In 3 sorsi – A dicembre è stato inaugurato Forza della Siberia, il mega gasdotto che salda il partenariato strategico tra Mosca e Pechino. Un partenariato fatto non solo di energia, ma anche di commercio, ambizioni artiche e un pizzico di antiamericanismo.
Schiaffo a Pechino: Tsai Ing-wen ancora alla guida di Taiwan
Ristretto – Tsai Ing-wen è stata riconfermata Presidente dagli elettori di Taiwan. Con il 57,13% dei voti, la leader del Partito Progressista Democratico ha sconfitto sia Han Kuo-yu del Partito Nazionalista che James Soong del People First Party. Tante le sfide da affrontare, prima fra tutte il rapporto con Pechino.
Ieri, 11 gennaio, si sono tenute le tanto attese (o temute?) elezioni presidenziali sull’isola di Taiwan. E il popolo taiwanese si è espresso per dare alla Presidente uscente Tsai Ing-wen un secondo mandato. La Presidente, leader del Partito Progressista Democratico (PPD), ha ottenuto 8,17 milioni di voti, pari al 57,13% dei voti totali, mandando a casa il suo principale avversario del Partito Nazionalista (o Kuomintang) Han Kuo-yu che ha incassato il 38,61% dei voti (per il terzo candidato James Soong solo il 4,25% dei consensi).
Il PPD torna dunque forte dopo le poco felici elezioni di metà mandato nel 2018 che avevano visto 15 contee su 22 passare sotto l’influenza del Kuomintang. La rielezione di Tsai era già data quasi per certa dai sondaggi pre-elettorali ed è stata la conseguenza di <<una relativa ripresa economica di Taiwan, alcuni errori fatti dal partito di opposizione e le proteste di massa di Hong Kong che hanno fatto capire a molto giovani taiwanesi cosa potrebbe significare finire sotto l’autorità di Pechino>>, per citare l’opinione di Lily Kuo sul Guardian.
In ballo non solo politiche economiche o amministrative ma anche, e soprattutto, il rapporto difficile con Pechino. Sin dalla sua prima elezione nel 2016, Tsai-Ing wen e il suo partito si erano da subito presentati come “sovranisti” e poco inclini ad accettare l’ombrello del sistema “un Paese, due sistemi” proposto dalla RPC. Le turbolente vicende di Hong Kong, dunque, hanno certamente giocato un ruolo importante nel guidare la scelta degli oltre 19 milioni di elettori taiwanesi.
Grande soddisfazione per la Presidente che subito in conferenza stampa ha ricordato che <<nonostante le pressioni, Taiwan ha dimostrato di essere una democrazia matura>> ma ha anche ribadito la sua volontà di mantenere “buoni rapporti” con Pechino. Soddisfatti anche gli storici alleati, gli Stati Uniti. Da Washington Mike Pompeo ha <<ringraziato la Presidente Tsai per la sua leadership nel creare un forte legame con gli Stati Uniti, applaudendo al suo impegno nel mantenere la stabilità nello Stretto anche di fronte a continue pressioni>>.
Di tutt’altro umore l’altra sponda dello Stretto. Per voce di Ma Xiaoguang, portavoce dell’Ufficio degli Affari su Taiwan, Pechino ha ricordato che << la politica verso Taiwan è chiara e coerente: aderiamo alla riunificazione pacifica e al modello “un Paese, due sistemi”, salvaguardando con forza la sovranità nazionale e l’integrità territoriale>>. Troppo presto per giudicare il secondo mandato della Presidente ma una cosa è sicura: non saranno quattro anni facili.
Rocco Forgione
Volo PS752: un nuovo caso MH-17 per l’Ucraina?
Ristretto – Potrebbe essere stato un missile anti-aereo iraniano ad abbattere il volo PS752 delle Ukraine International Airlines (UIA), precipitato mercoledì poco dopo il decollo nei dintorni di Teheran. È quanto sostenuto dal Pentagono e dai servizi segreti statunitensi, che avrebbero tracciati radar e immagini satellitari a conferma dell’evento.
