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"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

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Paralisi nipponica

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Il Partito Democratico di Naoto Kan è stato sconfitto alle elezioni di medio termine l’11 luglio, e ha perso così il controllo della Camera Alta: una batosta che lo costringe a stringere alleanze con gli altri partiti, ma non a dimettersi. Il sistema politico-economico giapponese è vittima di una paralisi, proprio nel momento in cui servirebbero l’appoggio a nuove riforme e una maggiore spinta per il rinnovamento del paese. Senza dimenticare Okinawa.

LA DISFATTA – Il Partito Democratico conquista 47 seggi sui 121 contesi, da unire ai 62 non oggetto di rielezione: sul totale di 242, non raggiunge dunque la maggioranza, e i loro alleati del Nuovo Partito del Popolo non lo aiutano, non essendo in grado di attestarsi neppure su di un seggio. L’obiettivo minimo di Kan era conquistare 54 preferenze, ma adesso la priorità sembra essere un’altra: il partenariato con l’Npp può ancora funzionare dopo questa assoluta sfiducia palesata dal voto? La mancanza di leadership è palese: un vuoto di potere che ha causato il rimpallo tra cinque premier in quattro anni, in un periodo di stagnazione economica preoccupante in cui l’invecchiamento della popolazione di certo non aiuta (è notizia di qualche settimana fa che alcuni scienziati giapponesi stiano progettando la costruzione di robot-bambini per risvegliare l’istinto procreativo nelle coppie fertili). Il Segretario capo di gabinetto Yoshito Sengoku ha visibilmente cercato di mettere una toppa in conferenza stampa, affermando che l’attuale governo, anziché dimettersi, procederà piuttosto ad un rimpasto rimanendo in carica con l’appoggio di tutti gli altri partiti. Per tutta risposta, Yoshimi Watanabe, leader dell’incensato Your Party, ha già chiarito di non aver nessuna intenzione di appoggiare il Partito Democratico.

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RIFORME IMPOPOLARI – Il rischio del collasso finanziario è la spada di Damocle sulla testa di Naoto Kan, che per liberarsene è stato costretto a proporre riforme drastiche, ma totalmente impopolari, come aumentare l’imposta sulle vendite dal 5% al 10%. Il premier ha anche voluto paragonare la situazione del proprio paese a quella della Grecia, spiegando che, siccome il Giappone è un paese economicamente forte, ma con un debito pubblico elevato, nessun altro paese, con i propri aiuti, potrebbe salvarlo, e che anzi il collasso giapponese trascinerebbe facilmente l’economia mondiale in un baratro senza via di scampo. Il quotidiano Nikkei ha poi spiegato che gran parte della popolazione ritiene in ultima istanza utile l’aumento della tassa sui consumi a risollevare le casse del sistema assistenziale del paese.

Sta di fatto che la perdita del Senato per il partito al governo paralizza l’intero sistema politico giapponese, e insieme ad esso gli sforzi per approvare, ad esempio, il nuovo accordo sul sistema postale. Un destino simile sembra essere riservato alla legge che avrebbe dovuto revisionare il National Service Civil Law, e che avrebbe reso possibile una revisione tra i ranghi più alti del governo nazionale. Ad avere una palla di cristallo, il futuro apparirebbe tutt’altro che limpido, anche perché tramite questa riforma i rappresentanti dei partiti non potrebbero più condurre politiche di leadership, né sperare di fare carriera: la stessa minestra al gusto retrò.

Alessia Chiriatti

redazione@ilcaffègeopolitico.it

Un anno dopo

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É passato un anno dal colpo di stato contro il presidente Zelaya: l’Honduras é ancora isolato all’interno della comunitá internazionale e il nuovo presidente Lobo denuncia pubblicamente il rischio di un nuovo golpe. Intanto il tasso nazionale di disoccupazione supera il 40%. Ecco la situazione vista da un collaboratore del “Caffè” che scrive direttamente da Tegugicalpa

UN ANNO FA – All’alba del 28 giugno 2009 un commando dell’esercito faceva irruzione nella casa privata dell’allora presidente Manuel “Mel” Zelaya, lo arrestava e lo caricava, ancora in pigiama, su un aereo diretto a San José, Costa Rica. Qualche ora dopo Tegucigalpa si svegliava al suono dei velivoli militari che presidiavano il cielo per controllare dall’alto eventuali dimostrazioni dei Zelaysti. Nelle ore successive il presidente del Parlamento nazionale Roberto Micheletti veniva eletto Presidente della Repubblica ad interim.

La comunitá intenazionale prese subito posizione contro il golpe: l’Honduras fu sospeso dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) , molti ambasciatori furono ritirati, gli aiuti della cooperazione internazionale furono congelati e il presidente venezuelano Chávez arrivó persino a minacciare un inervento militare nel paese centramericano.

LA SITUAZIONE OGGI – L’anniversario dei fatti del giugno 2009 é trascorso in tranquillitá, ma la situazione in Honduras é ancora molto problematica. É vero, molte rappresentanze diplomatiche (tra cui quella italiana) sono tornate a funzionare regolarmente, ma sono ancora molti gli Stati che non riconoscono l’attuale governo e all’interno dell’OSA continua a prevalere la linea dura. Inoltre, il governo di Unitá Nazionale messo in piedi da Porfirio “Pepe” Lobo (foto sotto) ha suscitato malumori tra le élites del paese, malumori che hanno spinto lo stesso presidente a denunciare pubblicamente i timori di subire un colpo di stato simile a quello del suo predecessore

Come spesso accade in situazioni simili peró, gli strascichi della crisi politica dello scorso anno si ripercuotono sulle fasce piú deboli della popolazione. Mentre le menti e le braccia del golpe si godono ricche pensioni o prestigiosi incarichi istituzionali, il tasso di disoccupazione ha superato il 40% e UNICEF e World Food Program hanno lanciato un serio allarme per la denutrizione infantile nel paese. Come se non bastasse, la tormenta Agatha dello scorso maggio ha causato ingenti danni all’agricoltura e al piccolo commercio, ed é di questi giorni la notizia di una forte epidemia di Dengue che sta mettendo in ginocchio le fragili struttire sanitarie hondureñe.

