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Il ruggito dei Leoni

Dopo l’assenza ai Mondiali di Germania 2006 e la delusione in quelli nippo-coreani del 2002, torna una delle squadre più forti d’Africa. Il Camerun ha fatto scoprire il calcio africano al mondo in occasione dei Mondiali di Italia ’90. Eto’o e compagni sembrano essere tornati ad essere competitivi almeno quanto venti anni fa. Dove vorranno arrivare i Leoni Indomabili?

IL PAESE

Il Camerun è uno dei Paesi che gode di maggiore stabilità politica all’interno del continente africano, sebbene ciò non abbia potuto evitare, negli anni, una situazione di ineguaglianza nella redistribuzione delle risorse, tipica di tutti i Paesi del continente nero, che rende un’ampia fetta di popolazione ancora dipendente da un’agricoltura di assistenza e ridotta ad una condizione di povertà. E’ una Repubblica Presidenziale con un sistema monocamerale e l’attuale Presidente, in carica dal 1982, è Paul Biya. Ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1960, in quella stagione del secondo dopoguerra che si è caratterizzata per il movimento di decolonizzazione dall’Africa all’Asia.

Come succede in molti Paesi dell’area, uno dei maggiori freni allo sviluppo dell’economia e del benessere del Paese è costituito dall’endemica corruzione, insieme alla burocratizzazione soffocante delle istitiuzioni. Per combattere la corruzione, il Presidente Biya ha recentemente lanciato l’operazione “Sparviero”, affidata al Ministro della Giustizia Amadou Ali. In tale ambito ha suscitato clamore l’arresto di un Ministro, quello per l’Insegnamento Superiore, Tito Atangana, accusato di distrarre fondi pubblici e condannato a 15 anni di reclusione. Nel Paese molti sono però convinti che l’operazione voglia solo mascherare una intenzione di Biya di epurare il governo e la scena politica camerunense dalle figure che più si distanziano dalle proprie politiche.

CAFFE’ IN PILLOLE

  • Il Camerun, nonostante le difficoltà cui deve far fronte, risulta una delle maggiori realtà economiche della regione sub-sahariana.

  • Come sottolineato più volte quando si parla di Camerun, quest’ultimo a tutt’oggi rimane uno dei pochissimi Paesi del continente africano a non aver mai subito un colpo di Stato o un rovesciamento violento del potere, nei suoi 50 anni di storia da Paese indipendente.

  • Il Presidente Biya ha lanciato un piano per l’installazione di più di 200.000 ettari di piantagioni di palma. In questo modo il Camerun spera di poter estrarre l’olio necessario per poter essere convertito in biodiesel. Ciò ha comunque provocato malcontenti sociali e danni ambientali, dal momento che, a tale scopo, è in atto la sostituzione forzata delle foreste, con gli alberi da palma.

I LEONI INDOMABILI

Nessun appassionato di calcio potrà dimenticare la favola del Camerun ai Mondiali di calcio di Italia ’90. Una squadra di perfetti sconosciuti che ha esordito battendo per 1-0, e alla fine della partita in 9 contro 11, i Campioni del Mondo in carica, vale a dire l’Argentina di Maradona. In quell’edizione il Camerun arrivò, prima squadra africana della storia a tagliare questo traguardo, ai quarti di finale. E fu eliminata soltanto dall’Inghilterra ai tempi supplementari, in uno spettacolare 3-2 e con due rigori assegnati agli inglesi. In quella nazionale figurava il giocatore simbolo del Camerun: Roger Milla, eletto dalla Federazione calcistica africana il “giocatore africano del secolo”. Nel 1990, a 38 anni, Milla era fuori dal giro della Nazionale, ma rientrò e fece un Mondiale strepitoso, con 4 gol in 5 partite e l’invenzione della Makossa, la danza intorno alla bandierina come esultanza, che diventerà famosa e ripresa in tutto il mondo. Ai Mondiali di USA ’94, incredibilmente Milla torna nuovamente in squadra e segna un gol, diventando all’età di 42 anni, il più vecchio partecipante e realizzatore di un gol nella storia dei Mondiali di calcio.

I “Leoni Indomabili” (questo il soprannome della squadra) oggi hanno un degno erede di Milla e vanno in Sudafrica guidati dal capitano Samuel Eto’o, attaccante dell’Inter e capocannoniere assoluto della storia della Nazionale, con 44 gol all’attivo. Altro pilastro è il difensore Rigobert Song, al suo quarto Mondiale, detentore del record di presenze in Nazionale (ben 135). Chiude la triade delle stelle camerunensi (ma sono tanti i giocatori da tenere d’occhio) Achille Emana, numero 10 ed erede del leggendario Patrick Mboma. Il Camerun vanta anche una vittoria alle Olimpiadi, quelle di Sidney 2000, ottenuta in finale contro la Spagna di Puyol, Xavi e Abelda. Il Camerun ha ottenuto la qualificazione piazzandosi prima nel proprio girone con Gabon, Togo e Marocco, dopo un avvio disastroso. Il girone eliminatorio del Mondiale la vede a contendersi il posto negli ottavi con Olanda, Danimarca e Giappone. Nessuno lo dice apertamente, ma Eto’o e compagni potrebbero puntare direttamente al primo posto del girone.

GEOPALLONE

Il poliedrico e rimpianto Franco Scoglio, ex allenatore del Genoa e poi delle nazionali di Tunisia e Libia, aveva dichiarato: “Non c’è Paese africano in cui il calcio non sia acclamazione di regime. Ma c’è fantasia e amore. Senza sentimento tutto è inutile”. E in effetti in Africa il calcio si intreccia con la politica nella misura in cui diventa spesso uno strumento di propaganda dei regimi. Lo stesso Presidente camerunense Biya si era distinto per invadenza nel mondo del calcio in occasione dei Mondiali di Italia ’90, quando praticamente impose il ritorno in Nazionale di Roger Milla (a livello calcistico, la storia gli darà senz’altro ragione…). Ma in un continente difficile come quello africano, il calcio può intrecciarsi cob la politica e la cronaca anche per episodi spiacevoli.

Come accadde all’ex interista e stella della Nazionale camerunense, Pierre Wome, l’8 ottobre 2005. Il Camerun si gioca con l’Egitto l’accesso ai Mondiali di Germania 2006 e, al 95° minuto di gioco, ha un rigore a favore che potrebbe portarla in Germania. Nessuno vuole prendersi tale responsabilità, neanche Eto’o o Song. Wome sì. Nonostante la pressione va sul dischetto, non si tira indietro. E sbaglia: palo. Il Camerun non si qualifica per i Mondiali e molti camerunensi non lo perdonano a Wome, che viene anche fatto oggetto di una sorta di ostracismo per cui non viene convocato per la Coppa d’Africa del 2006. Wome dovrà tornare in patria scortato dalla polizia e attraverso strade secondarie; l’11 ottobre la sua villa viene presa d’assalto da alcuni “tifosi” e saccheggiata e devastata. Chissà cosa sarebbe successo se il calciatore o qualche membro della sua famiglia si fosse trovato a casa. Questo è il lato oscuro del calcio. Quello che si intreccia con la vita reale e rischia di far diventare politica un gioco.

Stefano Torelli

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Auguri, Argentina!

La nazione sudamericana ha compiuto duecento anni di vita lo scorso 25 maggio. Da una situazione di partenza, nella quale mancavano sia lo Stato che la nazione, l'Argentina è divenuta uno dei Paesi più sviluppati del pianeta all'inizio del XX secolo, salvo poi imboccare la via di un lento declino politico ed economico che continua ancora oggi. Le sfide che Buenos Aires ha di fronte a sé in questo momento sono cruciali

BICENTENARIO – La toponomastica argentina non è molto varia, giacchè in ogni città, dalla più grande alla più minuscola, i nomi delle strade coincidono per la maggior parte con i principali patrioti e personaggi politici nazionali. E con due date fondamentali: le “avenidas” o “plazas” 25 de Mayo e 9 de Julio sono immancabili. La prima data si riferisce al 25 maggio 1810, giorno in cui fu proclamato il primo governo indipendente dal vicereame della Plata, espressione della dominazione coloniale spagnola. La seconda sta invece per 9 luglio 1816, quando anche Madrid riconobbe ufficialmente l'indipendenza dell'Argentina e venne barata la prima costituzione.

