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mercoledì, 17 Dicembre 2025

"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

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Miracolo ad Atene o Profezia dei Maya?

Nonostante i resoconti preoccupanti, i sondaggi minacciosi e lo spettro del ritorno alla dracma, il popolo greco ha scelto di sottostare alla dura legge dell'austerity, rifiutando il salto nel vuoto rappresentato dall'uscita dall'euro. I leader mondiali si ritroveranno così al G20 di Los Cabos con il capitolo Grecia ancora in cerca di una soluzione europea, mentre la situazione in Egitto e in Siria permane nell'incertezza più totale. La settimana che si apre oggi sembra raccogliere tutti i temi che hanno caratterizzato i primi sei mesi dell'anno, chissà che in questi 7 giorni non escano soluzioni reali ai problemi ancora aperti

EUROPA

Lunedì 18 – Miracolo ad Atene, non può essere che questo l'esito letterale delle elezioni nella Grecia devastata dai tentacoli della crisi del bilancio pubblico, visto che la coalizione implicita costituita dai partiti pro-troika ha ottenuto i numeri per governare. Esce sconfitto il giovane leader della sinistra radicale SYRIZA Alexis Tsipras, fermo al 25% dei consensi, una quota che gli garantisce comunque i numeri per un'opposizione consistente alle misure più contestabili. La palla passa ora all'Unione Europea, chiamata ad approntare un piano definitivo per il salvataggio di una Grecia ancora saldamente parte dell'Eurogruppo, con la consapevolezza che la minaccia dell'austerity non rientra più tra le opzioni a disposizione.

Giovedì 21 – Il destino economico-monetario dell'area euro si divide sul filo immaginario che collega il palazzo della Banca Centrale Europea a Francoforte e la sede estiva lussemburghese per i meeting dell'Eurogruppo. I ministri dell'area euro si incontreranno come d'abitudine per definire una linea comune in vista dell'incontro decisivo di venerdì mentre la BCE è chiamata a mostrare le misure finora promesse nei confronti della crisi greca. Proprio in vista di una rivoluzione di velluto nella gestione monetaria da parte di Mario Draghi, l'altro Mario italiano, ovvero il premier Monti ha invocato un abbassamento dei tassi d'interesse per far confluire il gettito monetario verso nuovi investimenti a favore della crescita. Difficile che una tale uscita esplicita sia da considerare una semplice boutade, dato che l'azione del nostro governo tecnico è ormai concertata strettamente con le cariche europee.

Venerdì 22 – Il dado è tratto, con l'incontro dei ministri di economia e finanze dei 27 membri dell'UE, il vecchio continente si gioca il suo destino nel mezzo della crisi stagnante sull'economia pubblica di Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, insomma i tristemente noti PIIGS. L'agenda, incredibilmente fitta e articolata, prevede un dibattito sulla tassazione del comparto energetico e delle rendite finanziarie – questione "Tobin Tax" tanto per intenderci – ma riserva anche delle sorprese inimmaginabili. I membri dell'Unione saranno infatti chiamati ad abrogare una procedura automatica intesa come sanzione per il deficit eccesivo nei confronti di Bulgaria e, incredibile a dirsi, della rigorosa Germania. Difficile prevedere l'effettiva entrata in vigore dell'imposta sulle transazioni finanziarie, dato che il premier britannico Cameron non ha mai nascosto di difendere gli interessi della City londinese.

AMERICHE

Lunedì 18-Martedì 19 – Si apre in mattinata il G20 in Messico, nella stupenda location marinara di Los Cabos, paradiso e buen retiro dell'alta società californiana dove confluiranno i leader delle venti maggiori economie mondiali. Il Pomeriggio di lunedì e l'intera giornata di martedì saranno dedicate alle tre sessioni plenarie in cui verranno toccati i temi più importanti di economia, politica estera e sviluppo sostenibile viste le importante coincidenze della politica internazionale della settimana. I leader europei in arrivo in terra messicana temono l'accerchiamento da parte del fronte statunitense unito a quello dei BRICS, con Brasile e Cina a guidare la linea anti-austerità per abbattere il calo delle esportazioni in Europa. Già nelle scorse settimane Barack Obama aveva suonato la carica per un'Europa più coesa e cosciente dei propri limiti, chissà quindi che proprio il summit di Los Cabos non diventi un'occasione per affrontare in un colpo solo la crisi economica e la campagna elettorale per le presidenziali.

Mercoledì 20-Venerdì 22 – Rio de Janeiro, vent'anni dopo i leader mondiali si riuniscono di nuovo sotto l'egida delle Nazioni Unite per tirare le somme sull'impegno per lo sviluppo sostenibile e la protezione dell'ambiente. La Conferenza giunge nel periodo più nero delle contestazioni delle ONG contro la politica ambientale del governo brasiliano, accusato di sacrificare le proprie ricchezze naturali all'altare del dio del progresso. Difficile prevedere soluzioni a breve termine o dichiarazioni conclusive di forte impatto dato che già i lavori preparatori hanno sancito la caduta di ogni aspettativa. Assenti eccellenti i leader più in vista come Barack Obama, Angela Merkel, Vladimir Putin, David Cameron e Mario Monti, nonostante la vicinanza relativa tra Rio e Los Cabos, sede del G20. Toccherà a Dilma Rousseff portare proprio al G20 la bozza della dichiarazione conclusiva, sulla cui sorte pesa lo spettro della confusione più totale dopo il veto statunitense alla proposta dei G77, i paesi in via di sviluppo.

COLOMBIA – Gli attivisti per i diritti rurali dei campesinos colombiani continuano a pagare col sangue l'opposizione alle bande armate per la reconquista dei terreni confiscati con le armi. Jairo Martinez, è l'ultimo dei 60 nomi della triste lista nera iniziata nel 2007, è stato assassinato venerdì scorso nel distretto del Sucre, dove sono ancora attivi gruppi paramilitari. Secondo Gustavo Gallón, presidente della Commissione dei Giuristi Colombiani "chi si oppone al processo di restituzione delle terre ai campesinos sono i gruppi paramilitari che si nutrono dell'assenza del contesto politico-economico rurale". In realtà il vero problema è che gli apparati governativi non sono ancora in grado di disarmare le varie milizie che si sono stabilite nelle campagne, lontano dall'attenzione dei media e del grosso della popolazione.

AFRICA

NIGERIA – E' di 21 morti e dozzine di feriti il bilancio di tre attacchi terroristici compiuti dalla setta islamica Boko Haram nei confronti della comunità cristiana nigeriana. Come in ogni faida religiosa che si rispetti i tre attacchi sono stati presi a scusante per i conseguenti agguati da parte di giovani cristiani nei confronti della popolazione musulmana nelle località colpite. Il pericolo evidente della strategia adottata dai fondamentalisti musulmani è quello di dare il via alla terribile piaga della guerra civile a sfondo religioso, un'eventualità in grado di mettere in dubbio la permanenza stessa della convivenza della popolazione. Per ora gli attacchi esplosivi esauriscono il ventaglio delle azioni di Boko Haram, ma qualora il governo dovesse mostrarsi debole nei confronti del terrorismo, il caso "Mali" dimostra quanto sia facile sfruttare vuoti di potere con offensive militari su larga scala.

ETIOPIA – Sarà Addis Abeba, la capitale etiope, ad ospitare il 19esimo Summit dell'Unione Africana dopo il rifiuto del Malawi di ospitare il Presidente Sudanese Omar al-Bashir su cui pende una richiesta d'arresto della Corte Penale Internazionale. La Presidentessa del Malawy Joyce Banda si era ripetutamente rifiutata di ospitare al-Bashir per l'imbarazzo di non procedere alla misura cautelare detentiva nonostante il Malawi risulti tra i signatari del Trattato Istitutivo della Corte dell'Aia. Il Summit tratterà in realtà di materie economiche nel tentativo di aumentare il commercio tra i paesi africani in modo da favorire lo sviluppo del continente

ASIA

MYANMAR – E' di 50 morti il bilancio delle due settimane di scontri armati tra la minoranza musulmana dei Rohingyas e la popolazione buddhista della regione di Rakhine. L'etnia Rohingyas non è mai stata riconosciuta ufficialmente dal governo di Pyinmana, che considera come stranieri tutti i musulmani nelle regioni al confine col vicino Bangladesh. Quello delle violenze ormai cessate in una calma imposta dall'esercito è soltanto l'ultimo dei tasselli che rendono il futuro dell'ex Birmania sempre più incerto. In un contesto in cui l'unità dell'opposizione al regime è tutt'altro che scontata, i militari ormai usciti definitivamente dal recinto delle caserme non avranno difficoltà a richiamare la situazione instabile quale giustificazione della loro permanenza al potere.

BANGLADESH – Ben 300 aziende del comparto tessile hanno chiuso definitivamente i battenti dopo settimane di scioperi e manifestazioni dei lavoratori per un salario più equo e condizioni di lavoro meno opprimenti. Nel corso degli scontri con la polizia circa 250 persone sono state ferite a causa dell'utilizzo di pallottole di gomma e gas lacrimogeni. Già nel 2010 il governo aveva aumentato lo stipendio mensile dei lavoratori del tessile all'equivalente di 37$, ma l'inganno dell'economia globale si nutre di stipendi da fame e la questione degli aumenti non rientra tra le priorità delle corporations, come dimostrano le serrate. L'economia del Bangladesh vive dell'export a basso costo e proprio il settore del tessile ha contribuito per più del 50% al record di 32 miliardi delle esportazioni dello scorso anno. Wal-Mart, Carrefour, H&M, Nike, Reebok e Adidas sono solo alcuni dei marchi che hanno optato per la manodopera a basso costo del Bangladesh, probabilmente costretti a spostare la produzione a causa dell'instabilità e delle recenti proteste.

MEDIO ORIENTE

Lunedì 18 – Toccherà al Consiglio di Sicurezza dell'ONU pronunciarsi sull'esito della missione degli osservatori sospesa nella giornata di sabato dal capo dei baschi blu in Siria. Il piano per la pace sponsorizzato dall'ex Segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan sembra ormai giunto al capolinea, a causa del rifiuto di entrambe le parti di procedere al cessate il fuoco. I ribelli e l'Esercito Libero Siriano sono ormai a corto di armi, ma continuano a causare vittime tra le fila del regime grazie ad ordigni improvvisati contro i convogli scrasamente protetti, nella convinzione che spetti a Bashar al-Assad compiere il primo passo. Nel corso della loro missione gli osservatori sono passati dall'essere il microfono della popolazione bersagliata dai bombardamenti a divcentare veri e propri bersagli disarmati della violenza delle milizie armate degli shabbiya fedeli al regime. Un aumento del loro numero porterebbe solo all'aumento esponenziale del rischio della missione, dato che non esiste alcuna tregua da giudicare o da far rispettare tra le parti.

Giovedì 21 – Se veramente la Fratellanza Musulmana d'Egitto riuscisse a portare il suo uomo forte Mohamed Morsy al potere, il suo ruolo potrebbe rivelarsi una carica vuota di significato, dato che un emendamento della Costituzione emanato dal Consiglio Militare potrebbe riservare a tale istituto il potere legislativo e di bilancio. I risultati ufficiali del testa a testa tra l'ex premier Shafiq e Morsy sono attesi per Giovedì, ma si può facilmente prevedere una fuga di notizie già nei primi giorni della settimana, come nelle precedenti tornate elettorali. Dopo il reset completo dell'Assemblea Costituente, l'Egitto potrebbe attraversare una fase di stallo governativo, data l'ambiguità della nuova figura presidenziale e la permanente influenza dei militari. La maggiorparte dei giovani che avevano popolato le strade del Cairo e Piazza Tahrir ha definito la sfida tra Shafiq e Morsy come una scelta tra "la peste e il colera", quello che invece è certo sembra essere l'assoluto bisogno di una medicina per curare la ricaduta dell'ormai decaduta Primavera Araba.