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E ADESSO? – Gli sforzi del governo di Unitá Nazionale nei primi sei mesi di lavoro si sono concentrati sulla riammissione dell’Honduras nell’OAS e, nonostante la strenua opposizione dei paesi dell’ALBA, si prevede che il paese possa rientrare nell’organizzazione ad agosto. Resta il dubbio che l’intenso lavoro diplomatico distolga l’attenzione del governo dai problemi reali della popolazione: l’auspicio é che, una volta riottenuto il riconoscimento internazionale, temi come educazione, salute, lotta alla povertá, alla corruzione e al narcotraffico diventino i punti caldi dell’agenda del presidente Lobo.

Vincenzo Placco

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Al-Qaeda colpisce in Africa, ma non ai Mondiali

Dopo i millantati attacchi che avrebbero dovuto colpire le nazionali partecipanti ai Mondiali di calcio che si sono appena conclusi, al Qaeda torna a colpire in Africa. Ma non in Sudafrica dove le imponenti misure di sicurezza hanno ottimamente retto, ma in Uganda dove ieri si è consumata una strage fra i tifosi che seguivano la finale dei mondiali in un campo di rugby e nella sala di un ristorante.

L’ATTACCO– 64 morti ed altrettanti feriti. Il gruppo somalo al-Shabab ha colpito ancora, questa volta non in Somalia (territorio di origine dell’organizzazione armata legata ad al-Qaeda) ma in Uganda: nella capitale Kampala. Ci sarebbe anche un americano fra le vittime dell’attentato ed almeno altri tre cittadini statunitensi sono rimasti feriti a causa dell’esplosione deflagrata all’interno del ristorante. La Farnesina sta attualmente verificando l’eventuale coinvolgimento di cittadini italiani nelle esplosioni.

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LE POSSIBILI MOTIVAZIONI– Le due bombe, esplose a distanza di 25 minuti l’una dall’altra, appaiono come un chiaro segnale al governo ugandese il quale si è recentemente adoperato proprio nella lotta contro la rete di al-Qaeda in Africa. In particolare insieme al Burundi, l’Uganda partecipa ad una missione di peacekeeping promossa dall'Unione Africana (UA) in Somalia. Le evidenti interferenze delle truppe dislocate dall’UA all’interno del paese, e più nello specifico all’interno delle attività di al-Shabab, potrebbero dunque rappresentare un valido motivo per aver portato un così sanguinoso attacco al di fuori del paese. Se fosse confermata a responsabilità di al-Shabab sarebbe la prima volta che il gruppo armato colpisce al di fuori del territorio somalo e questo indicherebbe un ingrandimento dell’organizzazione nonché un ampliamento dei suoi obiettivi.

Marco Di Donato

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La guerra sporca del Messico

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Si è assisto al passaggio dalla guerra contro il narcotraffico alla guerra “sporca” delle campagne elettorali. Questo lo scenario in cui domenica scorsa si sono tenute le elezioni per la nomina di governatori, sindaci e legislatori locali in 12 dei 31 Stati messicani. Il tutto si è svolto in un clima di tensione politica e violenza diffusa che da due mesi a questa parte è diventata una costante nella nazione messicana.

TERRORE – In tutto il Paese i candidati hanno rinunciato alle ultime ore di campagna elettorale nonostante il governo avesse offerto macchine blindate e guardie del corpo. La paura ha avuto la meglio. Proprio lo scorso lunedì si è verificato il più grave omicidio degli ultimi 15 anni: Rodolfo Torres Cantu, candidato del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) alla nomina di governatore per lo Stato di Tamaulipas (Provincia nel nord del Paese), è stato assassinato mentre si dirigeva all’aeroporto di Vitoria. Immediata la reazione del partito che ha deciso di candidare il fratello Egidio per una delle elezioni messicane più violente e attese dal 2006, anno in cui fu eletto il presidente Felipe Calderón.

ELEZIONI – sebbene il PRI abbia vinto in 9 dei 12 Stati coinvolti nelle elezioni è evidente che qualcosa è cambiato. Il vecchio partito, che vanta un’egemonia dal 1929 al 2000, aveva annunciato la vittoria su tutti gli Stati coinvolti, con l’obiettivo di affermare la propria leadership in previsione delle elezioni presidenziali che si terranno nel 2012. Questa convinzione si basava sul fatto che all’opposizione c’era una destra sempre più debole, anche a causa del fallimento del Presidente Calderón nella guerra contro il crimine organizzato, e una sinistra divisa in mille parti. Colpo di scena: il partito di destra Azione Nazionale (PAN) e di sinistra Rivoluzione Democratica (PRD) hanno stretto un’alleanza che ha permesso loro la vittoria in 3 Stati (Oaxaca, Puebla e Sinaloa) in cui il PRI governava da 80 anni.

VASO DI PANDORA – Le elezioni hanno messo in evidenza tutte le contraddizioni in cui vive il Paese, e con questo non si fa riferimento solo all’aumento vertiginoso del numero di morti, ma anche al graduale incremento della criminalità in tutte le sue forme e in vari ambiti.

I dati parlano da sé: dei 2.800 municipi del Paese è stato stimato che l’8% è totalmente controllato dal crimine organizzato; alto livello di emarginazione sociale in almeno 900 municipi; 4.000 estorsioni al mese con un aumento del 883% in otto anni; violazione dei diritti umani da parte dei militari, 1.230 le denunce nel 1998 e 1.791 nel 2009; e, infine, record di crimini in un giorno, 85 si sono verificati venerdì 11 giugno e 271 nella settimana  dal 5 all’11 giugno.

GUERRA SPORCA – è una guerra sucia (sporca) quella che si sta combattendo nella comunità politica messicana. Come hanno affermato gli stessi politici, questa guerra, nella quale è sempre più presente la criminalità organizzata, si è intensificata a giugno quando il PAN consegnò alla stampa conversazioni private dei governatori di Veracruz e Oxaca (entrambi del PRI) in cui dichiaravano ai propri collaboratori che avevano il potere per fare qualsiasi cosa volessero nei propri Stati, tra cui la possibilità di distribuire denaro per ottenere più voti.

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COLOMBIANIZZAZIONE – Dall’arrivo al potere del presidente Calderón nel 2006, tutti i media hanno utilizzato l’aggettivo “colombianizzazione” per definire la politica messa in atto dal governo, intendendo con questo la presenza nelle istituzioni politiche dei cartelli dei narcotrafficanti. Dalla dichiarazione di guerra contro i narcos da parte del governo messicano si sono registrati 23.000 morti, e non solo, si è assistito a una corruzione diffusa a più livelli che vanno dalla compagine governativa, polizia, esercito, governi locali a i funzionari che operano alla frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti.

