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- I prossimi mesi saranno cruciali per il futuro della sicurezza nucleare nell’area
Piccoli Kim crescono: la corsa al nucleare in Asia
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Come stanno i leader africani?
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- Secondo gli analisti, le ragioni per cui i leader africani tendono ad essere così longevi sono molteplici
- La creazione di percorsi di integrazione economica interregionali e l’inclusione politica delle istanze di altre fazioni etniche potrebbero essere la chiave per promuovere forme di governo più democratiche
Guerra dei dazi Cina-USA: un primo bilancio
- Il recente accordo firmato a Washington rappresenta solo una tregua nel conflitto commerciale e tecnologico tra Cina e USA
- Trump incassa un buon successo diplomatico per la campagna elettorale, mentre Pechino fa alcune concessioni per occuparsi con calma dei propri cambiamenti economici interni
- Date le tensioni con gli USA, la Cina guarda con sempre maggiore attenzione all’Unione Europea e potrebbe sfruttare le sue divisioni interne a proprio vantaggio
Il Dragone in affanno: il secolo cinese è già finito?
- L’ascesa della Cina ha delineato un boom epocale e ha cambiato gli equilibri geopolitici mondiali
- Il 2019 ha rappresentato un momento di svolta per tanti fattori, come emerso a Hong Kong
- Nel 2020 le sfide da affrontare saranno molte e il loro esito ci svelerà se la parabola cinese è destinata al declino oppure se il Paese di Mezzo ritornerà centrale per gli equilibri mondiali
Nagorno-Karabakh, la versione di Baku
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera dell’Ambasciatore dell’Azerbaigian in Italia, Sua Eccellenza Mammad Ahmadzada, in seguito all’articolo del Caffè “Quale sarà il destino del Nagorno-Karabakh?“, pubblicato il 31 dicembre scorso. Al contempo, teniamo a ribadire che il nostro articolo non intendeva aprire discussioni sulla sovranità della regione, ma solo far luce sugli sviluppi politici intercorsi nella regione occupata dall’Armenia.
Spett.le Redazione,
scriviamo in riferimento all’articolo a firma di Chiara Soligo “Quale sarà il destino del Nagorno Karabakh?”, pubblicato nel vostro giornale il 31 dicembre 2019.
Vorremmo con la presente chiarire alcune questioni.
Il Nagorno Karabakh è un territorio storico dell’Azerbaigian ed è internazionalmente riconosciuto come parte del nostro paese. Il trasferimento degli armeni nel Nagorno Karabakh è il risultato della fine della guerra Russia-Iran (1826-1828), con un notevole aumento nel corso della prima guerra mondiale. Nel 1978 fu eretto un monumento in Karabakh a riprova del 150mo anniversario dell’arrivo degli armeni nella zona, deliberatamente distrutto dagli stessi armeni a seguito del conflitto. Il 5 luglio 1921 il Bureau Caucasico del Comitato Centrale del Partito Bolscevico decise di mantenere il Nagorno Karabakh all’interno della RSS dell’Azerbaigian, non di “trasferirlo” o “assoggettarlo” alla normativa azerbaigiana, contrariamente da quanto tipicamente affermato da fonti armene. Il 7 luglio 1923, il Comitato Esecutivo Centrale della RSS dell’Azerbaigian emanò un Decreto “Sulla formazione della Provincia Autonoma del Nagorno Karabakh” (NKAO) all’interno dell’Azerbaigian. I confini amministrativi della provincia vennero definiti in modo che gli armeni ne rappresentassero la maggioranza. Al momento dello scoppio del conflitto la percentuale di popolazione di origine armena e azerbaigiana era rispettivamente il 70% e il 30%.
L’aggressione militare da parte dell’Armenia contro l’Azerbaigian ha portato, da ormai quasi 30 anni, all’occupazione militare del 20% dei territori dell’Azerbaigian, inclusa la regione del Nagorno Karabakh e i sette distretti adiacenti, il 100% della cui popolazione era azerbaigiana, e ha avuto come conseguenza una pulizia etnica contro gli azerbaigiani nei territori occupati – con circa 1 milione di rifugiati e profughi interni, e la distruzione di tutti i monumenti storici azerbaigiani presenti nel territorio. L’Armenia ha violato gravemente il diritto internazionale umanitario e commesso numerosi crimini di guerra, tra cui il genocidio di Khojaly, l’evento più drammatico del conflitto, che ha visto l’uccisione di 613 civili azerbaigiani, per mano dell’esercito dell’Armenia, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 1992.
L’articolo fa riferimento
alla così detta “Repubblica dell’Artsakh”, ma per quanto esposto è chiaro che
non esista un’entità così chiamata, poiché non è stata riconosciuta da nessun
paese al mondo, inclusa la stessa Armenia: questo è un regime fantoccio creato
dall’Armenia per mascherare l’aggressione militare da parte sua verso
l’Azerbaigian. Ne
consegue che tutte le così dette “elezioni”, organizzate in questo territorio
occupato, sono state considerate illegali e duramente criticate da parte della
communità internazionale, incluse le pertinenti organizzazioni internazionali.
Per questo, i riferimenti da parte dell’autore a così dette “elezioni”,
“referendum” o “partiti politici” risultano ingannaevoli per i lettori.
Nonostante questo conflitto, l’Azerbaigian negli ultimi anni ha ottenuto importanti risultati nello sviluppo socio-economico, e ha realizzato rilevanti progetti strategici di trasporto e di energia, che hanno contributo alla crescita, integrazione e benessere nella regione. Invece l’Armenia, per la sua politica ostile nei confronti dei suoi vicini e l’aggressione militare contro l’Azerbaigian, è rimasta esclusa da tutti questi progetti strategici e vive una situazione di grande povertà e forte spopolamento da parte dei suoi cittadini, che abbandonano il proprio paese per una vita normale all’estero. Allo stesso tempo, la nuova dirigenza politica del paese, dopo aver ottenuto il potere come conseguenza delle forti proteste in Armenia per la grave situazione socio-economica, ha rilasciato una serie di dichiarazioni contradittorie, minacciando il processo di pace e sorprendendo la comunità internazionale, che si aspettava una presa di posizione positiva rispetto alla dirigenza precedente. Per le nuove autorità dell’Armenia, la soluzione dei gravi problemi socio-economici deve passare innanzi tutto dall’ottenimento di un accordo con l’Azerbaigian e perché ciò avvenga è necessario il ritiro delle forze armate dell’Armenia dai territori occupati dell’Azerbaigian: la presenza delle truppe di occupazione rappresenta il principale ostacolo alla pace.
Senza il loro ritiro e il ripristino della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian nei suoi confini internazionalmente riconosciuti e senza il ritorno alla situazione demografica pre-conflitto – e quindi il rientro dei rifugiati e profughi azerbaigiani nei propri territori, incluso il Nagorno Karabakh, non sarà mai possibile risolvere il conflitto.
Quanto esposto è in linea con numerosi documenti delle organizzazioni internazionali, incluse le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il diritto internazionale e l’Atto finale di Helsinki.
Sperando di aver fatto chiarezza per i vostri lettori, e restando a disposizione per fornire ulteriori dettagli,
Cordialmente,
Mammad Ahmadzada
Ambasciatore
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