Fabio Stella [email protected]

Questi cechi sembrano italiani

Caffè Europeo – Repubblica Ceca e Italia sono più vicine di quanto si possa immaginare. Il menu quotidiano al di qua dei Carpazi prevede problemi di corruzione, scontri sull’immunità parlamentare, immobilismo politico e una squadra di calcio che ai grandi appuntamenti rischia sempre di deludere. Unica a salvarsi è la tradizione. Proprio come da noi

 

SITUAZIONE POLITICA TURBOLENTA – La Repubblica Ceca vive un momento simile ad altri Paesi europei: continui cambi di governo (dal 2006 si sono succeduti ben tre primi ministri), crisi economica e problemi di maggioranza in parlamento – dove la coalizione di Centro destra, guidata da Petr Necas, svanito l’appoggio del centrista Affari Pubblici, non ha più i numeri necessari per approvare le manovre richieste dai mercati.

 

Intanto la piazza, fomentata dai sindacati, non semplifica l’agenda politica e con diverse manifestazioni – decisamente partecipate: ad aprile nella bellissima Piazza San Venceslao c’erano oltre 100mila persone a protestare – sta pressando per un voto anticipato, favorevole all’opposizione, forse possibile in autunno. il Pd ceco (i socialdemocratici del Cssd, accreditati dai sondaggi oltre al 35%) sono però simili alla creatura guidata da Bersani. Le condizioni di governabilità infatti dipendono da una alleanza o a sinistra (con il Partito Comunista, vicino al 20%) o – complicata ma potenzialmente più efficace – con formazioni più moderate (Top 09 o, addirittura, il lontanissimo Partito Democratico Civico del premier). Un’ultima annotazione, sempre per giochi di parallelismo con il Bel Paese, merita la proposta dei conservatori di accorpare elezioni presidenziali e parlamentari: si tratta di austerità o tattica elettorale per spartirsi il bottino?

 

In questi giorni

– Infuria il caso di David Rath, ex Ministro della Salute e Governatore della Boemia Centrale, arrestato con l’accusa di aver intascato 7 milioni di corone ceche (280mila euro) trovate in una scatola di vino. Si tratta del primo caso di un parlamentare ceco finito in carcere, cui è stato permesso lo scorso 5 giugno di difendersi in davanti ai colleghi con un accalorato discorso, volto a screditare il ministro dell’interno Jan Kubice, secondo Rath autore di una trappola per distruggerlo. Abbandonato dal suo partito (Cssd) e dal suo segretario Sobotka – che ha votato per rimuovere l’immunità – ora Rath rischia fino a 12 anni di carcere.

– Al centro del dibattito politico la riforma dell’Università, o più in generale degli studi, che dopo un investimento di oltre 1,5 miliardi di Corone sembra essere un insuccesso clamoroso. Secondo Necas «il modello attuale è morto» ma sono in tanti a pensare al portafogli e l’idea di ricominciare da capo con nuovi investimenti non sembra essere sostenibile economicamente.

 

UN UNDICI OSTICO, FIN DAGLI ALBORI – È squadra di grande lignaggio la Repubblica Ceca: come Boemia è tra le prime a debuttare a livello internazionale (esattamente la nona, nel 1903, l’Italia esordirà solo nel 1910) e unita alla Slovacchia nel 1934 perde la finale mondiale con noi azzurri, in tenuta sabauda col fascio sul petto. 2-1 ai supplementari dopo 120 minuti di legnate. All’epoca il catenaccio non è tattico, piuttosto molto fisico. Capocannoniere dell’edizione è proprio un boemo, Nejedly con 5 reti ma la stella della squadra è Puc, ala dal tiro irresistibile. Ancora una finale nel 1962 in Cile: con l’etichetta di sorpresa del torneo – e guidati dal grande Masopust (nella foto a destra), poi Pallone d’Oro – i cecoslovacchi si trovano di fronte uno dei migliori Brasile di sempre. A ripensarci la formazione verdeoro sembra una filastrocca: “Tra i pali Gilmar – i due Santos in difesa – e poi Garrincha, Didì, Vavà – Amarildo, Zagaloooo”. Tornando in noi all‘Europeo 1976 l’unica vittoria internazionale. Nell’undici gente discreta, capace di un terzo posto nell’edizione successiva (nella finalina batte ai rigori l’Italia padrona di casa). Ad eccezione della finale a Inghilterra 1996 persa con la Germania (gran bel gioco, timoniere quel Poborsky poi alla Lazio) e il terzo posto nel 2004, negli ultimi tre lustri la Repubblica Ceca ha fatto poco, nonostante affermati giocatori in rosa come Pavel Nedved, il gigante buono Jan Koller, e nobili comprimari come Smicer o l’ex viola Ujfalusi.

 

CURIOSITÀ – Secondo la Fifa gli eredi della Cecoslovacchia (calcistica) sono entrambe le Repubbliche. Per l’Uefa la sola Repubblica Ceca.

 

Il giocatore del secoloJosef Masopust milita sedici stagioni al Dukla Praga (8 titoli e 3 coppe nazionali) ma la cortina non gli permette di giocare in una squadra estera, se non a fine carriera, quando calcia gli ultimi palloni per il Crossing Molenbeck, squadretta belga. Peccato, un trequartista del genere avrebbe fatto faville in Italia o in Spagna senza troppe difficoltà. Per non essere agiografici, raccontiamo solo un aneddoto: durante le eliminatorie dei mondiali del 1962 Masopust sta per contrastare in maniera piuttosto decisa Pelè. Vedendolo zoppicante desiste dal tackle. Il grande O Rey se ne accorge e butta in rimessa la palla. Roba di cinquant’anni fa, appunto.

 

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UN GRANDE PORTIERE NON BASTA – L’attuale capitano è Tomas Rosicky, il piccolo Mozart, ora all’Arsenal dopo diverse stagioni al Borussia Dortmund. Prima un decennio nello Sparta Praga, storico club boemo. Altre stelle il portiere Petr Cech, neocampione d’Europa con il Chelsea – che gioca con un caschetto per via di un vecchio infortunio – i difensori Kadlec (Leverkusen) e Sivok (Besiktas), il centrocampista Jaroslav Plasil (Bordeaux) e in attacco una vecchia conoscenza come Milan Baros, 41 reti con la maglia della nazionale e capocannoniere a Euro 2004 e Vaclav Pilar del Viktoria Plzen. Il futuro è però di Tomas Necid, classe 1989 del Cska Mosca: già 26 presenze a neanche 23 anni (con 7 gol). Allenatore è Michal Bilek, 32 presenze in nazionale negli anni ’80. Non è un fenomeno, né ha al suo attivo vittorie internazionali di prestigio. Però ha vinto il double con lo Sparta nel 2007 (Gambrinus cup e coppa nazionale) e sembra bastare. La curiosità? La prima vera esperienza in panchina l’ha fatta al Club Sport Carteginés Anònima Deportiva. In Costarica.

 

GEOPALLONE – Nel 1993, nonostante fossero due entità ormai distinte a livello politico e geografico, Slovacchia e Repubblica Ceca giocano un’intera stagione internazionale insieme come Cecoslovacchia.

– Tra il 1939 e il 1945 la rappresentanza calcistica è affidata al Protettorato di Boemia e Moravia, stato messo in piedi dal reich dopo aver annesso il territorio dei sudeti, gestito dall’ex ministro degli Esteri nazista von Neurath. Nel 1939 disputa tre partite: due, non ufficiali, a Praga nello stadio dello Sparta. 7-3 con la Jugoslavia e 5-5 con l’Austria. Una, apparentemente ufficiale, con la Germania, a Breslau all’Herman Goring Stadium: 4-4. In gol anche Puc, autore della segnatura a Roma contro l’Italia nella finale del 1934.

– Dei 23 che compongono la rosa, ben 15 giocano all’estero: 5 giocatori in Germania, 2 in Inghilterra, Russia, Turchia e Ucraina, 1 in Francia e Cipro

– Da oltre dieci anni vige grande collaborazione fra la Repubblica Ceca e la regione Toscana, per volere di Riccardo Nencini, ora assessore, all’epoca Presidente del consiglio regionale. Il nipote del ciclista Gastone – un Tour de France e un Giro d’Italia in palmares – inizia questa joint venture (allora con la sola Moravia) con l’unico scopo di diffondere i criteri di decentramento amministrativo. Un’intesa che si è rafforzata, interessando settori come il turismo, l’istruzione, fino alle biotecnologie, fiore all’occhiello della Toscana.

 

Federico Meda

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Fuori da Euro2012… ma ancora in Europa

La nazionale irlandese allenata dal Trap non sta brillando nella rassegna continentale: le prime due sonore sconfitte patite contro Croazia e Spagna l’hanno già condannata all’eliminazione. In attesa del match decisivo per la nazionale azzurra, vediamo invece come l’Eire ha saputo reagire alla crisi economica che ne ha rallentato l’impetuoso sviluppo economico. Un cammino di risanamento e di nuovo improntato alla crescita

 

LA CRESCITA IRLANDESE AFFIDATA ALLE CURE ANGLO / AMERICANE – L’Irlanda affida la crescita dei suoi giocatori alle squadre inglesi (21 dei 23 giocatori irlandesi militano in squadre inglesi mentre il capitano Robbie Keane ha appena vinto il campionato americano con i Los Angeles Galaxy e Mc Geady gioca in Russia con lo Spartak Mosca). Un curioso parallelo che possiamo ritrovare per lo sviluppo economico dell’isola che più di guardare alle potenzialità interne confida sull’afflusso di capitali esteri soprattutto americani. È noto infatti come la sua bassa aliquota sui proventi aziendali (12,5%) ha attratto gli investimenti dei colossi americani (dalla Dell alla Apple dalla Johnson & Johnson fino a Google e Facebook) rivelandosi il segreto motore del ruggente sviluppo economico della tigre europea degli anni passati.

 

L’IRLANDA AGLI EUROPEI – Tornando al calcio giocato l’Irlanda non sta di certo brillando ma le due sconfitte consecutive appena incassate non devono indurre a giudizi troppo negativi. L’approdo della truppa di Trapattoni agli Europei non è cosa comune ed è già un bel successo. Difatti nella sua storia l’Irlanda era approdata soltanto 2 altre volte alla fase finale degli europei e solo in un caso nel lontano 1964 era riuscita nell’impresa di passare il primo turno. Di certo quella con la Spagna è stata una partita poco edificante nel risultato e nel gioco ma se l’Irlanda si è dovuta inginocchiare calcisticamente al colosso iberico nella partita della crisi europea i gaelici hanno di che rivalersi.

Infatti, mentre gli spagnoli sono ancora immersi nell’onda lunga della crisi dei debiti pubblici e da poco ha dovuto chiedere all’Europa il salvataggio (termine poco gradito al premier Mariano Rajoy) delle proprie banche in difficoltà, l’Irlanda, al contrario, fa passi da gigante verso il risanamento delle proprie casse e la possibile restituzione del debito.

 

L’ORIGINE DELLA CRISI E L’IMPATTO SULL’ISOLA – La crisi americana del 2008 ha portato via dall’isola molte risorse bloccandone lo sviluppo e il passaggio definitivo ad un’economia capitalista moderna. Negli anni del boom economico molti centri hanno cercato di seguire Dublino nel suo modello di sviluppo per affrancarsi dalla mentalità latifondista (in gran parte dell’Irlanda i “ricchi” sono ancora coloro che posseggono le terre) cercando di porsi verso il capitalismo americano come territori ottimali dove far sorgere le loro sedi europee. Il risultato è stato che piccoli centri quali Cork e Limerick hanno subito un brusco sviluppo economico a cui pian piano si stava adeguando un parallelo cambiamento sociale. Ma la crisi, come dicevamo, ha portato via capitali e investimenti, di conseguenza le tante gru che si stagliavano nel panorama di questi centri cittadini sono via via sparite lasciando in molti casi strutture incompiute di ferro e cemento ( a Limerick era in costruzione il più grande centro commerciale d’Irlanda, ad oggi invece è rimasto solo qualche blocco di cemento poiché le imprese interessate hanno preferito minimizzare le perdite abbandonando il progetto). Questo ha comportato un forte rallentamento nell’adeguamento delle infrastrutture ancora molto carenti e per la popolazione e le amministrazioni locali si è trattato di una vera doccia fredda ritrovandosi senza occupazione e a metà di quella trasformazione di mentalità a cui si accennava prima.

