Analisi – La vittoria elettorale di Boris Johnson rende ancora più urgente cercare di capire meglio il personaggio. Il premier britannico resterà a Downing Street almeno fino al 2024, lasciando una profonda impronta sul Regno Unito e sulle sue relazioni con il resto del mondo.
“A stronger Europe in the world”: il piano per restituire leadership globale all’UE
In 3 sorsi – Attraverso la pubblicazione del documento sulle linee guida dell’Unione Europea, Ursula Von der Leyen ha delineato sei punti fondamentali che saranno il cuore delle politiche della nuova Commissione Europea. Tra questi vi è A stronger Europe in the world, vale a dire l’insieme di politiche atte a rafforzare gli accordi commerciali e a rivedere la politica di sicurezza e difesa dell’UE.
Un decennio di Caffè
Per Il Caffè Geopolitico la fine del decennio ha un significato doppio. Non solo la fine degli anni Dieci del XXI secolo, ma anche i dieci anni dalla nostra nascita. Ecco, perciò, i dieci pezzi più letti del decennio per festeggiare l’ultimo giorno del 2019.
Un Presidente chiamato Vladimir: vent’anni di Putin al potere
Ristretto – 31 dicembre 1999: Vladimir Putin diventa Presidente ad interim della Russia al posto del dimissionario Boris Eltsin. Inizialmente sottovalutata, la sua ascesa al potere rappresenta una svolta significativa nella storia della Russia post-sovietica.
Nato a Leningrado nel 1952, Putin lavora per 16 anni come agente del KGB, svolgendo attività di intelligence sia in patria che all’estero. Nel 1991 diventa consigliere del nuovo sindaco di Leningrado, Anatoly Sobchak, promuovendo l’immagine internazionale della città e l’afflusso di investimenti stranieri a sostegno dell’economia locale. Nonostante ripetute accuse di comportamenti irregolari, mantiene tale incarico sino al 1996, quando la sconfitta elettorale di Sobchak lo spinge a trasferirsi a Mosca in cerca di nuove opportunità politiche. Il colpo di fortuna arriva un anno dopo: Putin viene infatti notato dal Presidente Boris Eltsin che gli assegna vari incarichi di prestigio all’interno dello staff presidenziale. Nel 1998 arriva poi la direzione del Servizio di Sicurezza Federale (FSB), successore del vecchio KGB, che pone Putin in un ruolo chiave ai vertici dello Stato post-sovietico. Ma la scalata politica del “ragazzo” di Leningrado non si ferma qui e nell’estate 1999 diventa addirittura Primo Ministro e successore designato del Presidente Eltsin, ormai in procinto di ritirarsi a causa dello scandalo Mabetex e di condizioni di salute sempre più precarie. I motivi della scelta di Eltsin sono ancora oggi dibattuti; l’ipotesi principale è che fosse convinto di poter sfruttare Putin come comoda figura di facciata per continuare a gestire il potere da dietro le quinte. Se è così, i suoi calcoli si rivelano presto errati: diventato Presidente ad interim il 31 dicembre, Putin si dimostra infatti più energico e scaltro del previsto, vincendo le elezioni del marzo successivo con il 53% dei voti. Ormai Presidente a tutti gli effetti, Putin rassicura Eltsin archiviando le varie inchieste giudiziarie a suo carico e raggiunge un importante accordo con i principali oligarchi del Paese, mantenendo i loro privilegi economici in cambio della loro rinuncia a intervenire nella vita politica nazionale. Chi rifiuta tale compromesso, come Boris Berezovsky e Mikhail Khodorkovsky, viene presto liquidato dalla scena pubblica e i suoi beni incamerati dagli oligarchi fedeli al nuovo Presidente. Nel frattempo, Putin schiaccia brutalmente il separatismo ceceno e instaura un regime filo-russo a Grozny guidato dalla famiglia Kadyrov. In tale manovra è aiutato dai suoi buoni rapporti con i Paesi occidentali, e specialmente con gli USA di George W. Bush, con cui collabora attivamente nella lotta contro il terrorismo islamico dopo gli attentati dell’11 settembre 2001.
