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Il potere logora… ma è meglio non perderlo

Secondo alcune confidenze Robert Mugabe, “padrone” dello Zimbabwe, vorrebbe abbandonare il potere perché stanco e ammalato, ma non saprebbe a chi affidare la fase di transizione.

C’è del calcio in Danimarca

Caffè Europeo – Vent’anni fa, durante l’Europeo di Svezia del 1992, i sogni danesi di gloria calcistica divennero improvvisamente realtà, regalando alla squadra meno preparata e motivata del torneo, ripescata dopo l’esclusione della Jugoslavia, la gioia infinita della vittoria. Da sempre lo spirito di squadra e non il valore o la statura dei singoli giocatori è il cuore della mentalità della squadra, e forse anche della nazione scandinava. Quest’anno l’impresa del passaggio agli ottavi sembra veramente impossibile, solo una magia come quelle delle fiabe di Andersen potrebbe portare la nazionale verso un’incredibile lieto fine

 

FELICI DI STARE LASSU’ – In un recente sondaggio pubblicato dalle Nazioni Unite, i Danesi sono stati indicati come il popolo più felice della terra, davanti ai loro vicini Scandinavi di Norvegia e Finlandia. Lo studio era impostato su una vasta serie di fattori in modo da considerare sia la vita sociale che quella pubblica. La Danimarca ha ottenuto punteggi alti in aree come la sicurezza sociale e il comparto sanitario, tra gli altri criteri di merito figurano la libertà politica, il basso tasso di corruzione e una diffusa previdenza nel mondo del lavoro. In realtà il sondaggio ha dimostrato ciò che i danesi avevano già sospettato, cioè che i pro del vivere in Danimarca sorpassano i contro. Con una popolazione relativamente piccola di solo 5,5 milioni di abitanti, il paese è stato capace di istituire uno dei più completi sistemi di Welfare del pianeta. Il sistema all’avanguardia garantisce che la popolazione possa godere di un’istruzione pubblica gratuita dalla culla alla laurea, cure mediche senza spese nonchè sostanziosi sussidi governativi a supporto di disoccupati, studenti e famiglie, solo per citarne alcuni. In modo da sostenere tale sistema impareggiabile, la Danimarca d’altra parte ha una delle percentuali di tassazione al mondo sia sui guadagni che sulle proprietà.

 

“PRIME DONNE” AL POTERE – Nonostante la dichiarata felicità e la sicurezza sociale della popolazione, anche la Danimarca ha subito l’influenza negativa della crisi dell’Eurozona, anche se non ai livelli dei paesi dell’Europa meridionale. Ciò ha causato un’innalzamento del tasso di disoccupazione fino alla ridiscussione se il peso fiscale del welfare nazionale sia distribuito equamente tra la popolazione o meno. L’effetto più eclatante dell’arrivo della crisi al nord è stata il cambio della guardia al governo dopo le elezioni politiche del settembre 2011. Il risultato delle urne ha portato il Partito Socialdemocratico e la leader Helle Thorning Smith al potere, dopo l’addio al liberale Lars Løkke Rasmussen. La paladina della sinistra moderata è diventata così la prima donna ad occupare il seggio più importante della politica danese nella storia del paese. La vittoria è stata un prodotto naturale della campagan elettorale basata sui temi classici del socialismo democratico come la redistribuzione fiscale e la riforma della pubblica amministrazione. Motivi del genere sono ovviamente il pane dell’opinione pubblica in tempi di crisi, tuttavia la neo-premier ha beneficiato del malcontento generale e dalla richiesta di un vento di cambiamento nel Parlamento dopo dieci anni di maggioranza a destra tra liberali e conservatori.

 

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COPENHAGEN VS BRUXELLES? – Negli ultimi anni alla patria di Andersen è stata affibbiata la spilla politica del nazionalismo e dell’euroscetticismo, soprattutto in seguito alle implicazioni della ressa mediatica scatenata nel 2011 dalla “favola” di un possibile ritorno delle dogane al confine con la Germania, in chiaro conflitto col Trattato di Schengen. Manovre o boutades politche radicali come questa non erano altro che la conseguenza della leva del Partito Nazionalista Dansk Folkeparti (Il Partito del Popolo Danese) che deteneva i voti necessari alla maggioranza nel precedente governo. Con l’avvento del nuovo Primo Ministro Helle Thorning Schmidt, ex membro del Parlamento Europeo e convinta europeista, si avvertono già i segnali di un cambio di paradigma. Il simbolo del nuovo impegno per l’Unione è stato però il 2012, i cui sei mesi iniziali hanno visto la Danimarca ottenere la presidenza di turno rinnovando l’impegno verso le energie rinnovabili e sostenibili nonostante i problemi della crisi economico-finanziaria.

 

L’ESPERIENZA DEL MISTER– Nonostante il successo inarrestabile della nazionale di pallamano negli ultimi temnpi, il calcio è ancora di gran lunga lo sport più popolare in Danimarca. La nazionale di calcio continua ad essere motivo di raccoglimento generale ogniqualvolta si avvicini un grande torneo internazionale e come sempre ci si aspetta che “I Rooligans” (letteralmente “gli Hooligans tranquilli”) siano ben rappresentati nell’imminente Europeo in Polonia e Ucraina. I 23 della squadra danese arrivano all’evento con un bagaglio di ottimismo e fiducia dopo aver concluso la fase a gironi alla testa del Gruppo H, davanti a top team come la Norvegia e il Portogallo. La qualificazione non è stata solo una spinta morale alla squadra ma anche una pacca rassicurante sulla spalla del coach navigato Morten Olsen che, con dodici anni di onorata carriera, è attualmente il C.T. rimasto più a lungo sulla panchina della nazionale. La carriera di Olsen non è però sempre stata una dolce discesa, come dimostra la fallita qualificazione agli ultimi Europei del 2008. Tuttavia in Danimarca c’è un’opinione condivisa che un piazzamento onorevole al campionato di quest’estate lascerà al C.T. una gratificante eredità dato che ha già annunciato la fine della sua carriera alla guida della nazionale dopo il torneo.

 

LA FILOSOFIA DELLA “LINEA ROSSA” – La nazionale danese non è ricca di stelle del calcio internazionale, ma fonda la sua strategia su un inarrestabile spirito di squadra in cui nessun giocatore è al di sopra del gruppo e ad ognuno tocca una fetta di sacrificio in ogni partita. Questa concezione è resa ancora più chiara dalla cosiddetta “Den Røde tråd”, la filosofia della “linea rossa”, un concetto coniato proprio da Morten Olsen che implica uno stile di gioco “all’olandese” con un 4-3-3 dinamico e un gioco propositivo d’attacco con alte percentuali di possesso palla. La dottrina è stata divulgata attraverso ogni ramo delle giovanili della nazionale, garantendo così la stessa familiarità dei giocatori attuali e delle future promesse con lo stile di gioco danese, già prima di ricevere l’ambita chiamata.

 

I DIAMANTI DI OLSEN – Nonostante l’assenza di stelle, ci sono naturalmente alcuni giocatori in grado di brillare agli EURO 2012 per garantire alla Danimarca il successo che si merita. Tra questi talenti, tre in particolare saranno chiamati a costituire la spina dorsale dell’undici titolare. Primo tra gli altri Niklas Bendtner che è diventato la prima scelta naturale come punta di peso, anche se non è riuscito a rompere le barriere della panchina in Premier League con l’Arsenal. Grazie alle sue doti fisiche imponenti, Bendtner è il terminale d’attacco ideale nel 4-4-3, tanto da gettare timori e paure nei tifosi in patria che per la sua ormai chiara insostituibilità, che rende un’eventuale infortunio o una pecca iniziale il peggior incubo per la squadra. A centrocampo la Danimarca dispone di varie scelte di qualità, anche se le luci del palcoscenico europeo saranno tutto puntate sul ventenne Christian Eriksen. Con le sue grandi prestazioni nei ranghi dell’Ajax di Amsterdam, Eriksen è diventato uomo-mercato per diverse mete interessanti in Inghilterra e Spagna. Un buon rendimento in Polonia e Ucraina pootrebbe essere il podio perfetto per dare il via ad un trasferimento verso uno dei grandi club della Champions’ League della prossima stagione. Da ultimo troviamo il difensore del Liverpool Daniel Agger, il capitano della squadra danese che tenterà di bilanciare l’approccio offensivo con una solida performance nella sala macchine della difesa.

 

IL PARADISO ALL’IMPROVVISO – Quando si parla di trofei internazionali conquistati dalla Danimarca e di Campionati Europei, il ricordo impareggiabile è sicuramente l’incredibile quanto insperato titolo vinto nel 1992 in Svezia. La nazionale danese giunse alla competizione all’ultimo minuto, completamente impreparata al ripescaggio seguito all’esclusione della Jugoslavia, scossa dalla tremenda guerra intestina. Nonostante le premesse e grazie al sostegno incrollabile del mitico Kim Vilfort, costretto a lasciare due volte il ritiro a causa della leucemia che aveva colpito la figlia, la Danimarca conquistò la finale dove inflisse un pesante due a zero alla Germania, col raddoppio segnato proprio da Vilfort. Fu così che il leggendario protiere saracinesca Peter Schmeichel potè alzare la coppa, provando che per la terra delle fiabe nulla è realmente impossibile.

 

“IL GRUPPO DELLA MORTE” – Tuttavia il sogno diventato realtà con l’impresa del 1992 non cambia il fatto che la squadra danese soffra di un giustificato complesso d’inferirorità in termini calcistici, soprattutto se paragonata alle grandi regine europee del rettangolo da gioco. Il problema è tornato d’attualità proprio al momento cruciale del sorteggio per i gruppi dell’Europeo di Polonia e Ucraina, dove la Danimarca è incappata nel girone peggiore del torneo, a fianco di giganti quali Olanda, Germania e Portogallo. Tutte e tre le avversarie dei 23 di Olsen figurano tra le favorite non solo nella fase a gruppi ma proprio nella corsa finale verso Kiev. Pochi i dubbi sui motivi che hanno portato la stampa mondiale a ribattezzarlo “Il gruppo della Morte”. Con tali premesse e senza troppe aspettative dai tifosi in patria, alla nazionale biancorossa non resta altro che stupire l’Europa sconfiggendo i fantasmi del calcio mondiale, chissà che proprio la fantasia della penna di Andersen non scriva il secondo capitolo della magia compiuta in terra svedese proprio vent’anni fa.

 

Magnus Jarl Brunés

E’ qui l’Europa!

Caffè Europeo – Inizia oggi la nuova rubrica “Caffè Europeo”: ogni giorno vi presenteremo una squadra, e il rispettivo Paese, partecipante ai Campionati Europei di Calcio che si svolgeranno dall’8 giugno in Polonia e Ucraina. Cominciamo proprio da una delle nazioni ospitanti, facendo tappa a Varsavia. Un’economia in crescita che non sembra però corrisposta in campo da una squadra altrettanto promettente… o forse no? Buona lettura!

 

SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO... – E’ un luogo comune abbastanza diffuso, tra i nostalgici delle dittature di vari colori che popolarono l’Europa nel corso del XX secolo. Per quanto riguarda i Paesi dell’ex Unione Sovietica generalmente il riferimento va a quel poco di benessere economico, che secondo alcuni sembra sia andato perduto in seguito alle liberalizzazioni e privatizzazioni “selvagge” che ebbero luogo in Russia e in molte ex repubbliche ex sovietiche dopo la caduta del Muro di Berlino. Fermi un attimo: questa espressione si può riferire anche ai successi nello sport? Per la Polonia, paese ospitante insieme all’Ucraina di Euro 2012, la risposta potrebbe essere affermativa.

