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"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

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Le due facce di Galileo

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Ieri, giovedì 29 Marzo, si è conclusa la conferenza di presentazione a conclusione del primo segmento attivato all'interno del Progetto Galileo, nato dalla cooperazione tra Unione e Agenzia Spaziale Europea. Il sistema orbitante vanterà entro la fine del 2019 ben 30 satelliti coordinati da vari centri di comando a terra e permetterà all'Europa di ottenere un sistema di navigazione satellitare globale indipendente dal GPS made in USA. Dietro ai progetti spaziali di Bruxelles, tuttavia, non c'è solamente l'obiettivo civile della navigazione aerea, marittima e terrestre, ma anche uno sguardo di lungo periodo sugli aspetti militari della tecnologia. La Politica di Sicurezza e Difesa europea, dopo aver ottenuto aspre critiche per la sua spettralità, attende ora un nuovo alleato sopra le nostre teste in grado di razionalizzare la cooperazione in materia.

ESA, NON SOLO UE – L'Agenzia Spaziale Europea è nata ufficialmente nel 1975 in seguito al fallimento comunitario nell'integrazione della ricerca spaziale sulle implicazioni scientifiche e sullo sviluppo di sistemi di lancio terrestre. ESRO ed ELDO, le due entità impegnate in tali campi, vennero così inglobate in un'unica agenzia che ha iniziato i suoi lavori nel 1980, portando verso importanti mete l'impegno spaziale nel vecchio continente. Oltre ad alcuni dei 27 membri UE, anche Norvegia e Svizzera prestano strutture, fondi e conoscenze all'ESA estendendo così il campo d'azione dei programmi scientifici e industriali.

TRA ROMA E PARIGI – Pur figurando solo terza tra i contribuenti ai progetti obbligatori e facoltativi dell'ESA, l'Italia è tra gli Stati più lanciati verso l'implementazione di una politica spaziale nazionale. Tramite l'ASI, l'agenzia spaziale italiana, i ministeri di Ricerca, Difesa e Telecomunicazioni contribuiscono a garantire alle industrie nostrane nuovi sbocchi e nuovi mercati per il know-how sviluppato nel tempo. Da parte sua la Francia è un membro fondamentale dell'ESA, oltre a garantire la preziosissima base equatoriale di lancio di Kourou (Guyana), per il settore di punta dei sistemi di lancio, dove l'azienda privata Arianespace detiene un quasi-monopolio a livello UE. Francia e Italia sono gelose delle competenze individuali che si sono ritagliate nell'ambito più vasto della cooperazione sotto l'egida dell'ESA, ma quando i competitors in campo sono USA e Russia, la via del compromesso rimane la più breve.

L'UNIONE FA LA FORZA – E' stata proprio una considerazione di tipo realista a portare le grandi partecipate del settore rispettivamente Alenia Spazio (Finmeccanica) e Thales (Alcatel) a fondersi in una delle multinazionali più importanti del settore aerospaziale e nella costruzione di moduli orbitali. Thales Alenia Space è un colosso con 11 siti industriali in 4 paesi europei, con un ricavo di 2 miliardi di euro nel 2010 e circa 7000 impiegati, ha svolto un ruolo di prim'ordine nello sviluppo dei sistemi di servizio ed integrazione del progetto Galileo. Peraltro Roma e parigi continuano a coltivare talenti e conoscenze al di fuori di tale cooperazione con Arianespace che continua a detenere il 60% del mercato mondiale di lancio e posizionamento di satelliti in orbita, compiendo in circa 25 anni 190 lanci commerciali. Finmeccanica non è da meno, con le sue spin-off Selex e Telespazio ha svolto un ruolo primario nello sviluppo del satellite israeliano Shalom e si è aggiudicata qualche settiamana fa la commessa per il satellite turco Gokturk.

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PERCHE' GALILEO? – Dando uno sguardo allo strapotere americano sul fronte dei sistemi di navigazione e posizionamento globale (GPS) ci si potrebbe chiedere quale motivo abbia spinto l'ESA a sviluppare un progetto analogo e concorrente come Galileo. La ragione fondamentale è che il GPS statunitense nacque come sistema prettamente militare, per garantire una guida sicura ai sistemi missilistici intercontinentali e una navigazione certa ai piloti dell'USAF. Il programma subì una notevole accelerazione nel 1983 in seguito al famosissimo incidente che coinvolse un volo di linea coreano abbattutto per essere sconfinato accidentalmente in territorio sovietico, dove videro la morte 269 tra passeggeri e personale d bordo. Progettato per vestire le richieste della difesa americana il GPS ha subito negli ultimi anni un'estensione significativa nella navigazione marittima, nella telefonia mobile, nella gestione di emergenze e nella mappatura di zolle tettoniche e traffico aereo. L'eccessivo ampliamento delle declinazioni del sistema ha evidenziato alcune falle gravi e di conseguenza nuove possibilità di sviluppo concorrenziale. La scarsa copertura delle aree polari, l'eccessiva approssimazione di dati e coordinate e la mancanza totale di copertura per eventuali malfunzionamenti o sospensioni del servizio causa sicurezza nazionale, hanno portato l'ESA a pensare ad un'alternativa in versione prettamente civile della tecnologia a doppio-uso.

SUCCESSI, CRISI E RITARDI – Con i lanci avvenuti con successo dei satelliti Giove-A(2005) e Giove-B(2008) l'Unione Internazionale per le Telecomunicazioni ha garantito al sistema le frequenze radio necessarie per i test iniziali del progetto. Nel 2009 con l'incombere della crisi economico-finanziaria, i partner europei sono stati costretti a tagliare alcuni contributi necessari all'effettivo spiegamento del sistema, portando ad un ritardo nella data finale di entrata in funzione. Il 21 ottobre 2011 sono stati lanciati 2 dei 4 satelliti che nel corso del 2012 garantiranno la conclusione positiva della fase di validamento orbitale delle tecnologie destinate all'attivazione totale entro la seconda decade del duemila. Nella giornata di ieri l'ESA ha compiuto un un'ulteriore fase di completamento dei test preliminari delle funzioni, presentando ufficialmente le prossime tappe del percorso di Galileo.

L'OMBRA DEL DUAL-USE – Nonostante Galileo si presenti come uno dei risultati più positivi della cooperazione UE-ESA in campo spaziale, restano aperte alcune falle critiche nella caratterizzazione tutta civile del nuovo sistema europeo di navigazione. Pur essendo Galileo immatricolato come oggetto spaziale civile ad uso civile-commerciale infatti, la Politica europea per la Difesa e la Sicurezza potrebbe beneficiare ampiamente delle implicazioni ibride del sistema. L'attuale sistsema GPS offre già tali spazi di utilizzo garantendo possibilità di coordinamento logistico-operativo nello svolgimento di joint-operations in scenari instabili o in azioni di anti-terrorismo. Il completo dispiegamento del sistema Galileo garantirebbe inoltre l'indipendenza dell'Agenzia Europea per la Difesa dalle strutture satellitari americane, così come un'ambivalenza di fondo nell'integrazione strategica in campo NATO. A livello militare Galileo potrebbe quindi arrivare fino al punto di staccare quel cordone ombelicale che lega a doppio filo Bruxelles, Mons e Washington, garantendo all'UE maggiori possibilità di coordinamento solitario e un'indipendenza logistico-militare mai del tutto assaporata.

NELLE MANI DI CHI – La vera sfida che quindi si pone tra i vari membri di UE ed ESA è a chi affidare la gestione di politiche così innovative in campo strategico-operativo. Se il coordinamento tra Difesa Europea e Nato sembra destinato a proseguire nel tempo, è anche vero che dal punto di vista della sicurezza e difesa, Bruxelles da ancora adito a dubbi e incertezze di fondo riguardo all'intenzione reale dei 27 verso l'integrazione definitiva. Come ogni nuovo tassello nell'incredibile mondo della ricerca scientifica e tecnologica, anche la riuscita del progetto Galileo sarà determinata dalle figure e dalle struttiure che saranno chiamate a gestirlo de facto. Solo una volontà chiara e condivisa verso l'implementazione finale delle lacune europee in materia di sicurezza e proiezione internazionale garantiranno che tutti i passi finora compiuti non portino verso un deludente vicolo cieco.

Fabio Stella [email protected]

Venti di guerra

Nella comunità internazionale sale la preoccupazione per nuovi scontri al confine tra Sudan e Sudan del Sud, mentre le tensioni tra Etiopia ed Eritrea si spostano verso l’estero, chiamando in causa anche USA e Italia. L’Unione Africana parte alla caccia di Joseph Kony con 5mila soldati, in Somalia continua la guerra ad al-Shabaab e in Malawi il Presidente deve fronteggiare una dura contestazione. La Tanzania cresce a ritmi elevati, nonostante il deficit e l’inflazione e, a proposito di economia, una donna nigeriana è candidata alla presidenza della Banca mondiale. In chiusura, la catastrofe ecologica del lago Ciad e qualche dato sulle religioni in Africa

 

VENTI DI GUERRA IN SUDAN – Voci allarmanti giungono dal confine tra Sudan e Sudan del Sud, dove da martedì 27 sono in corso scontri piuttosto violenti. Ancora non ci sono particolari specifici, ma solo le reciproche accuse delle parti in causa. Il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, è stato molto deciso con la BBC: «È guerra», ha detto raccontando che le Forze armate di Khartoum prima avrebbero bombardato alcuni pozzi di petrolio, quindi avrebbero varcato via terra il confine. Di segno opposto la versione del Sudan, che imputa alla controparte il primo atto di bellicosità. Al-Bashir, comunque, ha annullato il viaggio a Juba, durante il quale si sarebbe dovuta avviare una nuova fase delle negoziazioni di pace.