Rieletto a furor di popolo nel 2004, grazie anche al netto miglioramento dell’economia nazionale (frutto del boom di petrolio e gas russi sui mercati internazionali), Putin inizia gradualmente ad adottare una posizione più assertiva nei confronti dell’Occidente. Nel 2004 contesta apertamente la “rivoluzione arancione” in Ucraina, dando vita anche a una breve guerra del gas con Kiev e l’Unione Europea; nel 2006-7 respinge fermamente le critiche internazionali per il continuo restringersi delle libertà politiche e civili in Russia; nel 2007-8 si oppone energicamente ai tentativi di ulteriore allargamento della NATO nell’area post-sovietica, bloccando di fatto l’affiliazione di Georgia e Ucraina all’organizzazione. Nel 2008 Putin designa come suo successore alla presidenza il giovane Dmitry Medvedev, obbedendo al dettato costituzionale che vieta un suo terzo mandato consecutivo, ma mantiene il controllo della scena politica con l’incarico di Primo Ministro. Questo controllo si vede pochi mesi dopo la vittoria elettorale di Medvedev, quando la Russia lancia una guerra-lampo contro la Georgia a difesa dei separatisti di Abkhazia e Ossezia del Sud, infliggendo una dura umiliazione a Tbilisi e mandando un avvertimento ben preciso ai Paesi occidentali suoi sostenitori. Insoddisfatto comunque da Medvedev, Putin si ripresenta nuovamente come candidato presidenziale nel 2012, vincendo con il 63% dei voti, ma il suo terzo mandato si rivela più difficile del previsto, con le proteste pubbliche contro la sua leadership, la rivoluzione di Euromaidan in Ucraina e i rapporti sempre più tesi con l’amministrazione Obama. Nonostante ciò, l’annessione della Crimea nel marzo 2014 e l’intervento militare in Siria nel settembre 2015 assicurano la sua popolarità interna e rilanciano il ruolo della Russia come grande potenza internazionale, seppur alle prese con gravi difficoltà economiche interne e un conflitto sempre più duro con l’Occidente. Nel 2018 Putin viene infine rieletto come Presidente per la quarta volta, confermando la sua egemonia personale sulla scena politica russa e aprendo interessanti interrogativi sul futuro del Paese dopo la fine di tale mandato nel 2024.
Simone Pelizza
Quale sarà il destino del Nagorno-Karabakh?
In 3 sorsi – Ispirato dalla rivoluzione armena, il Nagorno-Karabakh inaugura una nuova stagione di dialogo e di apertura politica.
Space Force: Guerre Stellari oppure no?
In 3 sorsi-AstroCaffè – È stata chiamata “Guerre Stellari”, riprendendo un detto di reaganiana memoria, ma cos’è davvero la Space Force degli Stati Uniti e perché è nata?
BDP, cinquant’anni di potere in Botswana
In 3 sorsi – Mokgweetsi Masisi è stato riconfermato Presidente e con lui il Botswana Democratic Party (BDP), storico partito al potere dall’indipendenza del Paese a oggi.