 

UN PASSO INDIETRO – Andiamo indietro nel tempo di quasi quarant’anni, nel 1973. Siamo a Wembley, il mitico stadio di Londra, e l’attaccante polacco Jan Domarski segna il gol che qualifica la Polonia ai Mondiali del 1974, condannando l’Inghilterra ad una umiliante esclusione. L’ “undici” proveniente da Varsavia terminò il campionato disputato in Germania Ovest al terzo posto: un risultato strepitoso, che fu addirittura ripetuto nel 1982, quando i polacchi furono eliminati ad un passo dal sogno proprio dall’Italia. Fu questo l’apice del calcio locale, per una bizzarra coincidenza proprio in concomitanza con l’inizio del declino del potere politico del regime socialista e l’ascesa irresistibile del sindacato di Lech Walesa ,Solidarnosc che, insieme al ruolo giocato da Papa Giovanni Paolo II, fu determinante nell’aprire una crepa nel dominio sovietico.

 

IL CALCIO NON E’ DI CASA – Da allora la nazionale polacca non ha mai più registrato nessun acuto, eccezion fatta per la partecipazione (a dire il vero passata quasi sotto silenzio) ai Mondiali tedeschi del 2006: basti citare il fatto che i giocatori biancorossi si trovano al 65esimo posto del ranking FIFA, dietro a nazionali non proprio “blasonate” come Sierra Leone e Honduras. Inoltre, il gioco del pallone da queste parti non sembra essere così popolare, essenzialmente per due motivi. Da una parte, le strutture sportive spesso fatiscenti (a differenza dei Paesi dell’ex-Jugoslavia, che si trovarono in una condizione migliore al termine del periodo socialista) disincentivarono i giovani ad accostarsi a questa disciplina; dall’altra, la massiccia emigrazione verso Paesi più ricchi come la confinante Germania privò la Polonia di giovani “virgulti” che hanno poi fatto parecchia strada in altre nazionali, come ad esempio Miroslaw Klose. L’organizzazione degli Europei, seppur in coabitazione con l’Ucraina, può tuttavia fornire nuovi stimoli, sia per quanto riguarda l’economia che per la passione sportiva. La spesa per la costruzione dei nuovi quattro stadi ammonta a poco più di un miliardo di euro, ma si pensa che gli introiti derivanti da incassi e turismo da qui fino al 2020 potrebbero toccare i sei miliardi di euro, garantendo una crescita aggiuntiva del PIL misurata nell’ordine del 2%. Inoltre, il Governo ha deciso di costruire in giro per il Paese oltre duemila campi da calcio, al fine di sensibilizzare la popolazione all’amore per il calcio e lo sport più in generale.

 

LA NAZIONALE OGGI… LA SPERANZA E’ GIALLONERA – La squadra che si presenta all’europeo sembra fatta di onesti giocatori che giocano per la maggior parte in club stranieri. Il portiere titolare, Wojciek Szczesny, milita nell’Arsenal, mentre Damien Perquis è un difensore del Sochaux che è stato naturalizzato polacco. L’undici di Varsavia, tuttavia, può vantare un vero e proprio spauracchio: Robert Lewandowski, attaccante che a suon di gol e assist (30 reti e 9 passaggi vincenti) ha portato il Borussia Dortmund a vincere l’ultima Bundesliga. Alle sue spalle, il difensore Lukasz Piszczek, suo compagno di squadra nella formazione tedesca dai colori sociali gialloneri.

 

UN PRONOSTICO DIFFICILE – La Polonia riuscirà a passare il turno? Difficile dirlo: il gruppo A sembra essere abbastanza equilibrato (ne fanno parte anche Russia, Grecia e Repubblica Ceca), in più la spinta dei tifosi di casa potrebbe fornire un’arma in più. Per scoprire come si comporterà la Polonia, dunque, non vi è che attendere ancora pochi giorni: l’esordio sarà l’8 giugno contro la Grecia. L’Europa che cresce e riesce ancora a svilupparsi contro quella sull’orlo del baratro economico e sociale: a volte lo sport riesce a riprodurre in campo le dinamiche in atto al di fuori. Sarà un Europeo strano, in un momento cruciale per le sorti politico-economiche del nostro continente gli intrecci tra geopolitica e pallone potrebbero essere molteplici ed inaspettati.

 

Davide Tentori

Conferme e Sorprese

Il primo turno delle elezioni presidenziali in Egitto ha confermato molte ipotesi della vigilia ma ha anche presentato alcune interessanti sorprese. Nel frattempo si scalda la sfida tra Mohammed Mursi, candidato della Fratellanza Mussulmana, e Ahmed Shafiq, ex-generale di Mubarak e uomo dei militari. Si preannuncia un’altra sfida tra le due anime dell’Egitto moderno

IL VOTO: LA VERA CONQUISTA – Forse il dato dell’affluenza (46% circa) non parrà particolarmente alta per gli standard occidentali, ma bisogna ricordare come il vero successo raggiunto sia stato proprio il poter votare per la prima volta in elezioni libere e sostanzialmente senza incidenti rilevanti ai seggi. Eppure non basta fermarsi a questo dato, bisogna osservare i risultati per capire come si è votato e cosa potrebbe succedere in futuro.

LE CONFERME SCONTATE – Molte delle ipotesi della vigilia sono state confermate: Mohammed Mursi, candidato della Fratellanza, ha sì passato il primo turno, ma ha effettivamente scontato un forte calo di consensi rispetto alle scorse elezioni politiche, con un 24.8% di preferenze. Rimane il candidato più popolare, ma come già espresso nella nostra analisi pre-elezioni (Una poltrona per tre, https://ilcaffegeopolitico.net/central_content.asp?pID=1137), la Fratellanza ha mal gestito la propria vittoria elettorale ed è ora mal vista da una parte crescente del pubblico. Confermati anche il risultato modesto di Aboul Fotouh (17.4%, quarto posto) che nonostante le accuse di brogli paga invece la sua eccessiva vicinanza agli islamici più fondamentalisti, e il fatto che Amr Moussa (appena l’11.1%) abbia perso voti a favore di altri candidati liberali.

SORPRESE – Ed è proprio qui che vediamo le sorprese, che noi stessi non avevamo preventivato. Con il senno di poi il secondo posto (e passaggio al secondo turno) di Ahmed Shafiq con il 23.7% dei voti appare meno incredibile se si pensa che è lui l’uomo dei militari – il riferimento dopo l’esclusione di Suleiman. Che ci siano stati brogli a suo favore come accusano gli altri candidati o che effettivamente la gente abbia preferito la stabilità da lui proposta rispetto ai Fratelli, rimane il fatto che l’ex-generale di Mubarak è ora un serio candidato alla vittoria finale nonostante il suo passato in contrasto con la rivoluzione recente.

ALL’OMBRA DI NASSER – Altra sorpresa, ancora meno prevedibile, è stata quella del candidato Nasseriano Hamdin Sabbahi, del partito socialista Karamah, al terzo posto con il 17.4% dei voti. La sua campagna si è svolta tra le strade e la gente, con pochi fondi ma sempre a contatto con la gente e i lavoratori: forse proprio questo lo ha reso una sorta di paladino di chi non si fidava né delle promesse ormai meno credibili dei partiti islamici né di fantasmi del vecchio regime. Inutile puntare troppo il dito contro le contraddizioni riguardo alla figura di Nasser, Sabbahi ha preso il meglio del vecchio leader, inclusa la dialettica e vicinanza al popolo dei primi periodi, e l’ha resa un’arma vincente. Non andrà al secondo turno, ma il suo partito sarà da seguire nei prossimi mesi e anni, possibile punto di raccolta dell’opposizione liberale e popolare ai Fratelli e ai militari.

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E ORA? – Nella migliore tradizione italiana, facciamo un po’ di conti per cercare di capire come sarà il secondo turno. Incredibilmente se sommiamo le percentuali dei principali candidati non islamici (Moussa, Shafiq, Karamah), otteniamo un 52.2%, segno di come attualmente esista una certa maggioranza che non vuole un presidente islamico. Bisogna però trattare tali dati con molta attenzione. Innanzi tutto non è per nulla detto che gli elettori di Moussa e Karamah decidano di votare per Shafiq, che potrebbero appunto vedere comunque come troppo vicino al vecchio regime. Inoltre l’affluenza del 46% citata all’inizio è indice di come una considerevole massa di elettori non si sia espressa: un bacino di voti enorme al quale entrambe le parti cercheranno di attingere per raggiungere la vittoria.

IL REFERENDUM SUI “FRATELLI” – La Fratellanza sicuramente ora si sente meno sicura, perché anche se i partiti che supportavano Fotouh ora hanno dichiarato il loro appoggio a Morsi, come abbiamo visto i conti appaiono sfavorevoli. Va visto in quest’ottica dunque il tentativo di delegittimare Shafiq, sfociato nell’incendio del suo quartier generale al Cairo. La posta infatti è molto alta: l’effettivo controllo del paese. La Fratellanza è arrivata a un passo e ora vede la preda sfuggire di mano, mentre l’esercito sta giocando tutte le sue carte per non perdere anche questa partita e mantenere il potere reale. E’ probabile che i toni rimarranno alti fino al secondo turno in Giugno, e non sono da escludere altri scontri di piazza.

Lorenzo Nannetti [email protected]

Toma ‘il becchino’ e gli spettri serbi

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Il 20 maggio si è svolto il ballottaggio tra i due candidati alle presidenziali serbe Boris Tadic e Tomislav Nikolic, conclusosi con l’elezione a sorpresa di quest’ultimo. L’ex-supervisore di cimiteri ha ora dinanzi a sé un sentiero lungo e tortuoso per raggiungere la meta dei dialoghi europei e del miglioramento della situazione economica del paese; ma prima ancora di pensare al traguardo, deve pensare ai colleghi che gli si affiancheranno al governo del paese

VOTO A SORPRESA – L’appuntamento elettorale di domenica era giunto con dinamiche che lasciavano presagire un verdetto differente: Tadic era il favorito nella corsa alla carica di presidente della repubblica e con la sua elezione la formazione del governo sarebbe stata molto più lineare. Già all’indomani del primo turno elettorale i socialisti di Dacic (affermatisi terza forza politica) avevano infatti annunciato l’intenzione di proseguire nell’alleanza con i democratici dell’ex-presidente Tadic; ciò avrebbe comportato la necessità, facilmente soddisfabile, di trovare un terzo partner (probabilmente i liberali) per permettere alla coalizione di ottenere la maggioranza in parlamento ed avviare così uno stabile terzo mandato del leader democratico.

L'ECONOMIA MR. TADIC, L'ECONOMIA… – Ma gli elettori serbi non hanno perdonato all’ultimo governo i risultati che tardano a palesarsi nella performance economica della nazione: l’inflazione all’11%, la corruzione molto estesa e la disoccupazione al 25%, con punte ben più alte nelle zone meno sviluppate, sono macigni inamovibili legati alle caviglie dei corridori delle gare elettorali e questo Boris lo ha pagato sulla sua pelle; a nulla sono valsi successi quali lo status di paese candidato alla membership europea. Nella formazione del nuovo governo i democratici e, vero ago della bilancia, il partito socialista non sono però ancora fuori dai giochi ed i “nazionalisti moderati” di Nikolic dovranno tenerli in considerazione.

