martedì, 16 Dicembre 2025

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"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

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Per chi suona la campana

Nella settimana che per le principali organizzazioni internazionali segna la fine dei lavori per la pausa estiva le rotture di Arabia Saudita e Russia con la repressione del regime di Assad rendono la situazione in Siria ancora più drammatica, l’America appena uscita dall’incubo default si trova per la prima volta declassata dalle tanto temute agenzie di rating. E intanto le borse europee viaggiano sempre più in ribasso verso un futuro sempre più incerto. Anche sotto l’ombrellone la campana suona per tutti

EUROPA – Meeting delicatissimo all’orizzonte in quel di Ginevra dove ogni membro dell’Associazione degli Stati dell’Asia dell’Est (ASEAN) incontrerà cinque potenze nucleari. L’incontro segnerà la fine del periodo di stallo dei negoziati che durava ormai da un decennio

Lunedì 8 – Riprende il processo all’ex Primo Ministro ucraino Julia Timoshenko accusata di abuso d’ufficio nella fornitura di gas naturale alla Russia a prezzi di favore.

Lunedì 8 – L’aviazione della Federazione Russa e il Comando di Difesa dello spazio aereo del Nord America (NORAD) condurranno in Alaska un’esercitazione congiunta anti-terrorismo.

Mercoledì 10 – La portaerei francese di classe Charles De Gaulle lascerà la Libia per fare rotta verso le coste patrie di Tolone dove subirà un complesso processo di manutenzione

Venerdì 12– I membri dell’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva si incontreranno ad Astana in Kazakhstan per un meeting informale. Il Presidente russo Medvedev parlerà degli sforzi russi nell’influenzare i processi in corso in Africa e Medio-Oriente. Il 14 e il 15 Agosto il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è atteso in una dacia fuori Mosca per un incontro informale senza ordine del giorno con il Primo Ministro Vladimir Putin

GRANDE MEDIO-ORIENTE – Venerdì 12 – Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è convocato per discutere degli sviluppi tragici della situazione in Siria, non è scontato che le recenti aperture  della Russia alla mediazione portino la comunità Internazionale verso misure più concrete delle dichiarazioni di condanna che continuano a riempire inutilmente  le agenzie di stampa.

Continua il presidio ad oltranza dei manifestanti israeliani a Tel-Aviv, l’unica democrazia mediorientale sembra ormai fiaccata dai continui sacrifici chiesti dal Governo in nome della sicurezza nazionale, ormai ampliamente raggiunta, nonostante le continue frizioni con i territori palestinesi e il confine libanese.

ASIA – 8-13 Agosto – Continua il mastodontico “war game” dell’esercitazione militare multinazionale in Mongolia soprannominato “Khaan Quest 2011”. Le Forze Armate di Stati Uniti, Cambogia, India, Canada, Giappone, Cina, Singapore e Vietnam sono chiamate a dimostrare la propria efficienza in uno degli scenari più caldi di tutto il globo.

8-10 Agosto – Incontro tra Capi di Stato laotiani e vietnamiti nel tentativo di migliorare le relazioni bilaterali tra i due paesi.

AMERICHE – Il Governo Venezuelano ha annunciato la liberazione di migliaia di prigionieri politici di basso profilo per prevenire lo scoppio di proteste di massa nel paese. Il tumore che ha colpito Chávez sembra aver addolcito la stretta del caudillo sul paese che sogna una proprio percorso verso una maggiore libertà d’espressione.

10-11 AgostoL’Unione degli Stati Sud-Americani terrà un incontro tra i rappresentanti degli Stati membri a Buenos Aires per parlare di previsioni sulla crescita economica della regione e della situazione dei mercati internazionali e dei suoi influssi sul MERCOSUR.

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Anniversari

11 Agosto 2003– La NATO prende il comando della forza di peacekeeping in Afghanistan, che diviene la prima grande operazione al di fuori dell'Europa nei suoi 54 anni di storia. A otto anni dal suo inizio la missione stenta ancora a trovare il bandolo della matassa in un’area che appare ormai immune alla stabilità e dove ogni contingente continua a versare quotidianamente il proprio tributo di sangue.