 

SCONTRI DIPLOMATICI TRA ETIOPIA ED ERITREA – Una settimana dopo l’incursione etiope in territorio eritreo, la tensione sembra spostarsi verso l’ambito diplomatico. Da Asmara, il presidente Isaias Afewerki ha accusato gli Stati Uniti di aver partecipato alla pianificazione del raid con lo scopo, a tutto vantaggio dell’Etiopia, di deviare l’attenzione dai contrasti di confine. Secondo il capo di Stato eritreo, Addis Abeba e Washington, alleati strategici nel Corno d’Africa, avrebbero agito per giustificare la persistenza di truppe etiopi nella regione di Badme, nonostante questa sia stata assegnata da un’apposita commissione all’Eritrea nel 2002. Afewerki ha concluso dichiarando che gli Stati Uniti sarebbero anche dietro le sanzioni imposte dall’Onu ad Asmara per aver rifornito di armi i guerriglieri islamisti somali, accusa che il Presidente ritiene falsa e funzionale solo a favorire gli interessi di Washington. L’Etiopia, invece, ha criticato le parole del Ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi circa la necessità di evitare ogni ricorso alla forza. Il ministro degli Esteri etiope ha affermato che l’Italia sia intervenuta nella questione sulla base di informazioni false ed evitando faziosamente i riferimenti ai legami tra l’Eritrea e i ribelli afar, autori in gennaio dell’uccisione di cinque turisti europei. Secondo il governo etiope, Roma cercherebbe di coprire il ruolo destabilizzante di Asmara nella regione: il comportamento italiano, pertanto, è potenzialmente pericoloso per la sicurezza di Etiopia e Corno d’Africa. Al momento, dalla Farnesina non sono arrivate repliche, ma la vicenda è emblema del disordine diffuso che la ripresa di un conflitto tra Etiopia ed Eritrea potrebbe causare, a discapito del già fragile mosaico regionale.

 

IN 5.000 ALLA CACCIA DI KONY – Facendo eco alle forti pressioni statunitensi, l’Unione Africana ha disposto l’impiego di 5mila soldati per la cattura di Joseph Kony, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e al centro della celebre campagna mediatica di Invisible Children. Il contingente agirà in Sud Sudan, Repubblica democratica del Congo, Centrafrica e Uganda, coordinandosi con i cento militari inviati dal presidente Obama nello scorso ottobre e potendo contare sul sostegno dell’intelligence di Washington.

 

LE ULTIME DALLA SOMALIA – Secondo quanto riportato dal capo della sezione politica di Ahlu Sunna Waljama’a, gruppo islamico a favore del governo di Mogadiscio, la scorsa settimana oltre cento miliziani al-Shabaab sarebbero stati uccisi in combattimento presso la città di Dhusamareb, nella Somalia centrale. Venerdì, poi, un numeroso contingente etiope ha raggiunto la città di Guri’el nel Galmudug, accampandosi in prossimità del centro abitato. Nel frattempo, l’Unione Europea ha annunciato che l’Operazione Atlanta sarà estesa fino al 2014 e, sulla base del nuovo mandato, la lotta alla pirateria potrà essere condotta anche sulla terraferma, sebbene ancora non siano stati rilasciati ulteriori dettagli.

 

UNA DONNA NIGERIANA ALLA BANCA MONDIALE? – Sarà una donna la candidata dell’Africa alla presidenza della Banca mondiale: si tratta di Ngozi Okonjo-Iweala, ministro nigeriano delle Finanze. A comunicarlo è il Sudafrica che, insieme con l’Angola e la stessa Nigeria, occupa uno dei tre posti riservati al continente nero nel consiglio dell’Istituto internazionale.

 

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LAGO CIAD: UNA CATASTROFE ECOLOGICA – La FAO ha definito «una catastrofe ecologica» quanto sta accadendo al lago Ciad, ormai ridotto a solo un quinto dei 26mila chilometri quadrati del 1963: basti pensare che alcuni centri abitati che un tempo sorgevano sulle sue rive, adesso distano anche venti chilometri. A incidere sono stati soprattutto i metodi errati d’irrigazione e la pesca intensiva, cosicché le sue sponde sono divenute oggetto di dura contesa tra le popolazioni locali e, addirittura, all’interno delle stesse comunità. La Commissione per il lago Ciad, costituita da Ciad, Nigeria, Camerun, Niger e Repubblica centrafricana, si è impegnata in un ambizioso progetto che prevede la costruzione di una diga e di sessanta miglia di canali per condurre l’acqua dal fiume Congo al Chari, affluente del lago.

 

IL PRESIDENTE DEL MALAWI IN BILICO – La tensione in Malawi sta crescendo ogni giorno di più. Il presidente Bingu wa Mutharika ha inasprito con forza il controllo sulla popolazione e si è allontanato da molti dei maggiori sostenitori esteri del Paese. Nonostante le politiche di rigore, il deficit a fine anno supererà di gran lunga i 120 milioni di dollari, anche a causa del tracollo della produzione agricola, soprattutto di tabacco. Il 75% della popolazione vive con meno di 2$ il giorno e alcuni oppositori di Mutharika sono stati costretti al silenzio: addirittura, gli istituti scolastici che hanno affrontato il tema della Primavera araba sono stati chiusi per un semestre, e i docenti incarcerati. In questo contesto, giovedì scorso, il Public Affairs Committee (PAC), un gruppo di attivisti religiosi che ha avuto ruolo primario nella storia del Malawi, ha chiesto al Presidente di dimettersi, oppure di indire un referendum sul proprio operato, minacciando in caso contrario una campagna di «disobbedienza civile».

 

CRESCITA RECORD IN TANZANIA – Secondo le stime della Banca della Tanzania, il Pil di Zanzibar crescerà del 7,9% nel 2012, facendo registrare un netto miglioramento rispetto all’anno precedente. A influire positivamente saranno un forte incremento dei turisti e la produzione eccezionale di chiodi di garofano. Il problema principale resta tuttavia l’inflazione, salita dal 6% del 2010, al 20,8% del dicembre 2011 e dovuta soprattutto all’aumento dei prezzi di petrolio, riso e pesce. Mentre la Banca centrale comunicava queste cifre, il governo illustrava al viceministro cinese ai Trasporti, Li Jinzao, in visita nel Paese, un progetto da 524 milioni di dollari finanziato dalla China Exim Bank per l’ampliamento del porto di Dar el-Salaam, destinato a essere il maggior punto d’ingresso dell’Africa orientale per le merci della Repubblica Popolare.

Le terre rare di Pechino

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Nuove tensioni. Stati Uniti, Ue e Giappone accusano la Cina per le restrizioni imposte sull'esportazione di terre rare. Ma l'estrazione di questi essenziali metalli è estremamente inquinante. E Pechino è stanca di essere la miniera del mondo a prezzi scontati ed ora vuole cominciare a trarre vantaggi, non solo economici ma anche politici, dallo sfruttamento di queste risorse

Tratto da "China Files"

 

OBAMA FA CAUSA – Il 13 marzo Barack Obama ha annunciato che Stati Uniti, Unione Europea e Giappone hanno formalmente intentato causa alla Cina di fronte all’Organizzazione mondiale del commercio perché -sostengono- le quote, i dazi e le altre limitazioni imposte dal governo cinese sull’esportazione di terre rare non sarebbero legali. Il caso segue direttamente quello vinto a gennaio per l’esportazione di alcuni minerali rari. La reazione di Pechino non si è fatta attendere. In una vignetta pubblicata dal China Daily si vede un diplomatico cinese mentre tratta con una controparte occidentale a due teste: l’una grida di rispettare l’ambiente, l’altra di esportare più terre rare (l'estrazione di questi materiali è, di fatto, un processo altamente inquinante). COSA SONO LE TERRE RARE? – Le terre rare sono metalli forse poco conosciuti dal grande pubblico ma estremamente diffusi in un gran numero di industrie. Sono indispensabili per produrre telefonini, computer, applicazioni elettroniche di vario genere e sono fondamentali per la guerra tecnologica del ventunesimo secolo, il che le rende un settore altamente strategico. È necessario sbarazzarsi fin da subito da una confusione lessicale: i 17 metalli che fano parte di questa categoria non sono poi così difficili da trovare. Al contrario, sono piuttosto comuni, basti pensare che il cerio è il venticinquesimo elemento più comune della tavola periodica. Il problema non è la loro presenza, ma il degrado ambientale che solitamente accompagna i processi di estrazione e lavorazione. Processi che, negli ultimi anni, sono stati sempre più delocalizzati verso paesi non occidentali, Cina in primis. Con il risultato che oggi il Dragone controlla il 90 per cento della produzione mondiale (nonostante detenga “solo” il 36 per cento delle riserve planetarie). Fino all’inizio del XXI secolo, gli Stati Uniti erano il principale produttore, ma negli ultimi anni l’estrazione è continuamente diminuita. La combinazione di avanzati standard ambientali nei Paesi industrializzati e bassi costi di produzione dei Paesi in via di sviluppo (negli anni Novanta la Cina praticava prezzi coi quali le industrie dei paesi industrializzati potevano solo sognare di poter competere), ha reso irresistibile la tentazione di andare all’estero. E questo non sembrava dispiacere a nessuno, almeno finché i costi per il prodotto finito erano bassi. L’appetito mondiale per le terre rare –nessuno vuole farsi mancare un iPhone, al giorno d’oggi- ha continuato a crescere, ma i prezzi contenuti hanno tenuto il problema in secondo piano. FINITA LA PACCHIA – Le cose sono cambiate negli ultimi anni, con i costi in fase di decollo. Secondo quanto riportato dalla Lynas Corporation Ltd, un’azienda australiana del settore, il valore di alcuni metalli sarebbe cresciuto di sei volte in soli tre anni, dal 2009 a oggi. Considerando anche le aspettative della domanda futura non stupisce che le preoccupazioni siano cresciute proporzionalmente. Non sorprende neanche che le limitazioni cinesi sulle esportazioni si siano tradotte in tensione politica. Riferendosi a questo caso, il Commissario europeo per il commercio Karel De Gucht ha dichiarato che “le restrizioni imposte dal governo cinese sull’esportazioni di terre rare ed altri prodotti violano le regole internazionali del commercio e devono essere rimosse. Queste misure danneggiano produttori e consumatori in Europa e nel mondo, inclusi le aziende produttrici di tecnologia d’avanguardia e del settore delle tecnologie ambientali”. Il messaggio è essenzialmente lo stesso lanciato da Ron Kirk, il rappresentante per il commercio americano: “Dal momento che la Cina è il più grande produttore globale di questi elementi essenziali, le sue politiche sono dannose e mantengono i prezzi artificialmente alti all’estero e artificialmente bassi sul mercato nazionale. Questa dinamica crea un importante vantaggio per le imprese cinesi in competizione a discapito di quelle americane”. “Queste restrizioni contribuiscono a mettere pressione sui produttori perché trasferiscano le loro attività, i loro posti di lavoro e le loro tecnologie in Cina” ha aggiunto. 