Martedì 25 maggio, dunque, è stata grande festa: non solo per i quaranta milioni di argentini che vivono in patria, ma per i numerosi emigranti che si sono trasferiti in Europa. L'Argentina, un po'come tutti gli Stati sudamericani, è caratterizzata da un forte sentimento nazionale, frutto di un processo di formazione dello Stato e della nazione che non è stato immediato ma che ha richiesto circa un secolo per giungere a compimento. All'inizio del XX secolo, infatti, il controllo di Buenos Aires sul vastissimo e scarsamente popolato territorio si poteva dire acquisito, mentre le istituzioni politiche cominciavano ad assumere contorni tipici delle democrazie liberali del tempo e l'economia iniziava a decollare, portando presto il Paese ad essere uno degli Stati più ricchi del mondo grazie all'esportazione di prodotti agropecuari e ad attrarre milioni di emigranti provenienti da tutta Europa, ma soprattutto dall'Italia: basti pensare che oggi un argentino su due è originario del nostro Paese.

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ED OGGI? – La “Presidenta” Cristina Fernández de Kirchner è stata la protagonista degli imponenti festeggiamenti che hanno avuto luogo nella capitale. Il Capo di Stato ha sostenuto come l'Argentina non sia mai stata “così democratica e sviluppata”: affermazione in parte vera, ma da ponderare in rapporto alle pagine oscure del passato – anche recente – della nazione sudamericana e alla situazione odierna, che non è idilliaca come la si vorrebbe fare apparire.

Dal secondo dopoguerra in avanti, l'Argentina ha in pratica volatilizzato la posizione di leadership a livello globale, complici anche élites politiche inadeguate e instabili. Il Paese è stato infatti in balia per due volte di dittature militari (la seconda, dal 1976 al 1983, costituisce probabilmente la pagina più buia della storia nazionale) e ha attraversato terribili crisi economiche (le più recenti sono state quelle di fine anni '80 e il clamoroso tracollo finanziario del 2001) crogiolandosi nella convinzione di essere il migliore del continente sudamericano. La verità, oggi, è purtroppo un'altra: l'Argentina ha perso la sua posizione di supremazia nell'area, schiacciata da una parte dalla crescita inarrestabile del Brasile (con cui non può reggere il confronto seguendo criteri demografici) e dall'altra dal dinamismo del Cile, un Paese strutturalmente simile ma che ha saputo emanciparsi dalla dipendenza delle materie prime come risorsa esclusiva dando vita ad ampi programmi di investimenti rivolti soprattutto all'estero.

L'Argentina, insomma, ha smesso di correre da troppo tempo anche se avrebbe le qualità per andare fortissimo, potendo contare su risorse umane di primo livello nel panorama latinoamericano e su una società civile culturalmente avanzata. L'esecutivo attualmente in carica, invece, non ha saputo ridare slancio al sistema Paese penalizzando da una parte le lobbies più influenti per l'economia nazionale (i grandi produttori agricoli) e rimanendo dall'altra nell'ottica di politiche assistenzialiste, tipiche dello statalismo di tradizione peronista, che mantengono basso il conflitto sociale eliminando però gli incentivi alla crescita e allo sviluppo di lungo periodo.

Le sfide per i prossimi duecento anni sono dunque tante e complesse. Comunque vada, auguri Argentina.

Davide Tentori

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Sfida aperta

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In Colombia, paese con molte questioni sociali e politiche irrisolte, le elezioni presidenziali che si terranno il 30 maggio assumono un’importanza fondamentale. Gli ultimi quarant’anni della storia colombiana, caratterizzata dall’alternarsi di fasi di conflittualità interna ed esterna, non possono considerarsi conclusi: corruzione, guerriglia, narcotraffico e criminalità organizzata continuano a essere le principali sfide che il paese affronta quotidianamente.

LE DUE COLOMBIE – Domenica 30 maggio sarà il giorno della verità in Colombia. Il risultato che uscirà dalle urne delle elezioni presidenziali potrebbe infatti delineare in maniera netta il percorso che il Paese sudamericano deciderà di intraprendere, a causa delle profonde divergenze politiche tra i due favoriti alla vittoria finale. I due candidati principali infatti, l’ex Ministro della Difesa, Juan Manuel Santos (del Partido Social de Unidad Nacional, di centrodestra), e l’ex sindaco di Bogotà, Antanas Mockus (esponente del Partido Verde), propongono due Colombie differenti.

Secondo gli ultimi sondaggi Santos( in alto a sinistra), che è il successore designato del presidente uscente Alvaro Uribe, potrebbe vincere le elezioni al primo turno con due punti di vantaggio sul rivale (34% – 32 %) e, invece, al secondo turno, che si terrà il 20 giugno, si prevede che Mockus(in alto e a destra) prenderà il sopravvento con il 45% – 40%. Il resto dei candidati dovrebbe ottenere una percentuale minore del 10%.

IL FENOMENO MOCKUS – Con il candidato del Partito Verde Mockus, le elezioni presidenziali, che fino ad ora erano date per certe con la vittoria dell’erede del presidente uscente Alvaro Uribe, hanno assunto tratti imprevisti .

Mockus, di origine lituana (e quindi apparentemente ben poco “latino”), è esponente di uno stile completamente nuovo. Filosofo e matematico, ex rettore dell’università pubblica più importante del paese, ha fatto dell’importanza dell’istruzione e del rispetto dell’ambiente i suoi principali cavalli di battaglia: “… la storia della Colombia non sarà più scritta con il sangue ma con penne…”.

Il grande successo che sta riscuotendo, soprattutto tra i giovani e in generale nell’opinione pubblica, può essere interpretato come il risultato della sfiducia che la popolazione colombiana nutre verso le istituzioni, la politica, la corruzione e l’illegalità.

Salto al vacío” (salto nel vuoto): è così che da molti è stato definita l’eventuale presidenza di Mockus, perché potrebbe compromettere tutti gli sforzi compiuti dall’amministrazione Uribe in materia di sicurezza e lotta contro la guerriglia marxista. L’esecutivo uscente ha infatti adottato il pugno di ferro nei confronti delle Farc (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane), alzando molto spesso il livello della tensione con gli Stati limitrofi, Ecuador e Venezuela, accusati di fornire ospitalità ai guerriglieri.

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L’ALTRA COLOMBIA – Santos, che promette di seguire una linea politica di pari passo con quella che è stata tracciata da Uribe nel corso di questi otto anni, ha assunto come slogan della sua campagna elettorale la lotta contro la disoccupazione, che ha raggiunto il 13%.

A chiusura della sua campagna elettorale lo scorso giovedì, il candidato del Partito Sociale di Unità Nazionale ha invocato un governo di unità nazionale, invitando anche i suoi rivali politici a unirsi in questo intento.

Ma non mancano accuse nei confronti di Santos. Le questione delle sparizioni forzate, realizzate dall’esercito durante il suo mandato come Ministro della Difesa, si manifestò quando furono scoperte fosse comuni con più di mille cadaveri, che erano stati definiti combattenti morti in battaglia. Dalle investigazioni, invece, emerse che i corpi erano di contadini che probabilmente collaboravano con la guerriglia delle FARC.

Santos, inoltre, è stato accusato di aver preparato un colpo di Stato contro il governo del presidente Ernesto Samper (al potere dal 1994 al 1996). Il discredito anche a livello internazionale nei confronti dell’ex ministro è cominciato nel 2008, anno in cui la Colombia attaccò un accampamento delle FARC in Ecuador, violando la sovranità territoriale del vicino.