 

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LA TATTICA DEI VERDI E LA RICETTA ANTICRISI IRLANDESE – Alla vigilia degli Europei Trapattoni in conferenza stampa spiegava in maniera semplice e chiara come avrebbe affrontato gli Europei: buona difesa ed organizzazione. Pochi elementi chiari e semplici come quelli che hanno guidato le politiche del governo irlandese in questi anni, e se il buon Trap non è riuscito a trovare l’alchimia giusta i politici irlandesi possono essere più ottimisti. All’indomani della crisi dei subprime e delle banche gli irlandesi si ritrovarono con le proprie banche in ginocchio e la brusca interruzione dei capitali americani con la conseguenza di li a poco di ritrovarsi con un deficit di bilancio ed un debito pubblico da brividi dovuto soprattutto all’esigenza di ricapitalizzare le banche (ricapitalizzazione che a conti fatti è ammontata al 40% del PIL). Ottenuto nel 2010 dall’Unione Europea il finanziamento necessario a dar ossigeno ai conti pubblici (85 miliardi di euro approntati attraverso il fondo salva-Stati Efsf) la ricetta irlandese si è basata su pochi elementi: contrazione del già esiguo sistema del Welfare, nazionalizzazione delle principali banche (AIB e Bank of Ireland) e mantenimento delle politiche fiscali in modo da dare un segnale rassicurante agli investitori stranieri che la crisi non sarebbe ricaduta su di loro, evitando in questo modo ulteriori fughe di capitali. A distanza di un anno la cura sembra aver dato i suoi frutti i dati EUROSTAT indicano il crollo del deficit pubblico dal 31,2 al 13,1 % (9,8% al netto degli aiuti alle banche e comunque il più alto d’Europa) segnale di una inversione di rotta significativa. Suffragata da altri dati dati quali l’export e previsioni del PIL per il 2012 (si prevede una crescita tra il 4% e il 6%), l’Irlanda è ora accreditata come la prima nazione che potrebbe uscire definitivamente dalla propria crisi estinguendo il debito con l’Unione Europea.

 

IL FUTURO DOPO L’EUROPEO – Dopo solo due partite l’Irlanda si ritrova fuori dall’Europeo con sette goal subiti ed appena uno all’attivo, di gran lunga la peggior squadra europea in un girone che prevedeva però la presenza delle ultime due compagini campioni del mondo (Spagna e Italia) e un’ottima squadra come la Croazia. Adesso agli irlandesi non resta che tentare di salvare la faccia ottenendo un risultato positivo proprio contro i nostri azzurri nel prossimo decisivo match di lunedì. Per quanto riguarda invece il futuro, mister Trapattoni gode della fiducia degli irlandesi e, a meno di suoi ripensamenti, è ben saldo sulla sua panchina anche per le prossime qualificazioni mondiali quando dovrà rimettere mano con il suo famoso pragmatismo alla rosa per cercare di renderla il più possibile competitiva. Come detto anche per l’Irlanda stato il futuro è abbastanza chiaro e ben saldo all’interno dell’Europa dopo che a fine maggio il referendum sulla ratifica del Patto di Stabilità europeo ha dato esito positivo. L’Irlanda si vede quindi ancora in Europa e da questa otterrà ancora i finanziamenti, attraverso l’Esm, per rimanere a galla in attesa che possa tornare, forse già dal 2013, a finanziarsi sui mercati.

 

L’ISOLA CON I PIEDI IN EUROPA E LO SGUARDO ALTROVE – Ma mentre per l’accesso al credito l‘Eire si appoggia sull’Unione il modello economico-sociale irlandese è di certo un eccezione in Europa. Oggi l’Irlanda è un vero e proprio stato per le aziende e continua a spingere sul suo sistema fiscale molto vantaggioso (con conseguente riduzione al minimo del sistema del Welfare per mancanza evidente di risorse) e politiche di favore verso le aziende testimonia il cosiddetto ”Double Irish” (vedi “ilsole24ore” del 29 aprile 2012 http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-04-29/ecco-come-gigante-apple-190901.shtml?uuid=AbtwpOVF ) che permette loro di risparmiare molto in termini di tasse grazie alla triangolazione USA-Irlanda-Paradisi fiscali. Per il futuro bisognerà vedere come gestire questa specificità nel momento in cui l’Unione Europea deciderà di mettere in atto politiche di armonizzazione fiscale nel continente. Inoltre, sul futuro dell’Irlanda potrebbero incombere altre minacce nel caso in cui anche altri stati maggiormente dotati sotto il profilo delle infrastrutture e con posizioni geografiche migliori( si pensi alla Polonia dove alcune aziende, come la Dell hanno già spostato la propria sede) decidessero di emulare le sue politiche di vantaggio fiscale.

 

Cristiano Proietti

No agli Eurobond, sì agli eurogol

Solida e orgogliosa. Multiculturale e patriottica. Proiettata nel futuro ma attenta al suo passato. Questa è la Germania di oggi, sia da un punto di vista politico-economico, sia da quello calcistico. Investimenti e programmazione nel lungo periodo: la Bundesliga ha seguito la stessa ricetta dell’economia ed ora è diventato un campionato più divertente e competitivo, tanto da soffiare all’Italia un posto in Champions League

 

FORZA SIDERURGICA – Grazie alla sua stabilità economica la Germania sta subendo meno degli altri stati europei la crisi economica internazionale ed anche per questo detiene da qualche anno la leadership politica dell’Unione Europea. Il popolo tedesco ha affrontato negli ultimi cento anni dittature, guerre, devastazione ed un muro. Eppure è riuscito a fare tesoro del proprio passato e, da un paio di decenni unito sotto la stessa bandiera, è proiettato solidamente verso il futuro. Ed il calcio nazionale tedesco sta andando a braccetto con le evoluzioni del paese: rappresentazione sportiva della congiuntura favorevole che vive il paese.

 

Vista da molti con diffidenza per le sue politiche poco solidali verso i paesi maggiormente in difficoltà, la Germania basa il suo successo su una ferrea programmazione economica e su politiche sociali rispondenti ai reali bisogni del paese. A questo aggiungiamo che si tratta dell’unico paese aderente all’Unione Europea avviato a raggiungere per il 2020 gli obiettivi stabiliti dal Protocollo di Kyoto e dove l’industria delle rinnovabili nel solo 2010 ha creato oltre 200mila posti di lavoro. I tedeschi si gratificano vedendo che il loro rigore porta a risultati concreti, ne sono orgogliosi, anche se all’estero vengono sempre più percepiti come spocchiosi.

 

ELDORADO? – A descriverla così la grande nazione europea sembra un Eldorado federale nel cuore del vecchio continente. Questa visione idilliaca sembra condivisa dagli immigrati che sempre in misura maggiore vanno in Germania a cercare fortuna: degli oltre 82milioni di abitanti il 20% ha origini straniere, mentre l’8% lo è di fatto. Ma non è tutto oro quel che luccica. Se la disoccupazione nazionale è intorno al 4,5%, nella capitale  la cifra va quasi triplicata ed è facile vedere persone che cercano nei cestini dell’immondizia in cerca del “Pfand”, il vuoto a rendere. Se è vero che al governo federale da quasi otto anni c’è la conservatrice Merkel, è anche vero che è in costante crescita il numero di sostenitori del principale partito neonazista NPD, soprattutto nelle regioni della ex-DDR.

 

LO SPECCHIO – Il calcio, come spesso accade è specchio della società. Nella Bundesliga, la Serie A tedesca, gli episodi di violenza negli stadi sono praticamente inesistenti, i controlli agli ingressi molto superficiali e gli spalti quasi sempre pieni. Nelle serie minori però persistono accanite rivalità che sfociano talvolta in violentissimi scontri tra ultras. Questo fenomeno ha principali protagonisti tifosi di squadre della vecchia Germania Est, la parte meno ricca del paese, come i tifosi della Dynamo Dresden, dell’Energie Cottbus o dell’Hansa Rostock, quasi a suggerire l’equazione “minore benessere sociale = maggiore violenza”.

 

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LA ROSA DI LÖW – Agli Europei di Polonia e Ucraina la nazionale teutonica si presenta come la candidata alla vittoria finale insieme alla Spagna. Già vincitrice di tre campionati continentali – l’ultimo nel 1996 in Inghilterra con Golden Goal in finale di Oliver Bierhoff – e forte anche di tre secondi posti, la Germania solo una volta non si è qualificata per la fase finale di questa competizione (1968). Delle dieci edizioni a cui ha partecipato in sei è arrivata in finale ed una volta si è fermata in semifinale: una vera protagonista del calcio europeo. Quest’anno cercherà di rimediare alla sconfitta per 1 a 0 rimediata dagli iberici nella finale del 2008 a Vienna e lo farà con una rosa di giocatori quasi tutti militanti in Bundesliga. Del 23 convocati dal c.t. Joachim Löw solo quattro giocano all’estero: Mertesacker nei Gunners di Wenger, Ozil e Khedira nel Real Madrid e Klose nella Lazio. La squadra più rappresentata è il Bayern Monaco con otto giocatori, mentre il Borussia Dortmund, vincitore degli ultimi due campionati, avrà 4 suoi giocatori. Oltre ad un gioco solido e collaudato, la Germania potrà contare su uno dei portieri più forti del mondo, Manuel Neuer. Un vero gigante para rigori. Davanti a lui lo schema adottato dovrebbe essere il 4-2-3-1 con i tre trequartisti quasi sempre titolari Müller, Podolski e Ozil a supporto della punta Gomez autore di 41 gol in 50 presenze stagionali. Il capitano sarà il terzino bavarese Philipp Lahm. Sette dei convocati sono di origine straniera, di cui tutto il pacchetto di attaccanti: specchio della società multietnica che è la Germania contemporanea.

 

TENSIONI TEDESCO-UCRAINE – La Germania, inserita nel Gruppo B insieme a Portogallo, Olanda e Danimarca, disputa le sue gare in Ucraina nelle città di Lviv e Kharkiv. Attualmente tra i due paesi ci sono relazioni diplomatiche difficili: l’Unione Europea vuole creare un’area di libero scambio tra Europa ed Ucraina ma chiede a quest’ultima una riforma del sistema giudiziario, elezioni trasparenti e soprattutto la liberazione di Yulia Timoshenko, reclusa ormai da otto mesi, l’ultimo dei quali trascorso nell’ospedale Kharkiv. La Merkel in segno di protesta per la vicenda dell’ex pasionaria ucraina non si recherà in Ucraina per presenziare alle partite della nazionale. L’influenza del Cremlino su Kiev è ancora alta, e l’ex repubblica sovietica si trova al centro di importanti e, in certi casi poco trasparenti, rapporti tra Berlino e Mosca. Negli ultimi anni le due grandi potenze, più volte acerrime nemiche sui campi di battaglia del secolo scorso, hanno stretto solide partnership economiche: la Germania, officina d’Europa, è diventato infatti un importante mercato per il gas russo. Il rapporto commerciale diventerà ancora più diretto con la realizzazione del progetto North Stream che collegherà mediante tubi sottomarini nel Mar Baltico la rete di distribuzione russa agli impianti tedeschi. In questo contesto non appare così il casuale la circostanza per cui la Gazprom abbia deciso di sostenere con le sue ingenti risorse economiche lo Schalke 04 di Gelsenkirchen, uno dei team protagonisti della Bundesliga. Al massimo il primo luglio prossimo scopriremo se la Germania si confermerà leader europeo anche nel calcio. I tedeschi, a giudicare dalle finestre e dalle automobili tappezzate di bandiere,  sembrano crederci.