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CHE DICE LA CINA? – La posizione cinese sull’argomento è chiara: l’estrazione delle terre rare ha posto al Paese un costo ambientale troppo elevato. La Cina non può continuare ad essere la “miniera del mondo” senza ottenerne dei vantaggi. Liao Jinqiu, deputato dell’Assemblea nazionale del popolo e professore all’Università della finanza dello Jiangxi, ribadisce la linea del governo quando afferma che “[noi cinesi] dobbiamo ridurre lo sfruttamento delle terre rare per proteggere il nostro ambiente [..] è ora di porre fine all’era delle terre rare a prezzi economici”. In realtà, è probabile che le preoccupazioni ambientali non salveranno la Cina, perché la causa è analoga a quella che Pechino ha perso solo pochi mesi fa. La migliore carta disposizione sarà probabilmente il fatto che, con la crisi economica in corso, le quote imposte non sono state nemmeno raggiunte. In altre parole, i limiti imposti dal governo si sono rivelati insignificanti. Shen Danyang, portavoce del ministero degli esteri, ha dichiarato che questa situazione “dimostra che la Cina è un membro responsabile dell’Omc”. E, in ogni evenienza, “la Cina ha altri metodi per regolare le terre rare e la loro esportazione, per esempio l’imposizione di una tassa sulle risorse o di una per la protezione ambientale” annuncia sibillino il Global Times. Al di là di questo specifico problema, resta la situazione generale del commercio internazionale, che registra crescenti pressioni protezionistiche. Recente è stato il caso delle tariffe imposte dall’amministrazione americana sull’importazione di pannelli solari dalla Cina. Modeste, ma pur sempre misure per combattere l’export cinese. E già nel 2009 aveva fatto notizia la tariffa del 35 per cento voluta dall’America sull’importazione di pneumatici cinesi (l’appello di Pechino all’Omc era fallito). Le elezioni presidenziali americane sono in arrivo e il prossimo autunno avrà luogo il cambio di leadership ai vertici cinesi. Se si aggiunge che l’opinione pubblica americana è sempre più preoccupata dall’ascesa del Dragone, ben si capisce perché l’amministrazione Obama non voglia fare la parte del coniglio. Mostrarsi forti con i rivali – specialmente se appartengono alla categoria dei bad guys – è un must politico per la prima potenza mondiale. Non è chiaro, però, se si tratti solo di promesse da campagna elettorale o se non siamo di fronte a un parziale cambiamento di rotta delle politiche commerciali globali. Per capirlo occorrerà aspettare qualche anno. Intanto, un indizio dovrebbe arrivare proprio dalla disputa sulle terre rare. Michele Penna [email protected]

L’atomo fuggente

I 7 giorni che ci accompagnano verso il mese di Aprile si concentrano principalmente attorno al Summit per la Sicurezza Nucleare che si apre oggi a Seul con la partecipazione di capi di Stato e di governo da tutto il mondo. A margine l'UE torna ai suoi vertici economici per cercare nuove vie d'uscita dalla crisi, con Angela Merkel forte di un altro successo elettorale, mentre in Sud America tiene banco la visita di Papa Benedetto XVI. Attesa in Myanmar e Senegal sul fronte elezioni, mentre in Libia ci si interroga sull'effettivita del governo del CNT. La Turchia resta stretta tra Iran e mondo occidentale, niente di meglio di una tappa a Teheran per Erdogan in vista di una decisione finale sull'embargo petrolifero e sul destino del programma nucleare iraniano.

EUROPA

Lunedì 26 – Si riunisce a Bruxelles il Consiglio dell'Unione in formazione Affari Generali per discutere alcune questioni importanti riguardanti il nuovo Framework Finanziario Pluriennale. Tra le materie soggetto ad approfondimento troveranno sicuramente spazio temi quali "Crescita economica inclusiva", "Previdenza sociale e flessibilità neòl mondo del lavoro", già ribaditi durante il Consiglio Europeo dell'1 e 2 Marzo. L'appuntamento sarà sicuramente l'occasione per discutere a livello europeo la riforma del mercato del lavoro intrapresa dal governo italiano secondo le linee guida dettate dalla BCE nell'agosto scorso.

Lunedì 26 – Si attendono con ansia i risultati definitivi delle elezioni elettorali tenutesi domenica nella Saarland, dove la CDU di Angela Merkel era data al testa a testa con i socialisti dell'SPD. In realtà la strategia difensiva dei cristiano-democratici dovrebbe essere riuscita ad arginare la perdita di consensi grazie all'annuncio della formazione di una grande coalizione di centro-sinistra. Gli exit-poll danno la CDU al 35%, l'SPD al 30% e Die Linke al 16%, con un bell'exploit del Partito Pirata, stimato intorno all'8%. Angela Merkel potrebbe quindi arrivare serena alle elezioni dell'anno prossimo, se è vero che l'aura di consenso che la sosteneva si è affievolita nel corso del mandato, i risultati di oggi non sembrano proiettare alcuna ombra sul futuro.

Venerdì 30-Sabato 31 – Meeting informale per il Consiglio dell'Unione, stavolta riunito sotto le insegne degli Affari economico-finanziari. Sull'agenda oltre a numerosi meeting bilaterali tra i vari Ministri europei ci sarà spazio per discussioni generali sull'opportunità di introdurre o meno la tanto bistrattata Tobin Tax, che da mesi viene rinviata per motivi prettamente politici. Al vaglio del Consiglio anche l'attuale situazione di stallo dei mercati sugli outlook delle varie economie a rischio: Grecia, Spagna e Italia in primis. Nonostante la situazione sui mercati si fosse allentata grazie agli interventi dei vari governi coordinati da Bruxelles e Francoforte, la crisi dell'Eurozona è ben lontana da essere un triste ricordo e continuerà a tenere alle corde l'Unione ancora a lungo.

AMERICHE

Lunedì 26 – Attesa logorante quella che attanaglia Cuba in queste ore per la visita imminente di Papa Benedetto XVI, dopo la controversa tappa in messico del suo viaggio in America Centrale. Intanto Amnesty International ammonisce la Comunità Internazionale sull'incremento esponenziale di casi di censura e imprigionamento arbitrario di giornalisti indipendenti sull'isola, 65 gli episodi registrati nel solo mese di marzo. Dal canto loro le autorità de l'Avana si dicono vittime di complotti propagandistici degli Stati Uniti, con il Ministro degli esteri Bruno Rodrigues sicuro che "Il tentativo di chi vuole disturbare questa visita apostolica con manipolazioni politiche e' destinato a fallire". Nemmeno il Papa si è fatto attendere sul fronte delle dichiarazioni, anticipando l'arrivo nell'isola con queste parole, "l'ideologia marxista come era concepita non corrisponde più alla realtà, devono trovarsi nuovi modelli con pazienza e in modo costruttivo. Questo processo richiede pazienza e decisione e vogliamo aiutarlo con spirito di dialogo per evitare traumi".

Lunedì 26 – E' una lotta senza fine quella di Hugo Chávez contro il cancro, nonostante le svariate operazioni e i periodici cicli chemioterapici nel buèn retiro ospedaliero cubano. Domenica il Presidente venezuelano ha fatto ritorno a l'Avana, in preda all'emozione generale per l'imminente visita del Papa, da lunedì sarà sottoposto ad un ulteriore ciclo di cure anti-tumorali per cercare di realizzare il progetto di correre per le elezioni del 7 ottobre. Strana presenza quella che Benedetto XVI dovrà subire, se già hanno fatto scalpore le sue dichiarazioni sul marxìsmo révolucionario, chissà che non abbia qualcosa da dire anche sul socialismo bolivariano, l'ideologia madre dell'uomo di Caracas.

ARGENTINA-REGNO UNITO – Sembrava aver raggiunto il suo climax la continua crisi politico-diplomatica tra Londra e Buenos Aires, in reltà invece di calmarsi la situazione continua a montare grazie ai continui gesti eclatanti su entrambe le sponde. In settimana è toccato al Perù di Ollanta Umala a prestarsi alla solidarietà tutta latina rifiutando alla fregata inglese HMS Montrose l'attracco al porto di Callao, non prima di annullare una visita ufficiale a Londra prevista per Maggio. Da pochi giorni è invece online il "Rapporto Rattenbach", memorandum scritto nel 1982 dall'omonimo Generale per tirare le somme sulla disastrosa guerra per le Malvinas. La stessa Presidenta Cristìna Kirchner ha presentato l'iniziativa in vista dell'anniversario del conflitto, che si celebra il 2 Aprile, descrivendola nell'intenzione "di voler mostrare una reale storia di sangue degli argentini''.

AFRICA

Lunedì 26 – Le difficoltà del governo centrale della Libia post Gheddafi passano anche per la sicurezza e la sorveglianza dell'aeroporto internazionale di Tripoli, lasciato sguarnito da una potente milizia proveniente da Zintan in seguito a polemiche e dibattiti. Khaled al-Zintani, il portavoce dei ribelli, ha confermato che l'aeroporto è ora senza alcun regime di protezione, in segno di protesta nei confronti del governo del CNT. Già in passato, la proliferazione di missili a corto raggio e gli svariati attentati nelle zone limitrofe alla struttura aveva gettato ombre inquietanti sugli uomini incaricati della sicurezza intorno alle piste. E' attesa al più presto una risoluzione della questione, intanto è bene interrogarsi sull'effettività del controllo del territorio da parte del governo, proprio nel periodo che precede le elezioni di giugno.

Martedì 27-Mercoledì 28 – Si sono chiusi domenica i seggi per il ballottaggio presidenziale in Senegal tra i due candidati maggioritari: Abdoulaye Wade e Macki Sall. Mentre sono attesi per martedì o mercoledì i primi risultati ufficiali, fa scalpore lo spoglio delle prime schede giunte dai seggi all'estero, in ogni stock registrato Wade avrebbe subito la rimonta dell'ex protegé Sall. Circa un mese fa al primo turno, era stato l'85enne Presidente uscente a godere della frammentazione delle forze d'opposizione, stavolta potrebbe proprio essere il fronte unito di chi si attende un cambiamento, la carta vincente dell'ex Ministro e Presidente del Parlamento. Quello che è certo, in queste caotiche elezioni, è che chiunque verrà eletto Presidente del Senegal, avrà davanti l'arduo compito di garantire un futuro migliore all'economia del paese, stroncata dall'alto tasso di disoccupazione, dai fallimenti e dall'inflazione arrembante.