CHE FARE? – Il Partito progressista serbo (Sns) è quindi il vincitore delle elezioni, ma non ha i numeri sufficienti per poter formare un governo “monocolore” e nemmeno per uno semplicemente in coppia con un altro partner di coalizione. Dunque lo scenario su cui si sono concentrati molto nelle ultime ore i media serbi è quello di una coabitazione tra Nikolic, presidente della repubblica, e Tadic, nella veste di primo ministro, con i socialisti terza forza a comporre la maggioranza: uno scenario impensabile fino a pochi giorni fa e che determinerebbe un governo i cui componenti dovrebbero forse prodigarsi più nel mantenere la calma tra di loro che non nell’elaborare le politiche economiche e di riforma che esige il paese, ma la Serbia vive una fase delicata e la politica dovrà adeguarsi. Tadic ha inizialmente scartato l’ipotesi di un simile panorama già domenica sera al termine dello spoglio, ma indiscrezioni dal suo entourage suggeriscono che stia riconsiderando la sua presa di posizione.

COSA OFFRE LO SCAFFALE – E se non fosse Tadic a formare il nuovo governo serbo, chi potrebbe ricevere allora questo incarico? Alcuni democratici fanno il nome di Djilas, sindaco di Belgrado e astro nascente del partito. Ma a prescindere dai nomi che si ventilano il partito socialista sarà sicuramente un interlocutore importantissimo nella creazione dell’esecutivo ed il suo leader si giocherebbe la carica di nuovo capo di governo, ma con il sostegno di quali altre forze? Il partito radicale serbo, di cui Nikolic era precedentemente il leader, ha perso tutti i seggi in parlamento e quindi rimangono come possibili interlocutori il partito democratico di Serbia guidato da Kostunica e i liberal-democratici: entrambi i partiti hanno 20 seggi all’assemblea nazionale (unica camera del parlamento) e permetterebbero di raggiungere la maggioranza di 125 seggi se si alleassero con la coalizione Dacic+Nikolic. Questo ragionamento sarebbe validissimo però solo senza considerare che la maggior parte di questi altri partiti in parlamento ha rilasciato dichiarazioni di supporto ad un nuovo esecutivo guidato da Boris Tadic.

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LA SCELTA TECNICA – In alcuni circoli si fa invece il nome di Kori Udovicki, funzionaria di alto livello presso il Segretariato dell’ONU e competente economista: un tecnico dunque al posto di primo ministro per uscire da una fase economica difficile. Miroslav Zdravkovic, economista, afferma che supporterebbe un governo guidato da Udovicki, ma sottolinea come sarebbe alquanto fragile data la necessaria convergenza tra i DS e SNS per sostenerlo; Vladimir Goati, direttore di Transparency Serbia, apprezza una soluzione di esperti all’esecutivo, ma puntualizza anche lui su come, in un paese in cui i politici detengono tanto potere, le sorti e le decisioni dei governanti siano alquanto condizionate. Dunque la scelta tecnica sembra apprezzata da molti osservatori, ma tutti riconoscono che porterebbe ad una situazione di estrema fragilità istituzionale.

UNA TETRA ACCOGLIENZA – Mentre si disquisisce su chi sarà il nuovo primo ministro, il neo-presidente Nikolic ha già gettato scompiglio: gli spettri del suo passato aleggiano pesanti, soprattutto per i vicini. Il prof. Zarko Puhovski ricorda come Nikolic fosse un individuo abituato a “rilasciare dichiarazioni riguardanti la Croazia, la Bosnia Herzegovina e la Macedonia che non possono essere considerate amichevoli”; non c’è da stupirsi dati i suoi trascorsi: combatté brevemente in Croazia e fu un discepolo leale di Vojislav Seselj, ultra-nazionalista serbo sotto processo a L’Aia per crimini di guerra. Certo le posizioni di “Toma il becchino” (si è guadagnato questo soprannome dato i suoi trascorsi lavorativi in un cimitero) si sono temperate parecchio da quando ha lasciato il partito radicale serbo nel 2008, ma lui stesso ha promesso una mano più ferma nel trattare le rivendicazioni di Belgrado, specie per quanto riguarda la questione kosovara, ed un rafforzamento dei rapporti con Mosca, storica partner.

BECCHINO O SPAVENTAPASSERI? – Ma se la Serbia non vuole abbandonare il cammino europeo, come ha lui stesso dichiarato, allora le restanti capitali balcaniche possono pensare a tirare il fiato, perché Zagabria, 28° membro UE dal 2013, avrà un forte strumento di pressione per tenere a bada i sentimenti nazionalistici del vicino serbo, ovvero il suo veto all’ingresso definitivo della Serbia nell’Unione; altro motivo per non allarmarsi troppo? L’unione non accetterà mai un deterioramento dei rapporti Serbia-Kosovo senza attuare “rappresaglie” politiche ed economiche. Il percorso fin qui rispettato dalla Serbia è costato sacrifici da parte del governo e della popolazione, rispettare i parametri di Bruxelles non è una passeggiata, buttare un progetto ormai in dirittura d'arrivo sarebbe come ammettere di aver sprecato più di 5 anni di sudori e fatiche. Nikolic, in fondo, non potrà certo comportarsi come una tigre indomabile in un contesto come quello attuale, in cui l'unica certezza è proprio l'assenza di certezze.

Matteo Zerini [email protected]

La lunga marcia verso l’Europa che conta

Caffè Europeo – Mai come in questo 2012, calcio e politica corrono fianco a fianco con i giocatori della nazionale croata, quest’anno infatti non è solo l’anno dell’europeo di Polonia e Ucraina, ma anche il centenario della Federazione Calcistica di Zagabria, nonchè l’anno del referendum sull’ingresso nell’UE. Giovani e orizzonte internazionale sono le due parole d’ordine di questa squadra, nata dalle ceneri della gloriosa nazionale Iugoslava già nel 1990 quando la Croazia si staccò ufficiosamente da Belgrado 

 

CORONARE UN’ANNATA STORICAUn buon piazzamento all’Europeo di Polonia e Ucraina, se non addirittura una finale, magari pure da vincitori, non farebbe altro che sancire il 2012 come l’anno d’oro del paese delle mille isole adriatiche, luccicante da ogni punto di vista. Con l’accesso definitivo all’UE in programma per luglio 2013, il paese è forte di un orgoglio, anche troppo a volte, nazionalista e unito verso le sfide del futuro, come conferma il 66% dei sì al referendum per l’UE. Nemmeno l’economia sembra versare in situazioni preoccupanti, in Croazia infatti la disoccupazione passata da tassi del 14% del 2005, ad un assestato 9,6% l’economia di Zagabria sembra resistere stoicamente al calo delle esportazioni e alla crisi dei mercati. Il turismo, vanto nazionale, e la valuta locale, la kuna, hanno garantito alla Croazia un riparo di fortuna alla crisi dell’Eurozona, con la crescita economica per il 2012 stimata introno all’1,7%, ben lontano dal segno meno delle economie degli sfidanti del Gruppo C. Se è vero che il calcio si gioca sul campo, arrivare ad appuntamenti importanti forti del sostegno di un apparato sano e in salute significa molto, soprattutto quando a scendere nell’arena sono i colori nazionali.

 

BRUXELLES, PECHINO E ORA KIEV! – Proprio il raggruppamento calcistico degli sfidanti dei croati agli europei simboleggia la condizione critica dell’economia del vecchio continente con Spagna, Irlanda e Italia a giocarsi il ruolo di vice di Grecia e Portogallo nella classifica del baratro finanziario. Chissà che l’influenza della meno bersagliata Croazia, spinta anche dalla recente visita di Wu Bangguo Presidente dello Standing Committee del Congresso Nazionale del Popolo cinese, non porti una ventata di freschezza col suo ingresso nell’UE. Proprio Wu Bangguo ha confermato il forte legame di amicizia tra Pechino e Zagabria, giunti al ventesimo anniversario dall’apertura delle relazioni diplomatiche, definendo la Croazia come il maggior partner commerciale nei Balcani. Chissà che proprio gli auspici del legislatore cinese, sommati alla voglia d’Europa cullata per vent’anni non facciano da sfondo all’impresa, qui calcistica, della nazionale croata.

 

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NATA COL BOTTO – Per gli appassionati della storia del calcio internazionale, il 13 maggio 1990 risveglia ricordi densi di passione e tensione, data di uno degli innumerevoli scontri tra la Dinamo Zagabria e laStella Rossa di Belgrado. Da sempre le due squadre e le rispettive tifoserie, i Bad Bleu Boys croati e i serbi della Delije, nutrivano una profonda rivalità, testimoniata dagli innumerevoli episodi di violenzaculminati in vere e proprie battaglie calcistiche. Già un anno prima, il 22 marzo 1989, il match tra la Dinamo e il Partizan, disputato a Belgrado si era concluso con una serie di scontri a sfondo politico che portarono ad episodi di vandalismo e guerriglia urbana. I tifosi serbi della Delije erano all’epoca capitanati dal tristemente noto Zeliko Raznatovic, più tardi divenuto celebre con lo pseudonimo di Comandate Arkan, nonchè fondatore della milizia nazionalista serba Arkanovi Tigrovi (le tigri di Arkan). Lo stadio Maksimir di Zagabria non ospitò in realtà alcuna partita quel giorno, dato che non sul campo ma sugli spalti scoppiarono le scintille di una vera e propria guerra calcistica. Gli scontri tra tifoserie si riversarono presto per le strade di Zagabria, a causa dell’impreparazione e della connivenza della poliziacon l’ideologia serbo-iugoslava,l’evento passò alla storia come la scintilla che fece esplodere la polveriera balcanica a pochi mesi dal crollo dell’Unione Sovietica.

 

DAL CALCIO DI BOBAN AI RECORD DI ŠUKER – Se quell’incontro non viene certo ricordato quale esempio del fair-play, c’è un episodio che ha segnato per sempre la storia del calcio croato, diventando il simbolo della lotta per l’indipendenza nazionale. Zvonimir “Il Professore” Boban, trequartista e futura gloria milanista, venne accerchiato dalla polizia sul rettangolo di gioco, provocato e insultato da alcuni agenti della polizia reagì ad un gesto violento con un memorabile calcio nelle terga dello sfortunato agente, restando persino immortalato in un video. Quel calcio, sferrato secondo Boban contro “una grande ingiustizia, così chiara che uno semplicemente non poteva rimanere indifferente e non reagire in nessun modo” divenne il germoglio della nazionale croata, che dal 1990 iniziò a gareggiare da sola. Il primo palcoscenico di rilievo fu però l’Europeo del 1996 in cui la Croazia arrivò ai quarti di finale, eliminata da un’inesorabile Germania che si avviava a diventare la regina del torneo. Tuttavia chi in quegli anni viveva ancora di pane, calcio e figurine Panini, non può non ricordare con nostalgia il vero eroe della Croazia dei mondiali France’98, l’attaccante leva 1968 Davor Šuker, che in quel torneo portò la Croazia al terzo posto, siglando 6 reti e guadagnandosi l’ambito titolo di capocannoniere dei mondiali e il secondo posto nel pallone d’ore di quell’anno.