 

Giulio Di Rosa

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God save our team

Caffè Europeo – L’Inghilterra, si sa, è la patria del calcio. Perchè, allora, la formazione britannica ha vinto nella sua storia soltanto il Mondiale casalingo del 1966? Tra diatribe interne alla squadra e problemi con l’allenatore (Capello è stato sostituito da Roy Hodgson), gli inglesi si presentano all’Europeo in un clima di incertezza. Parallelamente alla situazione economica, non più così rosea neppure a Londra

 

MOLTO PIU’ DI UNO SPORT – Vita Sackville-West, poetessa ed intellettuale , scrisse che “l’uomo inglese si può vedere al suo meglio nel momento in cui un altro uomo comincia a tirargli una palla. Egli allora si mostra non sprezzante né vendicativo, non meschino, non lamentoso, né ansioso di lucrare scorrettamente  un vantaggio. Rispetta i regolamenti che lui stesso in genere ha creato e dà per scontato che l’avversario farà lo stesso”. Per i sudditi di Sua Maestà il futbawle- la parola risale al 1491, quando Re Giacomo IV di Scozia decise di bandire « football, golf e altri simili inutili sport» per timore di un attacco inglese- non è difficile capirlo, è molto più che uno sport. Ne è lampante dimostrazione la storia di Wilfred Nevill, comandante di compagnia dell’ottavo East Surrey. È il 1 luglio 1916 e la compagnia si sta preparando per la battaglia della Somme, che risulterà decisiva per le sorti del primo conflitto mondiale. Nevilll si presenta ai suoi quattro plotoni con un pallone su cui giace la scritta:«Finali della Grande Coppa Europea, East Surrey vs Bavaresi». Al primo plotone capace di dribblare e passare il pallone oltre la linea tedesca viene promesso un premio, premio che l’amante del pallone Nevill, morto nei primi momenti del combattimento, non riuscirà a consegnare.

 

L’HANNO INVENTATO LORO – Del resto lo hanno inventato loro, il calcio. E loro lo hanno regolamentato. Era il 1863, quando i circoli studenteschi di Londra decisero di stabilire le norme con cui sfidarsi per evitare che il tutto consistesse in una zuffa senz’armi. “Giovani uomini, all’uso di campagna, fanno avanzare una grossa palla non lanciandola in aria ma colpendola e facendola rotolare sul terreno, e questo non con le loro mani ma con i piedi”.  Sono gli inglesi ad aver deciso che una squadra doveva essere composta da 11 membri ( le classi all’epoca contavano 10 studenti e un maestro, l’odierno capitano), sono gli inglesi ad avere avuto la prima squadra riconosciuta, lo Sheffield F.C. nel 1857, e sempre gli Inglesi hanno avuto il primo campionato. È per questo che quando ci si appresta ad una importante rassegna sportiva i sudditi di Sua Maestà si sentono, quasi per diritto divino, i favoriti.

 

L’INCOGNITA DEGLI EUROPEI – “God save our team”. Ma la nazionale che si presenta ai blocchi di partenza di EURO 2012, strano a dirsi, non gode dell’incondizionato appoggio dell’opinione pubblica. Troppo spesso le grandi aspettative e la fiducia riposta nei Tre Leoni hanno tarpato le ali ad una squadra da sempre molto competitiva e ricca di talento ma incapace di portare a Wembley i risultati sperati. I bianchi d’Inghilterra, scossi dalla “grana” Terry accusato di insulti razziali e dall’inaspettato ( e costosissimo) cambio di Commissario Tecnico, saranno guidati da Roy Hodgson, “un allenatore abituato ad allenare squadre mediocri” e per questo, secondo la stampa d’oltremanica, adattissimo a calarsi nella parte di questa squadra.

 

RECESSIONE O NON RECESSIONE? – La situazione calcistica sembra rispecchiare la situazione economica. Mentre la Football Association combatte il deficit tecnico- qualitativo della nazionale, il Primo Ministro David Cameron e il Ministro del Tesoro George Osborne si occupano di deficit ben più gravi: stando alle stime dell’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo, l’economia britannica si è contratta dello 0,4 per cento nel primo trimestre del 2012, facendo seguito a una contrazione negli ultimi tre mesi del 2011. Due trimestri consecutivi di crescita negativa sono la definizione tecnica di recessione, che in questo caso sarebbe un “double dip”, un doppio tuffo nella crisi economica, facendo seguito alla recessione del 2007-2009. La nazionale inglese che si presenta alla rassegna europea parte dunque a fari spenti. Messa da parte la cosiddetta golden age dei vari Ferdinand, Lampard ( che in Polonia ed Ucraina mancherà per infortunio) Beckam e Scholes, i Tre Leoni si affidano a chi per natura “non cammina mai da solo”: sarà il redivivo Steven Gerrard, emblema del Liverpool, a guidare i sudditi di sua maestà. Sempre da Liverpool, e non è un caso, proviene la stella della squadra, Wayne Rooney.  Le speranze della nazionale inglese albergano dunque nelle casette in mattoni tipiche della periferia della città, abitate principalmente da lavoratori messi in difficoltà dalla crisi del porto cittadino, un tempo gioiello dell’impero britannico. Nelle stesse strade in cui i due simboli dell’Inghilterra calcistica contemporanea tirarono i loro primi calci ad un pallone, nacque 37 anni fa Robert Andrew Fowler, indimenticato e “politico” bomber. Cresciuto durante l’ascesa al potere di Margareth Tatcher e del governo conservatore, nel 1997 protestò apertamente contro il licenziamento, nella sua Liverpool, di 500 lavoratori del porto. “Help 500 docks sacked”, recitava la maglia che mostrò in seguito ad un suo gol.

 

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SFIDE TRA PERIFERIE – “Puoi anche andartene da Toxteth (quartiere popolare di Liverpool). E’ Toxteth che non se ne andrà mai da te”. L’avrà sentita un sacco di volte questa frase il rimpianto ( se fosse ancora arruolabile, statene certi, in questa nazionale inglese sarebbe sicuramente protagonista) “sindacalista” amante del gol che per anni giocò per la nazionale inglese, ma non è l’unico. Non deve essere sfuggita neanche a Zlatan Ibrahimovic, indiscusso leader della nazionale svedese candidata a contendere all’Inghilterra la qualificazione ai quarti di finale,  che, cresciuto nella periferia di Malmo, sostiene un concetto simile: puoi andartene dal ghetto, ma lo porterai con te ovunque ( anche in campo). Sempre dalla periferia proviene un altro contendente al vertice del girone D, Karim Benzema. E’ sicuramente il giocatore di origine algerina il punto di forza della Francia, forse la squadra più attrezzata del gruppo d. In programma per l’11 giugno, la sfida tra Francia e Inghilterra richiama alla mente la storica rivalità che intercorre tra le due potenze. Ma se un tempo si combattevano per terre e per mari, Londra e Parigi sembrano oggi, almeno dal punto di vista militare e strategico, sulla stessa lunghezza d’onda visti gli accordi in materia di cooperazione militare e  sperimentazioni nucleari congiunte. Allineate ed in prima fila per quanto riguarda l’intervento occidentale nella guerra di Libia, Francia e Inghilterra incontrano invece serie difficoltà in ambito economico: già fuori dall’Euro, l’Inghilterra  non ha infatti aderito al fiscal compact, il patto sulla stabilità siglato da 25 paesi dell’Unione.

 

ORA E SEMPRE FRANCIA- INGHILTERRA – Se ad inizio XIX la grand armée napoleonica se la dovette vedere con l’Ammiraglio Nelson per il dominio dei mari, l’Armata di Laurent Blanc, vecchia conoscenza del calcio italico, ha fronteggiato l’Inghilterra di Roy Hodgson in uno scialbo 1-1. Accantonati i 4 anni di gestione Capello, numeri alla mano uno dei tecnici più vincenti della storia, i sudditi di Sua Maestà si affidano a quel che è considerato un vero e proprio “normalizzatore”. L’ex coach di Inter, Fulham, Liverpool e nazionale svizzera, da un anno sulla panchina del West Bromwich Albion, è chiamato ad invertire un trend negativo quasi interminabile, una sorta di maledizione: l’unico e ultimo successo degli inglesi, infatti, risale al lontano 1966, ai mondiali giocati in casa e vinti anche grazie al gol-non gol di Geoffrey Hurst nella finale contro la Germania Ovest (con buona pace della leggendaria squadra ottocentesca dei Corinthian, famosa per non schierare il portiere in caso di rigore a sfavore in ossequio al principio secondo cui sarebbe sbagliato trarre vantaggio da un comportamento scorretto. Per la serie, c’era una volta il fair play). Da allora, un elenco senza fine di fallimenti sportivi, con le uniche consolazioni di una semifinale al Mondiale del 1990 e una all’Europeo, per di più giocato in casa, del 1996. Sfogliando gli almanacchi di mondiali ed europei torna alla mente una vecchia battuta di Gary Lineker,emblematico centravanti del calcio inglese, :“il calcio è un gioco molto semplice in cui 22 giocatori rincorrono una palla per 90 minuti e alla fine, solitamente, vincono i tedeschi”. Chissà come avrebbe risposto a tale provocazione Lord Alfred Northcliffe, giornalista di inizio novecento, convinto che le truppe inglesi impegnate nel primo conflitto mondiale fossero superiori a quelle tedesche, prive, a suo modo di vedere, dell’individualità: “del resto il Football è stato introdotto in Germania solo in tempi recenti”.

 

PROSPETTIVE – Non sarà facile superare Francia, Svezia e l’Ucraina capitanata da Shevchenko , altra contendente al primato nel gruppo d e forte del sostegno del pubblico di casa. Questa Inghilterra ha però un grosso vantaggio: il paese non ha pretese. La storia degli europei ci ha insegnato, Lineker non ce ne voglia,  che si a calcio si gioca in 22 e si corre dietro alla palla, ma non vince sempre la Germania. Che questa sia la volta buona per i sudditi di sua maestà?

 

Simone Grassi

L’importanza della posizione

In occasione del cinquantenario dell’indipendenza delle Samoa, il Primo Ministro ha criticato le politiche australiana e statunitense nella regione, elogiando invece la flessibilità e l’affidabilità cinesi. Il Paese, infatti, è centrale nell’arco insulare del Pacifico meridionale, cosicché Canberra e Washington mostrano segnali di preoccupazione nei confronti dell’ormai stabile presenza di Pechino. Le Samoa non vantano importanti risorse economiche, ma la loro posizione geografica le rende un tassello imprescindibile per la sicurezza della frontiera dell’ANZUS

 

LE SAMOA CINQUANTA ANNI DOPO – Quest’anno, il mese di giugno delle Isole Samoa è dedicato al cinquantesimo anniversario dell’indipendenza. Tuttavia, le celebrazioni sono state accolte dagli alleati occidentali con cortese distacco a causa delle dichiarazioni del primo ministro, Tuilaepa Aiono Sailele Malielegaoi, il quale ha pubblicamente redarguito gli Stati Uniti, l’Australia e la Nuova Zelanda, rivolgendo, al contempo, parole di elogio e amicizia alla Cina. In più occasioni, durante le celebrazioni, il capo del governo ha parlato dei trascorsi economici delle Samoa, riconoscendo l’impegno internazionale per i progetti di sviluppo. Interpellato dalla stampa circa i livelli del debito nazionale – riguardo al quale Canberra e Wellington esprimono preoccupazione – e sulla consistenza dei prestiti a tassi estremamente bassi provenienti da Pechino, Malielegaoi, però, ha risposto con decisione. «Il finanziamento delle nostre opere pubbliche, – ha detto, – non rientra negli accordi di partenariato con Nuova Zelanda, Australia o altri Stati. L’unica eccezione è la Cina».