La tesi sarebbe confermata anche dai servizi segreti canadesi, come dichiarato pubblicamente dal Premier Justin Trudeau, e il New York Times ha diffuso un video – raccolto dal giornalista Nariman Gharib – che mostrerebbe il momento dell’impatto del missile con l’aeroplano. L’abbattimento sarebbe stato accidentale, frutto probabilmente di un errore della difesa anti-aerea iraniana in stato d’allerta per la contemporanea rappresaglia missilistica lanciata contro le basi USA in Iraq per la morte del generale Soleimani.
Tuttavia non tutti sono convinti da questa ipotesi. Oltre al Governo iraniano, che ha ovviamente rigettato ogni accusa e continua a sostenere la tesi del guasto tecnico, anche diversi esperti internazionali come Mark Zee, fondatore della compagnia di intelligence aerospaziale Opsgroup, si mostrano estremamente cauti sull’argomento e sottolineano l’attuale mancanza di prove materiali a sostegno delle affermazioni statunitensi. Lo stesso video del New York Times non è ancora stato verificato in maniera esaustiva e le prove radar e satellitari addotte a sostegno della tesi missilistica dovranno essere rese pubbliche per permettere la valutazione dei responsabili dell’inchiesta. Da parte sua, l’Ucraina procede con i piedi di piombo e il Presidente Zelensky ha ribadito la necessità di un’ampia collaborazione internazionale per raggiungere la verità sull’accaduto. Per Kiev la tragedia del PS752 ricorda troppo quella dell’MH-17, precipitato in Donbass nel 2014 dopo essere stato colpito da un missile Buk dei separatisti filo-russi, e il Paese vorrebbe cercare di evitare lo stesso tipo di depistaggi, polemiche diplomatiche e guerre mediatiche viste all’opera in quella drammatica occasione. In più, i responsabili ucraini non nascondono una certa irritazione nei confronti dei servizi USA, che non avrebbero condiviso le informazioni in loro possesso con il Governo di Kiev.
Intanto le indagini ufficiali sono inziate con l’arrivo a Teheran di un’equipe di investigatori ucraini, che hanno chiesto di poter ispezionare al più presto il luogo del disastro per cercare eventuali parti di missile e analizzare i resti del velivolo. Dopo qualche esitazione iniziale, l’Iran ha invitato il National Transport Safety Board (NTSB) statunitense a collaborare all’inchiesta, anche se non è ben chiaro cosa potrà fare l’organizzazione dato l’attuale clima di scontro politico-militare tra Washington e Teheran. E anche la Francia ha offerto assistenza tecnica agli investigatori iraniani e ucraini.
Simone Pelizza
COP25: la lotta al cambiamento climatico è solo a parole
Analisi – Il cambiamento climatico è evidente e per contrastarlo i Governi mondiali si sono incontrati a Madrid per tradurre in misure concrete l’Accordo di Parigi del 2015. Anche in questo summit, però, gli interessi economici nazionali hanno continuato a prevalere su quelli ambientali internazionali.
La Turchia in Libia punta tutto su al-Sarraj
Ristretto- Mentre sale la tensione tra USA e Iran, la situazione in Libia sembra essere altrettanto calda con lo scontro tra Khalifa Haftar e Fayez al-Sarraj sostenuti dai rispettivi alleati esterni.
L’Italia inquieta di Umberto I
Ristretto – 9 gennaio 1878: Umberto I diventa re d’Italia, succedendo al padre Vittorio Emanuele II. Il suo regno è contrassegnato dall’espansionismo coloniale in Africa orientale, dall’adesione alla Triplice Alleanza e dalla crescente insofferenza sociale verso il rigido conservatorismo della classe politica italiana, che porterà all’assassinio dello stesso sovrano nell’estate del 1900.