MALI – Il Capitano Amadou Haya Sanogo, leader della giunta militare protagonista del colpo di Stato di mercoledì, potrebbe interpretare a breve la parte di Giano bifronte. Dopo aver guidato i militari di carriera che chiedevano più mezzi per combattere la minaccia settentrionale del Fronte per la Liberazione dell'Azawad, si è infatti lanciato nel week-end in un sostegno alla tregua e al negoziato. "Il popolo Tuareg e quello Arabo, sono nostri fratelli. Chiedo loro di raggiungermi immediatamente e di sedersi con me al tavolo dei negoziati, la mia porta è aperta, abbiamo bisogno di parlare del processo di pace". La calma relativa sembra essere tornata nella capitale Bamako, le sparatorie sono cessate e i negozi hanno ripreso le normali attività, ma i ribelli Tuareg hanno sfruttato il caos conquistando tre città al confine con l'Algeria. Stati Uniti, Unione Europea, Banca Mondiale e Unione Africana hanno momentaneamente sospeso ogni sorta di aiuti verso il paese, resta ora da vedere se Sanogo confermerà o meno l'alleanza con l'occidente per la lotta all'estremismo islamico nella regione.

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ASIA

Lunedì 26-Martedì 27 – Si aprono a Seul i lavori del Nuclear Security Summit, un forum informale lanciato nel 2010 a Washington per riunire i leader mondiali impegnati a garantire il contrasto alle minacce della proliferazione nucleare. Tre i grandi temi al centro del dibattito: prevenire la proliferazione e il traffico di armi nucleari verso il terrorismo internazionale, nuclear safety all'interno di strutture e depositi di stoccaggio, prevenzione nel traffico illecito di scorie e materiali nucleari. Sono attesi più di 50 tra capi di stato e di governo, Organizzazioni Internazionali, tra cui l'UE con Barroso e Van Rompuy, che avranno a disposizione un'ampia tribuna per dibattere questioni d'attualità come il programma nucleare iraniano e i recenti sviluppi relativi a Pyongyang.

Lunedì 26 – Non c'è ancora la conferma ufficiale di Washington ma sembra ormai sicuro che Barack Obama incontrerà, a margine del Summit di Seul, il primo ministro pakistano Yousuf Raza Gilani. La prima visita d'alto profilo tra i due leader dopo l'uccisione di Osama Bin Laden ad Abbottabbad e in seguito all'incidente di frontiera tra elicotteri NATO e i 24 soldati pakistani, arriva nel periodo più teso per Islamabad. Lo stesso premier, confidandosi in settimana con un cronista, avrebbe gettato delle ombre sulle future elezioni politiche in Pakistan, dove nessun partito potrebbe raggiungere la maggioranza utile a formare un governo. L'incontro tra Obama e Gilani potrebbe sbloccare i valichi di frontiera con l'Afghanistan, chiusi in seguito ai bombardamenti NATO, da ottobre infatti i rifornimenti per le truppe ISAF giungono solo per via aerea, alzando fino a 6 volte i costi logistici della missione.

Domenica 1 Aprile – L'ora di Aung San Suu Kyi è giunta, ma la paladina della democrazia in terra birmana sembra aver accusato il peso di una campagna elettorale senza soste in ogni regione del paese. Nel round elettorale di domenica, in realtà una pura formalità di parziale apertura democratica, sono in ballo 6 seggi su 224 della Camera della Nazione e 40 su 440 della Camera dei Rappresentanti. L'elite militare al comando detiene il controllo di tutte le istituzioni para-democratiche della nazione tramite il suo braccio politico, il Partito per lo Sviluppo e l'Unione Solidale, ma nemmeno il Presidente e Generale Thein Sein è l'uomo forte di Naypyidaw. Solo Than Swe, Capo del Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo, ha l'ultima parola sulla vita politica in Myanmar, è stata sua la decisione di aprirsi alle richieste di democratizzazione provenienti dal mondo occidentale, con l'obiettivo di scansarsi dalla montante influenza di Pechino sul paese.

MEDIO-ORIENTE

Mercoledì 28-Giovedì 29 – Sa di appuntamento cruciale la visita ufficiale del premier turco Recep Tayyip Erdogan a Teheran, di ritorno dal Nuclear Security Summit di Seul. Negli incontri ufficiali con la leadership iraniana ci sarà spazio per una ridiscussione dei rapporti bilaterali, il progetto di una partnership strategica in campo energetico e i recenti sviluppi internazionali nell'area mediorientale. Proprio a Seul toccherà a Barack Obama tentare di convincere Erdogan ad applicare efficacemente le sanzioni dirette contro Teheran e il suo programma nucleare, anche se il leader turco sembra intenzionato a dare una chance alle controparti iraniane. Da non sottovalutare l'aspetto simbolico-provocatorio della visita persiana, un vero e proprio messaggio diplomatico lanciato ad Israele dopo la rottura di qualche mese fa.

Giovedì 29 – Appuntamento storico per l'Iraq del dopo Saddam Hussein e del futuro, con Baghdad pronta ad ospitare il 23esimo Summit della Lega Araba, nonostante le recenti falle nella sicurezza interna del paese. Più di 30mila gli appartenenti alle varie forze di sicurezza che presiederanno la capitale, prevista anche la chiusura dello spazio aereo sopra Baghdad per permettere l'efficienza totale dell'aeroporto internazionale e la sicurezza della famigerata Irish Route, la strada verso il centro-città nota per i numerosi agguati ed attentati. I temi sul tavolo riguardano principalmente il progetto di formare al più presto l'Unione Araba e la situazione in Siria, dove la Lega Araba è impegnata direttamente tramite la missione dell'inviato Kofi Annan. Tra gli assenti illustri figurano il Bahrein, soprattutto per le proteste dei manifestanti, e naturalmente la Siria, sospesa dai lavori dell'organizzazione regionale.

Sabato 1 Aprile – Nuovo meeting per gli organizzatori della Conferenza degli Amici della Siria, riunitasi il mese scorso a Tunisi per discutere sanzioni e misure contro il regime di Assad. Stavolta l'incontro avrà luogo ad Istanbul e sarà il Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu a tenere le redini delle trattative politico-diplomatiche. La Turchia è infatti seriamente impegnata nel sostegno dell'opposizione al regime di Damasco, tramite il supporto logistico all'Esercito Libero Siriano e l'accoglienza riservata al confine ai profughi degli scontri armati. La dichiarazione del Consiglio di Sicurezza di martedì, offrirà stavolta un barlume di copertura politica alla riunione che ricorda fin troppo la serie di coalition of the willings già viste all'opera nelle crisi internazionali più recenti.

Fabio Stella [email protected]

Terra Bruciata

L’Etiopia ha lanciato un attacco coordinato contro alcune basi militari in Eritrea, accusando il governo di Asmara di sostenere nascostamente i ribelli afar, mentre in Somalia il Kenya bombarda le basi terroristiche a nord di Chisimaio. In Egitto, grande lutto per la morte del papa copto Shenuda III. L’Uganda risponde alla campagna “Kony2012”, contestando l’immagine emersa dal video di Invisible Children di un Paese piegato dalla guerra. In chiusura, la drammatica situazione idrica alle Mauritius e nell’Africa subsahariana.

SCINTILLE AL CONFINE – Nella notte tra il 16 e il 17 marzo, l’esercito dell’Etiopia ha attaccato tre basi militari ritenute campi di mercenari in territorio eritreo a Ramid, Gelahben e Gemble. In un primo momento, erano state riportate le frasi di un ufficiale etiope che descriveva l’operazione come volta ad annientare «la forza distruttiva del governo eritreo», concetto poi confermato da un funzionario del ministero degli Esteri. Successivamente, però, il portavoce del governo di Addis Abeba ha parzialmente corretto le affermazioni, seppur limitandosi a spiegare che il raid non è da leggersi quale azione militare diretta contro l’Eritrea. Asmara, che già in sede Onu aveva lamentato l’aggressività etiope, ha parlato di una «provocazione» occorsa proprio nel decennale del pronunciamento della Commissione per il confine tra i due Paesi. L’attacco è il primo a essere reso noto dalla fine del sanguinoso conflitto che ha opposto Eritrea ed Etiopia, ed è stato giustificato alla luce del contrasto alle attività di un gruppo di ribelli autore dell’uccisione di cinque turisti a gennaio, l’Afar Revolutionary Democratic Unity Front, il quale si ripropone la creazione di una Stato indipendente per tutte le genti dell’etnia afar. Non è ben chiaro se effettivamente Asmara sostenga gli insorti, ma è probabile che possa servirsi di loro nelle regioni eritree ancora occupate dall’Etiopia. Seppure alcuni analisti ritengano che la vicenda sia già da considerarsi conclusa e che, pertanto, i due governi abbiano cercato di evitare maggiori tensioni, l’episodio non deve assolutamente essere sottovalutato, poiché potrebbe essere l’anticipazione di una futura ripresa dell’utilizzo della forza militare per il sostegno alle pretese di entrambi i Paesi.

L'ADDIO A SHENUDA III, PAPA DEI COPTI – Il 17 marzo è morto Shenuda III, papa della Chiesa ortodossa copta dal 1971. Fiero oppositore di Sadat, che lo confinò per tre anni nel monastero di San Bishoi, fu liberato poi da Mubarak, al quale fu talmente vicino da invitare i propri fedeli a non partecipare alle rivolte del 2011. Nel 1973, Shenuda fu il primo papa copto a incontrarsi con un pontefice cattolico, Paolo VI, dopo quasi millecinquecento anni: da quel momento cominciò la sua intensa opera per l’unità del cristianesimo. Secondo alcuni rappresentanti egiziani, la scomparsa del religioso potrebbe compromettere la sicurezza dei copti in Egitto (circa il 10% della popolazione), privandoli di una voce forte contro il rischio di islamizzazione del Paese. Shenuda, comunque, era amato anche da molti musulmani, come dimostrato dall’ampio numero di fedeli islamici radunatisi con i cristiani presso la cattedrale di Abbasseyya, dove oggi 21 marzo saranno celebrati i funerali.

KONY 2012: QUI UGANDA – “Kony2012” continua a far discutere l’opinione pubblica internazionale. Mentre venerdì scorso Jason Russell, uno degli ideatori della campagna, era arrestato per atti osceni in luogo pubblico e quindi ricoverato in ospedale per «esaurimento nervoso, disidratazione e malnutrizione», il primo ministro ugandese, Amama Mbabazi, interveniva con un altro video a sostegno del proprio Paese. «L’Uganda, – ha detto il premier, – non è in guerra, bensì è uno Stato moderno e in via di sviluppo che gode di pace, stabilità e sicurezza. Joseph Kony è davvero un criminale spietato, però non è più nei confini nazionali dal 2006, muovendosi adesso tra Centrafrica, Repubblica democratica del Congo e Sudan del Sud». L’invito finale di Mbabazi è rivolto ai personaggi celebri che hanno sostenuto la campagna di Invisible Children affinché essi visitino l’Uganda.