 

LA «FLESSIBILITÀ» CINESE – L’ingresso dei capitali della Repubblica Popolare nelle Samoa non è certo una novità, giacché i rapporti tra i due Paesi perdurano dagli anni ’70 e, molto spesso, Apia (la capitale delle Isole) ha sostenuto Pechino nelle sedi internazionali. Tuttavia, il ricorso al credito cinese sta divenendo pratica sempre più diffusa nel Pacifico meridionale, poiché facilmente accessibile a tutta la popolazione e correlato ad accordi di cooperazione politico-economica vantaggiosi per i governi locali. «Australiani e neozelandesi, – ha affermato il Primo Ministro samoano, – sono preoccupati dell’influenza dei cinesi nel Pacifico, ma siamo stati noi (le Isole Samoa, n.d.a.) a invitarli. Abbiamo chiesto alla Cina di supplire a quelle nostre carenze per le quali Australia e Nuova Zelanda non possono fare niente. I cinesi sono stati estremamente flessibili con i programmi che abbiamo loro proposto, come quando, cinque anni fa, ci hanno anticipato 80 milioni di dollari per il ripianamento del debito, nonostante noi avessimo appena negato alla Repubblica Popolare il nostro supporto su alcuni temi internazionali».

 

IL MONITO AGLI USA – L’interesse di Pechino è il rafforzamento della propria posizione nell’arco insulare oceanico, al fine di avere accesso alle ingenti risorse minerarie dell’area, nonché di esercitare un maggior controllo dei traffici marittimi tra l’Oceano Indiano e il Pacifico, con ovvia pressione sugli Stati Uniti. Malielegaoi ha illustrato questo concetto con estrema chiarezza ai primi di giugno: «Dire che Washington e Pechino utilizzano la diplomazia degli assegni (chequebook diplomacy) per guadagnare influenza nel Pacifico meridionale è una sciocchezza, perché gli Stati Uniti si sono a lungo disinteressati della regione. Gli USA sono attratti solo dalle aree di conflitto, e vi dico anche il perché: le guerre servono a sostenere la loro industria, la loro macchina bellica». Secondo il Primo Ministro samoano, invece, Washington trascurerebbe il settore in quanto zona pacifica, grazie anche all’equilibrio che la Cina aiuta a mantenere con la propria politica di sostegno economico.

 

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IL VALORE GEOPOLITICO DELLE SAMOA – Le preoccupazioni australiane e statunitensi circa la presenza cinese alle Samoa potrebbero risultare, al primo impatto, immotivate o eccessive, perché, oltretutto, le Isole non hanno nemmeno risorse tali da giustificare un confronto tra le potenze. Eppure, la loro valenza è prettamente geopolitica: osservando una mappa, infatti, è possibile notare come le Samoa siano centrali nell’arco insulare del Pacifico meridionale, ossia abbiano una posizione strategica fondamentale per il presidio dell’area, confinando, inoltre, per mare, con le Samoa Americane, territorio USA. In un momento nel quale l’Australia è sospesa tra il timore della discesa delle potenze regionali antagoniste (Cina, India e Indonesia), la mancanza delle risorse necessarie a continuare a esercitare una pressione reattiva e la volontà statunitense di tornare a impegnarsi direttamente nel Pacifico meridionale, le Samoa divengono un tassello fondamentale di quella che è effettivamente la frontiera dell’ANZUS. Questo è lo schema che da circa cinque anni si sta mostrando sempre più chiaramente nello scacchiere, ma, allo stato dei fatti, la penetrazione cinese nella regione ha un’arma da non sottovalutare, cioè la possibilità di attuare politiche di soft power, soprattutto nei settori del credito e delle infrastrutture, operando anche in perdita nel medio periodo.

 

Beniamino Franceschini

L’ora del ‘rescate’

Caffè Europeo – Che però significa “salvataggio”: ovvero, quello offerto dall’Unione Europea alle banche spagnole sull’orlo del tracollo. Se Madrid è sempre più in crisi economico/finanziaria, con un tasso di disoccupazione alle stelle, qual è invece lo stato di salute del calcio nazionale? Le “Furie Rosse” di Del Bosque si presentano all’Europeo di Polonia e Ucraina come le super-favorite, ma il rischio di essere alla fine di un ciclo non è da sottovalutare

 

IL “RESCATE” – In questi giorni i termini più frequentemente accostati alla Spagna non sono stati “Furie Rosse” oppure il nome di qualche fuoriclasse rappresentativo della Nazionale di calcio impegnata agli Europei: la parola più utilizzata è invece “rescate”. Attenzione, però: si tratta di un “false friend”, come direbbero gli anglosassoni. Non va tradotta con “riscatto”, bensì con “salvataggio”: si tratta infatti del nome con cui viene descritta l’operazione di supporto finanziario garantita alle banche spagnole dall’Unione Europea dopo che Madrid si è decisa a chiedere aiuto a Bruxelles per evitare il tracollo del proprio sistema creditizio. Di riscatto, inteso come ripartenza, riscossa, voglia di uscire con slancio dalla crisi, non si può dunque parlare.

 

UN’ALTRA FALLA COPERTA – I trecento miliardi di Euro che l’UE ha offerto alla Spagna attraverso il suo meccanismo di European Financial Stability Fund serviranno a ridare ossigeno a Bankia e agli altri istituti di credito minacciati dal fallimento e ad arrestare la fuga di capitali dal Paese iberico e diretta verso la ben più sicura Germania? Molto probabilmente, si tratterà solo dell’ennesimo “tampone” posto da Bruxelles nel vano – almeno fino ad ora – tentativo di sconfiggere gli effetti della crisi che sta minando alla radice la sopravvivenza stessa della moneta unica. Il Governo di Mariano Rajoy ha delegato all’UE un’ulteriore porzione di sovranità nella speranza che questa operazione serva ad evitare il peggio, ma la reazione dei mercati non sembra essere troppo positiva. Ottenere il “bail-out” (salvataggio) alle istituzioni comunitarie non viene interpretato come un elemento in grado di ridare fiducia al Paese richiedente, bensì si tratta di un’ulteriore conferma della situazione di debolezza e di incertezza.

 

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UN PARALLELISMO TRA PALLONE E GEOPOLITICA? – E’ possibile tracciare un parallelismo tra lo stato di salute del calcio nazionale e quello dell’economia? Se in alcuni casi potrebbe apparire azzardato, in altri l’accostamento sembra calzante. Guardiamo la Spagna: fino al momento in cui è esplosa la crisi (2008 e poi 2010) le “Furie Rosse” hanno vissuto il loro periodo di maggiore splendore, vincendo gli Europei in Austria e Svizzera e i Mondiali sudafricani. Fino a poco tempo prima Madrid veniva additata come esempio di crescita e sviluppo economico e sociale, e il governo di Luis Zapatero si era addirittura “pavoneggiato” nei confronti dell’Italia in occasione dell’effimero sorpasso dell’economia spagnola su quella italiana. Lo scoppio della bolla immobiliare ha poi rivelato la debolezza intrinseca del “miracolo” spagnolo, che si è tramutato in recessione, aumento rapidissimo del deficit e del debito pubblico, disoccupazione alle stelle (circa il 25%). E il calcio? Non si può proprio parlare di crisi, però lo strapotere del Barcellona sembra essersi ridimensionato dopo aver mancato la finale di Champions League, così come per il Real Madrid. Sicuramente i grandi club non avranno più la possibilità di spendere le cifre folli che si registravano alcuni anni fa: il livello del calcio spagnolo potrebbe dunque subire indirettamente gli effetti della crisi economica.

 

E LA NAZIONALE? – La squadra allenata da Vicente del Bosque si presenta agli Europei di Francia e Polonia come la favorita, dopo aver realizzato un “filotto” sensazionale con le vittorie a Euro2008 e Sudafrica 2010. Il rischio, tuttavia, è che dopo questi trionfi si possa assistere alla fine di un ciclo. Il team iberico è assortito da una serie di assi fenomenali, da Casillas a Torres passando per Piqué, Iniesta e Xavi. Insomma, lo zoccolo duro è sempre formato dai giocatori del Barcellona e del Real. L’esordio contro l’Italia, tuttavia, non è stato entusiasmante: il pareggio registrato per 1-1 ha lasciato qualche amaro in bocca agli spagnoli, che si sono fatti dapprima sorprendere da Totò Di Natale e hanno poi sprecato diverse occasioni da rete.

Il passaggio del turno non dovrebbe rappresentare un problema per le “Furie Rosse”; il cammino si farà più ostico dai quarti di finale. Se la Grecia, sull’orlo del baratro economico e politico, ha già praticamente concluso il suo europeo, la Spagna ha sicuramente più chances di riscattarsi, quantomeno a livello sportivo.

 

Davide Tentori

Qui per te non c’è posto

Il Malawi, spinto dalla minaccia USA di sospendere gli aiuti, non ospiterà il vertice dell’Unione Africana per evitare di dover accogliere il Presidente sudanese al-Bashir. Nell’Azawad, la situazione resta confusa, anche se arrivano sempre più insistenti notizie circa tentativi di ribellione contro Ansar Dine. Il vertice di Addis Abeba tra Sudan e Sudan del Sud è stato interrotto per i dissidi riguardo alla regione di Abyei. Nuove stragi di Boko Haram in Nigeria. L’Angola si ritira dalla Guinea Bissau. Le condizioni di salute di Mubarak. La nuova diga in Eritrea. Il rapimento di Obodo. In chiusura, al-Bashir e la Corte penale internazionale

NEL NORD DEL MALI? – Resta ancora confusa la ricostruzione di quanto stia accadendo nel nord del Mali. Secondo alcune testimonianze, i tuareg avrebbero lasciato alcune zone sotto il controllo dei miliziani di Ansar Dine, i quali avrebbero immediatamente imposto un brusco passaggio alla shari’a. In questo contesto, in alcuni villaggi sarebbero in corso tentativi di ribellione, o almeno, richieste di trattative per il ritorno a un’amministrazione laica e il ripristino della coesione nazionale, ossia la riunificazione con Bamako. Tuttavia, è opportuno ricordare che, al momento, le immagini e le testimonianze reperibili mostrano paesi sorvegliati da gruppi di armati che, senza ulteriori informazioni, è difficile definire se siano briganti o terroristi. Le scarse interviste rilasciate da semplici cittadini riportano certo un senso di timore diffuso e una ritrosia a trattare apertamente il tema religioso, ma non a parlare della necessità del ritorno delle truppe di Bamako. Purtroppo, non giungono fonti dirette da centri più lontani dalle vie principali o dalle regioni dell’estremo nord, laddove è pressoché sicuro che la legge shariatica sia stata imposta, anche con una certa violenza. Nel frattempo, durante un incontro a Parigi, il presidente Hollande e il presidente del Niger, Mahamadou Issoufou, hanno lanciato un allarme in merito alla partecipazione di jihadisti afghani e pakistani alle operazioni in Mali al fine di addestrare i miliziani locali e stabilire una base per il coordinamento tra i gruppi islamisti tra Africa settentrionale e centrale. Hollande ha confermato che l’Unione Africana stia cercando la legittimazione di una risoluzione ONU, e che l’ECOWAS sia lo strumento politico e militare per un eventuale intervento in Mali.

INTERROTTE LE TRATTATIVE TRA JUBA E KHARTOUM – Il vertice di Addis Abeba tra Sudan e Sudan del Sud non è riuscito a comporre i principali dissidi. Causa della rottura delle negoziazioni è stato il regime della regione di Abyei e la neutralizzazione del confine. Tuttavia, per ottemperare alle scadenze della roadmap, che prevede il raggiungimento di un accordo entro tre mesi dall’inizio delle trattative, Khartoum e Juba riprenderanno il dialogo dal 19 giugno. Nel frattempo, comunque, resteranno attive alcune commissioni tecniche, che, per poter fornire proposte adeguate nel caso la mediazione avesse successo, continueranno a discutere molteplici questioni, dai tempi del ritiro delle rispettive truppe, allo status dei cittadini nei reciproci Paesi, passando per la definizione giuridica della Safe Demilitarized Border Zone (SDBZ): in poche parole, tutte le tematiche sulle quali le due parti non hanno trovato un accordo politico.