 

RICORDI E PROMESSE “A SCACCHI” – Sfogliando gli album dei ricordi, nonchè quelli dell’infanzia i tifosi croati non ricordano solo il mitico Davos, anche Dario Šimic, altra maglia rossonera, capitano storico si è guadagnato un posto tra gli almanacchi con le sue 100 presenze in nazionale. Oggi, dopo gli addii, non poco problematici, dei fratelli storici Robert e Niko Kovac, la squadra lotta per rimpiazzare altri due giocatori importanti che rivestivano anche un ruolo fondamentale nello spirito dello spogliatoio. Le chiavi del gioco restano dunque nelle mani del giovane Luka Modrić, stella e metronomo del Tottenham, chiamato a guidare il cuore del centrocampo sotto la tutela del nuovo capitano Dario Srna, forte delle sue 89 presenze e 19 gol segnati in nazionale. Ai due uomini del cerchio si aggiunge tra i “terribili” da tenere sotto stretta osservazione, si aggiungono l’astro nascente del Siviglia Ivan Rakitić e la mina vagante dell’attacco del Bayern Monaco Ivica Olić, occhio anche a Niko Kranjcar, che con quattro reti è il top scorer nazionale della fase a gironi. Nei piedi di questi 4 giocatori sono racchiusi i segreti del 4-4-2 del C.T. Slaven Bilic dedicatosi dal 2006 anema e core al ruolo che considera “un dovere e un’amore”. Eccellente chitarrista, laureato in legge e fluente in Italiano, Tedesco e Inglese, lascerà dopo l’estate la panchina croata per approdare al Lokomotiv Mosca dove affronterà l’italiano Spalletti, coach dello Zenit S.Pietroburgo, per il titolo russo.

 

GRUPPO “C” COME CAMPIONI – Il biglietto per la fase finale degli europei di giugno la Croazia l’ha staccato solo nel Novembre 2011, qiuando dopo un girone rocambolesco e a tratti schizofrenico ha inflitto un pesante 3 a 0 alla Turchia nello spareggio per i playoff. I sorteggi hanno tuttavia regalato alla Croazia un’amara sorpresa, il vero girone di ferro, dominato dagli ultimi due campioni del mondo, ovvero Italia e Spagna. A giocarsi le speranze di un accesso che sa già d’impresa agli scontri diretti ci sarà invece l’Irlanda della vecchia volpe di Cusano Milanino, l’italiano giramondo Giovanni Trapattoni, “il Trap” per gli amici del bar dello sport. In realtà anche le due inarrivabili sulla carta, Italia e Spagna, soffrono di infortuni chiave e incertezze di gioco, gli azzurri privati dell’italoamericano del Villareal Giuseppe “Pepito” Rossi, fuori per una frattura al crociato, e le furie rosse senza l’asturiano del Barça David “el guaje” Villa. Inoltre la coppia d’attacco tricolore Cassano-Balotelli soffre dei marosi dei due caratteri fuori dagli schemi, con il primo ancora da rodare dopo l’ischemia di quest’anno. Se la Spagna può contare su un centrocampo stellare, bastino i blaugrana Xavi e Iniesta e il manciniano David Silva, la toppa potrebbe dietro l’angolo dato che i Campeones vengono da una sfilza di vittorie, dura da mantenere. Finchè c’è gioco c’è speranza, questo dunque il motto della Croazia alla vigilia degli EURO2012, nella consapevolezza che a volte per assistere ai miracoli, nel calcio s’intende, basta crederci.

 

Per non morire di crisi

Caffè Europeo – Probabilmente la testa dei greci sarà lontana dalle gesta dei selezionati dal ct. Portoghese Fernando Santos, ma i loro cuori, in cui il calcio ha un angolo tutto suo, saranno sicuramente con la nazionale. Dopo l’addio dell’artefice del miracolo di Lisbona del 2004 “Re” Otto Rehhagel, la Grecia si è trasformata in un gruppo solido con un gioco semplice ma efficace. Una vittoria a Kiev non servirebbe certo a lenire le piaghe dell’austerity e dell’addio al benessere ma darebbe ai giovani rimasti in patria l’illusione di una speranza anche solo per una notte.

 

L’AUTOGOL DELLE OLIMPIADI – Sembra assurdo in realtà ma se si volesse tracciare il punto di partenza del tonfo dell’economia pubblica bisogna andare indietro al 2004, l’anno del ritorno della fiaccola olimpica nella patria dei giochi in grado di interrompere mali, tensioni e guerre. Stavolta però il Monte Olimpo ha giocato un brutto scherzo ad Atene dato che le spese insostenibili per rendere il paese scintillante davanti agli occhi dei media ha portato i conti pubblici al baratro odierno. Naturalmente le Olimpiadi del 2004 furono solo l’apice di una gestione sconsiderata delle entrate statali, in una tradizione della storia recente fatta di bilanci truccati e buchi nascosti per guardarsi dagli attacchi delle varie opposizioni e dalle sanzioni della Commissione Europea. La verità è che finora l’economia greca aveva vissuto al di sopra delle sue possibilità, in una situazione perfettamente paragonabile alla bolla immobiliare degli Stati Uniti scoppiata nel 2009. Ai vincitori delle elezioni di giugno, non resterà che ripartire dai cocci antichissimi, ma pur sempre cocci, o “prendere il toro per le corna” in una metafora di argentina memoria.

 

IL FUORICLASSE E I SENATORI DELLO SPOGLIATOIO – Proprio mentre i convocati in nazionale daranno battaglia sui campi di Polonia e Ucraina, ben altro scontro infuocherà le piazze e le strade di Atene, in quella che si preannuncia come la più dura campagna elettorale nella breve e tempestosa storia della democrazia greca. Lo spettro politico si è quantomai rarefatto verso le ali più estreme, dai comunisti duri e puri alla sinistra radicale di Syriza, la coalizione che ora raccoglierebbe dal 28 al 22% dei consensi, grazie alla figura del nuovo leader carismatico Alexis Tsipras. Il trentottenne con una laurea in ingegneria civile è il vero fuoriclasse della scena politica, l’unico in grado di avvolgersi nella bandiera della voglia di novità e cambiamento, checchè ne pensino i vecchi senatori di Nea Demokratia e Pasok, Samaras e Venizelos. Tsipras, pur basandosi su un programma fondato sul rifiuto dei piani della troika, potrebbe driblare le fasce esterne infilandosi in un centro lasciato ormai scoperto dal vuoto dei partiti moderati. Anche sul piano internazionale, come nel calcio, chi gioca per se senza convolgere la squadra, il più delle volte è destinato a restare sconfitto.

 

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UN PO’ MENO DI TRECENTO – Saranno 23, non 300 i calciatori compresi nella lista finale di Santos, niente Termopili stavolta ma una scampagnata in Europa centrale con tanto di spola tra il confine polacco-ucraino. Pur non essendo “guerrieri” di tradizione internazionale, solo 2 le partecipazioni ai Mondiali e 3 agli Europei, sono stati capaci dell’impresa storica nella tana portoghese durante la finale di Lisbona del 2004, un miracolo quotato dai bookmakers 1 a 150. La spina dorsale della selezione è formata dai centrocampisti Giorgos Karagounis e Kostas Katsouranis e dal colosso dell’attacco Georgios Samaras, tutti reduci della vittoria in Portogallo e degni sostituti per la mancanza di vere e proprie star del calcio internazionale. Due le giovani promesse in grado di sollecitare l’appetito degli osservatori europei, il difensore granitico Kyriakos Papadopoulos in forza allo Schalke 04 e la baby stella del centrattacco Sotiris Ninis, playmaker del Panathinaikos nato in Albania. Pur avendo rispettivamente meno di 42 anni in due, il centrale e l’ala d’estro sono già il germoglio della nazionale che verrà.

 

Ἢ τὰν ἢ ἐπὶ τᾶς – Tranquilli, nessun errore di carattere, solo la trascrizione di un antico motto in uso a Sparta tra le mogli dei frugali guerrieri “Ē tān ē epi tās”, “Con lo scudo o su di esso” questo l’augurio migliore che i supporters della nazionale potranno fare ai loro eroi. La storia conferma che nei momenti di maggior pericolo la statura morale e la dedizione, una sorta di memoria storica del tempo che fu, hanno salvato la Grecia dal baratro, senza l’aiuto di quegli stessi dei che già nell’antichità non si curavano delle pene degli uomini. Il tabellino del girone conferma la voglia di stupire della nazionale ellenica, capace di mantenere ferma a zero la quota delle sconfitte grazie ai goal di Samaras e del compagno di reparto dai piedi buoni Theofanis Gekas. Insieme a Ninis sono i componenti dell’attacco nel 4-1-2-3 molto portoghese e poco greco coniato da Santos. Chissà che proprio uno di loro non accenda la torcia, come fece Prometeo, riportando la luce in una patria sommersa dal buio e dalle ombre della paura.

 

IL BLOCCO ORIENTALE – Polonia, la nazione ospitante, Russia, antica superpotenza dei campi da calcio e Repubblica Ceca, la vera testa di serie del gruppo, questi gli sfidanti della Grecia per la conquista del diritto di passaggio agli scontri diretti. La vera sfida sarà fermare Robert Lewandowski, attaccante polacco in grado di portare il Borussia Dortmund al titolo e di godersi il riconoscimento di miglior giocatore della Bundesliga. 30 gol e 8 assist questo il bottino personale di Lewandowski, poco più in là troviamo invece Alan Dzagoev, trequartista del CSKA Mosca e talento russo insignito del titolo di miglior esordiente nel 2008-2009, insieme alla promessa inesplosa Andrey Arshavin i due crucci maggiori per la Grecia. La maggiore sfida nell’incontro con la Repubblica Ceca non sarà tanto sulle spalle della difesa quanto sui tre attaccanti titolari ellenici, a loro l’arduo compito di superare il redivivo portiere pigliatutto del Chelsea Petr Cech. Il cammino della grecia nel gruppo A si preannuncia ricco di insidie, la soluzione dell’enigma della qualificazione sta nel dosare la giusta miscela di esperienza, storia e novità, fondando sulle colonne delle glorie passate il nuovo tempio votato al misterioso dio del calcio.

 

IL SILENZIO DEI SAGGI – Se provate a chiedere ad un tifoso greco dove pensa che possa arrivare la nazionale agli Europei del 2012, probabilmente vi risponderà con un sorriso malizioso, in silenzio. “Il silenzio, per i saggi, è una risposta” così parlava Euripide, sommo poeta tragico, ma chissà che la sua sentenza non possa rappresentare la risposta a coloro che già spingono Germania e Spagna verso il trono di squadra campione d’Europa. Dopo mesi di triste austerità, di scenari a tinte fosche e di fuga dei cervelli da quella che era insieme all’Italia la culla della civiltà occidentale, in Grecia c’è una voglia immensa di gustarsi la rivincita dopo tutti i giudizi negativi, a volte irripetibili, accusati sempre in silenzio nel corso della crisi. Chissà che proprio tra il campo e le urne elettorali non giunga il verdetto sul futuro del paese, come tradizione impone deciso in democrazia, nella speranza che dai cocci incisi si ottenga un vaso colmo di speranza, l’unica benzina per la ripresa. Da sempre in terra greca il valore del singolo è soppesato in base alla sua utilità al gruppo, anche alla vigilia di quest’Europeo, è sulle spalle dei greci dimostrare che “l’Unione” fa la forza.

 

Fabio Stella

L’Olimpiade del terrore

Road to London 2012 – Messi da parte i pugni inferti al costato dell'America razzista da Tommie Smith e John Carlos e con ancora negli occhi i morti di piazza delle Tre Culture a Città del Messico, il mondo dello Sport si proietta verso le Olimpiadi di Monaco Di Baviera. Sbarazzatosi della concorrenza di Madrid, di Montreal e di Detroit, il capoluogo bavarese si attrezza ottimamente per ospitare la XX edizione della rassegna sportiva, la seconda volta per la Germania dopo l'Olimpiade svoltasi a Berlino nel 1936. 