RAID KENIOTA IN SOMALIA – La scorsa settimana, un raid aereo ha colpito alcuni campi di addestramento di al-Shabaab a 130 km da Chisimaio. Secondo l’esercito del governo di Mogadiscio, l’azione sarebbe stata condotta dall’aviazione keniota, ma da Nairobi non sono arrivate conferme pubbliche. Vari rappresentanti somali hanno elevato vibranti proteste per l’atteggiamento aggressivo del Kenya, già altre volte impegnato in incursioni oltreconfine senza la previa comunicazione al governo di transizione. Sul finire del 2011, per esempio, Nairobi dispose l’invio di truppe in Somalia per la cattura dei responsabili di alcuni sequestri. Nel frattempo, il palazzo presidenziale di Mogadiscio è stato oggetto di un attacco con colpi di mortaio che ha causato la morte di almeno sei persone. Al momento non risulta che vi sia stata alcuna rivendicazione, ma la pista al-Shabaab resta molto probabile.

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BOKO HARAM, NEGOZIATI FALLITI – Boko Haram, il gruppo islamista radicale che da anni imperversa violentemente nel nord della Nigeria, aveva reso nota nelle scorse settimane la disponibilità a negoziare una tregua con il governo federale. Le condizioni poste erano la liberazione di tutti i membri della formazione detenuti in carcere e l’affidamento della mediazione a Sheik Ahmed Datti, presidente del Consiglio supremo della shari’a. Tuttavia, lo stesso Datti ha dichiarato che le trattative sarebbero fallite già il 5 marzo per «la mancanza di sincerità da parte del governo durante la discussione, disposizione d’animo confermata anche dalla continua fuoriuscita di notizie sui giornali». Probabilmente, però, a ostacolare l’accordo è stata la contrarietà di Abuja a rilasciare alcune tra le personalità più influenti di Boko Haram.

COOPERAZIONE ZIMBABWE-IRAN – Il ministro della Difesa dello Zimbabwe, Emmerson Dambudzo Mnangagwa, ha incontrato a Teheran l’omologo iraniano, Ahmad Vahidi, per discutere del rafforzamento della cooperazione tra i rispettivi Paesi, soprattutto nel settore militare. Dietro l’avvicinamento tra Zimbabwe e Iran, al di là dei pronunciamenti circa la comune lotta al colonialismo, ci sono in realtà ingenti affari legati al commercio di diamanti e uranio, beni dei quali lo Stato africano è molto ricco.

ELEZIONI E POLEMICHE IN KENYA – La Commissione elettorale indipendente keniota ha annunciato che le prossime elezioni si terranno il 4 marzo 2013. La decisione ha accolto i favori del governo, che, tramite il vice primo-ministro Musalia Mudavadi, ha fatto sapere che la data scelta è ottimale per consentire il dibattito nel Paese. Di diverso avviso la deputata Martha Karua, secondo la quale l’estensione del mandato dell’attuale Parlamento oltre il termine naturale (15 gennaio 2013) avrà un impatto negativo sul Kenya. Altri esponenti politici, invece, chiedono che le elezioni siano fissate entro la fine dell’anno. Intervenendo in merito, la Constitution Implementation Oversight Committee ha criticato la Commissione elettorale per non aver consultato le parti in causa prima di scegliere la data delle consultazioni, lasciando trasparire il sospetto di pressioni politiche.

SICCITA' ALLE MAURITIUS – La stagione estiva alle Mauritius si avvia al termine, e il bilancio delle riserve d’acqua è critico. Secondo il Servizio metereologico del Paese, sull’isola principale sono caduti a gennaio soltanto 88 mm di pioggia a fronte di una media di 261 mm, cosicché il livello dei fiumi è inferiore del 70% rispetto all’anno precedente. Le Isole Mauritius erano già state indicate dall’Onu quale Paese sottoposto a stress idrico, ma la situazione è ulteriormente peggiorata, al punto che il governo, dopo aver contingentato il consumo, ha sensibilmente inasprito le sanzioni contro gli sprechi.

Beniamino Franceschini [email protected]

Dopo Osama: quale futuro per l’Islam radicale?

In questo decennio il terrorismo jihadista grazie ad al-Qaeda ha conosciuto una grande notorietà internazionale tanto da influenzare le dinamiche politiche non solo delle società occidentali, ma anche e soprattutto di quelle arabo-islamiche. Oggi il campo politico mediorientale è monopolizzato da una parte da partiti convenzionali, come quelli islamici nelle loro molteplici versioni, mentre dall’altra da gruppi che richiamano al radicalismo islamista, se non proprio al jihadismo. La morte di bin Laden, però, ha offerto al mondo arabo-islamico la grande occasione di dimostrare che il rifiuto di un determinato modello culturale non sia sinonimo di integralismo e terrorismo

AL-QAEDA – “LA BASE” – Nata negli anni '80 come organizzazione di guerriglia in risposta all'invasione dell'Afghanistan da parte dell'Unione Sovietica, al-Qaeda – che in arabo significa “la base” – nel corso degli anni '90 ha conosciuto una sua evoluzione e dopo l’11 settembre si è imposta all'attenzione internazionale facendo conoscere a tutti il terrorismo di matrice islamista: raggruppando intorno a sé una miriade di gruppi armati che ne hanno condiviso fin da subito obiettivi e modus operandi, essa è diventata qualcosa di più di un semplice “franchising del terrore”, bensì una vera e propria ideologia. STRATEGIA E NETWORK – L'obiettivo della rete qaedista è quello di rovesciare i governi arabi e islamici perseguendo un fantomatico “ritorno al califfato globale”. Le tattiche principalmente usate dalla “base” sono piccole azioni di guerriglia miste a vere e proprie azioni paramilitari che mirano a coinvolgere anche i civili. I toni e i metodi usati per prendere il potere richiamano spesso il jihad – che significa “lotta” o “lottare per qualcosa” –, un concetto complesso che molte volte è stato travisato e rivisitato dalla propaganda qaedista per fare proseliti nelle popolazioni musulmane. Il risentimento verso l’Occidente e gli USA in particolare, ha permesso la proliferazione di questa visione ideologica e la diffusione di essa dal Nord Africa all’Asia centrale. L'organizzazione, difatti, vanta oggi una struttura orizzontale molto eterogenea e dislocata in varie cellule locali autonome rispetto alla base: da AQMI (Al Qaeda nel Maghreb Islamico) operativa in Nord Africa e nel Sahel e dagli Shabaab in Somalia e nel Corno d'Africa, passando per AQI (Al Qaeda in Iraq) presente in gran parte del Medio Oriente arabo e AQAP (Al Qaeda nella Penisola Araba) stanziato per lo più in Yemen, giungendo, infine, ai movimenti islamisti e jihadisti presenti in Asia centro-meridionale (come ad esempio gli Haqqani e i Taliban attivi tra Afghanistan e Pakistan).

FONDAMENTALISMO VS IDENTITÀ ISLAMICA – Nonostante la grande diffusione e l'attecchimento del qaedismo in Paesi in cui l'assenza di strutture statali sono quasi fallite come in Afghanistan, Pakistan, Yemen e Somalia, esso non ha goduto della simpatia e del sostegno della gran parte dell'opinione pubblica musulmana. Infatti, paradossalmente, le popolazioni islamiche sono diventate negli anni le principali vittime della violenza di al-Qaeda. Ma Islam e Occidente non sono concetti incompatibili anche se storicamente i rapporti non sono stati sempre facili a causa di alcune tendenze islamiche a volte radicali. Tra queste viene, erroneamente, annoverata il movimento della rinascita islamica. Quest’ultimo si presenta, invece, come un insieme di movimenti sociali, politici e religiosi che interpreta alcuni fondamentali bisogni delle genti musulmane, quale il bisogno di tornare alle origini, alle forme pure e originarie dell’islam, nonché la necessità di riaffermare un’identità perduta o minacciata, sforzando di adattare l’Islam alla modernità occidentale senza farsi “contagiare” da essa. Infatti, il motto “la soluzione è nell'Islam” racchiude in sé tutte queste esigenze e ambizioni di un fenomeno che non vuole assomigliare al modello occidentale e che cerca di perseguire la modernità e la democrazia attraverso la propria identità islamica.

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LA PRIMAVERA ARABA E IL RUOLO DEI PARTITI ISLAMICI – Dopo la caduta di alcuni regimi della regione, tra i media e all'interno delle opinioni pubbliche occidentali si è fatta strada la convinzione che le rivolte della fame possano venire influenzate e distolte dai loro obiettivi originari da forze islamiche vicine ad ambienti radicali. Infatti, oltre al caso della Libia in cui questi gruppi  hanno costituito la prima linea dei ribelli nella guerra civile contro Gheddafi, oltre a quello dello Yemen in cui il partito al-Islah ha rappresentato la principale opposizione a Saleh e quello del Comitato di Coordinamento Nazionale (CCN) della Siria in cui tali movimenti sono un elemento essenziale del Consiglio Nazionale Siriano in contrapposizione al regime di Assad, i partiti di estrazione islamica in Tunisia ed Egitto non solo  hanno giocato un ruolo chiave nelle proteste che hanno portato alla destituzione di Ben Alì e Mubarak, ma hanno anche ottenuto la vittoria la vittoria nelle prime elezioni libere, acuendo pertanto i timori di possibili derive fondamentaliste.