E GLI ALTRI?Noemí Sanín del Partito Conservatore, Rafael Pardo del Partito Liberale, Gustavo Petro candidato del Polo Democratico Alternativo, Germain Vargas Lleras del Partito Cambio Radical, gli altri candidati alla presidenza, hanno manifestato le loro critiche per i vantaggi che il candidato del Partito della U (che sta per Uribe) trae soprattutto dai discorsi pubblici tenuti dall’attuale presidente in favore di Santos.

Perché ci sono intromissioni del presidente se ciò è vietato per legge? Questa è stata l’osservazione di Mockus che nel corso di un dibattito ha criticato la diffusione di uno spot radiofonico per la campagna di Santos in cui si sente una voce, simile a quella del presidente, che invita a votare per il candidato della U.

Sono già iniziate le previsioni sulle alleanze e sui patti che potrebbero essere fatti durante il secondo turno di elezioni e soprattutto sulle tattiche che Santos e Mockus useranno per aumentare la differenza tra i rivali. In uno scenario così imprevedibile il minimo errore che sarà compiuto nelle tre settimane che separano dal ballottaggio potrebbe costare molto caro.

A influenzare la scelta del candidato presidenziale è intervenuto, con sempre più assiduità, il Presidente venezuelano Hugo Chávez, che ha minacciato di interrompere completamente le importazioni e le esportazioni da e verso la Colombia nel caso nel caso di vittoria di Santos, che lui stesso ha definito “il mafioso”. Le relazioni tra i due Stati, che erano reciprocamente partner commerciali strategici, si sono deteriorate nettamente da circa un anno, quando il Venezuela ha bloccato la maggior parte delle esportazioni dalla Colombia cominciando a concludere accordi commerciali con altri Stati della regione come l’Argentina.

Valeria Risuglia

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Dal Cile con furore

Archiviata da alcuni anni l'era Zamorano-Salas, la nazionale di calcio cilena prova a vivere un campionato mondiale se non da protagonista quanto meno da outsider. Il ct Marcelo Bielsa proverà dunque a regalare il passaggio agli ottavi prima di lasciare la panchina al collega Manuel Pellegrini.

IL PAESE

Quasi diciassette milioni di abitanti distribuiti su un territorio lungo e stretto dominato dalla catena montuosa delle Ande. Una nazione quella cilena che ha conosciuto momenti drammatici a gennaio 2010 quando un violentissimo terremoto si è abbattuto sulla nazione causando centinaia di morti e migliaia di feriti. Il Cile è anche tristemente famoso per il golpe militare del 1973 che portò al potere il generale Augusto Pinochet. Nei giorni successivi al colpo di stato persero la vita il presidente socialista Salvator Allende ed il poeta Premio Nobel, Pablo Neruda. Il dittatore cileno rimase in carica ben 16 anni prima di abbandonare qualsiasi carica istituzionale nel 1990. Gli anni sotto Pinochet sono ricordati come i più bui ed oscuri nella recente storia cilena: arresti arbitrari, rapimenti ed uccisione dei dissidenti politici. Nel 2010, dopo vent'anni di governi di centro-sinistra, il paese è tornato in mano alle destre. Sebastián Piñera, leader delle forze di centro-destra, è stato eletto ad inizio anno come 35esimo presidente cileno.

CAFFE' IN PILLOLE

  • Nonostante il sisma l'economia del paese sembra riuscire a reggere. Nonostante le stime di crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo) non siano state pienamente rispettate, il sistema economico cileno si sta, nemmeno troppo lentamente, portando al sicuro al di fuori della zona recessione. I dati relativi alla fine del 2009 dimostrano come il PIL sia in crescita e le previsioni per tutto il 2010 restano più che positive.

  • Il Servizio nazionale dei consumatori cileno ha denunciato la filiale della Panini nella capitale Santiago per pubblicità ingannevole. L'azienda italiana si sarebbe infatti resa colpevole di pubblictà ingannevole poichè all'interno dell'album ufficiale del prossimo mondiale di calcio non sono presenti le foto dei giocatori cileni. L'azienda italiana ha risposto alle accuse affermando di non possedere le foto poichè i diritti d'immagine sono, almeno fino al 2010, proprietà esclusiva del Sindacato dei calciatori professionisti.

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LA ROJA: I NUMERI PER PASSARE IL GIRONE E NON SOLO…

Un girone di qualificazione fantastico, secondi solo all'inarrivabile Brasile di Dunga e Kakà. Numeri da grande squadra e vittorie eccellenti hanno permesso a Humberto Suazo e compagni di staccare il biglietto per il Sud Africa con relativa tranquillità. L'attaccante cileno Suazo, da non confondere con l'omonimo honduregno, è il principale finalizzatore della squadra e con 10 reti all'attivo è stato il suo capocannoniere nel girone di qualificazione. Ma il ct Bielsa ha anche altri assi nella manica. Primo fra tutti il giovane ed esplosivo talento Matiás Fernandenz. Centrocampista offensivo dal dribbling irresistibile, l'argentino naturalizzato cileno potrebbe essere una delle tante stelle che brilleranno sotto i riflettori del prossimo mondiale.

Oltre a lui, da tenere d'occhio anche l' "italiano" Alexis Sánchez: velocità e dribbling le sue carattersitiche migliori. Discutibile la scelta di Bielsa di non convocare David Pizarro, centrocamposta della Roma, che proprio quest'anno ha disputatao forse una delle sue migliori stagioni. Con tutta probabilità dopo il Mondiale, Bielsa lascerà la direzione della nazionale al cileno Manuel Pellegrini ormai ex tecnico del Real Madrid.

GEOPALLONE

In più occasioni sotto la dittatura Pinochet lo sport divenne un mezzo di confronto anche e soprattutto politico con il resto del mondo. In particolare nel 1973, in occasione della partita Cile-URSS, si giunse ad uno aspro e duro scontro diplomatico fra Pinochet e Mosca. L'allora Unione Sovietica si rifiutò infatti di giocare contro il Cile all'interno stadio-prigione di Santiago perdendo la partita a tavolino. Dopo il golpe infatti lo stadio della capitale veniva utilizzato come luogo di raccolta dei dissidenti politici. Non solo. Fra le mura dell'Estadio Nacional molti uomini contrari al regime vennero sommariamente giustiziati ed altri ancora torturati per lunghi giorni.

Il nuovo presidente cileno Piñera ha forti interessi nel mondo del calcio. Il leader del centro-destra cileno è infatti proprietario della squadra di calcio Colo-Colo, una delle maggiori compagini a livello nazionale. Il presidente cileno è anche proprietario di alcuni canali televisivi ed è un importante uomo d'affari. Grazie a questi suoi molteplici interessi si è guadagnato il soprannome di "Berlusconi cileno".

Marco Di Donato

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Questioni di (in)sicurezza

Settimana calda quella appena iniziata: sul tavolo ancora le questioni legate all'accordo tra Iran, Turchia e Brasile sul nucleare, che ha sinora trovato una fredda reazione americana. Meno distaccata potrebbe essere la reazione russa all'invio di missili americani in Polonia e certamente ben più incandescente è lo scontro sui risultati delle indagini sull'affondamento di una nave militare sud coreana.

L'accordo che l'Iran ha raggiunto con la Turchia ed il Brasile sullo scambio di combustibile nucleare non ha ancora dei contorni ben definiti, posto che gli Stati Uniti hanno risposto in maniera ben poco entusiasta all'annuncio dell'accordo stesso. Gli USA, in risposta, avevano infatti annunciato una oramai prossima intesa con Russia e Cina sulle sanzioni a Teheran, ma da Mosca e Pechino è giunto solo silenzio. Allo stato dei fatti dunque né l'accordo tripartita né le sanzioni sembrano avere la strada spianata; inoltre, la distaccata reazione di Teheran agli annunci americani aggiunge dei toni ancora più sfumati all'intricata questione nucleare. La settimana dovrebbe però offrire dei chiarimenti.