Tuttavia, il processo che ha portato alla simbiosi tra il narcotraffico e la classe politica in Colombia si è sviluppato molto più lentamente rispetto a quello messicano in cui si è assistito, invece, a un cambiamento improvviso.

In Colombia, nonostante l’esportazione massiccia di droga sia iniziata a metà degli anni ’70,  l’ondata di violenza contro i civili è iniziata il decennio successivo. Nell’attuale Messico, come la Colombia degli anni ’80 inizio anni ’90, il vuoto di potere e l’esclusione di una grande parte della società ha permesso a un potere più grande, il narcotraffico, di rimpiazzare il potere statale.

Anche se le somiglianze tra i due paesi sono molte, bisogna tenere presente che in Colombia la leadership del narcotraffico è iniziata in maniera diversa. Sin dall’inizio si è avuto un coinvolgimento della sfera politica e non si è assistita a una vera e propria guerra contro i narcos fino agli anni ’90. Al contrario in Messico sin dall’arrivo al potere di Calderón, è stata proclamata la guerra contro i narcotrafficanti, che ha comportato la mobilitazione di circa 45.000 soldati.

GOLPE MEDIATICI –  Guerra è la parola strategica che è stata usata da Calderón per la sua campagna elettorale nel 2006 rivolta principalmente alla lotta contro i gruppi del crimine organizzato. L’azione di Calderón è stata definita da alcuni un “Golpe strategico”, avallato dall’aiuto dei mezzi di comunicazione di maggior impatto come la televisione, che ha messo fine a sei anni di silenzio e apatia sull’argomento durante la presidenza di Vincente Fox. 

Ma non è stato sufficiente. Nonostante il forte utilizzo della propaganda militare e l’aumento delle risorse a favore delle Forze Armate, la situazione interna del Paese non sembra aver subito vistosi miglioramenti. Al contrario, i fatti che si stanno verificando negli ultimi mesi non fanno altro che destare sempre maggiori preoccupazioni.

“Nemico comune”, “guerra”, “combattere senza tregua”, “tutta la forza dello Stato” sono tutte parole che sono entrate a far parte del lessico del governo che ha optato per la repressione come misura per combattere la criminalità. Il punto debole è non aver effettivamente dedicato risorse e misure adatte per tutti gli aspetti connessi al crimine organizzato come il riciclaggio di denaro, il traffico di armi e la corruzione delle forze di sicurezza.

STRATEGIA DI CAMBIAMENTO?- La preoccupazione per la percezione del Paese soprattutto all’estero ha portato alla necessità di modificare nel più breve tempo possibile l’immagine del Messico, associata alla violenza, all’insicurezza e ai trafficanti di droga. Il “marketing” è sembrata la soluzione per occultare la realtà. Così Calderón in alcune dichiarazioni pubbliche e messaggi diffusi attraverso la rete nazionale, ha preferito non riferirsi più alla guerra contro il narcotraffico ma alla “lotta per la sicurezza pubblica”. Dal risolvere il problema del narcotraffico e sconfiggere i delinquenti, è passato alla formula “riduzioni delle loro azioni”.

In una guerra in cui non si vede ancora la fine e nemmeno un vincitore, a parere di molti il presidente messicano ha scelto di controllare il problema ponendogli dei limiti. Calderón applica la vecchia strategia tipica del PAN di negoziare e al tempo stesso lasciar fare, una strategia questa che non sembra più efficace in un Paese come il Messico.

Valeria Risuglia

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Le vittime della guerra: gli afghani o noi al centro del conflitto?

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Gli oramai lunghi anni di guerra in Afghanistan hanno segnato la popolazione locale e motivato grandi dubbi nell'opinione pubblica e nelle politiche dei Paesi coinvolti nell'intervento militare (americani e coalizione ISAF). Oggi, grazie al prezioso contributo in esclusiva di Emanuele Giordana, giornalista e profondo conoscitore dell'Afghanistan, parliamo di un aspetto scottante del conflitto: le vittime civili.

I CIVILI NEL MIRINO – Il tema delle vittime civili nel conflitto afghano è da sempre uno dei più complessi e dibattuti. Oggi si ripropone, ancora più attuale, in vista anche dei possibili cambiamenti nella strategia di intervento militare che potrebbero esserci dopo il cambio al vertice della gerarchia militare americana in Afghanistan.

Infatti, dopo la sostituzione del Gen. Stanley McChrystal a seguito delle sue esternazioni sui vertici politici americani, l'arrivo del Gen. Petraeus – già campione della strategia USA di contrasto all'insorgenza in Iraq – potrebbe comportare una rivisitazione delle modalità di azione per le truppe.

Se McChrystal aveva più volte sottolineato la necessità di operazioni che avessero il minor impatto possibile sulla popolazione, adesso Petraeus dovrà confrontarsi con aspettative in tal senso sempre più stringenti.

Emanuele Giordana ha trattato il tema nel suo ultimo libro, Diario da Kabul, del quale pubblichiamo in esclusiva il capitolo dedicato.

Pietro Costanzo 8 luglio 2010 [email protected]

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Nota: è possibile leggere il capitolo del libro direttamente su Scribd se il lettore non dovesse funzionare, cliccando sul link di seguito.

LE VITTIME DELLA GUERRA – Gli afgani o noi al centro del conflitto?

Le spie non muoiono mai

Proprio come nei migliori romanzi thriller degli anni della Guerra Fredda, in cui venivano descritte spie russe pronte a tutto e agenti federali costantemente alla caccia di infiltrati stranieri in cerca di segreti. La cattura di dieci presunti appartenenti ai servizi segreti russi sembra quindi far parte di un copione già letto, attuale più che mai dopo che l’FBI ha concluso un’operazione durata anni per smantellare una cellula la cui missione consisteva nel procurarsi contatti ed informazioni utili.