12 Agosto 1953- L’URSS fa detonare in Kazakhstan la sua prima bomba all’idrogeno, la “Bomba Zar” aveva un potere esplosivo di 57 megatoni pari a 4000 volte quello della bomba che rase al suolo Hiroshima

Fabio Stella

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Out of “coffeece”? Non proprio…

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Anche la redazione del “Caffè” si prende un po'di vacanza. Ecco dunque l'occasione per ricaricare le batterie e per fare il punto della situazione sulla stagione che si conclude: vi informiamo sugli Stati Generali della nostra associazione, che si sono appena svolti. E poi uno sguardo verso le tante novità che troverete a partire da settembre: vogliamo continuare a crescere insieme a voi

Lo sappiamo bene: il caffè, in vacanza, è tutta un'altra cosa. Pensateci bene. Richiamate alla memoria il solito caffè di prima mattina, quello che deve sollevare palpebre assonnate. Il secondo, che deve dare un po' di carica in vista della pesante giornata di studio, o lavorativa. Il caffè non è buono, ma utile. Lo si beve perchè serve, più che per gustarselo. Per dovere, più che per piacere.

Ecco, i fortunati tra voi che sono in vacanza, o che ci sono appena stati, sanno bene che l'aroma del caffè di questi giorni è un'altra vita. Il caffè diventa un piacere, uno svago, un rito. Quasi un vizio. Lo si sorseggia, lo si degusta, solo per diletto. Seduti comodi, con la testa sgombra da troppi pensieri. Addirittura nelle sue varianti: la crema di caffè, il caffè freddo o shakerato. Insomma, ce lo si gode come quell'attore italiano nella nota pubblicità: “A me, me piace”.

 

Dunque, direte voi, tutto questo per dire che il Caffè Geopolitico non va in ferie, ma ad agosto raddoppia? Ebbene…no! A furia di parlarvi di quest'aria vacanziera, ci siamo lasciati prendere la mano, e abbiamo deciso di riposarci un po' anche noi. Lo slogan di agosto, “Out of coffee”, è abbastanza esplicativo. Non ce ne andremo mai del tutto, vi saranno ancora degli aggiornamenti, seppur con cadenza inferiore a quella canonica. Nel frattempo, faremo un bel pieno, come suggerisce la nostra immagine di copertina, per ripartire alla grande e sempre meglio dal mese di settembre. Vale la pena aggiornarvi su un evento importante appena avvenuto: la due giorni degli Stati Generali del Caffè, che si è svolta il 30-31 luglio. I vertici dell'Associazione Culturale Il Caffè Geopolitico e i coordinatori di redazione si sono riuniti in un incontro davvero utile, volto ad organizzarsi al meglio in vista della prossima “stagione”, che sarà ricca di novità. Davvero abbiamo “un mondo di idee” per il futuro, come dice la nostra testata. Una ad una, faremo di tutto per realizzarle.

 

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Il meritato riposo precederà quindi una vera full immersion, che ci vedrà sempre più convinti nel raccontarvi quanto accade nel mondo, in una modalità che sia quanto più possibile chiara, comunicativa, accessibile a tutti. Per crescere, avremo sempre più bisogno del vostro aiuto. E allora, continuate a seguirci, a leggere il Caffè, a fare passaparola, e se volete, a darci una mano anche attiva, collaborando con noi. Nel frattempo, questo mese se potete fate come noi, e godetevi un po' di riposo. Ma soprattutto, godetevi il caffè. In vacanza, ha tutto un altro sapore.

 

Alberto Rossi [email protected]

Se un piccolo diventa un gigante

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Caffè Geoeconomico – Anche nel 2011 gli Stati dell'America Latina e dei Caraibi vedranno una crescita delle loro economie che si aggirerà attorno al 4,7% confermando il trend positivo che ha avuto inizio dalla metà del 2009. Lo si evince dallo studio economico della Cepal (Comisión Económica para América Latina) 2010-2011, presentato il 13 luglio scorso. Ma non sono tutte rose e fiori. Nel prossimo biennio la regione dovrà affrontare sfide economiche importanti che potrebbero condizionarne lo sviluppo nel lungo termine

LO SCENARIO – La situazione del 2011 recupera in parte lo scenario antecedente alla crisi economica che aveva visto il continente latinoamericano avviarsi sulla strada dello sviluppo economico, grazie soprattutto all’input dell’aumento della domanda interna e dei consumi. All’aumentare di questi due indicatori è corrisposto anche un innalzamento degli investimenti e quindi del credito, che hanno consentito all’economia di tornare ai livelli precedenti al 2009.  In particolare le statistiche della Cepal, presentate dalla presidentessa Alicia Bárcena, si concentrano sui problemi della gestione di questo incoraggiante boom economico che dovrebbe essere “pilotato” dagli Stati della regione, nel senso di sostenere crescita con occupazione, produzione e uguaglianza sociale, attraverso un’ intelligente politica fiscale.