LA PERFEKTION TEDESCA – Sarebbe potuta passare alla storia come l'Olimpiade della Perfektion tedesca, ma parlando di Monaco '72 nessuno ricorda la magnificenza del villaggio olimpico, costato all'epoca 400 miliardi di lire. O come l'olimpiade tecnologica, ma nessuno parla più del Computer Golym, capace di dare risposta a qualsiasi domanda sul conto dei concorrenti delle edizioni di oggi e di ieri. Pari a 4.457.252 gli spettatori paganti, ma nessuno la ricorda come la prima Olimpiade veramente universale. Vi prendono parte 7000 concorrenti provenienti da 121 nazioni. Maestosa, scientifica, futuristica, impeccabile. Ma tutto ciò verrà dimenticato. Monaco 1972 sarà essenzialmente una cosa sola : Settembre nero.

DIO NETTUNO SCESO TRA NOI – 5 settembre 1972. I XX giochi dell'era moderna stanno attraversando la seconda settimana e l'intero villaggio olimpico rimane impressionato per le imprese di Mark Spitz, spavaldo nuotatore statunitense. “Il solito sbruffone”, così era riconosciuto dai suo compagni di nazionale, fu capace di inanellare vittorie su vittorie, collezionando 7 medaglie d'oro. Quella notte, però, l'attenzione, sino ad allora focalizzata sul “Dio Nettuno sceso tra noi”, si spostò verso l'edificio 31 della Connolystrasse, occupato dalla rappresentativa israeliana.

I 5CERCHI COME BERSAGLIO – Alle 4 e 25 del mattino un commando palestinese di Settembre Nero, gruppo indipendente da tutte le altre formazioni guerrigliere della Palestina, irrompe nell'edificio. Sebbene non identificati come tali, gli 8 Fedayin- in Arabo il termine significa «uomini di sacrificio»- vengono avvistati alle 4 e 05, intenti a scavalcare la recinzione metallica che divideva il mondo civile da quello olimpico. Indossano tute e reggono borse da atleti. Un addetto alla posta e una donna delle pulizie li scorgono ma li scambiano per concorrenti reduci da una scappatella notturna. Pur indossando tute sportive e borsoni d'allenamento, gli unici colpi da maestro che hanno in tasca gli 8 sono quelli dei loro kalashnikov.

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L'ASSALTO SENZA IL FIORETTO – Il piano, lungamente e meticolosamente preparato, funziona. Penetrati nella cucina dell'appartamento numero 1 dell'edificio, i Fedayin si imbattono in Yossef Gutfreund, il quale, insospettito dal vociare arabo, preannuncia il pericolo. I 125 chilogrammi di Gutfreund si scagliano a tutta forza contro la porta. Fatica sprecata. Il commando arabo fa irruzione, travolge la resistenza del colosso e, come potrebbero aver fatto i loro biblici predecessori, i Filistei, con Sansone, lo legano. La sorte intanto attende alla porta Elizer Halfin, Mark Slavin, Gad Zobari, David e Marc Berger, Zeev Friedman e Yossef Romano, tutti sistemati nell'appartamento 3. A cercare di ostacolare il commando ci prova, inutilmente, l'allenatore di lotta libera Moshe Weinberger, rimasto fuori fino a tardi. Mette fuori combattimento un terrorista, ma è costretto a cedere a causa delle raffiche di Kalashnikov. A questo punto è il sollevatore di pesi Yossef Romano ad entrare in azione: tenta inutilmente la fuga da una finestra e, non riuscendoci, agguanta un coltello dalla credenza e lo pianta nella fronte di un terrorista. Ferito troppo gravemente per utilizzare l'arma che impugnava, l'arabo indietreggia, ma un compagno che avanza alle sue spalle scarica un'intera raffica del Kalashnikov sul lanciatore di pesi. Quando gli uomini della squadra soccorso entreranno nella stanza, troveranno il corpo dilaniato dell'atleta che fu.

COSA DIAVOLO SUCCEDE?” – Sono passati solo 25 minuti dall'effrazione. Nel buio e nel silenzio del villaggio olimpico, un agente dei servizi di sicurezza tedeschi, solo e disarmato, si avvicina all'ingresso numero 31 di Connollystrasse, forse insospettito da rumori. Un terrorista incappucciato vigila all'entrata. «Was soil das heissen?» borbotta il tedesco al Fedayin il quale, senza verbo proferire, sparisce oltre la porta. Ma ormai la voce si è sparsa. Due atleti israeliani, scampati all'attentato, lanciano l'allarme e nella mezz'ora che segue, le autorità ricevono chiare le richieste dei terroristi in un comunicato ufficiale diffuso al Cairo: scaraventando in strada l'esanime corpo di Moshe Weinberger, richiedono l'immediato rilascio di 234 persone detenute in carcere dal«regime militare d'Israele», i cui nomi sono elencati su fogli dattiloscritti. Nell'elenco figurano i nomi di Ulirike Meinhof e Andreas Baader, capi della famigerata banda Baader-Meinhof, arrestati dalla polizia della Germania Federale nel giugno dello stesso anno. Tre aerei per essere portati in una destinazione sicura e procedere alla liberazione degli ostaggi, questa la seconda richiesta di Settembre Nero. Come scadenza dell'ultimatum, le 9 del mattino, dopodiché i terroristi uccideranno gli ostaggi «tutti assieme o uno alla volta».

IL “NEIN” DI GOLDA – La disputa si sposta sul tavolo diplomatico. Mentre le autorità tedesche non riescono a nascondere l'imbarazzo per quanto accaduto, intervengono il Ministro degli Interni del governo di Bonn, Hans Dieter Genscner, il suo collega bavareseBruno Merk e il capo della polizia di Monaco. Febbrili trattative si intrecciano tra Monaco, Bonn e Tel Aviv, dove il governo è riunito in seduta permanente. Dalla capitale Israeliana tuonano le parole di Golda Meir, primo ministro d'Israele: nessuna concessione ai terroristi, non un solo dei 234 prigionieri verrà liberato. Anche il Mossad decide di schierare i propri assi:Moshe Dayan, leggendario protagonista della guerra dei sei giorni, invia a Monaco Zwicka Zamir, capo dei servizi segreti. « Le nostre teste di cuoio sono pronte ad intervenire», ma Bonn rifiuta l'aiuto. Si mobilita anche il cancelliere Willy Brandt, che definirà, a posteriori, l'accaduto uno « sconcertante documento di incapacità ».

TOLLERANZA ZERO – I tedeschi non approvano la politica israeliana anche se, quantomeno a livello ufficiale, non tentano di esercitare alcuna pressione. È chiaro che l'Olimpiade sia stata presa a pretesto: lo spettacolo non può continuare. A 18 ore dall'irruzione del commando, il CIO annuncia la sospensione dei giochi, la prima nella storia dell'olimpismo. Intanto i terroristi palestinesi respingono qualsivoglia offerta: a loro, “uomini di sacrificio”, non interessa il denaro, non interessa la libertà. Alle 22 i membri di Settembre Nero, in compagnia di nove ostaggi israeliani, abbandonano il villaggio olimpico a bordo di due elicotteri i quali, 25 minuti più tardi, si poseranno sulla pista dell'aeroporto militare di Fuerstenfeldbruck, a sessanta chilometri da Monaco. Ad attenderli, oltre un Boeing 727, c'è un gruppo di tiratori scelti composto da 5 elementi, tanti quanti alle autorità tedesche risultano essere i componenti del commando. L'errore risulterà decisivo. L'aeroporto circondato da quattrocento agenti, pronti ad intervenire. La trattativa sembra avviata a proseguire altrove quando risuonano i primi colpi sparati dai tiratori scelti. Lo scontro a fuoco dura circa un'ora. I 400 uomini sono pronti all'intervento quando un Fedayin scaglia una granata contro il Boeing 727, ospitante i 9 ostaggi.

IL TERRORISMO SUL PODIO OLIMPICO – Tutti morti: i nove ostaggi, un agente tedesco, cinque degli otto terroristi, le Olimpiadi, lo Sport. I tre sopravvissuti, catturati sul momento, verranno poi liberati due mesi più tardi in seguito ad un atto di pirateria aerea. A conclusione delle ore più devastanti dell'olimpismo moderno, l'opinione più condivisa mira alla sospensione dei giochi. Spingono in questo senso Golda Meir e la comunità sportiva tutta, ma il CIO non è dello stesso avviso: mentre un aereo israeliano imbarca undici bare, il Comitato commemora mestamente le vittime con una triste cerimonia. Le Olimpiadi riprenderanno, in un clima surreale, il giorno dopo: «Il terrorismo non può bloccare le Olimpiadi, non si può permettere che questo accada» proclama Brundage, veterano del Comitato.

OPERAZIONE COLLERA DI DIO – “Non posso promettere che i terroristi ci lasceranno vivere in pace. Però posso promettere, e lo faccio, che ogni governo d'Israele taglierà le mani di coloro i quali intendono stroncare le vite dei nostri figli”. A parlare è Golda Meir. In Israele, sull'onda dell'emozione, il primo minIstro e i più alti funzionari decidono una missione senza precedenti: una vendetta di proporzione biblica si scaglierà contro gli inafferrabili responsabili della strage, risuonando come una sentenza di condanna a morte per i capi del terrorismo palestinese. La missione viene affidata ad Avner, ventiduenne figlio di un agente del Mossad, e ad altri 4 uomini che compongono la sua squadra. Una lista di undici capi del terrorismo palestinese e una quantità inesauribile di denaro sono gli unici strumenti a disposizione del giovane. «Tra noi e i terroristi -spiega lo stesso Avner- ci sono autentiche differenze. Nei loro attacchi, i terroristi spargono sangue indiscriminatamente. Al lato opposto, quando Israele si vendica per gli attacchi terroristici- che lo faccia mandando una squadra come la mia dopo i fatti di Monaco o lanciando un missile aria-terra nei territori occupati-cerca di agire con precisione chirurgica, prendendo di mira esclusivamente i responsabili dell'episodio che ha fatto scattare la missione». Occhio per occhio è stata la strategia guida di Israele sino a diventare, sotto il governo dell'ex primo Ministro Ariel Sharon, il motto dell'esercito israeliano. Sarà mai la giustizia punitiva l'adeguata risposta al terrorismo? «Occhio per occhio, e tutto il mondo resta cieco». È Gandhi a suggerirci la risposta.

Simone Grassi [email protected]

L’orrore, l’orrore

Il mondo si è unito in maniera categorica contro il massacro di Houla, compiuto con ogni probabilità dalle forze lealiste siriane, le cui immagini hanno fornito una spinta mediatica ancora maggiore all'azione diplomatica contro il regime di Damasco. L'ultimo ostacolo all'intervento leggero della Comunità Internazionale nella crisi è ormai la Russia, il vero alleato di al-Assad che proprio domenica ha bocciato una risoluzione di condanna della strage. A prescindere dal valore delle considerazioni morali in tempo di guerra, il coinvolgimento dei bambini, entità pure ed innocenti per eccellenza, suscita ancora l'orrore evocato da Joseph Konrad.

EUROPA

Giovedì 31 – Sarà un giovedì con le urne aperte e molte nuvole in Irlanda, dove la popolazione è chiamata ad approvare o meno la ratifica del Fiscal Compact adottato a fine del 2011 dai governi dell'UE quale misura d'ultima istanza contro la crisi dei debiti sovrani. Il vero quesito del referendum sarà però la modifica della Costituzione tramite l'inclusione in essa di un comma che sancisca la necessità e la congruità tra l'impegno internazionale a livello UE e la ratifica del Fiscal Compact. Il primo ministro Enda Kenning è preoccupato dal record negativo che si trova facilmente collegando le parole referendum e UE a Dublino, già nel 2001 e nel 2008 infatti gli irlandesi avevano detto no ai trattati europei. Un sondaggio pubblicato nel week-end dava al 39% i sì, al 30% i no con un 31% di indecisi, qualora il Fiscal Compact dovesse arrestarsi alle porte dell'Irlanda, rimarrebbe comunque valido tra i paesi che l'hanno ratificato bloccando però ogni prestito di salvataggio verso l'EIRE.