TALPE”NEGLI USA – Cospirazione per aver operato come agenti di un governo straniero senza aver notificato la propria presenza al Procuratore Generale degli Stati Uniti e cospirazione volta al riciclaggio di denaro di illecita provenienza. Queste le accuse contro le 10 persone arrestate nell’ambito di un’operazione di contro-spionaggio del Federal Bureau of Investigation in territorio statunitense, negli stati di New York, New Jersey, Massachussets, Virginia. Preferivano la costa est le spie inviate da Mosca nel cuore degli Stati Uniti, frequentavano Starbucks e Central Park, si incrociavano sulle scale della metropolitana per passarsi documenti, informazioni e soldi e adempiere così alle direttive date loro dai vertici dello Sluzhba Vneshney Razvedki (SVR), il servizio di intelligence russa per l’estero. Missione semplice, per così dire, perché considerata un classico nel mondo dei servizi segreti. Recuperare informazioni, infiltrarsi nel tessuto sociale creandosi una rete di contatti utili, trasformarsi in teste di ponte per l’arrivo di altre spie da Mosca o favorire le operazioni in corso in tutti gli Stati Uniti. Niente di speciale, sembrerebbe, se non ché la vicenda ha assunto sulla stampa internazionale un clamore dovuto più alla sorpresa per quanto successo rispetto alle potenziali ricadute che avrebbe potuto avere la questione in campo internazionale.

SPIA E LASCIA SPIARE – Ebbene, è meglio chiarirlo subito. Le spie esistono ancora. Anche nell’era della tecnologia la Human Intelligence non è andata in pensione, anzi, si può dire che è diventata ancora più fondamentale. In primo luogo proprio perché è riuscita ad ammantarsi nuovamente di quell’ alone di mistero che è il suo habitat naturale, un mondo di ombre popolato da generazioni di spie che hanno vissuto, lottato, perso le loro vite e lasciato in eredità tecniche quanto mai sofisticate per il recupero di informazioni di vitale importanza, e che le ha consentito di tornare ad essere quanto mai efficace. Secondariamente il fattore umano permette di penetrare segreti ed interpretare sfumature che neanche le macchine sono in grado di cogliere. Il contatto diretto con informatori consapevoli o inconsapevoli, la capacità di lettura ed analisi di una questione e delle sue possibili implicazioni, la creazione di una rete di cellule dormienti disseminate su tutto il territorio: non sono certo operazioni che può svolgere un apparato elettronico.

CONTROSPIONAGGIO – Quanto successo negli Stati Uniti porta con sé due considerazioni semplici ma, a detta di molti, quanto mai sorprendenti. La prima: esistono ancora le spie, anche se non siamo più in piena Guerra Fredda. Secondo: il controspionaggio statunitense funziona. Avendo mostrato poco sopra i motivi per cui le spie sono un elemento fondamentale nel recuperare informazioni che riguardano un potenziale avversario o nemico, resta da approfondire un poco la capacità del controspionaggio statunitense. Se è vero che l’agenzia di intelligence per l’estero, la CIA, non ha brillato negli ultimi anni per capacità operative nei teatri di guerra, si legga ad esempio quali furono alcune delle pecche dell’intelligence statunitense in Afghanistan nell’ottimo “Contro tutti i nemici” di Richard Clark, c’è da dire che il servizio di controspionaggio interno di competenza dell’FBI ha invece prodotto, dopo i tragici fatti dell’11 settembre 2001, eccellenti risultati. La scoperta e la distruzione della cellula dell’SVR russo è solo l’ultima di alcune operazioni in territorio statunitense conclusesi con un successo. Nel 2005 un’operazione dell’FBI a Los Angeles portò alla cattura di alcuni appartenenti ad una cellula cinese che operava sulla costa orientale e aveva il compito di passare ai tecnici di Pechino i progetti per tecnologia militare d’avanguardia di cui era espressamente vietata l’esportazione dagli Stati Uniti verso paesi terzi.

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LE SPIE NEL 2010 – Nel 2008 ulteriori indagini portarono all’arresto di un funzionario del Dipartimento della Difesa e di due uomini dell’intelligence cinese alla ricerca di segreti militari da esportare verso la madrepatria. Entrambi gli episodi scatenarono ondate di timori nell’opinione pubblica statunitense rispetto ad una presunta minaccia cinese, così come gli arresti effettuati in questi giorni hanno riaperto ferite mai pienamente rimarginate tra i due governi e il sospetto che all’azzeramento voluto da Obama nei rapporti con il Cremlino sia corrisposta invece la volontà di continuare giochi tipici della Guerra Fredda. Il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che gli arresti sarebbero senza fondamento, accusando al contempo gli investigatori statunitensi di essere appassionati di Guerra Fredda in cerca di avventura. Il Cremlino ha sottolineato poi la tempistica dell’operazione, letta a Mosca come un modo, neanche troppo velato, per sabotare il rilancio dei rapporti tra i due paesi. Secondo Olev Gordievsky, ex vicedirettore del KGB, ci sarebbero ancora quasi un centinaio di agenti operativi dell’SVR negli Stati Uniti, inseriti nel tessuto sociale e probabilmente più difficili da individuare.

Che sia vero o meno, non deve stupirci quanto successo. Certo è un po’ difficile immaginarsi uno 007 così come è presentato nei film d’azione o nelle spy story. Ai giorni nostri la spia è più facilmente un semplice impiegato, uno scienziato o un ingegnere emigrato lontano dalla madrepatria, pronto a rendere servigi al governo del suo paese d’origine. Magari in cambio di denaro, alle volte solo per semplice riconoscenza o senso di appartenenza. La segretezza è fondamentale, per le spie quanto per i servizi di controspionaggio: non c’è da sorprendersi quindi per operazioni che alle volte vengono effettuate senza che l’opinione pubblica ne sia poi messa al corrente. Lo spionaggio è una pratica vecchia quanto il mondo, utilizzata già nell’antichità per acquisire informazioni su regni vicini o nemici lontani. Non è certo stato l’avvento della tecnologia a mandare in pensione le spie. Finché ci saranno Stati con interessi divergenti e competizione sul piano politico, economico e tecnologico ci saranno le spie. Per dirla breve, è difficile, se non impossibile, pensare ad un mondo senza spie.

Simone Comi

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Silvio latino

Da parecchio tempo un Capo di Governo italiano non si recava in visita ufficiale in America Latina, eppure il viaggio di Berlusconi a Panama e Brasile è passato sotto silenzio, eccezion fatta per i consueti pettegolezzi sulle presunte “accompagnatrici” del premier. Cosa c'è dietro all'incontro con Lula? L'Italia è pronta per giocare un ruolo più importante in un continente in crescita come quello sudamericano?