ECONOMIA A TRE VELOCITA’ – Una delle peculiarità individuate dallo studio Cepal è lo sviluppo di uno crescita economica a tre velocità.  In particolare gli Stati del Cono Sur del continente cresceranno di un 5,1% nell’anno corrente, grazie soprattutto al fattore più importante delle loro economie, l’ esportazione delle materie prime a prezzi di scambio più alti. La crescita sarà invece minore per gli Stati centroamericani e caraibici, che segneranno rispettivamente un 4,3 e un 1,9% di crescita. Ma non finisce qui. Le prospettive per l’ America Latina e l’area caraibica, anche per il 2012, sono di una crescita che si attesterebbe attorno al 4,1%, equivalente a un 3% del PIL per abitante, nonostante persista un’ elevata incertezza derivante dalla congiuntura internazionale.

Nella lista dei paesi a maggior crescita, al primo posto c’è Panama (8,5%) seguita da Argentina (8,3%), Haiti (8%) e Perù (7,1%). Seguono Uruguay con il 6,8%, Ecuador (6,4%), Cile (6,3%) e Paraguay (5,7%). A sorpresa, ma non troppo, le due economie più forti dell’area come Brasile e Messico cresceranno solo di un 4 %, ottenendo un risultato peggiore anche di Colombia (5,3%) e Venezuela (4,5%).

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DUE OSTACOLI: INFLAZIONE E LIQUIDITA’ – Nel suo studio, la Cepal evidenzia le sfide in materia di politica macroeconomica che si presentano ai governi in un contesto di aumento generale dei prezzi delle materie prime, di un’ elevata liquidità monetaria internazionale e della solidità di alcune economie sudamericane. L’ agenzia Onu ha individuato infatti nell’ inflazione uno dei problemi che potrebbero rallentare la crescita. L’ aumento internazionale del prezzo dei prodotti alimentari e dei combustibili unita all’aumento della domanda interna, potrebbe creare un’eccessiva fluttuazione del valore delle monete dei diversi Stati, e di conseguenza un incremento della differenza tra i tassi di interesse interni e quelli internazionali. Certamente, nel breve periodo ci saranno effetti benefici dovuti al maggior flusso di capitali che potrebbero entrare nella regione e alle pressioni rivalutative delle monete locali, benefici che potranno comportare anche una riduzione della povertà e un abbassamento dei prezzi degli alimenti. Ma senza dubbio ci sono anche dei possibili rischi. Ad esempio, gli Stati potrebbero tornare ad essere vulnerabili a movimenti di capitali speculativi per ottenere guadagni a breve termine, e potrebbero prodursi variazioni nei prezzi degli attivi finanziari e dei mercati immobiliari. Un’ altra questione è quella dell’elevata liquidità internazionale che comporta un abbassamento dei cambi reali e un aumento dei prezzi delle materie prime internazionali, incentivando così un’ intensiva produzione ed esportazione di materie prime locali. Questo provoca una vulnerabilità delle economie regionali agli shocks esterni e genera maggiore volatilità degli investimenti andando ad incidere negativamente quindi sulla crescita, l’ occupazione e la riduzione delle disuguaglianze sociali.

OCCHIO ALLA CONGIUNTURA INTERNAZIONALE – Infine bisogna tenere sempre un occhio di riguardo alla situazione internazionale, soprattutto alle economie di Stati Uniti, Europa e Giappone perché un eventuale deterioramento delle stesse comporterebbe un ostacolo alla potenziale crescita della regione. Da qui sarebbe conveniente sfruttare al massimo l’ attuale congiuntura favorevole per poter recuperare spazi economici da poter sfruttare in futuri ed eventuali momenti di crisi. Per ottenere ciò le autorità economiche regionali dovrebbero adottare misure per contenere l’ apprezzamento dei cambi con interventi nel mercato, controlli delle entrate di capitali e regolazioni finanziarie accompagnate da un politica fiscale di risparmio della spesa pubblica.

Alfredo D’Alessandro [email protected]

Repressione contro il tempo

La repressione della rivolta popolare araba in Siria ha raggiunto in questi ultimi giorni un feroce livello di intensità che ha colpito l’opinione pubblica mondiale, con l’intervento attivo dei carri armati e delle truppe siriane contro le principali roccaforti dei ribelli, in particolare la città di Hama. Mentre il Presidente Bashar el-Assad loda le truppe per lo spirito “patriottico” e il Consiglio di Sicurezza si riunisce per possibili nuove sanzioni, vogliamo dare un breve sguardo dietro le quinte

 

IL RAMADAN – Tre sono gli elementi che vogliamo discutere, per capire meglio la situazione. Il primo è la tempistica: perché proprio ora sono è stata aumentata l’intensità della pressione, giunta fino all’ordine di aprire il fuoco diretto con i carri armati contro i rivoltosi? La risposta va cercata nell’inizio del Ramadan. Storicamente, e ne abbiamo avuto una conferma costante durante tutte le rivolte arabe recenti, le preghiere del venerdì sono state occasioni per riunire i rivoltosi e organizzare proteste pubbliche. Il Ramadan costituisce un’ulteriore occasione poiché tutte le sere vengono eseguite particolari preghiere dette “Taraweeh”, e l’opposizione siriana ha promesso di scatenare un mese di continue proteste serali ogni sera al termine delle Taraweeh.