Sempre sull'asse Mosca-Washington si muovono nuove possibili turbolenze, dovute all'accordo tra USA e Polonia per il dispiegamento di missili Patriot in suolo polacco. Già circa un centinaio di militari americani sono in terra polacca, a pochi chilometri dal confine con il territorio russo di Kaliningrad, e presto una batteria di missili arriverà alla base di Morag. Intanto Mosca ha negato che un eventuale accordo su sanzioni nucleari all'Iran potrebbe bloccare la vendita di armi all'Iran stesso, ed ha inoltre dichiarato di voler a breve concludere i lavori concordati presso la centrale nucleare iraniana di Busher. Questo scambio di “cortesie” tra Mosca e Washington certamente avrà degli effetti sui prossimi passi nell'affrontare la questione iraniana, che rimane il tema più caldo della settimana.

Dopo settimane di voci ecco giunta la versione ufficiale dei risultati delle indagini che la Corea del Sud ha condotto sull'affondamento della propria nave militare ChonAn: il governo di Seul è convinto che si sia trattato di una manovra nord coreana. In attesa di un annunciato discorso alla nazione, da parte del Presidente sud coreano Lee Myung Bak, su come il Governo intenda rispondere all'affondamento della ChonAn, Seul si muove con difficoltà alla ricerca di sostegno internazionale. Russia e Cina non sembrano voler appoggiare misure contro la Corea del Nord in seno alle Nazioni Unite, ed intanto Pyongyang minaccia guerra in caso di ulteriori sanzioni da parte di Seul, che intanto potrebbe chiedere alla Settima Flotta americana nel Mar Giallo aiuto ai fini di rafforzare le difese sul confine marittimo con la Corea del Nord.

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Gli incontri e gli eventi della settimana.

  • Gran tour cinese del Segretario di Stato americano Hillary Clinton, che insieme a rappresentanti del Tesoro porterà avanti il Dialogo Strategico con Pechino: sul tavolo il valore dello yuan e le restrizioni alle attività di aziende straniere.

  • Sono tempi duri in Europa: dopo le misure in favore della Grecia, arrivano le misure di austerità un po' in tutto il Vecchio Continente. Appena approvate dalla Germania, toccherà a Regno Unito, Italia, Romania. Inoltre si terrà anche un meeting in Finlandia tra i Ministri delle Finanze di molti Paesi (tra questi anche la Russia) per discutere delle misure ulteriori di contrasto alla crisi finanziaria.

  • Elezioni: la Repubblica Ceca terrà le Elezioni per il rinnovo del Parlamento, il Burundi le elezioni distrettuali, che avviamo il processo per il rinnovo del Parlamento.

  • Thailandia: delicato passaggio presso la Corte Penale per la decisione in merito ad una richiesta per un mandato d'arresto ai danni dell'ex Primo Ministro Thaksin Shinawatra, per reati di terrorismo. Potrebbe essere la miccia per ulteriori tumulti.

  • Visita da tener d'occhio per l'Italia: il Ministro Frattini si recherà in Venezuela dove incontrerà Chavez.

  • Visita ad alto valore simbolico del Presidente indiano Pratibha Patil in Cina, dove parteciperà all'inaugurazione di un tempio buddista a Luoyang.

  • Infine, comincia lo schieramento di forze internazionali sul suolo del Sud Africa: forze di polizia internazionali, tra cui l'Interpol, completeranno il dispiegamento per garantire le misure di sicurezza in occasione dei Mondiali di Calcio.

La Redazione

24 Maggio 2010

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Arrivano i Vichinghi!

L’appuntamento del Caffè Mondiale di oggi è con la Danimarca. Squadra giovane, sempre piena di sorprese, come quella del 1992 in cui, da ripescata, vinse l’Europeo di Svezia. Qualificata come prima di un girone di ferro per i Mondiali del Sudafrica, ma inserita in una fase iniziale altrettanto ostica. Quanto andrà lontano?

IL PAESE

Ciò che si definisce un Paese virtuoso. La Danimarca rappresenta una delle realtà più floride, dal punto di vista politico, economico e sociale, di tutto il Vecchio Continente. 5,5 milioni di abitanti inseriti in uno Stato che a livello istituzionale è una monarchia costituzionale e che godono di uno degli stili di vita migliori d’Europa e, conseguentemente, di tutto il mondo. Il suo coefficiente di GINI, quel valore che misura l’eguaglianza o meno della redistribuzione del reddito e della ricchezza e quindi anche di salute e benessere all’interno di un Paese, secondo le statistiche dell’UNDP (la divisione della Nazioni Unite che si occupa dello sviluppo), è il più virtuoso al mondo, insieme a quello dei Paesi scandinavi. Lo stato sociale danese è addirittura proverbiale: ai primi posti in Europa in quanto a sussidi statali per la disoccupazione e la sanità e al primo posto europeo nella speciale classifica del sistema pensionistico. D’altro canto tale regime economico è sostenuto dai più alti livelli di tassazione statale al mondo.

Dai Vichinghi che invasero l’Europa intera e ne determinarono in parte le sorti medievali, dunque, la Danimarca sembra essersi evoluta ad un livello tale da permettersi di rifiutare di entrare a far parte della moneta unica europea, l’Euro, nel 1999. Caratterizzata storicamente da una sorta di euro-scetticismo che l’ha contraddistinta durante il processo di integrazione dell’Europa, la Danimarca ha però saputo coniugare atteggiamenti di tipo “isolazionista” come nel caso della mancata adesione all’Euro e ad alcuni criteri dell’accordo di Maastricht, a momenti di cooperazione internazionale, come dimostrato dalla partecipazione alle missioni internazionali a guida NATO in Kossovo, Libano e Afghanistan

CAFFE’ IN PILLOLE

  • Più del 17% della domanda di energia elettrica interna è soddisfatta dalla produzione di energia degli impianti eolici. Pe rincoraggiare la realizzazione di nuove turbine per lo sfruttamento dell’energia eolica, il governo danese ha instaurato un regime fiscale molto favorevole che prevede l’esenzione totale del pagamento delle tasse per la generazione di questa energia.

  • Appartengono alla sovranità della monarchia danese anche due territori geograficamente non facenti parte della Danimarca: la Groenlandia e le Isole Far Oer.

UNA NAZIONALE PIENA DI SORPRESE

La nazionale di calcio danese si è affacciata nel grande panorama internazionale del calcio da relativamente pochi anni. La sua prima apparizione ai Mondiali di calcio risale soltanto all’edizione del 1986 in Messico (quella dominata dall’Argentina di Maradona). In quell’occasione fu eliminata al primo turno. Un buon Mondiale, invece, fu quello disputato nel 1998 in Francia, dove la Danimarca fu eliminata soltanto ai quarti di finale dal solito Brasile (che avrebbe perso la finale proprio contro i padroni di casa francesi). Nel 2006 la nazionale danese non raggiunse l’obiettivo della qualificazione. Il momento di gloria per la squadra è arrivato nel 1992 quando, del tutto inaspettatamente, vinse gli Europei disputati in Svezia, battendo in finale per 2-0 la Germania, allora Campione del Mondo in carica.

La squadra ha un buon organico, pur non potendo contare su stelle internazionali di primissimo livello. Per arrivare alla fase finale di Sudafrica 2010 ha comunque sorpreso tutti gli spettatori, riuscendo a piazzarsi al primo posto in uno dei gironi più difficili, che includeva anche Portogallo e Svezia. A livello storico, non si possono dimenticare personaggi come il portiere Peter Schmeichel, ex numero uno anche del Manchester United e tra i migliori al mondo nel suo ruolo (primo anche nella speciale classifica delle presenze in nazionale, a quota 129), così come l’ex juventino Michel Laudrup, che contribuì a fare grande la Juventus degli anni ’80, al fianco di giocatori del calibro di Platini e Boniek. Attualmente, l’attaccante dell’Ajax Dennis Rommedahl è forse il giocatore più rappresentativo della squadra, caratterizzata da una delle rose più giovani del Mondiale. Nel girone con Olanda, Camerun e Giappone, potrebbe giocarsi un posto come seconda del girone insieme agli africani, mentre il Giappone sembra avere meno chances.