Educato militarmente, Umberto ha svolto numerosi viaggi diplomatici all’estero per conto del padre. L’Italia che eredita, però, è un Paese povero e fragile, ancora alle prese con le conseguenze politiche e economiche del processo di unificazione. La rottura con la Chiesa cattolica, successiva alla presa di Roma del 1870, esclude una parte considerevole della popolazione dalla vita politica nazionale, mentre le istanze di riforma sociale si scontrano con il debole sviluppo economico e la crescente instabilità governativa. Uno dei primi interventi istituzionali del nuovo re è infatti volto a risolvere la complicata crisi del Governo Depretis, che cede il posto a un nuovo esecutivo guidato da Benedetto Cairoli. Alcuni mesi più tardi Umberto scampa fortunosamente a un tentativo di assassinio da parte dell’anarchico Giovanni Passannante, evento che rivela inequivocabilmente il crescente distacco tra istituzione monarchica e parte della società italiana. Un distacco che Umberto cerca comunque di colmare spingendo per riforme importanti come l’abolizione della tassa sul macinato e l’allargamento del corpo elettorale, ma i risultati modesti finiscono per spingerlo verso una direzione più conservatrice. Nel frattempo il sovrano sostiene l’avvicinamento diplomatico del Paese alla Germania e all’Austria, viste come potenziali partner per contrastare le ambizioni della Francia in Europa. Questo avvicinamento porta alla firma della Triplice Alleanza nel maggio 1882, che prevede il sostegno militare reciproco dei contraenti in caso di attacco di una potenza esterna ad uno di essi. L’accordo viene rinnovato nel 1887 e rafforzato da una serie di patti bilaterali negoziati da Bismarck.
Umberto appoggia anche l’espansione coloniale in Eritrea e la firma del trattato di Uccialli con l’Etiopia di Menelik II. Tale intesa si rivela però fragile e i crescenti attriti italo-etiopi nella regione del Tigrè portano alla guerra d’Abissinia del 1895-96, che si conclude con l’umiliante sconfitta di Adua e la caduta del Governo di Francesco Crispi. Quest’ultimo, sostenuto dal sovrano, aveva dato avvio in precedenza a una graduale rafforzamento autoritario dello Stato, volto a contenere il nascente movimento socialista e a contrastare le frequenti insurrezioni di lavoratori e contadini in varie parti del Paese. Il disastro di Adua non pone fine a questa svolta politica e, al contrario, la intensifica ulteriormente con i Governi di Antonio di Rudinì e Luigi Pelloux, responsabili di interventi sempre più duri verso l’agitazione sociale nel Paese. In particolare, la repressione dei moti popolari di Milano nel 1898 finisce per mettere a rischio il fragile regime parlamentare del Paese e per compromettere irrimediabilmente la popolarità del sovrano, visto come complice dei brutali metodi del generale Bava Beccaris. Ormai l’immagine di Umberto è ben lontana da quella bonaria e riformista degli inizi e sono in molti a considerarlo un odioso desposta da eliminare per il bene dell’Italia. Un compito di cui si fa carico infine il giovane anarchico Gaetano Bresci, che uccide il re a Monza con tre colpi di pistola il 29 luglio 1900.
La morte di Umberto rappresenta davvero la fine di un’era nella storia italiana. Il figlio Vittorio Emanuele III, in collaborazione con lo statista piemontese Giovanni Giolitti, darà infatti vita a un periodo di grandi riforme politiche e intenso sviluppo economico, interrotto solo dallo scoppio della prima guerra mondiale.
Simone Pelizza
I missili di Teheran
Dopo l’attacco alle due basi statunitensi in Iraq, seguito all’uccisione di Soleimani, si riparla della capacità missilistica di Teheran.
Summit di Londra: una NATO forte ma litigiosa
Analisi – Nonostante dissidi e fratture interne, il summit NATO a Londra ha confermato l’irrinunciabilità dell’Alleanza da parte dei Paesi membri. Convergenza di interessi e ragioni storiche ne formano il collante. Almeno per il momento.