Domenica 4 – Il Presidente del Consiglio Herman Van Rompuy, quello della Commissione José Manuel Barroso e l'alto Rappresentante dell'Ue Caterine Ashton lasciano Bruxelles alla volta di San Pietroburgo, la meta designata per l'EU-Russia Summit. La due giorni diplomatica è volta al miglioramento delle relazioni bilaterali tra la Federazione e l'Unione, che non mancheranno di discutere temi aperti e questioni bollenti come le transazioni energetiche, i diritti civili e politici e la sicurezza e la difesa. Molti osservatori hanno ritenuto l'assenza giustificata di Vladimir Putin al G-8 di Camp David una reazione alla notizia dell'entrata in funzione dello scudo NATO anti-missile, rivolto in realtà alle minacce mediorientali. Senza ombra di dubbio la materia sarà oggetto di discussioni e dibattiti informali per capire quali siano le percezioni reciproche sull'argomento, l'incontrò sarà inoltre un'ottima occasione per fare il punto su Siria e Iran.

GEORGIA – A noi potrebbe sembrare un film già visto, ma in Georgia l'evento sa di première assoluta, domenica circa 40.000 manifestanti si sono riuniti a Tbilisi nella famosa Piazza della Libertà, per segnare l'ingresso definitivo sulla scena politica del miliardario Bidzina Ivanishvili. A calcare la scena sul palco oltre al filantropo, che secondo la rivista Forbes detiene un patrimonio di 6.4 miliardi di dollari, c'erano l'ex difensore Kakhaber Kaladze, reduce da 9 stagioni al Milan e 2 al Genoa e il figlio di Ivanishvili, Bera, famoso rapper locale. La festa oltre ad invocare il cambiamento della leadership georgiana, dal 2004 saldamente nelle mani di Mikheil Saakashvili, doveva coprire le recenti indiscrezioni che vorrebbero la fortuna fatta in Russia da Ivanishvili il corpo del reato della sua dipendenza da Mosca, nemico pubblico n°1. Il primo appuntamento utile per testare la nuova coalizione liberal-democratico-progressista, che oltre ad Ivanishvili comprende anche l'oppositore navigato Nino Burdzhanadze, saranno le elezioni politiche di Ottobre, mentre il mandato presidenziale giungerà al termine naturale solo a gennaio 2013.

AMERICHE

Martedì 29 – Al palazzo di vetro delle Nazioni Unite di New York tutti si aspettano una giornata di fuoco per la seduta del Consiglio di Sicurezza chiamata ad occuparsi a pieno regime della situazione mediorientale con un focus d'emergenza sulla Siria e la Palestina e una sessione pomeridiana dedicata in toto alla guerra civile in Yemen. Il massacro di Houla dove gli osservatori ONU hanno confermato l'uccisione di 92 civili tra cui molti bambini da parte dei tanks del regime siriano rischia di forzare la mano nonostante l'opposizione di Russia e Cina. In Yemen la situazione è ormai fuori controllo con la provincia meridionale di Abiyan sotto il controllo dei ribelli di Al Qaeda nella Penisola Araba (AQPA) già a capo di piccoli sceiccati locali. Mentre piovono parole di condanna sugli eccessi d Bashar al-Assad a Washington si pensa ad una soluzione alla Saleh, l'accordo che ha sancito la fine del regno trentennale del dittatore yemenita, ma visto il secodno capitolo di quella stessa transizione, ci sarà da lottare.

ARGENTINA – UE e WTO, queste le sigle dei primi argini posti dalla Comunità Internazionale e dai suoi membri alla politica arrembante di nazionalismo commerciale applicata dopo la sua rielezione dalla Presidenta argentina Kirchner Fernandez. Il Commissario europeo al Commercio Karel de Gucht ha annunciato di aver deferito presso l'Organizzazione mondiale per il Commercio l'Argentina colpevole di provocare "un danno molto reale alle industrie europee penalizzando la nostra economia nel suo insieme". Dal 2011 al 2012 le esportazioni europee verso Buenos Aires sono calate del 14% a causa della pratica del governo argentino di imporre autorizzazioni a monte e di non permettere l'espatrio dei proventi delle vendite.

AFRICA

TUNISIA – Dopo la cacciata di Ben Ali, la nuova Tunisia inizia a mostrare scene ma viste agli osservatori e agli appassionati di quello che potrebbe essere definito il paese più laico del panorama islamico. Nella cittadina nordoccidentale di Jendouba infatti alcune centinaia di salafiti hanno preso d'assedio negozi di alcoolici, per protestare contro l'arresto di 4 uomini coinvolti in scontri simili. La risposta degli islamici estremisti è stata a dir poco inaudita, assalti a base di bombe molotov, irruzioni armate nelle sedi istituzionali della città. Dopo la vittoria di Ennhada, partito islamico-moderato, anche il Parlamento tunisino ha respirato l'aria nuova della religione tra i seggi. Sembra che la lotta per l'occupazione, la libertà e la democrazia iniziata a Sidi Bouzid si stia trasformando in una lotta interna all'islam diviso tra moderati ed estremisti, uno scontro inedito per la maggiorparte della popolazione tunisina.

MALI – Prendete tutte le vostre mappe, cartine politiche e quant'altro di geografico abbiate sull'Africa e tracciate una linea rossa, tutt'altro che sottile, attraverso il Mali, quel paese, almeno come lo conoscevamo prima, ormai non esiste più. Dopo l'accordo giunto nel week-end tra i tuareg laici dell'FLNA e i ribelli islamici di Ansar Dine, l'Azawad diviene uno stato fondato sui principi della sharìa. L'organizzazione regionale dell'ECOWAS, il braccio dell'ONU in Africa occidentale, aveva promesso l'invio di 3000 soldati per sconfiggere i ribelli, ma dopo le vicissitudini legate al golpe militare, al ferimento del presidente ad interim Traoré e il ritorno del colonnello Sanogo al potere, è tutto da rifare. Ai ribelli va riconosciuta la capacità e la lungimiranza di sfruttare il caos in cui navigava il paese dopo l'annuncio di nuove elezioni presidenziali per mettere a punto i loro piani, occorre però notare che la geografia del Mali, insostenibile dal punto di vista strategico ha servito loro la vittoria sul piatto d'argento.

MAROCCO – La minaccia più pericolosa per il neo-eletto islamico-moderato Abdelilah Benkirane potrebbe essere la disoccupazione, soprattutto giovanile, che colpisce il paese da tempo. Nella giornata di Domenica a Casablanca circa 50.000 persone sono scese per le strade prendendo parte ad una manifestazione indetta dai sindacati socialisti vicini all'opposizione parlamentare. Secondo un rapporto pubblicato il 14 Maggio dalla Banca Mondiale circa il 30% dei giovani tra i 15 e i 29 anni sarebbero senza lavoro, una situazione disastrosa se si tiene conto che 11 dei 35 milioni di marocchini hanno tra i 15 e i 35 anni. Proprio le premesse economiche avevano rappresentato la benzina sul fuoco della sete di libertà dei paesi arabi tra il 2010-2011 portando lontano il vento della Primavera Araba. Il saggio e pacato Re Mohammed VI potrebbe aver bisogno di qualche asso in più nella manica oltre alle elezioni democratiche per evitare ulteriori sviluppi inattesi. 

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ASIA

HONG KONG – Potrebbe essere qualcosa di molto più interessante della solita visita di routine quello della USS Makin, una nave d'assalto della settima flotta statunitense che trasporta dozzine di tanks ed elicotteri da guerra. Intervistato all'arrivo nel porto della provincia autonoma cinese, il comandante della USS Makin si è detto "pronto ad intervenire per instaurare la pace nella regione". La dichiarazione che ha irritato i vertici di Pechino dopo le recenti scaramucce con le Filippine per il controllo della Secca di Scarborough, nel Mar Cinese meridionale. La partnership di massima tra la Cina e gli Stati Uniti ha attraversato nell'ultimo periodo momenti di massima tensione, tra i quali il caso Cheng Guangcheng è solo la punta mediatica dell'iceberg.

COREA DEL NORD – Dopo il fallimento dell'annunciato lancio missilistico di metà aprile, la riattivazione del sito nucleare di Yongbyon e la promessa di nuovi test balistici a breve, la popolazione della Corea del Nord sembra avere preoccupazioni ben più basilari. Maggio si avvia a diventare il mese più secco da circa 50 anni mettendo in serio pericolo le colture vitali di riso, mais, grano, orzo e patate, la base della povera dieta concessa dal regime alle sue pedine. Dopo lo stop degli aiuti umanitari concessi dagli Stati Uniti in cambio di rassicurazioni sull'atomo made in Pyongyang, al giovane Kim Jong Un non resterà che gettarsi nelle braccia dell'eterno alleato cinese. Ma alla soluzione immediata e scontata se ne aggiunge un'altra più suggestiva: se veramente la siccità dovesse tramutarsi in carestia, alla Corea del Nord non resterebbero che i missili e l'uranio per chiedere aiuto alla Comunità Internazionale, le uniche valute detenute in abbondanza nelle segrete del regime.

MYANMAR – Passa anche e soprattutto dall'elettricità la "nuova luce" per la popolazione birmana, dopo le recenti aperture parziali del regime militare culminate nell'ingresso di Suu Kyi e della Lega Nazionale per la Democrazia in Parlamento. Il governo ha annunciato l'apertura di appalti per la realizzazione di una rete razionale che metta fine ai continui black-out, che rendono impossibile ogni investimento estero volto alla produzione a basso costo. A beneficiare dei progetti dovrebbero essere le statunitensi General Electrics e Caterpillar, dalla giapponese J Power e dalla sudcoreana BKB. Pechino dal canto suo, non resta a guardare le incursioni nel suo giardino di casa e ha inaugurato due uffici di cambio alle due sponde del confine che permetteranno una gestione coerente della valuta interna birmana, il kyat. Non poteva non mancare nella nuova cuccagna asiatica anche il gigante indiano, nel corso della settimana il premier Manmohan Singh è atteso a Pyinmana, la capitale scintillante costruita dal regime, per ottenere concessioni per gli investimenti in Myanmar.

MEDIO ORIENTE

SIRIA – Sa di pura beffa l'indiscrezione lanciata dal quotidiano israeliano Haaretz, a proposito dell'arrivo nella giornata di domenica di due cargo nei porti siriani di Latakia e Tartus, considerati le mete preferite dalla marina russa per svernare i propri incrociatori. Le due navi, per inciso la nordcoreana Odai e la russa Professor Katsman, trasporterebbero un inaudito tesoro di morte, la dote preferita ormai dal regime siriano per perpetrare il continuo sacrificio di civili. Nei mesi scorsi proprio tra le righe del "ristretto" via avevamo parlato della permanenza di due fregate russe nei porti di Latakia e Tartus, vista la coincidenza del rinnovo del soggiorno in concomitanza con l'arrivo dei due cargo sembra chiaro che le due imbarcazioni stazionino nel mediterraneo per garantire l'arrivo di rifornimenti e armi al regime di Damasco. Secondo Haaretz il triangolo della morte Siria-Nord Corea-Russia avrebbe in realtà un quarto vertice nascosto, entrambi i carichi sarebbero infatti un dono di Teheran alla leadership alleata di Bashar al-Assad. Gli amici veri si vedono proprio nel momento del bisogno.