GEOPALLONE

In rarissime occasioni la politica ed il calcio si sono incrociate ed incontrate in un modo che ha cambiato il corso degli eventi sportivi di una manifestazione intera, come accadde nell’estate del 1992. La Jugoslavia (allora ancora “unita” e con questo nome) era una squadra indubbiamente forte e in crescita, reduce anche da un buon Mondiale disputato in Italia nel 1990. Era pronta ad affrontare l’Europeo di Svezia 1992 dopo aver superato il girone di qualificazione piazzandosi al primo posto, proprio davanti alla Danimarca. Era la squadra di Savicevic, Stojkovic e Suker. Poi fu la guerra civile. I violenti scontri militari succeduti alla caduta del Muro di Berlino e allo scioglimento dell’Unione Sovietica, che si verificarono dopo la dichiarazione di indipendenza di Croazia, Bosnia-Erzegovina, Slovenia e Macedonia indussero la FIFA e l’UEFA a escludere il Paese dalle competizioni internazionali.

Fu solo così che, all’ultimo minuto, la Danimarca fu ripescata e potè prendere parte agli Europei del 1992. Il resto rimane nella leggenda. I danesi passarono il primo girone del tutto a sorpresa, essendo quello di Francia, Inghilterra e Svezia (le prime due entrambe eliminate). In semifinale, altra sorpresa, batterono ai rigori (dopo un 2-2) l’Olanda di Rijkaard e Van Basten. In finale la Danimarca era data per spacciata contro i Campioni del Mondo della Germania. Il risultato invece fu secco: 2-0 per i danesi, che divennero la cenerentola d’Europa. Henrik Larsen, autore della doppietta in semifinale, chiuse il torneo come capocannoniere. Tutto “merito” di una guerra, la prima in territorio europeo dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Stefano Torelli

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Dopo 28 anni riecco la Bicolor

Un ritorno storico quello dell'Honduras al prossimo mondiale sudafricano. Dopo una qualificazione ottenuta in gruppo tutt'altro che facile, gli uomini agli ordini del ct Rueda vogliono provare a sorprendere in un girone in cui potrebbe uscire più di una sorpresa.

IL PAESE

Nel 2009 il piccolo paese centro americano è tornato alla ribalta delle luci internazionali a causa di un colpo di stato mirato a deporre il presidente Manuel Zelaya. Nel giugno 2009 i carri armati dell'esercito entrarono nella capitale sequestrando ministri, funzionari governativi e soprattutto ponendo sotto arresto il presidente Zelaya. Nel gennaio 2010, l'ex-presidente ha lasciato il paese e si è ritirato in esilio all'estero lasciando la guida della nazione a Porfirio Lobo. Da oltre un anno il paese vive in uno stato di agitazione con un governo che fatica a ritrovare la credibilità internazionale (ad esempio il Brasile di Lula non riconosce l'attuale governo) e che altrettanto difficilmente prova a trovare una propria legittimazione sul piano interno. Le elezioni successive al golpe venogno considerate da larga parte della popolazione come illegali ed il fronte di opposizione al governo attuale cresce costantemente con il passare dei mesi.

CAFFE' IN PILLOLE

  • Dal 2009 i giornalisti honduregni vivono in un continuo stato di assedio. I media nazionali e locali hano subito un pesante ridimensionamento nella loro libertà d'informazione. Al momento attuale i mass media si concentrano nelle mani di tre uomini: Rafael Ferrari, Jorge Canahuati e Jaime Rosentahl. Come se già questo non limitasse abbastanza l'indipendenza dell'informazione, bisogna infatti ricordare che il paese sta conoscendo una stagione di omicidi nei confronti di quei giornalisti ritenuti scomodi. Solo nel mese di aprile sono stati cinque i giornalisti uccisi.

  • L'Honduras conosce una forte presenza di popolazioni indigene di antichissima origine. In particolare i Tolupan sono fra i più conosciuti. Questo popolo pare abbia orgini addirittura antecedenti ai più famosi Maya e fa del rispetto della terra e della natura la sua ragione di vita. Per questo motivo questo antichissimo popolo è entrato in contrasto con gli interessi di alcune multinazionali che vorrebbero sfruttare le ingenti risorse che si trovano nel territorio dove attualmente essi risiedono.

LOS CATRACHOS POSSIBILE SORPRESA?

David Suazo (calciatore del Genoa) e Carlos Pavon (giocatore che milita nelle fila del Real España e con trascorsi poco fortunati nell'Udinese e nel Napoli) certamente rappresentano le due stelle del team allenato da Reinlado Rueda. Non a caso proprio il 37enne Carlos Pavon ha regalato il 15 ottobre scorso la qualificazione alla sua nazionale siglando il goal decisivo contro El Salvador. Durante le qualificazioni Pavon è stato anche il capocannoniere della squadra siglando ben sette reti. Anche William Palacios del Tottenham ed il centrocapista Alvarez del Bari possono essere considerati due punti di riferimento. La squadra potrebbe soffrire l'inesperienza di alcuni elementi giovani ed in generale di tutto il reparto difensivo che possiamo considerare come il vero tallone d'achille della nazionale honduregna. I bookmaker internazionali sembrano tuttavia non fornire molto credito alla squadra centroamericana, ma la sorpresa in questo caso potrebbe essere davvero dietro l'angolo.

GEOPALLONE

Le maggiori rivalità calcistice sono vissute nei confronti di Messico, Costarica ed El Salvador. In particolare con quest'ultima nazione l'Hounduras visse negli anni '60 un momento di fortissima rivalità politica. Una rivalità così forte che portò i due paesi a dichiararsi guerra nel 1969 in quella che molti storici ricordano come la Guerra del Fútbol proprio perchè nacque in seguito a scontri avvenuti in occasione di un confronto calcistico. Il calcio fu, ovviamente, solo il detonatore di una situazione da tempo esplosiva. I due paesi erano da tempo in disaccordo su questioni di confini ed immigrazione, in particolare i dissidi si erano acuiti dopo che l’Honduras aveva espulso più di 300.000 immigrati salvadoregni dal proprio territorio. La battaglia infuriò solo per 6 giorni ma riuscì comunque a causare quasi 6 mila morti con gravissime perdite fra i civili. Da ricordare anche che al momento del recente golpe anche il mondo sportivo scioperò in protesta al rovesciamento del governo di Zelaya.

Marco Di Donato

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Allunaggio di un immigrato innamorato

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Terza puntata con la nostra rubrica letteraria Il mondo dei mondi. In questa rubrica trattiamo di mondi “diversi”, con il filo conduttore del tema della migrazione. Una rubrica che ci aprirà gli occhi sull'”Altro” e ci darà nuovi punti di vista. La terza opera recensita è "Allunaggio di un immigrato innamorato", un viaggio tra Brianza e Romania, tra scenari padani e ricordi rumeni…

Mihai e Daisy, il rumeno e la cameriera leghista. Questa è una storia d’amore, paradossale e impossibile, avverte la quarta di copertina; eppure accaduta davvero all’io narrante e autore. Questo è il suo journal, sull’amore e sul suo essersi ritrovato scaraventato -per propria scelta- in un paese straniero, dove la lingua ha fortissime affinità con quella madre, entrambe romanze. Per questo la sua ironica analisi sull’amore e sulla sua donna si intreccia a una riflessione sottostante, costante e profonda, sulla realtà che vive. “Michele”, si innamora della ragazza ma anche di questo nuovo “pianeta” in cui l’ha incontrata, di cui mira a far parte, immettendovi però se stesso e il pianeta da cui la sua astronave è partita tempo prima: la Romania del 1991, scheggia rossa del sud dell’est Europa, schizzata dall’implosione del colosso sovietico e ritrovatasi ingarbugliata in un indefinito meccanismo democratico marchiato dall’imprinting del regime di Ceaucescu. La storia è quella tipica a tutte le rivolte popolari che hanno stravolto il mondo nel 1989: Ceaucescu venne arrestato in Dicembre e processato per crimini contro lo stato e fucilato il giorno di Natale, insieme alla moglie Elena. Ma, è noto, non bastano tutte le positive istanze di un popolo affinchè si manifesti la democrazia: l’ “America”non si plasma nell’immediato.