IL MALAWI NON OSPITERÀ AL-BASHIR – Il mese scorso, gli Stati Uniti avevano minacciato la sospensione degli aiuti per quei Paesi che avessero accolto il presidente sudanese al-Bashir. Il primo Stato a essere colpito dal provvedimento sarebbe dovuto essere il Malawi, che attendeva da Washington 350 milioni di dollari, momentaneamente bloccati in attesa della decisione del governo locale circa la partecipazione di al-Bashir al prossimo vertice dell’Unione Africa, previsto a Lilongwe. Il Malawi, da parte sua, ha chiesto che il meeting fosse tenuto direttamente alla sede dell’Organizzazione, ad Addis Abeba, nel tentativo di evitare il deterioramento dei rapporti con gli USA. L’Unione Africana ha protestato per la posizione del Malawi, ma il Sudan, si è dichiarato favorevole allo spostamento del vertice ad Addis Abeba.

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SANGUE SULLE DOMENICHE NIGERIANE – Domenica 10 giugno, la Nigeria ha vissuto nuovamente il terrore che ormai la sta attanagliando da mesi: le chiese delle città di Jos e Biu sono state prese d’assalto da Boko Haram rispettivamente con un’autobomba e con un raid di uomini armati. Il bilancio è stato di cinque morti e oltre cinquanta feriti. Subito dopo gli attentati, inoltre, alcuni giovani hanno lanciato una rappresaglia furiosa contro alcuni esercizi commerciali, causando, secondo fonti non confermate, almeno sette morti.

L’ANGOLA SI RITIRA DALLA GUINEA – L’Angola ha ritirato le proprie forze dalla Guinea Bissau con una decisione unilaterale imposta da ragioni che, secondo il comunicato ufficiale, «sono oltre il controllo di Luanda». I vertici militari hanno dichiarato che, «sebbene non siano stati portati a termine tutti gli obiettivi preposti […] per lo stato dei fatti, la missione è stata comunque compiuta». La presenza angolana in Guinea Bissau (MissAng) sarà sostituita da un corpo di spedizione dell’ECOWAS.

SÌ, MUBARAK È VIVO – Su internet è possibile leggere una teoria di notizie contraddittorie riguardanti la salute del deposto presidente egiziano Hosni Mubarak, dichiarato morto mediamente tre volte al giorno nell’ultima settimana. L’ex rais ha recentemente subìto almeno due attacchi cardiaci e ha chiesto, ottenendo l’approvazione delle Autorità competenti, che suo figlio, Alaa, fosse trasferito con lui nella prigione di Tora, dove già è presente anche il secondogenito, Gamal.

NUOVA DIGA IN ERITREA – In Eritrea continua l’attesa per il completamento della diga di Sequar, nella regione di Ashera. Secondo le autorità, l’opera sarebbe quasi terminata grazie al lavoro di più di cento persone il giorno e in futuro risolverà il problema dell’approvvigionamento idrico nell’area, permettendo anche di irrigare oltre 600 ettari di terreno e rafforzando significativamente il cammino verso la realizzazione dei progetti di sviluppo in Eritrea.

IL RAPIMENTO DI OBODO – Il 9 giugno, Christian Obodo, centrocampista nigeriano del Lecce in prestito all’Udinese, è stato rapito a Warri mentre si stava recando in chiesa. Il giocatore, per il quale era stato chiesto un riscatto di 150mila dollari, sarebbe poi riuscito a mettersi in salvo fuggendo da solo, nonostante le prime notizie avessero parlato di un blitz della polizia.

Beniamino Franceschini

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Guerra fredda olimpica

Road to London 2012 – «Finalmente cade uno degli elementi di divisione del mondo sportivo» disse Franco Carraro, allora giovane dirigente alla guida del CONI, quando la XXII edizione dei Giochi dell’era moderna venne assegnata a Mosca. Prometteva di diventare l’ “edizione universale”, diventerà l’edizione del boicottaggio a stelle e strisce. Se, nel 1976, l’edizione canadese smise l’elmetto a cui Settembre Nero la costrinse per volteggiare verso la perfezione sulle spalle della ginnasta più grande che la rassegna olimpica ricordi, l’edizione russa non conoscerà nessun salvatore: saranno Presidenti e ministri degli esteri i veri protagonisti

 

IL SALTO AL FILO SPINATO – Stati Uniti e Unione Sovietica sembravano percorrere il sentiero della distensione quando la sessione numero 75 del CIO assegnò a Mosca, e non a Los Angeles, la XXII edizione dei Giochi. Correva il mese di ottobre, 1974. Mentre le due superpotenze tacitamente si accordavano sull’assegnazione dei Giochi ( pare infatti che nei mesi antecedenti si stato siglato un accordo segreto tra Leonid Breznev e Richard Nixon riguardo a Mosca), Henry Kissinger, confermatosi Segretario di Stato in seguito allo scandalo Watergate che travolse l’amministrazione Nixon e portò alla presidenza Gerald Ford, si recò proprio nella capitale sovietica per vagliare la possibilità di riprendere le discussioni in vista di un successore del trattato SALT, la cui scadenza era prevista per il 1977.

 

L’OLIMPIADE OLTRE CORTINA – Era la prima volta che l’Olimpismo saltava oltre cortina.«E’ una grande occasione di incontro delle giovani forze di tutto il mondo, che si batteranno sportivamente in un abbraccio di fratellanza e di amicizia» dichiarava soddisfatto Vitali Smirnov, vicepresidente sovietico del CIO. Intrise d’ottimismo, queste parole si rivelarono profetiche quando la Cina popolare, dopo 21 anni di assenza in segno di protesta per il riconoscimento accordato all’altra Cina, quella nazionalista di Taiwan, annunciò la partecipazione. Riuscirà, almeno in questa occasione, un’ Olimpiade ad abbattere , anche solo temporaneamente, il muro che divide est ed ovest e la Muraglia cinese sportiva eretta dalla Cina maoista?

 

THE ANSWER, MY FRIEND… – La risposta, parafrasando una famosa canzone di Bob Dylan, soffia nel vento e su Mosca soffiano venti di guerra. Il 27 dicembre 1979 a Kabul, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, le truppe sovietiche aviotrasportate entrarono in azione al di fuori dell’impero di satelliti dell’Est europeo. Occupati gli edifici governativi e distrutte le strutture di comunicazione afghane, venne deposto il regime di Amin, reo di aver intrapreso un radicale programma di riforme sociali, economiche e politiche miranti a modernizzare le strutture feudali del paese, e di centralizzare il potere politico nella capitale oltre ad aver generato un’ondata di fervore islamico che avrebbe potuto diffondersi a macchia d’olio ed indebolire l’autorità sovietica nelle “sue” repubbliche d’Asia centrale a prevalenza mussulmana. Il governo statunitense reagì con indignazione: l’occupazione sovietica dell’Afghanistan avrebbe interrotto il processo distensivo, ragion per cui il Presidente Carter si vide costretto a comunicare a Breznev una serie di sanzioni all’Unione Sovietica. All’embargo sulle esportazioni del grano e di nuove tecnologie e alle restrizioni all’accesso alle acque statunitensi, si affiancò il boicottaggio politico dei Giochi Olimpici di Mosca : «noi ci opporremo alla partecipazione di una squadra americana a tutti i giochi Olimpici programmati nella città di un paese invasore». È Cyrus Vance, Segretario di Stato, a precisare la posizione statunitense.

 

L’EFFETTO CONTAGIO – Con 104 voti favorevoli, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite intimò, invano s’intende, all’Unione Sovietica di evacuare l’Afghanistan. Al boicottaggio statunitense fecero eco, nell’ordine, quelli di Canada, Cina Popolare, Germania Ovest, Giappone e Australia. In favore della drastica misura si pronunciò anche il Primo Ministro britannico, Margaret Thatcher, non vietando però la partecipazione ai sudditi di Sua Maestà. Fece invece molto discutere il comportamento italiano. L’allora Ministro della Difesa, il socialista Lagorio, impedì la partecipazione a tutti gli atleti inquadrati nelle forze armate e il CONI optò per l’abolizione di qualsiasi esteriorità: tuonò un secco NIET alla tradizionale parata degli atleti durante la cerimonia inaugurale, niente bandiera tricolore niente inno di Mameli. Fu dunque un’Olimpiade caratterizzata dalle corsie vuote, alle frecce nere dell’atletica, gli Stati Uniti preferirono le spese militari, dichiarando, anche attraverso lo sport, terminata ”l’era dei buoni sentimenti” tra le due superpotenze. Carter, che interpretava l’invasione sovietica in Afghanistan nell’ampia prospettiva geopolitica di destabilizzazione in un’area che non poteva essere soggetta ad occupazione alcuna, chiese al Senato di interrompere il riesame del SALT II, che giaceva, senza essere stato ratificato, nella Camera Alta del Congresso statunitense. L’olimpismo salutava dunque gelidamente la capitale sovietica e si apprestava a preparare i Giochi di Los Angeles, programmati per il 1984 e pubblicizzati dal maxischermo dello stadio Lenin negli ultimi momenti della cerimonia di chiusura. Ai presenti sarà sicuramente balenata un’idea: e se l’URSS meditasse di restituire lo sgarbo?

 

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CHI LA FA, L’ASPETTI – Se la vendetta è un piatto che va servito freddo, quattro anni sono sicuramente un lasso di tempo ragionevole per far sì che la pietanza si raffreddi. Cambiarono i protagonisti e gli scenari, di certo non le tensioni e i motivi d’attrito. Alla Casa Bianca l’ultraconservatore Ronald Regan, il cui scopo era “rifare grande l’America”, sostituì Carter, mentre al Cremlino sedeva Konstantin Cernenko, dopo la lunga stagione brezneviana e la fugace apparizione di Andropov. A circa due mesi dalla manifestazione, l’Unione sovietica rompe gli indugi: secondo l’articolo 25 della Carta del Cio « i Comitati olimpici nazionali devono essere indipendenti ed autonomi e non devono essere soggetti ad alcuna influenza di carattere politco, religioso o commerciale». In protesta alle “ripetute violazioni alla Carta Olimpica attuate dagli Stati Uniti” i dirigenti sovietici chiesero un’urgente riunione del CIO. Secondo Mosca l’amministrazione Reagan stava scatenando negli usa una vasta e violenta campagna antisovietica allo scopo di raccogliere consensi in vista dell’appuntamento elettorale previsto, come consuetudine, in autunno. Il definitivo colpo di scure che avrebbe decapitato la 23 edizione dei Giochi si abbatté sul Comitato olimpico l’8 maggio: «L’URSS ne partecipera pas au JO de Los Angeles. Officiel.» recitava lapidario un comunicato dell’agenzia France Press. Al “niet” sovietico fecero eco quelli di Germania Est e Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Cuba, Afghanistan, Corea del Nord, Etiopia, Laos, Vietnam e Yemen. L’Olimpiade californiana, sbarazzatasi in fase di assegnazione della debole concorrenza di Teheran, sconvolta dalla rivolta khomeinista, sembrava dunque destinata ad essere “sportivamente” dimenticata. Le partecipazioni della Cina popolare, dopo 32 anni di esilio olimpico, e della Romania di Ceausescu, unico paese del blocco comunista a non prendere parte al boicottaggio, riuscirono solo in parte a risollevare le sorti dei Giochi.

 

PIU’ LUNGO DI UNA CADILLAC – Vero e proprio salvatore della rassegna californiana fu Frederick Carlton Lewis. Figlio di due splendidi atleti, il piccolo Carl si innamorò dell’atletica il 15 ottobre 1968. La televisione trasmetteva in diretta la finale del salto in lungo dell’edizione messicana dei Giochi Olimpici (1968). Quel pomeriggio vide il suo connazionale Bob Beamon volare nella storia: 8 metri e 90 centimetri, addirittura 55 centimetri in più del precedente record. Il bimbo non credeva ai suoi occhi, prese un metro e corse sulla strada davanti a casa per misurare la lunghezza del “salto fuori dal tempo” ( così venne definito). “Wow, that’s longer than a Cadillac!”. Cominciò in quel momento la rincorsa del piccolo Carl verso l’olimpo dello sport.

