% delle schede.

Mesa si pone proprio come anti – Morales, puntando sul riavvicinamento agli Usa (più per uscire dall’isolamento che per convinzione), il contrasto al narcotraffico, l’indipendenza di stampa e magistratura. Il Partito Democratico cristiano vale quasi il 9% dei consensi e molto probabilmente andrà verso Mesa, mentre il Movimento Democratico Sociale potrebbe portare a Morales una dote del 4%. Il 15 dicembre si voterà e mai come stavolta la Bolivia rischia di voltare pagina.

Germania: che succede se la “locomotiva” d’Europa rallenta?

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In 3 sorsi – Stretta tra rallentamenti economici e incertezze politiche, la Germania attraversa un periodo complicato che rischia di mettere in discussione la sua leadership europea.

Occhio alle proteste in Libano

Ristretto – Da giovedì sera in Libano sono in corso importanti proteste in strada: che cosa succede, e perchè?

Guida alle elezioni canadesi

In 3 sorsi La partita è estremamente in bilico: alla tradizionale dialettica liberali vs conservatori si aggiungono “terzi partiti” particolarmente combattivi.

Abiy Ahmed, le origini del Nobel

In 3 sorsi – L’11 ottobre il Primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali ha vinto il Premio Nobel per la pace per gli sforzi compiuti nella risoluzione del conflitto tra Etiopia ed Eritrea e le capacità di mediazione dimostrate in diversi altri contesti. Una figura rivoluzionaria, che deve fare i conti con un contesto nazionale complesso.

Brexit: il Parlamento sulla strada del “Deal” di Johnson

Ristretto – Come annunciato stamattina su twitter da Jean-Claude Juncker e Boris Johnson, Unione Europea e Gran Bretagna sembrano aver trovato un nuovo “withdrawal agreement” per consentire un’uscita ordinata di Londra dall’Unione.


Nonostante la reazione positiva di media e mercati, testimoniata anche dal buon rialzo della sterlina contro euro e dollaro, la strada per tale uscita ordinata appare comunque ancora lunga e piena di insidie. Per ora il nuovo “withdrawal agreement” esiste infatti solo sulla carta e deve essere approvato dal Parlamento britannico prima di venire implementato, cosa che appare quantomeno difficile data l’assenza di una maggioranza a favore del Governo Johnson e la persistente ostilità dei deputati nordirlandesi del DUP verso l’intesa con Bruxelles sul confine dell’Ulster. In pratica, al momento attuale voterebbero a favore dell’accordo solo parte dei Tories e qualche deputato laburista, non garantendo il passaggio del “deal” e la sua ratifica prima della scadenza ufficiale di fine mese. La posizione degli ex deputati conservatori epurati da Johnson nelle scorse settimane appare incerta, cosi’ come quella di sostenitori di una “Hard Brexit” come Ian Duncan Smith e Mark Francois. E le opposizioni non sembrano affatto intenzionate ad aiutare il Governo, segnalando invece la propria contrarietà all’accordo.
Per Johnson il rischio è quindi quello di seguire la strada fallimentare del precedente “deal” di Theresa May, bocciato diverse volte da Westminster e costato infine la carriera politica dell’ex Premier britannica. A questo punto potrebbe diventare fondamentale l’opzione di un referendum confermativo dell’accordo, che porterebbe al potenziale sostegno del Labour in aula. Ma non è chiaro quanto Johnson sia disposto a seguire tale strada (e quanto il leader dell’opposizione Corbyn sia disposto ad accordarla).
Sabato sarà dunque una giornata cruciale, con il voto parlamentare sul nuovo “withdrawal agreement” e la marcia di decine di migliaia di persone a Londra per chiedere un nuovo voto popolare sulla Brexit. L’appassionante “saga” è ancora lontana dalla conclusione.

Simone Pelizza

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Spazio, Cina, economia, comunicazione diplomatica. Il Caffè Geopolitico mette incampo i suoi esperti e membri del comitato scientifico per il Festival dellaDiplomazia in partenza il 17 ottobre a Roma.

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