1. NUOVO PRESIDENTE, VECCHIO PARTITO
Quasi un milione gli elettori recatisi alle urne a ottobre per le elezioni generali in Botswana. Nonostante questa volta la vittoria non fosse scontata, è stato comunque rieletto Presidente Mokgweetsi Masisi, candidato del Botswana Democratic Party (BDP). Negli ultimi due anni il partito è andato incontro a importanti cambiamenti, soprattutto dopo che l’ex leader Ian Khama si è dimesso dalla presidenza verso la fine del mandato. Khama aveva preso le distanze dal BDP, per lanciare più tardi una sua nuova formazione politica: il Botswana Patriotic Front (BPF). Queste elezioni hanno sicuramente messo in luce una volontà di cambiamento graduale e dato voce ai sentimenti contrastanti che attraversano il Paese. Se da un lato infatti Masisi è quello che più si avvicina a un’idea di novità, i botswani hanno comunque deciso di rimanere fedeli al partito di governo, che ha guadagnato quasi il 53% dei voti contro il 35% circa ottenuto dalla coalizione formata dall’Umbrella for Democratic Change (UDC) e dal Botswana Congress Party (BCP), principali partiti all’opposizione.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Mokgweetsi Masisi durante la cerimonia di giuramento come quinto Presidente del Botswana, svoltasi a Gaborone il 1° novembre 2019
2. IL PAESE È STABILE, MA NON MANCANO I PROBLEMI
Masisi, salito al potere nell’aprile 2018, aveva subito iniziato a invertire alcune delle politiche del governo precedente sui temi dei diritti civili, mostrandosi a favore della depenalizzazione delle unioni omosessuali. Sui diritti ambientali inoltre Masisi si era distanziato dal vecchio establishment abrogando il divieto di caccia agli elefanti. Insegnante di professione, entrato in politica nel 2004, il nuovo Presidente guiderà la nuova agenda di una delle democrazie più stabili d’Africa. Tra le principali problematiche da affrontare la lotta alla disoccupazione e la diversificazione di un’economia basata ancora principalmente sullo sfruttamento minerario: il Botswana è infatti uno dei principali esportatori al mondo di diamanti. Poco dopo la sua elezione, Masisi ha annunciato la trattativa in corso per il rinnovo della partnership con il colosso dei diamanti De Beers durante la Diamond Conference nella capitale Gaborone, sottolineando che l’accordo dovrà soddisfare l’interesse del Paese, portando vantaggi reciproci per entrambe le parti.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Una scena degli scrutini presso la circoscrizione centrale di Gaborone, capitale del Botswana, durante le elezioni dello scorso ottobre
3. VOGLIA DI CAMBIAMENTO
Quanto accaduto potrebbe definirsi come l’inizio di un percorso verso la costruzione di una democrazia moderna. L’esigenza di riforme e di trasformazione sembra cedere il passo alla richiesta di continuità e stabilità. Sempre più in tutto il continente africano i solidi partiti al potere, apparentemente inamovibili, cominciano a vacillare e perdono gradualmente il consenso popolare. Laddove si sono formate democrazie più stabili, i cittadini tuttavia non sembrano ancora pronti a lasciare andare i partiti storici e quindi un passato che per molti ha coinciso con la fine del colonialismo. Un nuovo strumento di lettura si rende forse necessario per interpretare le nuove aspirazioni democratiche dei diversi stati del continente.
MT
Immagine di copertina: Nick Youngson, Alpha Stock Images, http://www.picserver.org/b/botswana.html, CC BY-SA 3.0
Nella guerra tra USA e Cina: quale futuro per ASEAN?
In 3 sorsi – Si è conclusa poche settimane fa la 35esima edizione dell’ASEAN Summit che quest’anno, come la prima edizione, si è svolto in Thailandia con lo scopo di promuovere la cooperazione politica, economica e sociale delle nazioni del Sud-est asiatico.
Libia, 1951-2019: un’indipendenza difficile
Ristretto – 24 dicembre 1951: la Libia diventa uno Stato indipendente sotto la guida di re Idris I, emiro della Cirenaica e capo dell’ordine politico-religioso dei Senussi. È l’inizio di una storia violenta e difficile che sembra ancora oggi ben lontana da una conclusione positiva per il Paese.
Ceduta dalla Turchia all’Italia nel 1912, la Libia conosce per diversi decenni dure politiche coloniali volte a sottometterla definitivamente al controllo di Roma. La principale spina nel fianco per il Governo italiano è l’ordine politico-religioso dei Senussi, attivo soprattutto in Cirenaica, ma non mancano anche fermenti nazionalisti in Tripolitania, conquistata militarmente nel 1911. L’arrivo al potere di Mussolini porta prima alla sottomissione di Tripoli e poi alla sconfitta dei Senussi, schiacciati brutalmente dalle “campagne di pacificazione” del generale Graziani nei primi anni ‘30. Successivamente il regime fascista investe ingenti somme nello sviluppo economico del Paese nordafricano, sperando di trasformarlo in una destinazione primaria per l’emigrazione italiana, ma i risultati sono assai limitati e consentono solo l’insediamento di circa 150mila coloni nella fascia costiera. La seconda guerra mondiale mette poi fine a questi tentativi di colonizzazione: nel 1943 il Paese viene infatti occupato integralmente dagli Alleati che danno avvio a una graduale emancipazione politica sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Dopo un periodo piuttosto incerto e convulso, segnato anche dal tentativo di creare uno Stato federale con parlamenti regionali separati, l’assemblea nazionale libica elegge il principe Sidi Muhammad Idris al-Mahdi al-Senusi come re del Paese e la Libia viene ufficialmente proclamata indipendente la vigilia di Natale del 1951. Ma l’indipendenza non allevia i tanti problemi interni del nuovo Stato, dalla povertà diffusa al conflitto tra differenti gruppi etnico-religiosi. Inoltre la marcata preferenza politica e personale di re Idris per la Cirenaica alimenta il risentimento di Tripoli, che ha accettato il predominio politico dei Senussi solo per evitare un eventuale ritorno politico dell’Italia nel Paese.