 

RUNNING AND JUMPING – Il suo mito, neanche a dirlo, era Jesse Owens: “Quel ragazzino tutt’ossa andrà lontano” disse l’eroe di Berlino 1936 quando vide, in occasione di una rassegna giovanile nel 1973, il bimbo di Birmingham. Ma torniamo a Los Angeles, più precisamente sulla pista di atletica dello stadio Coliseum. Il suo idolo a Berlino vinse 4 medaglie d’oro, il vanitoso Carl Lewis promise di emularlo. Come volevasi dimostrare, fu di parola : sabato 4 agosto vinse i 100 metri piani, mercoledì 8 agosto conquistò l’oro nei 200 metri piani e sabato 11 agosto partecipò alla staffetta veloce, dominata dalla compagine statunitense. Mancava una sola medaglia all’appello, forse la più significativa: quella del salto in lungo, il suo primo amore. Il salto che gli valse la quarta medaglia d’oro è datato 6 agosto 1984, ma la rincorsa verso quegli 8 metri e 50 di storia Carl la cominciò molto prima. Cominciò nella colored section di un autobus di linea a Montgomery il 1 dicembre 1955, 6 anni prima che nascesse. Quel giorno la signora Rosa Parks, sarta di 42 anni, si rifiutò di lasciare il suo posto ad un uomo bianco. “Dissero che ero stanca, ma non era vero. Non ero stanca, non fisicamente almeno. Ero solo stanca di arrendermi. Fu arrestata, ma da quel giorno i neri d’America presero la rincorsa, guidati dal reverendo Martin Luther King.

 

I HAVE A DREAM – “Io ho un sogno, che un giorno i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che possedettero schiavi sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza. Le Olimpiadi boicottate di Mosca e Los Angeles non appresero la lezione del reverendo, quando la risposta non soffia nel vento, è perché Eolo ha affidato il messaggio ad altri. A Los Angeles il messaggio lo affidò al suo “ figlio” prediletto: “gli assenti hanno sempre torto”.

 

Simone Grassi

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La Primavera messicana

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A meno di venti giorni dalle elezioni presidenziali, il dibattito entra nel vivo, così come il fermento all'interno della società. Gruppi studenteschi si mobilitano per contrastare la candidatura del favorito Enrique Peña Nieto e per chiedere maggiori diritti e libertà di informazione. Intanto, il secondo dibattito televisivo tra i candidati si è svolto senza troppe sorprese

FERMENTO SOCIALE – Domenica mattina di fermento a Cittá del Messico. Migliaia di giovani nelle piazze lungo la via Reforma, l'arteria principale della cittá che 6 anni fa era occupata dalla resistenza di López Obrador dopo che gli era sfuggita la vittoria sul filo di lana. Più di centomila persone, secondo la questura, universitari prima, oggi accompagnati da una varietà di soggetti della società civile: operai, contabili, amministratori, sociologi, piccoli imprenditori, sembrano essersi risvegliati dopo anni di apatia politica. Nell’ultimo mese manifestazioni di giovani delle principali università del paese hanno invaso le città messicane, in particolare la capitale, cassa di risonanza per tutta la Repubblica.

UN MOVIMENTO CONTRO PEÑA NIETO – Il movimento “Yo soy 132”, nato dopo la visita di Peña Nieto all’Università privata Iberoamericana quando diverse centinaia di studenti lo hanno accolto con grida come “Assassino”, “Stupratore”, “Repressore”, ricordandogli la mattanza di Atenco, dove lo accusano di aver ordinato la repressione armata del movimento contadino che protestava per le loro terre, riunisce studenti di diverse classi sociali ed ha incontrato l’appoggio di diverse anime della società. Chiedono più informazione, più libertà di espressione, la fine del duopolio televisivo, e sono completamente avversi ad Enrique Peña Nieto, candidato del Partido Revolucionario Institucional (PRI), accusandolo di rappresentare quella classe politica e imprenditoriale corrotta che domina il paese mantendolo nella povertá e spartendosi i proventi.

Peña Nieto nell’ultima settimana ha ricevuto l’adesione alla sua candidatura di ex presidenti degli altri due grandi partiti della política messicana, PAN e PRD, così come di alcuni fuoriusciti da tempo. E tra gli esponenti di questo gruppo dei “Responsabili messicani”, si nota l’ex dirigente del PAN Manuel Espino che aveva lasciato il PRI per appoggiare l’attuale presidente Calderón nel 2006. Recentemente sono stati indagati anche l’ex governatore di Tamaluipas, Tomás Jesús Yárrington Ruvalcaba, per riciclaggio di denaro sporco e complicità in una strage compiuta dai narcotrafficanti, e il contabile di Humberto Morerira, ex governatore dello Stato di Coahuila, per concussione, entrambi membri attivi della campagna di Peña Nieto, come gli fu ricordato durante il secondo e ultimo dibattito tra i candidati.

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IL SECONDO DIBATTITO TV E LE PROPOSTE DI LÓPEZ OBRADOR – chiudere la giornata politica messicana il secondo dibattito, stavolta organizzato come un comizio: 8 minuti e 30 secondi a testa in ognuno dei 5 temi scelti dall’Instituto Federal Electoral, diviso in 4 interventi liberi. Nel mezzo delle solite accuse e delle promesse senza fondamento, spicca la posizione di López Obrador sugli Stati Uniti, che lo ha fatto allontanare dallo “spettro chavista” che lo perseguita. Nella sua proposta si mostra convinto di dover cooperare con il gigante nordamericano, con il quale divide 3000 km di frontiera e stretti legami economici e politici, ma suggerisce di dimenticare la cooperazione militare e i muri tra i paesi e di promuovere una politica di sviluppo e lavoro per far crescere il Messico e frenare il movimento migratorio. Se fosse eletto, sarà un alleato della amministrazione Obama nella geopolitica latinoamericana per contrastare la forza “sudamericanista” e che sta spostando gli equilibri regionali verso sud?

Andrea Cerami (da Città del Messico)

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Il dittatore svedese

Caffè Europeo – In un undici titolare privo di grandi promesse, solo il faro del centrattacco, ovvero Zlatan Ibrahimovic può far sperare i tifosi svedesi in qualche attacco d’ansia in un girone veramente duro. Ma il campione del Milan rischia di concentrare nei propri piedi fatati, non solo le speranze del popolo gialloblu ma anche le critiche di telecronisti e compagni, che gli rimproverano di colonizzare il gioco della nazionale. In una Svezia costruita sui principi della liberal-democrazia, ogni uomo al comando è visto con sospetto, anche quando sulla maglia ha scritto un nome da campione

 

EUROPA SI…EURO NO GRAZIE – La Svezia è uno stato membro dell’Unione Europea dal 1995, il successo economico del paese è dato dalla presenza di un sistema capitalista integrato da importanti interventi sul piano sociale ed economico da parte dello stato. Non è sempre stata rosea però la situazione della nazione scandinava, visto che in passato ha avuto importanti problemi di disoccupazione nel 1990, nel biennio 2000-02 e ancora in epoca recente nel 2009 in conseguenza della crisi economica mondiale. Quasi dieci anni dopo l’entrata nell’Unione Europea, la popolazione preoccupata per l’eventuale impatto sull’economia e sulla sovranità nazionale ha respinto l’introduzione dell’euro mediante un referendum nel 2003.

 

UNITI SI VINCE – Come in ogni paese statalizzato, il mercato del lavoro non è molto flessibile, fatta eccezione per le multinazionali che riescono a trovare un maggiore raggio di manovra. Grazie quindi ad un’economia solida il paese e i suoi abitanti godono di un tenore di vita mediamente invidiabile, con differenze sociali poco accentuate, livelli impressionanti d’istruzione, un elevato grado di integrazione culturale e un’ottima sanità. “Un dolore condiviso è un dolore dimezzato. Una gioia condivisa è una gioia raddoppiata”, in questo proverbio è racchiuso tutto lo spirito della popolazione svedese conosciuta nel mondo per possedere grande tolleranza, rispetto e comprensione anche nei confronti di altre culture. E’ nel quadro del post-crisi economica mondiale che si inserisce l’iniziativa del governo di centro-destra volto a modificare nel profondo l’assetto statale, attuando il suo programma di riforme volto ad aumentare l’occupazione ed a ridurre il ruolo dello Stato nell’economia. Rispetto ad altri stati Europei ancora invischiati nella crisi la Svezia trainata dal settore bancario e dalla ripresa delle esportazioni ha avuto un forte rimbalzo nel 2010, che è continuato durante il 2011. Per l’anno in corso il governo propone misure di stimolo per contenere gli effetti di un rallentamento economico globale e favorire occupazione e crescita.

 

DA STOCCOLMA A RIYADH – Dopo quasi un secolo di egemonia socialdemocratica, nel 2006, il partito socialdemocratico svedese, guidato dal primo ministro uscente Göran Persson, venne sconfitto alle elezioni legislative; la sua coalizione di centrosinistra si fermò infatti al 46%, mentre la coalizione di centrodestra raggiunse il 48% dei voti,portando a capo del governo Fredrik Reinfeldt. Il 19 settembre 2010 la coalizione di centrodestra è risultata nuovamente la più votata, con il 49,2% dei voti; la coalizione di centrosinistra ha avuto invece il 43,7%. L’unico altro partito a superare la soglia di sbarramento (fissata al 4%) è stata la coalizione di estrema destra Democratici di Svezia, che ha avuto il 5,7%. Recentemente uno scandalo dall’eco internazionale si è abbattuto sulle teste degli ignari cittadini svedesi. Sten Tolgfors, ministro della Difesa svedese, si e’ dimesso a seguito delle polemiche suscitate dalla notizia dell’esistenza di un piano segreto per la realizzazione di un impianto industriale in Arabia Saudita per la fabbricazione di armamenti. Come riferisce la Bbc, nel piano rivelato dai media svedesi all’inizio di marzo, era prevista una collaborazione tra l’Agenzia svedese per la ricerca nel campo della difesa e Riyadh per la costruzione di missili balistici. Sebbene la Svezia non abbia messo al bando l’export di armi nei confronti dell’Arabia Saudita, a suscitare le polemiche che hanno portato alle dimissioni di Tolgfors e’ stata la natura segreta del progetto.

 

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IL CALCIO DEI BLAGULT Dopo l’esclusione alla Coppa del Mondo FIFA 2010, la Svezia ha ripreso subito col piede giusto la strada per tornare nel Calcio che conta,essendosi qualificata come migliore seconda nel suo Girone,grazie a una brillante vittoria nell’ultima gara contro l’Olanda ancora imbattuta, che ha acceso i sogni dei Blågult (blu e gialli). Il calcio, così come molti altri sport, arrivò in Svezia intorno al 1870 ed inizialmente fu praticato soltanto dalle squadre di ginnastica. Gli svedesi si ispirarono all’Inghilterra e alla Scozia sia per il modo di giocare sia per il regolamento che fu redatto per la prima volta nel 1885 da tutti i club attivi a Göteborg, Stoccolma e Visby. Il campionato svedese di calcio è suddiviso in 10 livelli. L’Allsvenskan è il massimo livello professionistico, seguito dalla Superettan. Sul piano internazionale sono da annoverare le due coppe Uefa vinte dal IFK Göteborg (1981-1982, 1986-1987),unica squadra svedese a vincere in una competizione europea.

 

THE IMPORTANCE OF BEING ZLATAN – La nazionale svedese, come migliore risultato nella competizione europea può vantare il raggiungimento delle semifinali nell’Europeo disputato proprio in Svezia nel 1992. Solo nel 2000 però – alla nona partecipazione alle qualificazioni dal torneo inaugurale –la formazione giallo-blu è riuscita a qualificarsi di nuovo alle fasi finali della competizione europea,dopo una lunga serie di eliminazioni nelle fasi preliminari. Gli svedesi hanno salutato UEFA EURO 2004 senza sconfitte;indimenticabile il gol di tacco del giocatore simbolo nonché attuale capocannoniere in attività della nazionale, Zlatan Ibrahimović , proprio contro l’Italia. Proprio sulle spalle del gigante neanche troppo buono, riposano tutte le speranze del popolo gialloblu costretto a vivere all’ombra delle grandi d’Europa. Il cammino per approdare agli ottavi di Euro2012 è decisamente in salita per la squadra svedese,essendo stata inserita in un girone di ferro con Francia, Inghilterra e con i padroni di casa dell’Ucraina. Unica nazionale della penisola scandinava la Svezia ha dimostrato, come anche nella partita di ieri contro l’Ucraina di Blokhin e Shevchenko, tutti i limiti dovuti alla scarsa compattezza di un gruppo costruito attorno alla punta di sfondamento del Milan. Solo un gioco più concertato permetterà agli uomini del C.T. Hamrén di togliersi qualche soddisfazione contro le opache Francia e Inghilterra.