L'AMERICA DA NORD A SUD – Dal Canada al Brasile, passando per Panama: Silvio Berlusconi in meno di una settimana ha percorso praticamente tutto il continente americano da Nord a Sud, nel corso di un viaggio fatto di tre tappe. Dopo aver preso parte al G20 di Toronto, dove per la verità ha mantenuto un basso profilo e non è entrato in prima persona nelle discussioni che hanno tenuto banco al vertice, il Capo del Governo si è recato in visita ufficiale dapprima a Panama, e poi in Brasile, incontrando i rispettivi omologhi, Ricardo Martinelli e Luiz Inácio “Lula” Da Silva.

Da anni un Primo Ministro italiano non si recava in America Latina, un continente colpevolmente dimenticato dagli esecutivi che – indipendentemente dai diversi colori politici – si sono succeduti negli ultimi tempi. Certo, la sfera d'influenza geopolitica dell'Italia deve obbedire alla sua vocazione chiaramente euro-mediterranea, ma la straordinaria prossimità culturale con l'America Latina, specialmente quella meridionale, avrebbe dovuto – e dovrebbe – essere sfruttata in maniera intensa come base per creare relazioni privilegiate e solide con Paesi che sono oggi protagonisti dello sviluppo, al contrario della “vecchia” Europa in difficoltà.

NON SOLO BALLERINE – Un viaggio dunque all'apparenza importante per le relazioni internazionali, soprattutto di tipo economico, del nostro Paese. Eppure la stampa nazionale e internazionale l'ha liquidato in breve occupandosi quasi esclusivamente degli ormai consueti pettegolezzi a sfondo sessuale che accompagnano Berlusconi dovunque metta piede. Invece la visita del premier a Panama è stata caratterizzata da un importante evento simbolico: l'inaugurazione delle opere di ampliamento dell'omonimo canale, nelle quali l'Italia è uno dei principali attori del consorzio di imprese grazie alla presenza decisiva di Impregilo. I lavori, che dovrebbero terminare nel 2014, potrebbero avere importantissime conseguenze per i flussi commerciali tra Atlantico e Pacifico, che grazie all'allargamento del canale attraverso un nuovo sistema di chiuse potrebbero aumentare in maniera esponenziale. L'amicizia personale tra Berlusconi e Ricardo Martinelli, presidente panamense di origini italiane, e anch'egli imprenditore, potrebbe costituire un clima favorevole per l'approfondimento delle relazioni bilaterali.

In Brasile, invece, il Presidente del Consiglio ha incontrato il suo omologo Lula a latere di un incontro organizzato dalla FIESP, la Federazione degli Industriali di San Paolo, al quale hanno preso parte una delegazione di imprenditori brasiliani e italiani. Tra le principali imprese italiani presenti all'evento citiamo Fiat e Enel, mentre per le associazioni di categoria era presente Confindustria e per le istituzioni il Ministro per il Commercio Estero Adolfo Urso.

Per la verità, dunque, il faccia a faccia tra Silvio e Lula non è stato denso di contenuti, ad eccezione di quanto trapelato a proposito della richiesta di estradizione per il terrorista Cesare Battisti. Pare che il presidente brasiliano, ormai al termine del suo mandato, lascerà la “patata bollente” al suo successore (l' “erede” designata Dilma Rousseff o il candidato dell'opposizione José Serra), che comunque dovrebbe pronunciarsi a favore.

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UNA POLITICA POCO ORGANICA – Il fatto che il Capo del Governo si sia recato in Sudamerica va considerato positivamente, alla luce del sostanziale disinteresse che la politica italiana sta dimostrando verso questo continente da alcuni anni. In realtà, la sensazione però è che, anche in questo caso, la politica si sia accodata all'economia e alle grandi imprese italiane che in America del Sud ricoprono ruoli molto importanti. Fiat, Eni, Enel, Telecom, Finmeccanica, Impregilo, Tenaris, sono alcuni grandi nomi del panorama industriale italiano che testimoniano come il nostro Paese sia presente in quest'area, sempre più strategica nei prossimi anni per le risorse naturali che possiede e per l'importante processo di sviluppo che sta avendo luogo.

Il modello della diplomazia “personalistica” condotto da Berlusconi (gli esempi più noti sono l'approfondimento dei legami con la Russia di Putin e la Libia di Gheddafi) può dare vantaggi nel breve periodo, ma è inadatto a produrre un disegno di lungo periodo. Le relazioni tra Italia e America del Sud avrebbero bisogno invece di una progettualità più ampia, volta a sfruttare i vantaggi comparati che il nostro Paese ha nel rapportarsi con questi Paesi. La politica riuscirà a capire?

Davide Tentori

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Il Caffè Mondiale – Indice

In occasione dei Mondiali di Calcio di Sud Africa 2010, il Caffè lancia una nuova rubrica dedicata a questo grande evento planetario.

Nei nostri articoli presentiamo ognuna delle 32 nazioni partecipanti con le loro squadre, ovviamente con lo stile che ci contraddistingue: non solo calcio, ma anche quello che ruota intorno al mondo del calcio e dello sport.

In occasione dei Mondiali di Calcio di Sud Africa 2010, il Caffè lancia una nuova rubrica dedicata a questo grande evento planetario.

Nei nostri articoli presentiamo ognuna delle 32 nazioni partecipanti con le loro squadre, ovviamente con lo stile che ci contraddistingue: non solo calcio, ma anche quello che ruota intorno al mondo del calcio e dello sport.

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Il Caffè Mondiale Indice delle schede
AFC 
  • Australia
  • Giappone
  • Corea del Nord 
  • Corea del Sud 
CAF
  • Algeria
  • Camerun
  • Costa d'Avorio
  • Ghana
  •  Nigeria
  • Sud Africa
CONCACAF
  • Honduras
  • Messico
  • Stati Uniti
CONMEBOL
  • Argentina
  • Brasile
  • Cile
  • Paraguay
  • Uruguay
OFC
  • Nuova Zelanda
UEFA
  • Danimarca
  • Inghilterra
  • Francia
  • Germania
  • Grecia
  • Italia
  • Olanda
  • Portogallo
  • Serbia
  • Slovacchia
  • Slovenia
  • Spagna
  • Svizzera

Legenda AFC: Asian Football Confederation CAF: Confederation of African Football CONCACAF: Confederation of North and Central America and Caribbean Association Football CONMEBOL: Confederación sudamericana de Fútbol OFC: Oceania Football Confederation UEFA: Union of European Football Associations

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  • Sud Africa: il Mondiale della sicurezza

 

La sorpresa (mancata)

Dopo aver eliminato Repubblica Ceca, Polonia e Russia, la piccola ma agguerrita compagine slovena si è avvicinata al mondiale sudafricano da vera e propria sorpresa. Una squadra giovane e con alcuni talenti interessanti che aveva iniziato il mondiale con una vittoria, seppur fortunosa, sull'Algeria. Poi prima gli Usa e poi l'Inghilterra di Fabio Capello hanno interrotto il sogno di una piccola nazionale che torna a casa con il rammarico di non aver superato un girone forse alla sua portata.