Le disparità sociali si intensificarono ulteriormente e l’emigrazione a Ovest divenne inevitabile, dettata dalla necessità più che dal sogno. L’immigrazione romena è diventata la più alta in percentuale nel belpaese, a braccetto con quella albanese. Ma di rumeni l’Italia non parla, se non nelle pagine di cronaca: ubriachezza molesta, stupri, occupazione di fabbriche abbandonate, risse. “ Ma la Romania all’estero non è soltanto questo! Ai compleanni regalo libri di Eliade, Cioran, Istriati, Tzara (…)E qualcuno dice sorpreso: “Pensavo che il primo fosse inglese e gli altri francesi”. Ha importanza? (…)”. Mihai parte soprattutto per studiare e tra Monza e Milano approfondisce l’umanesimo che ha sempre coltivato da autarchico; confronta il “proprio” con il “resto” per costruire un “intero” levigato dalla sua persona. Daisy è la creatura che gli serve birra al Moon, affascinata dall’aria di mistero che gli vede addosso e dalle rotazioni della sua penna. Tutti lo chiamano il poeta, lì. Lo credono italiano, ma l’ indagine di lei lo porta all’ammissione identitaria: romeno, nello specifico transilvano:“ Lo sapevo io che c’era qualcosa … Raccontami dei vampiri. E’ vero?”. Le datazioni delle pagine diaristiche parlano del 1994, anno in cui in Italia risuona il “La” per un movimento che attacca il “giù” del Paese, gli extracomunitari, che organizza corsi estivi e parla di ronde notturne. E che quindici anni dopo diventerà la forza politica di Governo di maggior peso. Ma a “Michele” non importa: “l’inquietudine che ho nel cuore è per averti incontrata o perché ho aspettato troppo?”. Scorre la scrittura, e intreccia il suo amore viscerale agli esami di italiano; a feste padane in ville brianzole, dove “la povertà lessicale di “cioè” e “raga” compensava il lusso della casa”; a file romene –“senza alcun ordine”- al Consolato; a gare di rap in campeggio con gli amici, rievocazioni personali e storiche intrise degli effluvi del luppolo; a premi assegnatigli e poi ritirati dall’imbarazzo dei giudici, scoperta la sua provenienza –tra cui la menzione speciale per “lo stile vivace e coinvolgente con cui ha saputo descrivere la Brianza antica e moderna, ricca di tradizioni d’umanità”…. Questi sono i momenti in cui Butcovan si rende un “campione esemplare” della letteratura italiana della migrazione.

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L’ “uso della lingua” sbalordisce il lettore. In realtà è tipico di chi si impossessa del linguaggio dell’altro “prima nei pensieri e nei sogni, poi nella scrittura”, di chi lo interseca continuamente con la propria lingua madre e lo lascia uscire come razionalizzata ma spontanea espressione nelle sue relazioni. L’ironia è la prima caratteristica che si rileva. Sardoniche e pirotecniche le parole di Mihai. La pagina d’apertura lo vede riportare le espressioni con cui Daisy lo ha descritto e insultato nella sua ultima lettera, rigorosamente in ordine alfabetico: “amante sillogistico, barbone da promemoria tributario, bodyguard con un solo pallino… quello degli studi filosofici, corvo dell’interculturalità, dandy senza patente, fidanzato da Oktober Fest, iena bibliotecaria, marxista sessuomane, palestrato da osteria, parassita fotocopiatore, poeta da corte marziale, pseudocomunista che sputa sul proprio encefalogrammma, robocop del terzo mondo,romeno da carodiario, rubacuori con la chiave inglese, seminarista viziato e vescovo mancato, terrone romeno di radici neolatine (questo però te lo avevo spiegato io!), transilvano da crociera, vampiro birraiolo. Tira il fiato!”. Una padronanza da autore madrelingua, unita allo stupore della scoperta delle parole altre, lo porta a elencare tutti i luoghi comuni sulla figura rappresentata suo malgrado. Crea calembours di alta fattura, accostando lingue “nazionali” all’italiano popolare: “ cercare sul vocabolario famiglie di parole e fare piccole riflessioni sui significati(…)Scrivo: fiche = gettoni francesi:che bello averli sempre in tasca! Riflessioni da single. La fica è come l’allergia:se non ce l’hai non sai né che esiste né come è fatta. La fica è come un albero:con l’innesto diventa ibrido. Dalla sua radice nascono parole come “grafica”(gracchiante), “benefica” (ma anche buona)”, “serafica(fiche al tramonto)”, “raffiche(quelle della Royal Air Force) o “ficcanaso (sognare di essere Cyrano de Bergerac o Gerard Depardieu”. Così fa Mihai. Senza mai sfiorare la volgarità, accostandosi al livello popolare dell’italiano (uno dei suoi “maestri letterari” è Trilussa).

Cultura pop che lo appassiona: il calcio, quel Brescia scelto per spirito patriottico, “diventato colonia romena per calciatori in disuso” – chi ricorda Hagi?; l’inserire gettoni nel jukebox per ascoltare la canzone sanremese di Faletti. E il controcanto dei luoghi comuni italiani: la curiosità per Dracula e l’entusiasmo per Ramona Badescu. “L’osservatore romeno ”-così si definisce Butcovan – guarda con lo stesso occhio i connazionali delle sue radici e quelli d’adozione. Diverte moltissimo la “scena già vista” che descrive al consolato romeno: la coppia, “il muratore della bassa, baffi biondi e capelli lungi per compensare la pelata, pancia traboccante sul cinturone all’americana -ricordando Verdone, emigrato di ritorno dalla Germania -, accompagnato dalla solita tettona romena, plurisposata, pluridivorziata, pluriconsumata in patria dai patrioti, pluritruccata e monossigenata, valacca informata in osteria sulla fame di sesso di certi italiani non più giovani ma molto facoltosi”, di cui immagina dal principio la costruzione di un amore. Butcovan ci regala un punto di vista di rarefatta bellezza sull’agrodolce realtà migratoria di quella che nel tempo è diventata l’emigrazione più discriminata tra i nostri confini, accostandola al fattore padano che vi crea una doppia linea di discrimine. Senza averne l’intenzione e senza polemizzare. Con una prosa raffinata che nel 2003 è valsa a questo romanzo il primo premio sezione narrativa al concorso “Voci e Idee Migranti”. Una prosa che rapisce e disincanta; che lascia il dubbio: “su questo atlante scaduto troverò mai le mie origini?”.

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Il futuro della NATO passa da Kabul

L’Afghanistan è un paese che, dal punto di vista della storia politico-militare, può essere definito a ragione peggio di un incubo. L’impero inglese e quello russo tentarono alternativamente di conquistarlo praticamente per tutto l’800, senza mai riuscirci. Oggi la NATO e gli Stati Uniti devono ripensare alle proprie strategie per evitare che la storia si ripeta.