LA PAURA DEL RADICALISMO – Infatti, ciò che intimorisce maggiormente le opinioni pubbliche internazionali è il forte consenso di cui hanno goduto le formazioni di estrazione salafita nelle recenti consultazioni. E' pur vero che queste realtà si declinano in modi differenti di Paese in Paese. Anche i toni spesso aggressivi usati da queste organizzazioni vanno contestualizzati: sia le difficili condizioni socio-economiche di gran parte della popolazione, sia la durissima repressione attuata dai pluriennali regimi autoritari hanno contribuito a radicalizzare i toni politici e a fomentare anche atti di pura violenza. Tradizionalmente di fronte all’oppressione dei regimi e alla benevolenza occidentale, i movimenti  radicali, in genere, hanno riletto la tradizione e reinterpretato la religione, traducendo e applicando radicalmente, appunto, i concetti teologici alla vita sociale e politica. Quindi i contenuti della fede e della tradizione vengono interpretati ed assunti come principi non negoziabili che fanno passare in secondo piano nel dibattito interno temi, invece, rilevanti quali la giustizia sociale, lo sviluppo economico o le libertà politiche. Pertanto il buon risultato elettorale di queste organizzazioni rappresenta certamente una grande sfida, soprattutto per la loro stessa evoluzione politica. Infatti, se i salafiti vorranno essere parte attiva nel processo decisionale, dovranno nel tempo definire meglio programmi e strategie riguardo a temi economici e sociali e abbandonare l’intransigenza quasi puritana mostrata in molte occasioni. Tali sfide potrebbero perciò contribuire o a far evolvere positivamente queste formazioni verso la democrazia, oppure a spingerle inevitabilmente verso concezioni puramente ideologiche e favorevoli a posizioni di lotta non solo e non tanto politica.

QUALE FUTURO PER L'ISLAM? – Quello che sembra profilarsi all'orizzonte non pare essere tanto il timore di una nuova ondata qaedista, bensì la possibilità che le promesse e le speranze delle rivolte rimangano disilluse e queste possano essere strumentalizzate da una certa minoranza islamica radicale per rinfoltire, invece, le fila di un'ala violenta e integralista che poco ha che fare con la religione e la società. Quel che conta oggi è però dare fiducia ad un Islam che ripudia le violenze e cerca di dimostrare come democrazia e religione musulmana non siano concetti necessariamente in antitesi. Giuseppe Dentice [email protected]

Maledetta Primavera

Il “ristretto” di oggi giunge dopo un week-end carico di colpi di scena e di violenze negli scenari di guerra aperta che ci accompagnano da tempo. Con l’Europa impegnata sul fronte economico e nella ridiscussione della Politica Estera di Sicurezza Comune, Mario Monti lascia il continente alla volta dell’estremo oriente, in cerca di investimenti. Le primarie repubblicane negli Stati Uniti sembrano ormai un’inutile sfida all’ultimo sangue mentre Papa Benedetto XVI parte alla volta del Centro-America. Afghanistan e Pakistan sempre in bilico e in primo piano in Asia mentre il Medio-Oriente continua a bruciare tra la guerra civile a Damasco e quella segreta in Yemen

 

EUROPA

Giovedì 22 – Mentre impazza il toto-nomi per il nuovo Presidente dell’Eurogruppo, con J.C. Juncker schierato a favore di Monti e Angela Merkel a sostenere Wolfgang Schauble, si riuniscono il Consiglio di governo e quello generale della Banca Centrale Europea. L’incontro sarà l’occasione per testare la reale considerazione delle possibilità di crescita per i paesi in difficoltà, per stabilire una road-map economica per la Grecia e tirare le somme sulla situazione spagnola. Non ci sarà probabilmente più spazio per aiuti come in passato, come ha già anticipato il consigliere BCE Erkki Liikanen:”Abbiamo fatto molto. La Bce ha fatto la sua parte. Ora i governi devono fare la loro”.

 

Giovedì 22-Venerdì 23 – I Ministri della Difesa dei 27 membri dell’Unione si riuniscono a Bruxelles nel Consiglio per gli Affari Esteri per un bilancio complessivo delle missioni ATALANTA e EUTM in Somalia ed EUFOR Althea in Bosnia-Erzegovina. I ministri dovranno anche valutare l’impatto della revisione strategica da parte della difesa statunitense sullo scenario euro-mediterraneo. Venerdì mattina è previsto un meeting ministeriale con le controparti turche per discutere un approccio comune alle attuali sfide in medio-oriente, i paesi candidati saranno inoltre presenti ai dibattiti. Bielorussia e Siria i temi scottanti sul tavolo, mentre si cercherà di implementare una politica più integrata nei confronti del Sahel per garantire condizioni di pace, stabilità e e sicurezza.

 

Domenica 25 – Partirà nel fine settimana il grand tour orientale del Presidente del Consiglio italiano Mario Monti che in 9 giorni toccherà Giappone, Corea del Sud e Cina, per cercare nuove partnership strategiche per la ripresa dell’economia nostrana. Ne parleremo in dettaglio nel prossimo “ristretto”, ma il lungo viaggio si pone come una delle tante “imprese” del professore prestato a Palazzo Chigi, un evento ricco di opportunità e di promesse. Sicura la partecipazione al Vertice di Bo’ao, località costiera della provincia di Hainan, considerata la Davos d’Asia. Chissà che nella fittissima agenda del premier non rientri una visita dell’ultim’ora in India, che sembra diventata ormai l’estero vicino di Roma in seguito al rapimento di due connazionali da parte dei guerriglieri naxaliti-maoisti in Orissa.

 

AMERICHE

Martedì 20-Sabato 24 – Open Convention, l’incubo repubblicano per eccellenza ha un nome e un lontano precedente, nel novero delle nomine scontate in quel di Tampa, dove di solito il G.O.P. arriva già con il suo uomo forte. Fu l’acre campagna tra Gerald Ford e Ronald Reagan nel 1976 a portare l’anno dopo il democratico Jimmy Carter alla Casa Bianca, nel 2012 potrebbe toccare invece a “Mitt e il Santo”, così ormai Romney e Santorum sulla stampa usa, lasciare il passo al secondo mandato Obama-Biden. Martedì l’Illinois sembra votato al mormone Romney, mentre sabato in Louisiana dovrebbe confermarsi il southern comfort di Santorum, anche se il testa a testa rimane comunque la previsione più scontata. La soglia anelata dei 1.144 delegati, necessaria per ottenere la nomination a Tampa, è ben lontana dai 495 di Mitt, ancor di più dai 252 del Santo. Appare chiara invece la tattica del dimenticato Gingrich, convinto ormai a restare in gara per dare fastidio ai due sfidanti, mentre Obama si gode lo spettacolo forte di alte percentuali di gradimento paragonabili agli albori della sua presidenza.

 

Venerdì 23 – Papa Benedetto XVI si recherà in visita ufficiale in Messico e a Cuba, ofrendosi di portare un messaggio di pace e di speranza in regioni minate dall’escalation di violenza e dal degrado della povertà diffusa. Mentre la fede cattolica è ampiamente praticata in Messico, dove tradizione popolare si mescola con i dogmi di Roma, Cuba è al centro di quella che Jaime Ortega y Alamino, arcivescovo dell’Avana, definisce “primavera della Chiesa“. Confermate le indiscrezioni che davano in programma un incontro tra Joseph Ratzinger e i fratelli Castro, ma sarà semplicemente l’occasione di ridiscutere il rapporto Chiesa-Stato-Partito nell’isola caraibica. L’influenza di San Pietro ha già permesso la liberazione di 3.000 prigionieri per indulto e la scarcerazione dei 126 detenuti d’opinione indicati da Amnesty International.

 

VENEZUELA – Non calano le polemiche sulla patria di Chávez, nemmeno dopo il suo ritorno dopo l’ennesima operazione a Cuba. Dopo l’espulsione, qualce tempo fa, della console venezuelana da Miami per un complotto, stavolta tocca al Console cileno Fernando Berendique, piangere la figlia Karen, uccisa per aver infranto un blocco stradale della polizia a Maracaibo. 12 arresti e scuse ufficiali al diplomatico cileno, servono solamente ad alzare l’attenzione sul grave deficit di sicurezza che colpisce il paese, gli omicidi nel 2011 hanno raggiunto la cifra impressionante di 19.000. Più volte i rappresentanti diplomatici oispiti a Caracas sono stati al centro di vicende misteriose, come ad esempio il sequestro lampo dell’ambasciatore messicano e moglie e il ferimento pochi mesi fa dello stesso console cileno.

 

AFRICA

Lunedì 19 – C’è attesa in Guinea-Bissau per l’esito delle elezioni presidenziali svoltesi nella giornata di domenica con un’affluenza alle urne di molto al di sotto delle aspettative. Gli elettori delle classi meno agiate sembrano ormai stanchi degli abusi e delle ruberie delle autorità statali e dei conflitti interetnici e locali, mentre tutti e 9 i candidati promettevano stabilità e progresso. Il frontrunner sembra essere l’ex premier Carlos Domingues Gomes Jùnior, dimessosi proprio per ottenere la nomina del Partito Africano per l’Indipendenza di Guinea e Capo Verde. Lo sfidante più quotatato è invece l’ex Presidente Kumba Yala, destituito nel 2003 da un colpo di stato ha mantenuto buoni rapporti con l’elite militare l’etnia maggioritaria dei Balanta. La vera ragione della competizione elettorale sembra però essere il traffico di cocaina nelle acque territoriali, che vanta un ritorno di circa 1 milione di dollari nelle tasche dei cartelli sudamericani.

 

Domenica 25 – E’ ormai giunta alla resa dei conti la lunga sfida senza esclusione di colpi tra l’ottuagenario presidente Abdoulaye Wade e l’ex pupillo Macky Sall, costretto alle dimissioni da Presidente del Parlamento dopo contrasti con la leadership del PDS. I due competitors hanno battagliato per accaparrarsi i voti destinati agli sfidanti esclusi dal ballottaggio, che se uniti garantirebbero un 30% di consensi e una facile vittoria. Se Wade sembra sicuro di garantire al figlio Karim un roseo futuro al potere, la voglia di cambiamento dell’opinione pubblica giovanile sembra favorire l’ex-pupillo Sall, solo il tempo ci dirà chi dei due avrà la meglio.

 

MALI – Mentre i profughi della guerra civile tra ribelli Tuareg e governo centrale si concentrano in Algeria, dove sarebbero già più di 30.000, torna anche la carestia a mettere a rischio l’esistenza dei più deboli, i bambini. L’UNICEF ha lanciato l’allarme, su 119 milioni di dollari richiesti per affrontare la piaga, ne sono stati stanziati solo 24 per tutto il Sahel. Nelle regioni settentrionali del Mali, gli strike aerei condotti da piloti ucraini e americani, avrebbero provocato lo sfollamento di 72.000 civili, che vagano nelle zone aride in cerca di un rifugio dalla guerra ormai dichiarata. Con il Presidente Amadou Toumani Toure intenzionato a lasciare il potere entro il 29 Aprile, data delle elezioni, le forze di sicurezza non sembrano intenzionate a condurre da sole la lotta contro la secessione dell’Azawad. Giacimenti di petrolio, depositi aurei e uranio formano il cocktail perfetto per stuzzicare gli interessi e i contingenti stranieri nel paese, in realtà già mobilitati da tempo nel conflitto.