IL PAESE

Ventimila chilometri quadrati ed appena due milioni di abitanti. L'ex Repubblica Socialista di Slovenia, denominazione abolita nel 1992 in seguito allo scioglimento della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, si presenta nonostante le sue ridotte dimensioni come una delle più floride realtà dell'area. Entrata nella moneta unica nel 2006, la Slovenia ha aderito agli Accordi di Schengen l'anno successivo ricoprendo la la presidenza di turno dell'Unione Europea nel 2008.

Il paese gode di un'invidiabile situazione economica che sembra essere in controtendenza rispetto alle più grandi realtà europee. I salari sono in costante aumento, le imprese locali richiedono sempre maggiore manodopera e conseguentemente il divario socio-economico coi 15 grandi d'Europa si attenua sempre più col passare dei mesi. Gli imprenditori investono con rinnovata fiducia nel paese tanto che all'interno della classifica della competitività stilata dal World Economic Forum, Lubiana si attesta al 37esimo posto nel mondo: ben undici posizioni davanti l'Italia.

I dati dell'economia la rendono a tutta ragione uno degli stati più ricchi dell'area orientale dell'Europa e le stime di crescita portano a pensare che a breve il paese potrà competere anche con economie più sviluppate.

CAFFE' IN PILLOLE

  • Come tutti i paesi nati in seguito allo smembramento della Repubblica Jugoslavia, fin dalla sua nascita la Slovenia ha dovuto combattere dure battaglie politiche per il riconoscimento dei suoi confini. Da tempo è in essere una diatriba con la Croazia concernente la Baia di Pirano. I due paesi hanno recentemente deciso di affidarsi ad un arbitrato internazionale che funga da mediatore fra le parti.

  • Anche il turismo gioca un ruolo fondamentale per l'economia locale. Il paese offre un mix di soluzioni di mare e montagna il tutto a prezzi estremamente bassi rispetto alla vicinissima Italia. Oltre a questo il paese può anche vantare un importante patrimonio artistico, a partire dai numerosi nuclei medievali che si trovano sparsi nel paese.

LA SLOVENSKA NOGOMETNA REPREZENTANCA

 

Un cammino folgorante quello intrapreso fin dalle qualificazioni ai mondiali. Eliminate nel girone Repubblica Ceca e Polonia ed ai playoff la Russia niente di meno che la Russia del mago Guus Hiddink. Il secondo mondiale conquistato dagli uomini di Matjaz Kek si presentava dunque come un'occasione da sfruttare al massimo proprio perché conquistata meritatamente contro avversari certamente più blasonati. Tuttavia dopo un ottimo inizio con la modesta Algeria, la Slovenia ha incredibilmente pareggiato con gli Usa dopo una partita dominata ed ha prevedibilmente perso con l'Inghilterra. Questi due ultimi risultati hanno condannato la compagine slovena rispedendola a Lubiana prima del tempo.

La squadra si presenta con buone personalità sebbene manchi, almeno per ora, una stella che spicchi fra le altre. Insieme al portiere Samir Handanovic, che milita nell'Udinese, in questo mondiale hanno spiccato le figure del centrocampista Robert Koren, oggi al centro del calciomercato internazionale, ed il fantasista Valter Birsa. Il ragazzino prodigio Rene Krhin, che veste la maglia dell'Inter, non ha avuto occasione per mettere in mostra il proprio talento ma è sicuramente su di lui che la federazione punterà per vincere le future sfide che attendono la nazionale.

 

GEOPALLONE

Oltre che con la già citata Croazia, la Slovenia vanta dispute territoriali anche con l'Italia. Il piazzale della Transalpina a Gorizia ha storicamente rappresentato una divisione netta fra i due paesi, divisione che è stata spesso causa di tensioni anche calcistiche. Durante i frequenti incontri calcistici fra le due nazionali non sono mancate violente manifestazioni da parte dei tifosi. In particolare nel 2002 un'amichevole in Agosto disputata a Trieste si trasformò in una vera e propria battaglia sugli spalti con cariche e scontri su ambo i fronti.

A dividere le due nazioni il problema del reciproco rispetto delle minoranze presenti nei due paesi, ma soprattutto le accuse, bipartisan, di aver fatto ricorso alla pulizia etnica per affermare il rispettivo predominio sul territorio.

Una questione quella del passato dominio italiano sull'Istria, Fiume e sulla Dalmazia che ancora oggi è molto sentita in determinati ambienti politici e se possibile ancora di più da alcune tifoserie calcistiche del Friuli Venezia Giulia ed in particolare di Trieste.

 

Marco Di Donato

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Riscossa slovacca

Dal ruolo di “sorella minore” della Repubblica Ceca a quello di rivelazione ai Mondiali sudafricani, il passo compiuto dalla nazionale slovacca è stato abbastanza rapido. Un'ascesa non soltanto calcistica, ma anche economica, dal momento che Bratislava ha compiuto nell'ultimo decennio importanti progressi che le hanno consentito di entrare nella zona Euro.