BAHRAIN – 15 anni di detenzione, questo il prezzo della libertà secondo la Corte di Manama che ha condannato 6 attivisti per le proteste iniziate 15 mesi fa e proseguite con il coinvolgimento di massa della maggioranza sciita della popolazione. L'accusa è quella di alto tradimento in collaborazione con "una potenza straniera", per inciso l'Iran, nel tentativo di deporre la ferrea dinastia sunnita che non ha esitato ad accogliere le truppe saudite nel tentativo di sedare le manifestazioni pacifiche. L'accusa comprende inoltre accenni a possibili attentati futuri contro la sede del Ministero dell'Interno e dei Servizi Segreti e contro il ponte King Fahd che collega lo stato-isola(to) all'Arabia Saudita. Inutile ricordare che sui soprusi e le violenze del governo locale, che hanno causato finora 50 morti, permane il silente appoggio americano, proprio gli Stati Uniti infatti detengono sull'isola il centro di comando e controllo della Quinta Flotta.

IRAN – Dopo aver evitato sapientemente ogni probabilità di raggiungere un accordo sull'arricchimento dell'uranio nella due giorni diplomatica di Baghdad, Teheran ha annunciato piubblicamente che dal marzo 2013 procederà a costruire un nuovo impianto nucleare da 1.000 megawatt. Bushehr sarebbe nuovamente la meta prescelta per il nuovo capitolo civile, sia per la possibilità di legare lo sviluppo alla vecchia centrale attivata a settembre, sia per la vicinanza al mare, la cui acqua è l'unico mezzo per il raffreddamento dei reattori iraniani. Feyreydoon Abbasi Davani ha inoltre dichiarato che "non c'è alcun bisogno di cedere alle pressioni per limitare al 20% l'arricchimento dell'uranio. Noi produciamo solo il combustibile che ci serve al 20%. Niente di più". Il nuovo capitolo del negoziato 5P+1 è atteso per il 18-19 giugno a Mosca, anche se nessuno si attende nuove aperture a meno di "Carote" e "Bastoni" diversi da quelli tentati finora.

Fabio Stella [email protected]

Bersaglio Iran

Può davvero Israele bombardare con successo i siti nucleari iraniani? Tutti concordano che le distanze coinvolte sono al limite del raggio operativo dell’Israeli Air Force (IAF) e che almeno due dei siti principali (Natanz e Fordow vicino a Qom, dove sono le centrifughe per l’arricchimento) richiedono bombe “bunker-buster” tipo BLU, in alcuni casi centrando lo stesso bersaglio più volte. Ma non sono le uniche questioni aperte

 

OPINIONI CONTRASTANTI – Le opinioni al riguardo divergono. Tra i principali sostenitori della capacità di Israele di poter colpire e distruggere i siti in maniera definitiva vi sono Whitney Raas e Austin Long in un lavoro del 2007 (recentemente aggiornato dallo stesso Long); secondo loro – e chi ne condivide le idee – una cinquantina appena di apparecchi potrebbero bastare per raggiungere il bersaglio, scaricare sufficienti bombe e tornare a casa senza subire perdite o correre particolari rischi dato l’enorme gap tecnologico con le difese iraniane. Gli autori notano come l’impresa sia tutt’altro che semplice data la coordinazione richiesta tra gli aerei d’attacco, gli aerei cisterna per il rifornimento in volo e la precisione richiesta nell’uso delle armi, ma che tutto sommato  l’intera impresa sia tutt’altro che impossibile.

 

Una visione meno ottimista invece è quella di Anthony Cordesman che in un altro lavoro mostra come la combinazione di distanza, numero e tipologia dei bersagli, velivoli e peso degli ordigni indichi la necessità di impiegare circa un centinaio di aerei tra bombardieri e caccia di scorta (ovvero sostanzialmente tutti i cacciabombardieri a lungo raggio a disposizione dell’IAF). In entrambi i casi però Israele dovrebbe colpire anche con i suoi missili balistici Jericho II e con i cruise lanciati dai suoi sommergibili classe Dolphin per sopprimere almeno parte delle difese antiaeree iraniane. Altri lavori si allineano sostanzialmente a questi due estremi.

 

CHI HA RAGIONE? – Quale versione è più realistica? Non pretendiamo di dare una risposta definitiva: nessuno al mondo la possiede ora. Tuttavia dalle nostre analisi e dal confronto con alcuni esperti internazionali ci siamo fatti un’idea. Le ipotesi di Raas e Long appaiono molto ottimistiche: la loro analisi su quanti danni sia possibile causare ai siti nucleari più fortificati è basata sulla supposizione di conoscere con accuratezza la posizione sotterranea esatta dei laboratori e magazzini più importanti e la loro protezione. Non forniscono però (né esistono, almeno disponibili al pubblico) informazioni che giustifichino tali assunzioni.

 

Inoltre tutto questo non spiegherebbe perché gli israeliani in questi ultimi anni si siano addestrati ad operazioni a lungo raggio con un centinaio di velivoli (sopra Creta e Romania); se poi l’operazione fosse stata considerata così realizzabile come Raas e Long ipotizzano, bisogna chiedersi come mai l’attacco non sia stato già lanciato e perché sia stato così ben pubblicizzato quando in occasioni simili (Iraq 1981, Siria 2007, Sudan 2009) Israele ha agito appena pronto e senza lasciare presagire nulla preventivamente.

 

LA VERA DOMANDA – Al contrario, e per quanto anche tra la leadership israeliana non vi sia uniformità di valutazione, è necessario innanzi tutto porsi un problema ben preciso: cosa significa avere successo in questo caso? Quale risultato può ragionevolmente aspettarsi Israele in questo caso?

 

Per rispondere a queste domande è necessario rispondere sia sul livello tecnico sia su quello pratico. Israele può effettivamente arrivare a colpire i siti nucleari iraniani, e presumibilmente anche a causare danni considerevoli sui bersagli più vulnerabili (su questo anche Raas e Long hanno ragione), ma basta una sola ondata a eliminare ogni minaccia e per sempre?

 

PROBLEMI – Non c’è certezza su dove siano effettivamente localizzati i laboratori e i depositi principali sottoterra – e anzi è da aspettarsi una certa dose di disinformazione e “trucchi” per sviare l’attenzione; inoltre la superiorità tecnologica, per quanto reale, in guerra non sempre è sufficiente a raggiungere il successo. Davvero nessun missile antiaereo iraniano raggiungerà il bersaglio? Davvero le batterie antiaeree e l’aviazione di Tehran (comunque molto obsoleta) non costringerà almeno alcuni aerei a manovre e sganciare anzitempo gli ordigni per manovrare in sicurezza – perdendo però così la possibilità di usarli sui bersagli? Senza parlare della capacità israeliana di rifornimento in volo, che come già detto in passato alcuni esperti USA riferiscono essere solo modesta – e questo sperando che nessun aereo cisterna debba tornare alla base per problemi nei momenti meno opportuni, o che altri aerei non abbiano guasti. Risulta allora necessario pianificare come e dove impiegare i mezzi per effettuare Combat Search & Rescue (CSAR) per impedire che piloti caduti in territorio ostile vengano catturati e diventino armi mediatiche. In una missione così al limite, poche sbavature potrebbero rovinare tutto e portare a un disastro – che verrebbe sfruttato facilmente dai nemici di Israele.

 

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BDA – Ma soprattutto, come valutare se le bombe abbiamo inflitto i danni sperati? Effettuare un Bomb Damage Assessment (BDA) su bersagli sotterranei di cui poco si conosce è quasi impossibile. Pertanto una volta sganciate le bombe bisogna “sperare” che abbiano avuto successo. Alcuni analisti ipotizzano perciò che una sola ondata non sia sufficiente e che sia necessario, dopo aver soppresso le difese antiaeree iraniane, attaccare per più giorni, “scavando” il terreno lanciando numerosi ordigni l’uno dopo l’altro negli stessi punti. Anche qui però la reale fattibilità di tale opera di burrowing (scavo) è da verificare: la meccanica della penetrazione del terreno e dell’esplosione è meno semplice di quanto non sembri e più di un esperto ha indicato come l’efficacia potrebbe non essere quella sperata. Inoltre, più giorni dura il conflitto e più l’Iran può impiegare contromosse per colpire Israele altrove tramite i suoi associati (Hezbollah, la Jihad Islamica,…) e/o i suoi stessi missili a lungo raggio. Allo stesso modo, crescerebbe la pressione internazionale per fermare la guerra. Israele potrebbe non avere tutto il tempo necessario.

 

Inoltre, ripetiamo, come capire se l’efficacia sia appunto quella sperata? Senza immagini che lo confermino (i bersagli, lo ricordiamo, sono sottoterra e anche i satelliti potrebbero non fornire dati univoci) ci si aspetta che i leader iraniani dichiarino di non aver subito nessun serio danno e del resto non sarà facile dimostrare il contrario: rimane alto pertanto il rischio che anche un successo reale non dimostrabile venga trasformato un una sconfitta mediatica. Anche ammettendo che grossi danni siano stati causati, nulla impedisce che il programma venga fatto ripartire successivamente altrove. Ci vorrebbero anni per ripristinare le apparecchiature,  ma la speranza di fermarlo per sempre rimarrebbe semplicemente un’utopia. Senza contare che potrebbero esistere depositi o strutture ancora segrete.

 

TAGLIARE L’ERBA – Questi dubbi sono gli stessi che attanagliano la leadership israeliana e che finora hanno portato a sperare che fossero gli USA – con maggiori mezzi e capacità – ad attaccare. Eppure questo ora appare sempre meno improbabile. Niente attacco dunque? Onestamente, se a Gerusalemme pensano che non vi sia altra scelta, l’attacco avverrà comunque indipendentemente dalle difficoltà e dai rischi. Da un lato, il comando israeliano potrebbe puntare su una strategia di “mowing the grass” per usare un termine normalmente impiegato riguardo al terrorismo di stampo arabo-palestinese: tagliare l’erba eliminando le minacce immediate tenendosi pronti per ripetere l’opera più avanti. Oppure potrebbe attaccare solo per cercare di costringere gli USA ad entrare in guerra dopo l’attesa risposta Iraniana.

 

Ma gli USA e l’Iran potrebbero non essere d’accordo. Vedremo in seguito perché.

 

Prove di dialogo

Il delegato dell’Unione Africana, Thabo Mbeki, è arrivato a Khartoum per riprendere il processo di dialogo tra Sudan e Sudan del Sud cominciando dalla neutralizzazione delle regioni di Abyei e Heglig. Secondo al-Bashir, tuttavia, la priorità sarebbe la lotta ai ribelli di Kordofan e Nilo Blu, cosicché Juba ha accusato la controparte di temporeggiare. In Mali, Dioncounda Traoré, nominato presidente ad interim da ECOWAS e giunta militare locale, è stato percosso da un gruppo di manifestati contrari alle ingerenze della Comunità dell’Africa occidentale. Charles Taylor si rivolge alla Corte speciale per la Sierra Leone chiedendo la grazia. Duplice attentato di al-Shabaab a Mogadiscio. Il Ghana verso il blocco delle esportazioni petrolifere. Il Congresso USA interrompe i sostegni economici ai Paesi che hanno ospitato al-Bashir: a rischio $350 milioni per il Malawi

SUDAN: LA MEDIAZIONE DELLA UAThabo Mbeki, mediatore dell’Unione Africana, è arrivato la scorsa settimana a Khartoum per tentare di aprire una nuova fase del dialogo tra Sudan e Sudan del Sud, interrotto per la crisi dell’area petrolifera di Heglig a fine marzo. Mbeki incontrerà anche al-Bashir e affronterà i temi centrali che alimentano le tensioni nella regione, ossia, come già indicato dalle risoluzioni dell’ONU e dell’UA, l’avvio di un percorso che, entro tre mesi, dovrà condurre, fra i vari punti, al ritiro delle truppe dalle zone contestate, a un trattato sui confini e alla sistemazione della questione dei rifugiati. Khartoum ha già comunicato che le priorità per il Sudan siano i temi della sicurezza e dell’interruzione dei rapporti tra Juba e i ribelli di Kordofan e Nilo Blu, necessità che, secondo il ministro degli Esteri, sarebbero le problematiche centrali anche per l’Unione Africana. Il Sudan del Sud, tuttavia, ha contestato questa impostazione, ritenendola non aderente alla roadmap sostenuta dall’ONU e accusando la controparte di tentare di rinviare indefinitamente la soluzione del conflitto. Terminati i colloqui con Khartoum, Thabo Mbeki si recherà a Juba per condurre una negoziazione speculare col presidente Salva Kiir.