 

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ASIA

Lunedì 19 – Mentre proseguono le polemiche per le indagini sulla strage di Kandahar, torna la solita routine in Afghanistan, con 6 militari italiani che hanno rischiato la vita dopo essere rimasti intrappolati nel loro Lince in fiamme. Sul fronte internazionale è atteso a Washington il Ministro degli Esteri di Kabul, Zalmay Rassou, chiamato a negoziare con Hillary Clinton l’accordo di patrnership strategica che regolerà i rapporti bilaterali dopo il 2014. Il colloquio ministeriale giunge nel peggiro periodo possibile per gli Stati Uniti, che dopo i recenti scandali, saranno costretti a cedere qualcosa al governo afghano, per salvare almeno la faccia di superpotenza amica. Sembra proprio questa la strategia di Hamid Karzai, consapevole della precarietà del suo trono, destinato a traballare ancor di più nel giorno in cui l’ultimo soldato americano avrà lasciato il paese.

 

Mercoledì 21‘Hanno rovinato la vostra economia e il vostro mondo, nonche’ distrutto il vostro futuro. Cosa state aspettando? Prendete esempio dai vostri fratelli in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen e Siria che si ribellano contro l’oppressione e gli oppressori”. No, non sono le parole di un giovane di piazza Tahrir ai suoi coetanei pakistani, è il leader di Al Qaeda in persona, Ayman Al-Zawahiri che parla. Oltre alla crisi di credibilità per i rapporti con USA e NATO, la sentenza di mercoledì dell’Alta Corte di Lahore sul premier Yousuf Raza Gilani e i contrasti tra il Presidente Ali Zardari e i militari, mancava solo la fatwa islamica per eclissare la mezza luna di Islamabad. Il paese è veramente al centro del ciclone, conteso tra Stati Uniti e network estremisti, Clan Haqqani e TTP in primis, schiacciato tra la guerra in Afghanistan e l’acerrimo nemico indiano. Lo stesso premier Gilani si è detto “pronto a lasciare il governo se questo dovesse risolvere la situazione“, ma l’offerta non sembra allettare granchè né i colleghi né l’elite militare.

 

BIRMANIA – Aung San Suu Kyi sembra non avere più paura della repressione dell’elite militare birmana e le folle oceaniche che assistono ai suoi comizi potrebbero non essere l’unica ragione. Proprio durante un discorso elettorale nei pressi della città di Lashio, nella parte nord-est del paese, la paladina della democrazia e della libertà ha chiesto alla minoranza cinese di votare per il suo partito giurando amicizia a Pechino. “Finché abbiamo avuto un governo democratico, abbiamo sempre avuto buoni rapporti con la Cina ora dobbiamo fare in modo che questo possa continuare. Quello che ci interessa è il bene dell’intera comunità“. Con queste parole Suu Kyi potrebbe garantirsi l’appoggio indiscreto della leadership cinese felice di garantire alle merci a basso costo dello Yunnan e del Sinkiang un vasto mercato e uno sbocco sul Pacifico.

 

MEDIO-ORIENTE

SIRIA – “Se il nemico è più forte, ritirati” con queste semplici parole il padre della strategia orientale, Sun Tzu, indicava la strada della guerriglia in situazioni di evidente disparità di forza. L’Esercito Libero Siriano e i gruppi ribelli presenti in Siria sembrano aver applicato ad arte l’antico precetto, ritirandosi di fronte all’avanzata corazzata delle forze di Assad nelle città vicine al confine turco. Non si tratta di una sconfitta, o meglio lo è solo in parte, gli scontri assumono ora una diversa connotazione, più simile alle tattiche terroristiche che alle avanzate allo sbaraglio viste in Libia. Dopo le autobombe a Damasco, Aleppo torna a tremare con l’esplosione di domenica mattina in cui sono morte 3 persone e 25 sono rimaste ferite. La questione resta al varco del Consiglio di Sicurezza, anche se Cina e Russia continuano ad affilare il veto, mentre la mediazione di Kofi Annan non sembra favorire la fine delle tensioni.

 

IRAQ – Le minacce di blocco dello Stretto di Hormuz non fanno più paura a Baghdad e al suo oro nero, grazie ad un piano d’emergenza concepito dal governo dello sciita Nuri al-Maliki. L’oleodotto Kirkuk-Ceyhan sarà completato prima del 2013 e grazie ai suoi 200 km di percorso garantirà un’effettiva indipendenza da qualsiasi tensione internazionale al mercato del greggio iracheno. Il porto di Ceyhan, in Turchia, potrà ricevere i rifornimenti anche dall’hub meridionale di Basra dove passano 1,7 dei 2 milioni di barili di greggio al giorno esportati da Baghdad, secondo dati aggiornati a Febbraio 2012. Restano in cantiere ulteriori piani d’emergenza per riattivare l’oleodotto verso la Siria e costruire un nuovo collegamento con il porto giordano di Aqaba, nell’estrema appendice orientale dell’omonimo golfo.

 

YEMEN – E’ un bombardamento che sa di vendetta quello che ha colpito la città di Zinjibar nella tarda serata di domenica, causando la morte di 16 militanti islamici e la distruzione di alcune basi di Al-Qaeda. La scorsa settimana più di 30 soldati yemeniti erano rimasti vittime degli scontri con i ribelli di Ansar al-Shaarìa, evidenziando la pericolosità latente della situazione nella regione di Abyan, da tempo tra i campi d’azione dei droni americani. Sempre domenica, ma in mattinata, due uomini armati a bordo di una motocicletta hanno ucciso un’insegnante americana nella città di Taiz, a sud della capitale San’a. L’uomo di Washington chiamato a sostituire Saleh, Abd-Rabbu Mansour Hadi, è chiamato a combattere la minaccia estremista impiegando i reparti d’elite delle unità anti-terrorismo dell’esercito, guidate dal Gen. Yahia Saleh, nipote del suo predecessore.

 

L’autunno caldo del Cile

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Santiago del Cile – Il 2012 è iniziato sotto il segno delle rivendicazioni per il Cile, il piccolo paese del cono sudamericano. Tre regioni, Calama, Aysén e Magallanes, sono scese in piazza e le ragioni sono più o meno le stesse. Colmare, o almeno ridurre, la discrepanza che esiste tra la ricca e popolata capitale Santiago (due terzi della popolazione del paese) e le altre regioni. In queste ultime si produce oltre il 90% della ricchezza – come testimoniano gli abbondanti introiti derivati dall’estrazione mineraria, la prima fonte di entrate del Cile – che si riversano principalmente alla capitale e la regione Metropolitana

PROTESTE IN CORSO – Il movimento, ultimo in ordine di tempo ma il più consistente – e fonte di grattacapi  per il governo – è quello di Aysén, una piccola regione della Patagonia cilena, 2,000 Km circa al sud della capitale. Da oltre un mese i cittadini locali organizzati in un comitato hanno bloccato gli accessi via terra e mare. Una situazione che si sta facendo drammatica  visto il fallito tentativo di ripresa dei negoziati fra locali e governo il 15 marzo in quanto si teme una crisi nei rifornimenti, principalmente di  viveri e benzina. Mentre i blocchi continuano, per riprendere il dialogo il governo ha posto la condizione della riapertura delle vie  d’accesso. I locali, dal canto loro, accusano il governo d’intransigenza e di cercare di dividere il movimento attraverso negoziazioni per settori. Per risolvere la questione, il governo ha varato l’applicazione della legge di sicurezza dello Stato che prevede l’intervento delle Forze Armate. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’approvazione da parte del Parlamento della nuova legge sulla pesca che non ha incluso misure cautelative, richieste dai pescatori locali che devono far fronte alla concorrenza delle grandi industrie ittiche, principalmente spagnole. Inoltre, come a Magallanes, gli abitanti di Aysén lamentano l’alto costo della vita e chiedono sussidi, che il governo appare disposto a dare ma riducendo di molto le richieste. Al nord, invece, a Calama, i residenti reclamano che i ricchi introiti delle imprese minerarie siano redistribuiti nella regione. Nei tre fuochi di protesta, il comun denominatore è dare maggiore autonomia alle regioni che al momento attuale non eleggono nemmeno l’Intendente, l’equivalente del Presidente della regione che é nominato dal governo. IL PROBLEMA DELLE DISEGUAGLIANZE – In fin dei conti proprio di questo si tratta, della discrepanza che esiste in Cile tra la capitale e le altre regioni, una ineguaglianza che è latente anche nei servizi sociali, educazione e salute su tutti. Il Cile è forse l’esempio più riuscito di  una forma liberale di organizzare le Stato, dove i servizi sono stati perlopiù privatizzati in nome all’efficienza e alla competitività. A fare da contraltare a questo modello perdurano però le differenze sociali (il Cile è il 10º paese più ineguale del mondo). In Aysén, il costo della vita è più alto che nel resto del paese, le vie di comunicazione difficili, la qualità degli insegnanti minore così come l’accesso alla salute. Ciò non sorprende se si considera che i salari sono al di sotto alla media nazionale. Le proteste in Aysén comunque non sono una storia recente. Nascono in seguito all’approvazione lo scorso maggio da parte del governo conservatore di Sebastián Piñera del piano Hydro-Aysén che prevede l’installazione  di 5 centrali idroelettriche per fronteggiare la cronica mancanza di risorse energetiche del Cile ma la cui costruzione minaccia l’equilibrio ambientale della Patagonia, una delle zone meglio preservate del mondo che ospita una grande diversitá biologica e naturalistica.