IL PAESE

Era il 1 gennaio 1993 quando cadeva uno degli ultimi residui della cortina di ferro: Praga e Bratislava si separavano, la Cecoslovacchia si scindeva in due Stati indipendenti sulla base del rispetto delle due nazionalità prevalenti, appunto quella ceca e quella slovacca. La Repubblica Ceca, che anche in epoca sovietica era stato comunque l'elemento più forte della coppia, impiegò meno tempo a dare slancio alla propria economia, sull'onda di privatizzazioni e liberalizzazioni compiute con maggiore oculatezza rispetto agli scempi che stavano avendo luogo nel resto dell'Europa orientale, Russia e Ucraina in primis. La Slovacchia, invece, rimase nell'ombra per tutti gli anni Novanta. Poi il vento iniziò a cambiare: le politiche adottate dalle istituzioni slovacche riuscirono ad invertire la rotta e a consentire al piccolo Paese mitteleuropeo una crescita economica rapida e sostenuta. La ricetta? Non molto originale, a dire il vero: tassazione bassissima sugli investimenti e liberalizzazione del mercato del lavoro, al fine di attrarre capitali stranieri. La Slovacchia, dunque, un po'come l'Irlanda ad Ovest e la Romania ad Est, è stata in grado di attirare investimenti e di compiere un vero e proprio boom economico. Conti pubblici in ordine e politiche macroeconomiche rigorose hanno poi permesso a Bratislava di entrare nell'Unione Europea nel 2004 e addirittura nell'Euro nel 2009. Quest'ultimo è un dato interessante, se si pensa che la Repubblica Ceca, più sviluppata, adotta ancora le corone e passerà alla moneta unica solo nel 2012, a causa dei pesanti deficit di bilancio registrati negli ultimi anni. Negli ultimi tempi, però, anche la Slovacchia non naviga in ottime acque e ha risentito della crisi globale con una brusca battuta d'arresto nel 2009.

CAFFE' IN PILLOLE

  • Nonostante la diversità etnica, tra Cechi e Slovacchi corre buon sangue. Infatti, il processo di separazione avvenuto in seguito alla caduta dell'URSS non ha avuto nessuna connotazione violenta, a differenza del processo tragico di disgregazione dell'Ex-Jugoslavia.

  • Se si vuole parlare di rivalità, allora questa va ricercata nei confronti degli ungheresi, che in Slovacchia costituiscono al giorno d'oggi circa il 10% della popolazione. Nel 1918, infatti, la nazione si unì a Boemia e Moravia formando la Cecoslovacchia proprio con una connotazione antiungherese (in risposta anche alla caduta dell'Impero Austro-Ungarico).

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MAMMA LI SLOVACCHI

“Prima della partita ero tranquillo, ridevo. Mai mi sarei immaginato di perdere contro la Slovacchia”. È la confessione di Daniele De Rossi, il centrocampista della nazionale italiana su cui pesa la responsabilità principale del primo gol subito contro la Slovacchia e segnato da Robert Vittek. Il gigantesco attaccante è stato lo spauracchio dei nostri giocatori durante la peggiore figuraccia del calcio italiano di tutti i tempi: Vittek è stato infatti autore di una doppietta implacabile, che ha condannato la nostra nazionale a tornare a casa con un vergognoso 2-3. E dire che questo giocatore non milita nel Barcellona o nel Chelsea, ma nell'Ankaragucu, squadra dal nome impronunciabile che milita nei bassifondi della serie A turca. La Slovacchia, comunque, ha superato meritatamente il turno, salvo poi essere eliminata agli ottavi dalla corazzata Olanda, lanciata verso la finale. L'unico fuoriclasse di questa squadra a dire il vero mediocre è Marek Hamsik, attaccante del Napoli, il quale però non è mai riuscito a brillare.

GEOPALLONE

Un bel successo per la nazionale slovacca e per tutto il suo popolo. Da sempre nell'ombra rispetto ai fratelli maggiori cechi, che negli scorsi anni erano riusciti a salire alla ribalta del calcio mondiale grazie ad alcuni grandissimi giocatori come Nedved, Poborsky e Koller, questa volta è riuscita ad approdare ai Mondiali (prima partecipazione assoluta) a discapito degli stessi cechi. Infatti la Slovacchia, in un girone combattuto, ha avuto la meglio proprio sulla più quotata Repubblica Ceca e sulla Polonia, ottenendo una storica qualificazione per il Sudafrica.

Davide Tentori

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Taeguk e innovazione

La formazione sud coreana ha chiuso il proprio cammino nel Mondiale africano, agli ottavi di finale, confermando comunque una crescita che non è certo solo calcistica. Dopo aver ospitato, insieme al Giappone, i Mondiali del 2002 lo sport continua ad essere un volano per la visibilità di un Paese che negli ultimi anni si è proposto come un intermediario affidabile tra gli interessi delle grandi potenze e le economie emergenti nel nord Asia.

IL PAESE – La Corea del Sud si separa dal Nord nel 1950 e per tre anni viene combattuta una guerra che provoca oltre 2 milioni di morti e mette in ginocchio sia il Nord che il Sud.

Dopo decenni travagliati, negli anni '80 il motore dell'economia e della politica sudcoreana si rimette in moto ed il Paese, di fatto, risorge. Oggi l'economia sudcoreana, classificabile tra quelle “emergenti”, è ai primi posti tra quelle asiatiche ed ha già un altissimo livello di diffusione ed investimenti nelle tecnologie. L'attuale Presidente, Lee Myung-bak (detto il Bulldozzer), in carica dal 2008, punta tutto sull'ulteriore sviluppo delle capacità produttive del Paese, che ha però molto sofferto la recente crisi del credito.

Nell'ultimo decennio Seul ha cercato sempre più di ritagliarsi un ruolo di intermediazione tra gli interessi economici e politici di Cina, Stati Uniti e Giappone nell'Asia dell'est, ed ha cercato di rafforzare la propria posizione nei consessi internazionali. Ban Ki Moon, ex Ministro degli esteri, è l'attuale Segretario Generale delle Nazioni Unite; truppe sudcoreane hanno preso parte alle missioni militari in Iraq ed Afghanistan. Dulcis in fundo, Seul presiederà il G20 del novembre 2010, dove dovrà dimostrare la propria capacità di porsi come interlocutore bilanciato tra le istanze delle grandi economie e quelle, a lei più vicine, delle economie emergenti.

Rimane insoluto il nodo delle relazioni, sempre tesissime, con il Nord: uno dei pochi rimasugli della Guerra Fredda che crea ancora oggi enormi problemi alla stabilità ed allo sviluppo dell'area.

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CAFFÈ IN PILLOLE

  • Attualmente, in caso di guerra, il comando operativo delle forze armate sud coreane sarebbe affidato al Generale americano più alto in grado presente in Corea del Sud. Infatti, a partire dall'armistizio con la Corea del Nord nel 1953, la gestione della difesa sud coreana è affidata congiuntamente alle forze americane ed a quelle locali. Un accordo prevedeva il passaggio delle consegne ai militari di Seul nel 2012, ma in un recente incontro tra Obama ed il presidente Lee Myung-bak è stato deciso di far slittare tale passaggio al 2015, per via dell'attuale instabilità dell'area. Un chiaro messaggio alla Corea del Nord.