IL PRESIDENTE DEL MALI PERCOSSO DAI CONTESTATORIDioncounda Traoré, nominato il 20 maggio presidente ad interim del Mali sulla base dell’accordo tra ECOWAS e giunta militare, è stato ricoverato in ospedale in stato d’incoscienza dopo l’aggressione subita lunedì per opera di un gruppo di contestatori penetrato nel suo ufficio. Secondo quando riportato dalla BBC, i manifestanti stavano protestando contro le ingerenze dell’ECOWAS in Mali, chiedendo che il potere fosse affidato ad Amadou Sanogo, capo dei militari golpisti.

IL DISCORSO DI CHARLES TAYLOR ALLA CORTECharles Taylor, sotto processo da parte della Corte speciale per la Sierra Leone dell’Aja, si è rivolto direttamente ai giudici lo scorso 16 maggio per indurli a una sentenza clemente. I procuratori, infatti, hanno richiesto per l’ex Presidente della Liberia, accusato di aver favorito le atrocità commesse durante la guerra civile in Sierra Leone (1991-2002), una pena di ottanta anni di carcere. La Corte ha riconosciuto, sin qui, che Taylor non possa essere ritenuto imputabile per i crimini commessi dalle forze ribelli sierraleonesi, mentre sussisterebbero le prove del suo diretto coinvolgimento in alcune specifiche azioni militari. L’ex leader liberiano ha sostenuto nel proprio discorso di non essere ormai più simbolo di divisione e conflitto, bensì perno del processo di pace nella regione, contestando nel contempo che alcune testimonianze sarebbero state ottenute dietro compenso.

DUPLICE ATTENTATO A MOGADISCIO – Sabato 19, Mogadiscio è stata colpita da due esplosioni che hanno causato la morte di almeno otto persone. Gli attentati, condotti tramite il lancio di granate, sono stati rivendicati dal gruppo islamista al-Shabaab, ed erano diretti contro i soldati della missione AMISOM e del Governo di transizione.

GHANA: STOP ALLE ESPORTAZIONI PETROLIFERE – Il Ghana sta varando una completa riforma del proprio settore petrolifero. Da un lato, infatti, il governo ha comunicato che tutti i ricavi provenienti dallo sfruttamento dell’oro nero e del gas saranno verificati da un’apposita Commissione per essere resi pubblici. Dall’altro lato, la produzione della Ghana National Petroleum Corporation, sarà del tutto destinata al fabbisogno del Paese, forse anche tramite un divieto specifico d’esportazione. Secondo alcune fonti, inoltre, è probabile che il governo imponga alle compagnie estrattive straniere operanti in Ghana l’obbligo di riservare una quota della produzione per il mercato nazionale.

NUOVA MISURA USA CONTRO AL-BASHIR – Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato in sede commissionale un emendamento che sospende i contributi allo sviluppo per tutti i Paesi che ospiteranno, o hanno ospitato recentemente, il presidente sudanese al-Bashir, ricercato dalla Corte penale internazionale. Già a marzo, Washington ha annullato l’invio di 350 milioni di dollari destinati al Malawi, Stato nel quale al-Bashir si è recato in visita lo scorso anno. Il provvedimento del Congresso, tuttavia, potrebbe colpire anche alcuni partner strategici degli Stati Uniti, poiché, come ricordano alcuni deputati, il Presidente sudanese «è stato accolto in Arabia Saudita, Ciad, Cina, Egitto, Etiopia, Iraq, Libia e Qatar».

POTERI PIÙ AMPI A NGUEMA MBASOGO – Il primo ministro della Guinea Equatoriale, Ignacio Milam Tang, ha presentato le proprie dimissioni al presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, affinché potesse entrare in vigore la riforma costituzionale approvata nel novembre 2011 con il 97,7% dei voti e, per questo, vigorosamente contestata dalle opposizioni. La nuova legge amplia i poteri del capo dello Stato, effetto che desta preoccupazione anche all’estero, poiché il presidente Mbasogo, al potere del 1979, è ritenuto uno dei leader africani più spietati e corrotti.

DECEDUTO AL-MEGRAHI, L’ATTENTATORE DI LOCKERBIE – Domenica scorsa è morto Abdel Basset al-Megrahi, il libico ritenuto autore dell’attentato di Lockerbie, nel 1988. L’uomo era tornato a Tripoli, ricevendo i massimi onori da Gheddafi, nel 2009, in seguito al provvedimento di scarcerazione per motivi di salute deciso dalle autorità scozzesi, nonostante la protesta ufficiale di Washington (più della metà delle 270 vittime della strage era statunitense).

Beniamino Franceschini

[email protected]

Attenti a quei due

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Durante la giornata di domenica 20 maggio 2012, nella Repubblica di Santo Domingo si sono svolte le elezioni presidenziali. Alle 5.00 di mattina del 21, ora locale, la Junta Central Electoral (JCE) ha emanato il nono bollettino con il quale dichiara, dopo lo spoglio del 97,47% delle schede la vittoria al primo turno del candidato del PLD (Partido de la Liberacion Dominicana) Danilo Medina e di Margarita Cadeño de Fernandez ex-first lady e candidata alla vice presidenza, con il 51,27% dei voti

IL PANORAMA ELETTORALE – Il popolo domenicano è stato chiamato ad eleggere il nuovo Presidente del Paese tra una rosa di sei candidati, ma tutti i sondaggi già da diverso tempo rilevavano che la competizione si sarebbe sostanzialmente svolta tra i due leader dei principali partiti del paese: Hipolito Mejia rappresentante del PRD (Partido Revolucionario Dominicano) già presidente durante la legislazione del 2000-2004 e appunto Danilo Medina del PLD appoggiato dall’ormai ex-presidente Leonel Fernandez. Gli altri quattro candidati hanno infatti ricevuto un numero di voti irrisorio rispetto ai primi due.

I DUE SFIDANTI – Questa elezione può essere definita quasi un rematch di quella del 2000 durante la quale Mejia sconfisse Medina. Si è trattato insomma di una competizione tra veterani. Mejia, ingegnere agronomo, iniziò la sua carriera politica in giovane età e oltre a ricoprire massima carica di Presidente del paese fu, ancora prima, nominato Ministro della Agricoltura. Durante la sua legislatura il governò non fu assolutamente in grado di gestire la politica e l’economia nazionale. L’aumento dei livelli di povertà fu notevole così come quello del debito estero. La sua presidenza vide inoltre il crollo della Baninter (la banca commerciale privata la più grande del paese) a causa di uno scandalo di corruzione e di frode ad altissimi livelli di governo. Infine, il suo pacchetto di riforme, chiamato appunto il “paquetazo”, fatto di tagli alla spesa pubblica e di tasse per i cittadini mise in ginocchio buona parte della già povera popolazione domenicana. Nonostante ciò oggi, dopo la crisi economica che ha colpito la Repubblica Domenicana, si è presentato come il salvatore della patria, con il motto “E’ arrivato papà!”, forte soprattutto nella parte Nord dell’isola, quella della città di Santiago.

UN PRESIDENTE NORMALE – Dalla fine della legislatura di Mejia nel 2004 è stato invece presidente per due mandati consecutivi Leonel Fernandez, il quale non potendosi più presentare alle elezioni appoggia il nuovo rappresentante del partito, un economista, anche lui non nuovo alla vita politica, Medina. Questi è stato eletto tre volte come deputato nel 1986, nel 1990 e nel 1994, ha lavorato anche come presidente della Camera dei Rappresentati ed è stato due volte nominato Segretario di Stato. La sua campagna elettorale ha avuto un avvio difficoltoso a causa della sua fama di candidato debole e i sondaggi inizialmente lo davano come perdente fino a quando non ha scelto come candidata alla vice-presidenza l’ex-first lady grazie alla quale si è guadagnato nuovamente le simpatie dei militanti del PLD. Il suo motto è “Per continuare con le cose buone, correggere quelle sbagliate e fare quello che non si è mai fatto”.

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BRIVIDI E TENSIONI – Si è trattato di una campagna elettorale segnata comunque da fortissime tensioni e ostilità tra i due contendenti alla carica, e spesso e volentieri si è dato più spazio ai reciproci insulti che ai programmi elettorali. Lo stesso Presidente Fernandez si è trovato in mezzo ad un conflitto a fuoco, mentre la moglie ha subito un lancio di pietre che però hanno ferito un suo collaboratore. A causa di queste tensioni durante questa tornata elettorale erano presenti nel paese ben duecento osservatori internazionali accreditati, e sessantamila poliziotti e truppe dell’esercito sono stati mobilitati per garantire il normale svolgimento delle elezioni e la sicurezza all’interno del paese. Le operazioni di voto, effettivamente, si sono svolte in un clima abbastanza pacifico e da più parti sono stati fatti elogi alla popolazione domenicana per la compostezza con cui si sono recati alle urne. Lo stesso Presidente della JCE ha elogiato il comportamento pacifico e civile dimostrato dagli elettori e ha dichiarato che benché ci siano stati alcuni incidenti soprattutto nel sud del paese, con diversi casi di persone rimaste ferite durante gli scontri tra i sostenitori delle diverse fazioni, si è comunque trattato di casi isolati e di lieve entità. Ciò non toglie che la scorsa notte durante lo spoglio ci siano stati momenti di forte tensione, quando si è appreso che il candidato del PLD avrebbe potuto vincere al primo turno. Le contestazioni dei risultati da parte dello sfidante non si sono fatte attendere e ora fanno temere una nuova fase di incertezza dopo la campagna elettorale già tesa e a tratti violenta. Le contestazioni sono iniziate ancora prima che venisse emesso il primo bollettino elettorale da parte della JCE. I sostenitori di Mejia hanno accusato la giunta stessa di aver manomesso il sistema di trasmissione dei risultati e di non aver consentito un controllo da parte dei suoi stessi rappresentati.

DA DOMANI – La vittoria di Medina non lascia presagire un vero e proprio cambio di rotta della politica domenicana, anche se questo era l’intento iniziale del neo-premier, almeno prima della candidatura della Cadeño de Fernandez. Non bisogna, infatti, sottovalutare il fatto che il favore da parte dell’elettorato del PLD nei confronti del neo-presidente è andato in crescendo solo dopo la candidatura alla vice presidenza della Signora Fernandez la quale, non solo ha dato una svolta alla campagna elettorale, ma con molta probabilità cercherà di seguire l’impronta politica lasciata dal marito. Di incoraggiante c'è che durante le sue prime dichiarazioni Medina ha espresso apertamente l’intenzione di coinvolgere gli avversari del PRD nella politica di governo attraverso la sigla di un patto che favorisca la collaborazione dei due schieramenti in tutti i settori che riguardano il progresso, lo sviluppo e la trasformazione nazionale indispensabili per il paese.

Marianna Piano [email protected]