Una tragedia “sospetta”: il disastro del volo PS752 a Teheran
Ristretto – Non ci sono ancora certezze sulle cause del disastro del volo PS752 delle Ukrainian International Airlines (UIA), precipitato nella notte (ora italiana) poco dopo il decollo dall’aeroporto di Teheran. Morte tutte le 176 persone a bordo, compresi i membri dell’equipaggio.
La maggioranza dei passeggeri erano cittadini iraniani, ma oltre 60 erano canadesi e ci sono anche vittime tedesche e britanniche. In molti casi si trattava di persone con doppia nazionalità, spesso studenti tornati in Iran per visitare i parenti e di semplice passaggio a Kiev (destinazione originaria del volo) per poi raggiungere le loro mete finali in Europa e Nordamerica. In ogni caso le ambasciate dei Paesi coinvolti stanno ancora effettuando le operazioni di riconoscimento delle vittime e le relative comunicazioni alle famiglie.
Inizialmente la causa del disastro è stata attribuita a un guasto, ma col passare delle ore questa versione ha cominciato a mostrare diverse crepe. L’ambasciata ucraina in Iran, ad esempio, ha ritirato la propria dichiarazione ufficiale, che imputava l’evento a cause tecniche, anche perchè l’aereo precipitato era di recente produzione e non aveva mai mostrato particolari problemi in passato. Inoltre le autorità iraniane hanno rifiutato di consegnare la scatola nera dell’aereo alla Boeing, azienda produttrice del velivolo, per motivi piuttosto vaghi di carattere legale. Ciò ha alimentato voci di un eventuale attentato o addirittura di un abbattimento per errore del volo da parte delle difese aeree della capitale iraniana, messe in stato d’allerta per via degli attacchi alle basi USA in Iraq delle scorse ore. Qualsiasi ipotesi appare comunque prematura e il Presidente ucraino Zelensky, in visita in Oman, ha invitato ad evitare speculazioni prima dell’inchiesta ufficiale. Ma il futuro di questa inchiesta appare piuttosto incerto: l’Iran è infatti sotto sanzioni USA, cosa che rende difficile la partecipazione di Boeing e organi dell’aviazione civile statunitense alle indagini, mentre l’alto numero di Paesi coinvolti nella tragedia complica la creazione di una commissione d’inchiesta rappresentativa di tutte le parti in causa.
Intanto le UIA hanno sospeso tutti i loro voli verso l’Iran e hanno avviato un sistematico processo di controllo dei loro velivoli in Ucraina. E anche Lufthansa ha cancellato i propri voli giornalieri per Teheran, citando sia il disastro che gli attacchi in Iraq come causa della propria decisione.
Simone Pelizza
L’Iran risponde all’uccisione di Soleimani
Ristretto – Stanotte c’è stata la tanto attesa risposta iraniana, o comunque una prima parte. Le notizie sono ancora frammentarie e i dettagli da confermare, ma per quanto è emerso finora la realtà ci consegna una rappresaglia limitata e volta a ridurre escalation.
Una stagione all’inferno: l’emergenza incendi in Australia
Analisi – Nelle ultime settimane gli incendi in Australia hanno distrutto centinaia di migliaia di ettari di vegetazione, ucciso milioni di animali selvatici e minacciato grandi città come Sydney e Canberra. Sotto accusa i cambiamenti climatici, ma anche la risposta tardiva e incompetente del Governo Morrison all’emergenza.
La Catalogna in piazza: ancora lontana una soluzione tra Barcellona e Madrid
In 3 Sorsi – Da Tbilisi a Teheran passando per Hong Kong, attraversando l’Italia delle “sardine” fino a Barcellona, negli ultimi mesi le piazze sono tornate protagoniste. Un tempo erano le “Primavere Arabe”, oggi potremmo mai immaginare un nuovo “autunno caldo”?