 

Non sorprende quindi il tentativo della leadership siriana di schiacciare l’opposizione prima di tale termine, per stroncare le proteste sul nascere intimidendo i possibili partecipanti. Il tentativo però è fallito e già al primo giorno di Ramadan si sono verificate forti proteste dopo la preghiera. Le forze armate ora puntano a disperdere le manifestazioni sparando e rastrellando i responsabili.

 

SCISSIONE COL CLERO SUNNITA – Una misura così drastica si è però resa necessaria perché una più lieve era già fallita qualche giorno prima. Numerosi ulema hanno infatti riportato come il governo siriano a inizio settimana scorsa abbia richiesto ai trenta maggiori esponenti del clero sunnita siriano di dispensare i fedeli dal recarsi in moschea per le Taraweeh, autorizzando ciascuno a pregare in casa. Evidente lo scopo: se la gente rimane a casa, non si riunisce in moschea e la partecipazione alle manifestazioni risulta ridotta. Altrettanto facile da prevedere il risultato: ventinove degli interpellati hanno rifiutato di ratificare la richiesta. L’unico ad accettare, lo Sceicco Al-Bouti della Facoltà di Legge Islamica dell’Università di Damasco, considerato vicino agli Assad, ha del resto visto i suoi libri bruciati in piazza in varie città. Fallita dunque la via leggera, il regime è ricorso ai carri armati.

 

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FRATTURE NELL’ESERCITO – Perfino l’uso delle armi non è però esente da rischi per il regime, e il richiamo presidenziale al patriottismo appare infatti un tentativo di evitare una disgregazione che in realtà è già in atto. Gran parte del lavoro sporco è portato avanti dalla 4a divisione corazzata, guidata da Maher el-Assad, e dalle forze di sicurezza paramilitari, mentre la divisione della Guardia Presidenziale rimane a proteggere Damasco. Queste unità sono costituite principalmente da Alawiti, la minoranza a cui appartiene il Clan Assad e dunque fedelissima al regime. Il resto dell’esercito è invece considerato meno affidabile, anche se negli ultimi mesi molti alti ufficiali sono stati sostituiti sempre da Alawiti nel tentativo di mantenere il controllo. Vediamo così la 4a Divisione operare a Hama assieme all’11a Divisione Corazzata, mentre la 7a Divisione Meccanizzata è attiva a Deir el-Zur. Tuttavia entrambe queste ultime unità nelle settimane scorse hanno avuto reparti che si sono dimostrati riluttanti e probabilmente all’interno di una stessa divisione il regime cerca di ridurre l’impiego di brigate considerate poco fedeli. Già numerosi gruppi di soldati hanno infatti disertato, mentre voci di intelligence riportano come quasi un’altra intera divisione abbia disertato nel sud-ovest del paese, con armi e mezzi.

 

PROSPETTIVE – I ribelli siriani sono anche più divisi di quanto fossero i Libici, e questo non aiuta la loro causa in quanto ogni città o gruppo ribelle sostanzialmente fa da sé; tuttavia le crescenti fratture all’interno delle forze armate e l’opposizione del clero sunnita costituiscono un crescente campanello d’allarme per Bashar Assad: il tempo inizia a giocare a suo sfavore. La violenta repressione difficilmente spegnerà la rivolta nonostante l’elevato costo in vite umane per i rivoltosi, e ogni settimana il controllo sul paese appare leggermente meno saldo. La situazione è ancora lungi dal risolversi, perché nessuna delle attuali forme di protesta può scalzare il regime dal potere vista anche la relativa tranquillità nella capitale; certo è che se Damasco è ancora sotto controllo, il resto del paese lo è sempre meno. E se le diserzioni nell’esercito dovessero continuare, l’equilibrio del potere potrebbe modificarsi, anche se manca ancora una figura o un gruppo di rilievo che possa guidare e coordinare la rivolta.