Nel 1959 la scoperta di significativi giacimenti petroliferi consente alla Libia di liberarsi dagli aiuti internazionali e di espandere servizi sociali e infrastrutture a beneficio dei propri abitanti. Ma il petrolio accresce anche la rivalità tra potenze straniere per il controllo dei giacimenti locali e l’insofferenza tripolina per il regime di re Idris. Nel 1969 un golpe militare pone fine alla monarchia e porta al potere il giovane colonnello Muammar Gheddafi, che lancia un’ambiziosa politica estera per trasformare la Libia in un attore di primo piano sullo scacchiere internazionale. Sfruttando i proventi dell’industria petrolifera, Gheddafi sostiene infatti diversi gruppi armati in Medio Oriente, tra cui quelli palestinesi, e cerca ripetutamente di porsi a capo dei Paesi africani. A livello interno, invece, il leader libico dà vita a una repubblica di tipo socialista e promuove svariati schemi per migliorare le condizioni di vita della popolazione, ma tali sforzi sono in parte vanificati dalle fluttuazioni dei prezzi petroliferi. Anche il crescente conflitto con gli Stati Uniti finisce per limitare lo sviluppo economico libico: nel 1986 il Presidente Reagan ordina persino il bombardamento di Tripoli e il Paese resta soggetto a sanzioni internazionali per anni, sia per il suo sostegno ad organizzazioni terroristiche che per il sospetto sviluppo di armi chimiche. Nei primi anni Duemila Gheddafi sfrutta però il nuovo contesto internazionale sorto dagli attentati dell’11 settembre per riavvicinarsi ai Paesi occidentali e ottenere un graduale allentamento delle sanzioni. Ma è una tregua di breve durata: nel febbraio 2011 la Cirenaica si rivolta apertamente contro il regime e ottiene presto il vitale sostegno politico-militare di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Cacciato da Tripoli, Gheddafi viene ucciso brutalmente dai ribelli e il Paese sembra avviarsi verso una difficile ma promettente transizione politica, testimoniata dalle elezioni relativamente pacifiche del luglio 2012. Ma tensioni regionali, terrorismo fondamentalista e giochi di potere internazionali finiscono per affondare ogni speranza democratica e per gettare il Paese in una sanguinosa guerra civile che continua ancora ai giorni nostri.
Simone Pelizza
Hezbollah nel cuore dell’America Latina
In 3 sorsi – Tra Paraguay, Argentina e Brasile, Hezbollah ha trovato un luogo ideale in cui stabilirsi e condurre fruttuosi traffici illeciti per finanziare le attività dell’ organizzazione in Medio Oriente. Come stanno reagendo i tre Paesi latini?
Starliner: problema rovina il test spaziale della Boeing
In 3 sorsi-Astrocaffè – Il primo test senza equipaggio del nuovo veicolo spaziale della Boeing non è andato come si pensava. A bordo c’erano anche alcuni regali natalizi per gli astronauti della ISS.
Non fare danni
5 Domande e 5 Risposte – La dichiarazione USA sulla non illegalità degli insediamenti israeliani nella West Bank ci ricorda come uno dei primi pilastri di chiunque si interessi di conflitto israelo-palestinese dovrebbe essere “ricorda di non fare danni”.