I GUERRIERI DI TAEGUK – La selezione nazionale di calcio, così soprannominata, è stata eliminata in questo Mondiale agli ottavi di finale, perdendo per 2-1 contro l'Uruguay, una delle sorprese di questo Campionato.

Il miglior risultato della compagine sud coreana è stato registrato ai Mondiali del 2002, che la Corea stessa ha ospitato insieme al Giappone. In quell'occasione la squadra si classificò al quarto posto, dopo aver vinto il proprio girone e battuto Italia e Spagna agli ottavi ed ai quarti di finale. Perse la semifinale contro la Germania e la finale per il terzo posto contro la Turchia.

Il movimento calcistico sud coreano si mostra comunque tra i più attivi e promettenti in Asia.

GEOPALLONE – La scelta di assegnare l'organizzazione dei Mondiali del 2002 congiuntamente a Corea del Sud e Giappone venne allora definita da Platini, Presidente della UEFA, una decisione politica.

L'assegnazione del Campionato a due Paesi tradizionalmente in cattivi rapporti fu infatti un'occasione concreta di riavvicinamento.

Per la prima volta in oltre 50 anni di relazioni tese (anche per via della questione legata alle isolette Takeshima-Dokdo), un membro della famiglia reale giapponese, il Principe Tokamuda, mise piede in terra sud coreana e le autorità dei due Paesi parteciparono insieme alla cerimonia di inaugurazione. Un caso tipico in cui lo sport diventa uno strumento di soft power, che aiuta ad avvicinare le genti ed a fornire alla politica uno strumento di dialogo che richiede pochi compromessi.

Altra storia invece riguarda le relazioni con la Corea del Nord (nella foto uno dei rari momenti di distensione tra le due Coree, con il primo treno che attraversa la frontiera dopo 56 anni, nel 2007): in questo caso anche il calcio è stato infatti sovente motivo di scontro. Recentemente, ad esempio, due gare tra le due nazionali sono state giocate a Shanghai perché la Corea del Nord non accettò di issare la bandiera sud coreana e di suonarne l'inno. In un'altra occasione ancora, in un periodo in cui le tensioni erano particolarmente alte per via degli esperimenti missilistici di Pyongyang, la Nord Corea accusò Seul di avere “avvelenato” i giocatori con dei cibi avariati per facilitare la vittoria della squadra del Sud. Nella dura contesa neanche lo sport viene risparmiato.

Pietro Costanzo 1 luglio 2010 [email protected]

Buon Compleanno, Caffè Geopolitico!

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365 chicchi dopo… un anno fa il debutto del Caffè sul web. La prima candelina ci permette di guardarci un attimo indietro e rivedere i tanti passi compiuti in questi dodici mesi. Eravamo poco più di un blog, ora siamo un’associazione culturale. Grazie anche a tanti nuovi collaboratori e lettori. I passi da fare sono ancora tantissimi, ma l’entusiasmo non manca: rilanciamo, con tante novità già da settembre. Il meglio deve ancora arrivare…

HAPPY BIRTHDAY – Un anno fa, dopo qualche giorno di prova, uscivamo con il pezzo “Da oggi in poi”, raccontando delle elezioni in Iran, e nello stesso tempo lanciandoci ufficialmente nel mondo del web. Il Caffè Geopolitico era poco più di un piccolo blog, sorretto dalla passione e l’entusiasmo di cinque giovani esperti di relazioni internazionali. Un anno dopo, eccoci qui. Spesso tra noi ci si racconta di tutte le cose che dobbiamo migliorare. Guardiamo avanti, e puntiamo a crescere. Giusto così. Vale però la pena soffermarci un attimo, fare un piccolo brindisi di buon compleanno e considerare i passi fatti in questi dodici mesi.

 

PASSO DOPO PASSO – Eravamo in cinque, ora siamo molti di più. Il Caffè è cresciuto anche grazie all’apporto di tanti collaboratori, che man mano si sono fatti compagni di viaggio in questa avventura. Piano piano sono arrivate alcune rubriche, un evento pubblico, il sito nuovo, un programma radiofonico. Quanti aspetti ancora da migliorare, quante idee – un mondo di idee, come dice il nostro slogan – che ancora devono vedere la luce. In dodici mesi, però, il Caffè è cresciuto, e non possiamo che essere contenti di questo. Avanti così, allora.

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GEOPALLONARI – Vale la pena soffermarsi un po’ di più sugli ultimi due passi compiuti. Innanzitutto, il “Caffè mondiale”, le nostre schede geopolitico-pallonare che hanno presentato i 32 Paesi protagonisti in Sudafrica, le rispettive nazionali e i legami tra il football, la storia e la politica di ciascuno dei Paesi tramite il paragrafo “Geopallone”. In un periodo in cui tutti parlano del mondiale, abbiamo voluto presentare questo evento così importante, che spesso esce dai meri confini dello sport, con uno stile speciale, tipico del Caffè.

 

ASSOCIAZIONE – L’altro passo lo presentiamo pubblicamente proprio oggi. Da un po’ di tempo il Caffè Geopolitico è divenuto un’associazione culturale. Il motivo è evidente, e rientra nel progetto di crescita del Caffè. Divenire associazione ci aiuta a strutturarci in maniera più adeguata, e a diventare la giusta base di partenza per svilupparci ulteriormente nei prossimi 12 mesi, coinvolgendo in misura maggiore da qui in avanti anche voi che ci leggete. E in particolare, il divenire associazione “culturale” rientra esattamente nei nostri obiettivi. La volontà di raccontare quanto accade più in là del nostro naso, facendo luce su alcune situazioni del mondo di cui in Italia si parla poco o nulla; utilizzare uno stile non “di nicchia” o per addetti ai lavori, ma agile, frizzante, accessibile e comprensibile a tutti: ecco i motivi per cui siamo partiti in questa avventura. Il Caffè momento di pausa e luogo di incontro in cui confrontarsi su quanto accade nel mondo: ecco l’obiettivo dell’associazione culturale. Ora, spegnendo la prima candelina, rilanciamo. Da settembre ci saranno tante novità, e nuovi passi da fare. Il primo compleanno è un bel traguardo, certo. Ma non ci accontentiamo.

Voi continuate a seguirci, anche tramite facebook. E spargete la voce: perché di pause caffè c’è sempre bisogno, e un buon Caffè non si nega mai a nessuno.

 

Alberto Rossi

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