 

INCUBO RICORRENTE – Nel Grande Gioco morirono intrepidi esploratori e alcuni tra i migliori soldati da entrambe le parti, eppure, per tutti e due gli Imperi, Afghanistan fu sinonimo di un terreno impossibile da conoscere fino in fondo, insidioso per buona parte dell’anno e popolato da guerrieri tra i più brutali ed indomabili. Dopo meno di un secolo dai tentativi imperiali di annessione furono i comunisti sovietici a tentare una nuova invasione: armi migliori, una schiacciante superiorità tecnologica e numerica, un successo che sembrava essere a portata di mano. I russi avevano fatto i conti con tutto, fuorché con gli afghani. Guerrieri talmente coraggiosi e pronti ad immolarsi contro l’invasore che iniziarono la lotta contro i potenti elicotteri Hind dell’esercito sovietico armati solo di fucili che erano in dotazione agli eserciti che combatterono la Prima Guerra Mondiale. Pronti a combattere fino all’ultimo uomo per la jihaad, gli afghani, che furono poi supportati logisticamente e tatticamente dagli Stati Uniti del presidente Reagan e del deputato Democratico Charlie Wilson, si dimostrarono ancora una volta un popolo di soldati indomiti.

 

LA STORIA PASSA DA QUI – Dall’Afghanistan passerà ancora una volta la storia, perché la vittoria a Kabul è il primo obiettivo che la NATO dovrà darsi, secondo il gruppo di esperti riuniti e guidati dall’ex Segretario di Stato statunitense Madeleine Albright, per poter poi avviare quel processo di rinnovamento che sembra essere sempre più necessario a sessant’anni dalla firma del Patto Atlantico. L’Alleanza dovrà probabilmente essere ripensata in vista di un futuro che appare popolato da troppe incognite. Quello che sarà uno dei possibili percorsi è stato presentato a Bruxelles dalla Albright, che, come detto, ha riunito un gruppo di esperti per tentare di tracciare alcune linee guida, da sottoporre ai premier che dovranno mettere a punto il prossimo concetto strategico, che verrà presentato con buone probabilità al prossimo vertice di Lisbona. Novità fondamentale riguarda la possibile apertura alla Russia, che secondo la Albright dovrà essere qualcosa di più di un partner privilegiato dell’Alleanza Atlantica nei prossimi anni. Ci si aspettava da tempo una proposta di questo tipo, lascia un po’ basiti il fatto che a mettere in agenda la discussione sulla possibilità di legare la Russia alla NATO sia un’ex Segretario di Stato statunitense.

 

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VERSO NUOVI SCENARI – In concreto NATO e Russia potrebbero quindi trovarsi a collaborare per neutralizzare la minaccia iraniana, al contempo l’Alleanza dovrebbe inoltre continuare a proteggere i firmatari del Patto Atlantico dai nuovi nemici sullo scacchiere internazionale. Cercare di far rientrare le frizioni degli ultimi anni tra Mosca e Bruxelles sembra essere quindi il secondo obiettivo che la leadership della NATO dovrà perseguire nel prossimo futuro, anche se al momento il progetto appare di difficile realizzazione. Le relazioni con Mosca non possono certo dirsi idilliache e, al momento, il programma nucleare iraniano non rappresenta una minaccia per la Russia. Teheran sembra invece essere per il Cremlino una possibilità per bloccare, fintanto che sarà possibile, il tentativo della Casa Bianca di ricreare, e al contempo consolidare, la propria sfera d’influenza nel sud ovest asiatico. Altro punto delicato riguarda la difesa missilistica, tema su cui la leadership russa è parsa più volte intransigente. Difficilmente il Cremlino lascerà libertà di discussione o manovra diplomatica su temi delicati come quelli della Difesa e della Sicurezza, sia che le proposte siano condivise, o meno, dall’establishment. La leadership russa sembra soffrire ancora della “fobia dell’accerchiamento” che spinse Stalin ad innalzare quella cortina di ferro che portò alla divisione del mondo in due zone distinte quanto ideologicamente distanti tra loro. Il rapporto consegnato dalla Albright pare quindi essere un tentativo per far sì che i due acerrimi nemici possano lasciarsi definitivamente alle spalle un passato che non è poi così lontano. Sembra ancora prematuro il tempo in cui potremo assistere al completo superamento di paure ataviche, ma non è detto che questo possa trasformarsi nel primo, fondamentale passo, verso un futuro che potrebbe riservarci più di una sorpresa.

 

Simone Comi

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Una sorpresa dal Nord?

Tra le due Coree è senza dubbio quella più sfortunata e meno conosciuta. Ai Mondiali di Calcio, la Repubblica Democratica Popolare di Corea (questo il nome ufficiale della parte settentrionale della penisola asiatica) avrà l'opportunità di far parlare di sé non solo per dittatori discussi o per minacciosi progetti di armamento nucleare, bensì anche per motivi sportivi. Sarà dura però, in un girone che sembra non lasciare scampo all' “undici” di Pyongyang

Non capita spesso di sentire parlare di Corea del Nord in contesti legati allo sport, e in particolare al calcio. Per un mese (o più probabilmente meno, dato che il passaggio agli ottavi sembra un'impresa proibitiva) la nazione asiatica sarà impegnata in sfide diverse dal consueto: non più minacce nucleari rivolte alla comunità internazionale e in primis alla vicina Corea del Sud, ma partite in programma ai Mondiali sudafricani.

Potrebbe essere una ventata d'aria fresca per una popolazione che da decenni vive nell'isolamento di uno degli ultimi regimi totalitari rimasti sul pianeta al giorno d'oggi. La Repubblica Democratica (anche se questo aggettivo sembra davvero una parola grossa) Popolare di Corea, infatti, non è caratterizzata per essere semplicemente uno Stato autoritario, come ce ne sono ancora tanti, ma per essere ancora una dittatura basata sul culto della personalità del proprio leader, Kim Yong-Il.

Dietro alle dimostrazioni di presunta forza militare, che si esplicitano nelle cicliche minacce legate allo sviluppo di un progetto di riarmo nucleare e ai periodici lanci di missili che vengono qualificati dalle autorità di Pyongyang con il nome di “esercitazioni militari”, si nasconde uno Stato in balia della povertà e dell'isolamento. L'economia nazionale si caratterizza infatti per un centralismo assoluto di stampo sovietico e per una chiusura pressochè totale agli scambi internazionali. I settori produttivi sono obsoleti ed inefficienti e concentrati prevalentemente nell'industria bellica: la povertà della popolazione è talmente elevata che la maggior parte degli abitanti sono vittime di una perenne carestia dovuta alla mancanza di alimenti, che il Paese riceve in larga parte attraverso aiuti internazionali (anche dai “nemici” Stati Uniti nell'ambito del World Food Program). La sopravvivenza di questo regime che al giorno d'oggi potrebbe apparire quantomeno anacronistico è data dal sostegno più o meno esplicito fornito dalla Cina, che è il primo partner commerciale e che esercita una certa influenza geopolitica nei confronti di Pyongyang, utile “spina nel fianco” per Corea del Sud e Giappone.

CAFFE' IN PILLOLE

  • La Corea del Nord rappresenta, insieme a Cuba, l'ultimo retaggio della Guerra Fredda: il 38° parallelo di latitudine Nord, linea di confine tra Nord e Sud, infatti, fu scelta come linea di demarcazione dei due Stati. Seul passò sotto l'egida statunitense abbracciando i principi dell'economia di mercato e, in seguito, della democrazia occidentale, mentre Pyongyang rimase in orbita sovietica, subendo il regime totalitario di Kim Il-Sung ed ora del figlio Kim Jong-Il.

  • La Costituzione prevede che Kim Il-Sung, deceduto nel 1994, sia ancora formalmente il Capo dello Stato, dato che è investito della carica di “presidente perpetuo”. Tali stranezze fanno parte del culto della personalità che in Corea del Nord giunge a livelli estremi.

  • Per quanto riguarda il PIL pro capite, la Corea del Nord è al 188° posto nel mondo su un totale di circa duecento Stati. Una statistica spesso sterile, ma che la dice lunga sulla drammatica situazione economica del Paese.