 

Andrea Piras

Come l’araba fenice

I riflettori della stampa internazionale saranno indubbiamente rivolti agli appuntamenti elettorali in Grecia ed Egitto dove, più che l'evento stesso delle urne, è il dopo ad alzare le sabbie dei dubbi sul futuro. Qualcosa si smuove in Siria, ma non sul fronte del regime di Bashar, è il Consiglio Nazionale Siriano a tentare la carta dell'apertura alle minoranze per minare definitivamente il consenso rimasto al governo baathista. Proprio mentre il processo di transizione giunge al culmine Hosni Mubarak sarebbe in fin di vita secondo più indiscrezioni riportate nel weekend, come se la morte della "sfinge" potesse spazzare via 50 anni di dominio del potere militare su quello civile

EUROPA

Domenica 17 – Impossibile non pensare a dietrologie e cabala al primo sguardo sulla data scelta per il secondo tentativo di elezioni nella Grecia devastata dalla crisi del debito sovrano. Intanto, neanche lo svolgimento della competizione elettorale sembra sicura, in un paese dove uno sciopero dei dipendenti pubblici è in grado di determinare la chiusura totale dei seggi. Così il sindacato POE-OTA ha minacciato la rivolta del personale addetto alle operazioni di voto qualora non si raggiungesse un accordo per un aumento del compenso elettorale. Mentre i sondaggi danno ormai per certa una vittoria di misura della coalizione delle sinistre radicali SYRIZA sul partito popolare NEA DEMOKRATIA di Antonis Samaras, anche se arrivare da soli al governo sembra un'impresa da titani. Comunque vadano queste elezioni la luce in fondo al tunnel della crisi è ormai una speranza lontana, in un paese in cui perfino il ritorno alla dracma appare più invitante del piano della troika.

FRANCIA – Continua il testa a testa tra l'UMP e il Parti Socialiste in quel di Francia dove le elezioni legislative sono attese per il 22 di giugno. Nella gironata di domenica si sono susseguite esclusive e smentite a proposito di un possibile sorpasso della destra popolare sul partito del neo-eletto François Hollande, indiscrezioni poi riviste dai maggiori quotidiani online tra cui Le Soir e Le Monde. In realtà il PS continuerebbe a godere dell'onda lunga delle presidenziali di maggio scongiurando così l'incubo della coabitazione con una maggioranza nemica in Parlamento. Rientrano anche le previsioni di un'esplosione del Fronte Nazionale di Marine Le Pen, dato ora tra il 15 e il 16% dopo proiezioni oscillanti oltre il 20%. Jean-Luc Mélenchon dovrebbe invece attestarsi al 7%, mentre sembra veramente dura la sfida per il seggio parlamentare con la stessa Le Pen.

AMERICHE

STATI UNITI – Nonostante i reciproci inviti alla moderazione, la campagna elettorale tra Barack Obama e Mitt Romney sembra puntare verso picchi da far west dopo il record delle primarie repubblicane ormai chiuse da tempo. A portare l'ultimo fendente alla macchina da guerra messa in campo da Obama è ora la OIW, sigla per "Obama isn't working", la nuova campagna mediatica scatenata dopo le recenti dichiarazioni presidenziali a proposito di un settore privato ancora "in forma". Con un video di pochi secondi dai toni gelidi i promoter di Romney mettono a confronto la dichiarazione ottimista con le condizioni di alcuni testimoni diretti della crisi americana chiudendo con un sarcastico "No Mr. President we are not doing fine". Nonostante un calo sensibile nell'ultima settimana, il titolare della Casa Bianca rimane ancora il candidato più forte, anche se la conferma per un second term non sarà sicuramente tanto scontata quanto appariva durante la battaglia repubblicana per la nomina di Tampa.

Lunedì 11 – Il Presidente venezuelano Hugo Chávez assisterà personalmente alla sua iscrizione nel registro elettorale per le presidenziali del 7 Ottobre, dopo che nella gironata di domenica si è regalato alla stampa nazionale in una passeggiata insolita nei giardini della sua residenza. Chávez ha dichiarato "Andrò a compiere ciò che mi chiede il popolo. Andrò a iscrivere la mia candidatura e darò sicuramente un discorso per rivolgermi al paese" con queste parole il Presidente sembra aver ripreso in mano le redini del suo futuro grazia anche all'incrollabile fede "in Cristo, mio signore, nella scienza e in questa voglia di vivere" per continuare "a combattere". Tuttavia Chávez non può nascondere la fatica delle cure mediche cui è continuamente costretto, dato che nel mese di maggio si è presentato ai microfoni della stampa solo in due brevissime occasioni, senza che avesse mai diretto alcuna riunione del Consiglio dei Ministri di Palazzo Miraflores.

AFRICA

LIBIA – Sebbene il clima delle ultime settimane non possa rientrare nella realtà del confronto elettorale, la decisione di rimandare le elezioni per l'Assemblea Costituente al 7 luglio potrebbe scatenare un'ondata incontenibile di proteste. Nel corso del week-end il bollettino del dopo-guerra si è spostato da Tripoli, dove si ricorda ancora l'invasione armata dell'aeroporto alla città occidentale di Al Kufra, dove le tribù rivali Tibu e Zwai hanno dato origine a scontri mortali. La situazione nel paese resta in bilico, con il territorio in balia delle varie milizie tribali ormai convinte a tenere le armi in spalla nonostante la cessazione delle ostilità con il regime scomparso. Difficile pensare ad un miglioramento sensibile nel corso del mese che ci separa dalla nuova data fatidica, nella convinzione che più si rimanda l'appuntamento alle urne più il rischio di una nuova escalation si fa sempre più alto. Restano invece in carcere a Zintan i 4 componenti del team difensivo di Saif al-Islam Gheddafi, tutti avvocati presso la Corte penale Internazionale accusati di trasmissione illecita di documenti riservati proprio al figlio dell'ex raìs.

KENYA – Essere ministro in Africa non è un mestiere tranquillo, soprattutto quando si è costretto a muoversi a bordo di aerei ed elicotteri, nella giornata di domenica anche il titolare del dipartimento della sicurezza kenyota George Saitoti si è aggiunto alla lunga lista delle vittime istituzionali di incidenti aerei nel continente nero. Con lui è morto anche il sottosegretario Orwa Ojodi che gestiva gli sforzi contro la milizia somala Al-Shabab, da tempo coinvolta in attentati terrostici oltre frontiera. Tuttavia Saitoti non era solo una figura imprtante del passato recente, ma risultava tra i candidati per le presidenziali del prossimo anno, particolare che ha subito scatenato il gioco al complotto. "Saitoti era uno dei politici kenyoti più potenti, inevitabilemente molti vedranno nella sua morte le tracce dell'omicidio per fini politici"queste le sensazioni a caldo dell'inviato di Al Jazeera Peter Greste . La dinamica dell'incidente non è ancora chiara, ma l'elicottero avrebbe subito un guasto tecnico mentre sorvolava un'area poco lontana dalla capitale Nairobi, non lasciando alcun scampo a tutti i 6 passeggeri vittime dello schianto

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ASIA

MYANMAR – Continua la serie di scontri religiosi nell'ovest del paese dopo il linciaggio di 3 musulmani ad opera di circa 300 buddhisti dell'inizio del mese. Il presidente Thein Sein ha imposto il coprifuoco nella contea di Rakhin dopo che gli scontri del fine settimana hanno causato un numero imprecisato di feriti e una serie impressionata di incendi mirati. Da sempre l'ex Birmania affronta il problema della convivenza imposta ad etnie nemiche senza una forte identità nazionale. In passato il governo militare ha tentato in tutti i modi di mettere fine alla guerriglia armata delle varie minoranze giungendo fino a cambiare il nome del paese per evitare il riconoscimento dell'etnia maggioritaria burma come unica popolazione birmana. Qualora gli scontri dovessero continuare il regime non si tratterrà di certo dal ritorno alle antiche abitudini repressive, oggi mascherate dietro il velo delle aperture alle istanze occidentali.

AFGHANISTAN – Nonostante rimanga nel novero delle promesse elettorali, l'intenzione del Presidente François Holande di ritirare il contingente francese dal pantano afghano potrebbe trasformarsi presto in un impegno mantenuto viste le condizioni di sicurezza dell'intera missione NATO. Proprio sabato 4 soldati francesi sono stati uccisi da un kamikaze talebano che si sarebbe fatto detonare nascosto da un burqa femminile, altri 5 soldati sono stati coinvolti nell'esplosione restando gravemente feriti. Più volte il contingente francese è stato preso di mira da insorti infiltrati nell'esercito e nella polizia afghana, fino al Gennaio scorso, quando il Nikolas Sarkozy aveva minacciato di sopsendere definitivamente le operazioni in caso di mancanza di sicurezza per i soldati. Mentre Barack Obama ha confermato il termine della più lunga guerra americana per il 2014, le truppe francesi potrebbero lasciare l'Afghanistan già alla fine del 2012, creando un evidente incentivo a smobilitare per gli altri paesi ancora on the ground.

MEDIO ORIENTE

Sabato 16 – Resa dei conti al ballottaggio di sabato in Egitto "l'indipendente" Ahmed Mohamed Shafiq e il candidato della Fratellanza Musulmana Mohamed Morsy, in testa nel primo turno delle presidenziali. Dopo le proteste appoggiate dal partito di Morsy contro il candidato più vicino al sistema militare al potere, proprio Shafiq potrebbe ottenere il sostegno indiretto di quella parte di popolazione ormai stanca di disordini e insicurezza e più orientata verso una transizione lenta verso il potere civile. Da parte sua Morsy dovrà faticare per convincere indecisi, astenuti e moderati, che l'hanno privato di un netto vantaggio sul suo diretto sfidante. Gli scenari che attendono l'Egitto dipendonoin maniera vitale dal Presidente che uscirà dal verdetto delle urne, ma è difficile pensare ad uno scossone nel caso "l'uomo di Tantawi", ovvero Shafiq, riuscisse a strappare dalla gola dei Fratelli l'urlo della vittoria. Rimane invece nel mistero la sorte dell'ex raìs Mubarak, coinvolto tra sabato e domenica in un tam-tam di notizie a proposito delle sue condizioni di salute, date per critiche da varie indiscrezioni.

SIRIA – L'unica aria di cambiamento che si respira in Siria è quella che circonda il Consiglio Nazionale degli oppositori del regime in cui l'ex leader Burhan Ghalioun ha lasciato il posto all'attivista curdo Abdel Basset Sieda, pronto all'apertura delle defezioni chiavi nell'inner circle del Presidente al-Assad. L'SNC ha inoltre incassato le critiche riguardo ad un attegiamento vago nei confronti delle minoranze etnico-religiose vicine all'ideologia baathista, tra cui spiccano gli alawiti e i cristiani. "Chiediamo apertamente ai responsabili del governo e delle istituzioni di abbandonare il regime e vogliamo rassicurare tutti i gruppi e le sette che nella Siria del futuro ci sarà spazio per tutti noi". Dopo le aperture della Russia su una possibile "transizione yemenita" a Damasco Bashar al-Assad è uscito dal cerchio dei protetti dal veto russo-cinese presso il Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Tocca all'erede di Hafez gestire il dissenso tra i top-officials del governo in modo da legare la sopravvivenza del suo ruolo alla sorte stessa dell'intero apparato istituzionale siriano.

Fabio Stella [email protected]