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CRISI ENERGETICHE – Il Cile ha attraversato recentemente un periodo di crisi energetiche ripetute che hanno messo in dubbio la sua capacità di mantenere il ruolo di paese leader della crescita in Sudamerica. La Bolivia, principale produttore di gas naturale della regione, che all’inizio del secolo scorso perse lo sbocco sul litorale Pacifico proprio in una guerra col Cile, reclama un nuovo accesso al mare e condiziona il rifornimento in gas al vicino del sud con l’adesione di Santiago a tali recriminazioni. Inoltre dal 2007, La Paz vieta all’Argentina di trasferire gas naturale al Cile al rischio di vedere lei stessa interrotti i preziosi rifornimenti in provenienza dalla Bolivia. Dei progetti d’integrazione energetica regionale, che prevedono la costruzione di gasdotti che connetterebbero Venezuela e Bolivia (i due principali produttori della regione) agli altri paesi sudamericani, esistono da tempo e rappresenterebbero per il Cile una soluzione energetica fattibile che permetterebbe di evitare interventi traumatici nella Patagonia o scelte azzardate come quella nucleare, in un paese notoriamente ad alto rischio sismico. Ciononostante Santiago in materia di politica estera non ha scelto questa direzione. E per altro, il Cile che ha un grande potenziale nello sviluppo di energie alternative, come la eolica e la geotermica, non ha neppure avanzato in questi ambiti. L’operazione idroelettrica nella Patagonia risponde quindi a un bisogno che si è ormai fatto impellente, visto anche lo stato dei bacini attualmente funzionanti, che vengono colpiti dalla peggiore siccità in un ventennio che ne ha ridotto il rendimento in alcuni casi fino al 50%.

VOGLIA DI EQUITA' – Le proteste di Aysén, Magallanes e Calama incarnano il desiderio della popolazione cilena per politiche più eque, specie per le regioni che vivono in condizioni svantaggiate e sono il riflesso di uno stato di malessere che da un certo tempo permea il paese circa l’ineguaglianza sociale. Rivelano però altresì una reticenza del governo a trovare soluzioni alternative ed una scarsa considerazione per le sue grandi ricchezze naturali, come la Patagonia, un bene universale. Se il Cile ha fatto passi da gigante sul piano della crescita economica, sul piano della democrazia, internamente e della diplomazia, esternamente, la strada da percorrere é ancora tortuosa se l’obiettivo è far coesistere concetti come equitá, sviluppo sostenibile ed integrazione regionale.   Gilles Cavaletto (da Santiago del Cile) [email protected]

Un Caffè lungo… 151 anni!

Mai come in questi ultimi anni l’opinione pubblica italiana si è interessata alle vicende di politica estera e relazioni internazionali. Ma quanto siamo consapevoli di come siano nate le relazioni del nostro Paese e di quali siano le nostre prospettive?

Con l’e-book del Caffè diciamo ancora: ‘Viva l’Italia!’

E’ passato un anno dal 150esimo anniversario dell’Unità Nazionale. Nel corso del 2011 vi abbiamo proposto la storia a puntate della politica estera del nostro Paese attraverso la rubrica “Caffè 150”. Da domani, sabato 17 marzo, potrete scaricare gratuitamente dal nostro sito l’e-book riunisce e riorganizza l’intero speciale. Un regalo per voi lettori che è anche un altro passo in avanti per il gruppo del Caffè Geopolitico. Continuate a seguirci, nei prossimi mesi seguiranno tante altre importanti novità

 

UN ANNO FA – Il 17 marzo di un anno fa iniziavano in tutto il Paese le celebrazioni per il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Anche il Caffè Geopolitico non è stato da meno e ha voluto offrire il suo piccolo, personale contributo, attraverso una serie di articoli speciali che vi hanno accompagnato per diversi mesi lungo tutto il 2011. Con “Caffè 150” vi abbiamo raccontato la storia italiana da una prospettiva diversa dalle altre, analizzando le tappe principali della politica estera nazionale. Dalla Prima Guerra di Indipendenza alla Missione Unifil in Libano abbiamo cercato di offrirvi un resoconto esaustivo ed approfondito delle vicende che hanno contribuito a connotare la geopolitica italiana, senza però rinunciare al nostro consueto stile accessibile e snello.

 

OGGI – Un anno dopo, puntuali, eccoci qui con una sorpresa che speriamo faccia piacere a voi lettori, che ci seguite sempre più numerosi e con costanza. “Caffè 150” è stato raccolto e riorganizzato ed è diventato il nostro primo e-book, scaricabile gratuitamente in formato pdf dal nostro sito a partire da domani, sabato 17 marzo. L’e-book “Caffè 150” si articola attraverso la produzione di articoli e saggi, strutturati in due fasi. La prima fase punta ad approfondire il periodo a cavallo dell’Unità d’Italia, per fare una sintesi delle principali dinamiche geopolitiche pre-unitarie. Questo serve ad identificare i primi passi delle relazioni internazionali dell’Italia come Paese unito, evidenziando come sono cambiate le relazioni con l’estero passando da un contesto di frammentazione territoriale ed istituzionale (sintetizzando i principali legami dei singoli Regni italiani), a quello unitario. La seconda fase del progetto editoriale è invece dedicata allo studio delle tappe fondamentali nella creazione dei legami internazionali dell’Italia durante il Novecento. Questa fase ha il duplice scopo di evidenziare, da una parte, quali siano e da dove nascano i legami internazionali “storici” del nostro Paese e, dall’altra, di tracciarne l’evoluzione per tappe fondamentali.

 

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UN PASSO IMPORTANTE PER IL CAFFE’ GEOPOLITICO – La pubblicazione di questa prima pubblicazione organica è una tappa importante per noi del Caffè Geopolitico che, vi ricordiamo, è un’Associazione Culturale senza fini di lucro, che si prefigge di promuovere la “cultura degli esteri”, con particolare attenzione a fatti di politica internazionale e dinamiche geopolitiche che talvolta, nel nostro Paese, trovano poco spazio sui principali canali di informazione per via della loro apparente distanza socio-politica, strategica o della loro complessità. Da aprile 2009 abbiamo fatto tanti piccoli ma costanti passi in avanti, aumentando il numero dei collaboratori (molti dei quali attivi dall’estero), diversificando e intensificando la produzione delle nostre pubblicazioni, alzando – ma questo dovreste giudicarlo innanzitutto voi lettori – l’asticella qualitativa dei nostri articoli. L‘e-book “Caffè 150” è un altro mattoncino che poniamo per far crescere il nostro progetto. Continuate a seguirci, perchè nei prossimi mesi le novità non mancheranno.

 

Davide Tentori

[email protected]

Cina: Dragone o Colomba?

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Sullo sfondo della presenza cinese in Sudan e Sud Sudan il portavoce del Ministero della Difesa, Geng Yansheng, ha recentemente riaffermato l’importanza che Pechino attribuisce alla difesa delle missioni di pace all’estero. Il crescente coinvolgimento cinese nel regime di peacekeeping delle Nazioni Unite cela gli interessi di un Paese che vuole apparire agli occhi della comunità internazionale portatore di un messaggio di pace

LA COLOMBA BIANCA NEL CONTINENTE NERO – Sebbene la partecipazione della Cina alle operazioni di pace delle Nazioni Unite non sia un fenomeno del tutto nuovo, in anni recenti Pechino ha iniziato a dispiegare nelle missioni ONU molti più uomini di quanto abbia mai fatto in passato, soprattutto nel continente africano. Dal totale rigetto del concetto stesso di peacekeeping che ha caratterizzato tutto il corso degli anni Settanta, l’Impero di Mezzo ne ha fatta di strada, tanto che al momento il Paese conta più caschi blu schierati in Africa di ogni altro membro permanente del Consiglio di Sicurezza.

Per quanto attualmente possa essere delicata e complessa la questione del coinvolgimento cinese nel continente nero, è difficile negare che tale partecipazione faccia parte di un piano strategico di più ampia portata di Pechino, pronta a tutelare con ogni mezzo, ancor meglio se pacifico, i propri interessi economici e soprattutto energetici.

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IL CASO SUDAN – Il sostanziale supporto concesso dalla Cina alla missione di pace dell’ONU, presente in Sudan dal 2005, è stato in realtà anticipato, ben dieci anni prima dell’arrivo delle Nazioni Unite nel Paese, da massicci investimenti nella produzione petrolifera. Il sostegno economico cinese a Khartoum si è presto trasformato in aperto sostegno politico: Pechino protegge il regime sudanese dalle pressioni internazionali mirate a fermare il conflitto in Darfur anche in sede di CdS, allo scopo di assicurare alla Cina la sicurezza energetica. Più che spinta da un disinteressato contributo alla pace globale, la partecipazione della Cina alla missione in Sudan sembra quindi uno strumento pacifico di protezione dei propri interessi economici e geopolitici nella regione. D’altronde, gli investimenti nei paesi logorati da conflitti interni comportano notevoli rischi, tra cui l’esposizione dei propri cittadini al pericolo di attacchi e sequestri (come avvenuto di recente ai lavoratori cinesi rapiti in Sudan), rischi che le missioni di pace possono affievolire.

PEACEKEEPING, TRA PERICOLO E OPPORTUNITA’- Lo stesso John Fitzgerald Kennedy amava ripetere nei suoi discorsi come la parola “crisi”, scritta in cinese, fosse composta da due caratteri: pericolo ed opportunità. Errata o meno che sia l’interpretazione diffusa dal più famoso presidente degli Stati Uniti, vero è che tale espressione rispecchia in tutto e per tutto l’attuale approccio di Pechino alle missioni di pace. Nell’ultimo decennio la leadership cinese, impegnata a modificare le linee guida della politica estera del Paese per essere percepita sempre più come una grande potenza responsabile, ha realizzato quanto la partecipazione al regime di peacekeeping stia influenzando positivamente l’immagine e lo status internazionale della Cina, rendendosi così conto di quale opportunità offra il contributo alle missioni di pace nelle regioni in stato di crisi.

La protezione dei propri interessi economici e strategici all’estero non è quindi l’unico fattore trainante del recente interesse della Cina verso le operazioni di pace. Il peacekeeping si è rivelato un vero e proprio successo di pubbliche relazioni: non solo è utilizzato dalla dirigenza cinese come mezzo, relativamente a basso costo, per dimostrare che la Cina è impegnata a difendere la pace e la sicurezza globali, ma al tempo stesso mostra come la recente crescita del potere militare cinese non sia per sua natura una minaccia, attenuando così le preoccupazioni generate dalle crescenti capacità militari dell’Esercito Popolare di Liberazione.

Martina Dominici [email protected]

Il sabato del Caffè

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Per tutti i nostri amici, lettori e simpatizzanti: sabato ci sarà una grandissima sorpresa per voi, una pubblicazione diversa dal solito e quanto mai speciale! Cosa? Un attimo di pazienza… un indizio? Ok, solo uno però…pensate bene alla data: 17 marzo…

Per tutti gli amici del Caffè: sabato ci sarà una grandissima sorpresa per voi, una pubblicazione diversa dal solito e quanto mai speciale! Cosa? Un attimo di pazienza… un indizio? Ok, solo uno però…pensate bene alla data: 17 marzo…
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