RIPETERE L'IMPRESA

Risale al 1966 l'unica precedente partecipazione della Corea del Nord ai Mondiali di calcio. Una presenza che noi italiani, nostro malgrado, ci ricordiamo bene: gli sconosciuti asiatici infatti ci eliminarono agli ottavi di finale (uscirono poi ai quarti) grazie ad un goal di Pak Doo Ik, di professione dentista ma calciatore per diletto. Gli azzurri tornarono in Italia accolti da fischi e sonore contestazioni dopo una che rimane tra le sconfitte più disonorevoli della nostra nazionale.

Quest'anno i nordcoreani ci riprovano: difficile individuare una stella nella rosa degli asiatici, che militano quasi tutti nel campionato nazionale. Difficile, però, ipotizzare il passaggio del turno: nel gruppo G, con Brasile, Portogallo e Costa d'Avorio, l'undici di Pyongyang può aspirare solamente ad interpretare il ruolo di squadra “materasso”.

GEOPALLONE

Anche per uno Stato dai lati “oscuri” come la Corea del Nord il calcio rappresenta un elemento dotato di significato politico e sociale. Oltre ai numerosi derby giocati contro la “sorella” Corea del Sud (una sola vittoria all'attivo dei settentrionali finora) vi è da registrare un episodio passato alla storia delle proteste del tifo contro le decisioni arbitrali. Marzo 2005, Pyongyang: si gioca un match contro l'Iran, decisivo per le qualificazioni ai Mondiali 2006. Un rigore negato ai padroni di casa scatena l'ira dei tifosi locali, che gettano pietre, seggiolini e bottiglie in campo e invadono il terreno di gioco cercando di aggredire i giocatori ospiti. La partita venne fatta terminare a Bangkok, in Thailandia. Il calcio, dunque, come valvola di sfogo per una popolazione prostrata da decenni da un regime oppressivo e chiuso verso l'esterno. Il detto romano “panem et circenses” è sempre attuale: ai coreani, purtroppo, manca pure il “panem”.

Davide Tentori

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Il ritorno delle aquile

Gli ultimi dieci anni di storia nigeriana raccontano di un Paese che assume consapevolezza delle proprie risorse ma che fatica a trovare la propria via per crescere. Dal 1999, anno in cui viene approvata la Costituzione, si sono susseguiti momenti di grande violenza a importanti passi verso la costruzione di uno Stato di diritto. Ed il movimento sportivo e calcistico non è rimasto certo a guardare.

IL PAESE I motivi per cui la Nigeria guadagna la ribalta sui mezzi di informazione solitamente sono legati ai suoi grandi giacimenti petroliferi, dove anche le aziende italiane hanno grandi partecipazioni, agli scontri sanguinosi tra musulmani e cristiani ed al MEND, il gruppo armato che tanto terrorizza gli investitori stranieri. Oggi è invece di grande importanza raccontare come il Paese sia riuscito a venir fuori da una pericolosa impasse politica dovuta alla prolungata malattia e poi alla morte, ad inizio maggio, del Presidente Umaru Yar’Adua, usando gli strumenti istituzionali e preservando gli equilibri etnico-religiosi che rappresentano la chiave di volta per lo sviluppo del Paese. Oltre alla Costituzione ed alle leggi, la politica nigeriana sembra infatti rispettare una regola non scritta, secondo la quale la Presidenza e la Vice-Presidenza debbano alternarsi tra rappresentanti del sud cristiano e del nord musulmano. Durante i mesi di malattia di Yar’Adua, musulmano, il suo Vice Goodluck, cristiano, ha preso le redini del Paese; morto Yar’Adua la nomina di un nuovo vice Presidente musulmano ha così scongiurato la sicura esplosione di tensioni interne.

CAFFÈ IN PILLOLE

  • La Nigeria ha una popolazione di circa 150 milioni di persone, con quasi 200 gruppi etnici, 500 lingue locali, due religioni principali, Cristiana e Musulmana. Vigono sia leggi di tipo occidentale (common law anglosassone) che la Sharia islamica.

  • La sua principale risorsa economica è il petrolio, di cui è il 16° produttore mondiale; questo rappresenta oltre l'80% delle entrate del Paese ed i pozzi sono concentrati quasi totalmente nel delta del fiume Niger. Dopo le gravissime difficoltà di gestione degli anni passati, che hanno di fatto azzerato i benefici economici per la popolazione e creato tensioni ed iniquità, il Governo mira ad una riforma del settore (con il Petroleum Industry Bill), che consenta a Governo e società petrolifere di aumentare efficienza e capacità industriali, nonché di superare l’enorme scoglio legato alla corruzione legata all’industria petrolifera.

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LE AQUILE TORNANO A VOLARE?

I giocatori della Nazione di calcio sono soprannominati le Super Aquile, anche se in realtà negli ultimi anni hanno volato davvero basso. Quest’anno giocheranno il girone di qualificazione contro Grecia, Corea del Sud e Argentina, con la quale c’è un vero e proprio conto (sportivo) aperto. La squadra è al 20° posto nel ranking FIFA (terza squadra africana dopo Egitto e Cameroon) e si è guadagnata gli onori del calcio con l’ottimo Mondiale di USA 1994. Dopo un buon Mondiale 1998 il declino della prima squadra è stato però costante, fino alla clamorosa mancata qualificazione per Germania 2006. La formazione giovanile ha avuto invece ben altra gloria: eclatante vittoria alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996, battendo l’Argentina in finale, e poi di nuovo finalisti olimpici a Pechino 2008, stavolta battuti dagli stessi sud-americani.

Se dal punto di vista socio-economico e politico i Paesi africani rimangono in basso nelle classifiche mondiali, dal punto di vista sportivo invece diversi tra questi hanno conquistato posizioni importanti e la Nigeria è in questo gruppo.

GEOPALLONE L’impatto delle condizioni politiche sullo sport e sul calcio nigeriano è legato ad un evento di grande importanza simbolica: alla Nigeria venne infatti revocata l’assegnazione dei Campionati Mondiali di Calcio Giovanili del 1995, e venne anche promosso dai Paesi Occidentali un “boicottaggio dello sport” nigeriano per via della repressione nei confronti di attivisti politici ed in particolare per il caso dello scrittore Ken Saro-Wiwa (nella foto), schierato duramente contro le attività della compagnia petrolifera Shell in Nigeria. Lo scrittore ed altri otto attivisti vennero giustiziati per le loro attività e per questo, inoltre, l’Unione Europea impose sanzioni per circa tre anni ed il Commonwealth sospese il Paese per lo stesso periodo. L’allora Presidente FIFA Joao Havelange, che sosteneva il movimento calcistico africano, scatenò dure reazioni a livello internazionale per via di una sua visita ufficiale in Nigeria proprio nel 1995, vista come una legittimazione del regime nigeriano, nonostante le gravi accuse pendenti su di esso.

Ma questo non è l’unico caso in cui calcio e politica si sono sovrapposti, e proprio il Sud Africa di Mandela ne fu protagonista, in occasione della Coppa delle Nazioni Africane del 1996. In quell’occasione la Nazionale nigeriana, campione in carica, scelse di non prender parte alla competizione: decisione politica seguita ai duri scontri tra l’allora leader nigeriano, il Gen. Abacha, ed il Presidente sudafricano Mandela che lo criticava aspramente per le repressioni in corso e che promuoveva il boicottaggio del petrolio nigeriano.

Quest’anno, se Nigeria e Sud Africa supereranno i rispettivi gironi di qualificazione, potrebbero scontrarsi agli ottavi di finale: per fortuna le condizioni politiche sono molto cambiate, ed il primo Mondiale africano, nell’anno in cui si celebrano i 50 anni di indipendenza africana, potrà essere motivo di orgoglio sportivo.

Pietro Costanzo

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Settimana dal 3 al 9 maggio

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La ventitreesima puntata: "Cuba…sempre meno Libre"

La ventiquattresima puntata: "L'Egitto tra palco e realtà"

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