 

Lorenzo Nannetti

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Il ruolo russo nella sicurezza europea

Dopo la dissoluzione dell’URSS, la Russia ha dovuto ricostruire la propria posizione nel sistema internazionale. Il suo approccio realista e la percezione di se stessa come uno stato europeo hanno influenzato le sue decisioni di politica estera, che l’hanno avvicinata all’Europa ma hanno anche comportato rapporti non idilliaci con gli Stati Uniti. Gli eventi post-1991 hanno indebolito e spesso frustrato lo stato eurasiatico che non accetta di essere marginalizzato e reclama il diritto di avere un ruolo nella sicurezza europea e nelle decisioni di portata globale.

UN PASSATO PESANTE – Le decisioni odierne di politica estera russe hanno forti radici nel passato e nella percezione che il Paese ha di se stesso. Già ai tempi di Gorbaciov, la Russia ha cercato di entrare a far parte della famiglia europea: famoso è il discorso di Praga del 1987 in cui Gorbaciov parla di una “casa comune europea”. Dopo il 1991 però, la Russia è passata improvvisamente dal ruolo di rule-maker a quello di rule-taker, la frontiera russa ha perso trecento anni di espansione e le ripercussioni sull’orgoglio nazionale e le decisioni politiche è stata inevitabile. Dalla fine della guerra fredda in poi, la Russia ha investito molte energie nel tentativo di ribaltare questa posizione e tornare a occupare un ruolo di primo piano nelle relazioni internazionali. La politica estera russa segue logiche di tipo realista ed è molto legata a dettami di tipo geopolitico: l’allargamento dell’UE e della NATO all’Europa centro-orientale – territorio che la Russia post-sovietica aveva immediatamente dichiarato come “estero vicino”, a sottolineare le proprie prerogative su un’area considerata di suo appannaggio per diritto storico – sono stati il principale motivo di frizione con l’Occidente, che spesso si è mostrato incurante delle istanze russe.

L'EUROPA INTERLOCUTORE PRIVILEGIATO – Da parte occidentale giungono segnali contraddittori e diversi. Una differenza sostanziale corre nei rapporti Russia – USA e Russia – Europa. Da parte sua, la Russia si è fatta promotrice, negli ultimi anni, di un cambiamento di prospettiva da “Europa dall’Atlantico agli Urali” a “Europa da Lisbona a Vladivostok”: nonostante Mosca si sia mostrata aperta nei confronti degli USA, la sua politica mira in parte ad escludere Canada e Stati Uniti per favorire il dialogo con Londra, Parigi e Berlino, che rimangono interlocutori privilegiati.

I rapporti commerciali tra Russia e UE sono infatti sicuramente più stretti: la Russia è il terzo più grande partner commerciale per l’UE e l’UE rappresenta il primo partner commerciale per Mosca, che fornisce agli Stati europei il 25-30% delle forniture di gas. Nonostante i rapporti difficili con i Paesi Baltici e la Polonia, Mosca trova in Germania, Francia, Gran Bretagna e anche Italia i suoi maggiori interlocutori. Secondo il Cremlino, la Russia ha molto da offrire all’Europa: minerali, risorse energetiche, un suolo fertile russo in grado di fornire derrate per la crescente richiesta mondiale. Inoltre, la Russia e l’Europa hanno interesse a cooperare in molti settori, quali operazioni di contro-terrorismo, lotta al traffico di stupefacenti, operazioni anti-pirateria e ultimo, ma non per importanza, la difesa missilistica.

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GLI USA MOLTO MENO – Al contrario, i rapporti USA – Russia, nonostante l’apertura avvenuta dopo l’11 settembre, sono molto più distaccati, il volume del commercio tra Mosca e Washington è ridotto e le relazioni si concentrano principalmente sul controllo delle armi atomiche e il mantenimento del regime di non proliferazione. In conclusione, la Russia conta soprattutto su suoi rapporti con l’Europa per reintegrarsi a pieno titolo nel sistema e ripristinare la propria posizione.

UNA POTENZA IN DIFFICOLTA' – Nonostante questo però, i tentativi di ristabilire una posizione di primato sono stati piuttosto insoddisfacenti. Le istituzioni alle quali la Russia partecipa con una posizione privilegiata, come ad esempio l’ONU, sono deboli, quelle nelle quali occupa una posizione pari ad altri non sono funzionali (OSCE); al contrario, le istituzioni di cui la Russia non fa parte, come la NATO, sono forti e considerate ancora sostanzialmente ostili. Di conseguenza, l’influenza russa negli affari mondiali può essere definita, sotto questo aspetto, residuale.

Inoltre Mosca sperimenta frustrazione per il comportamento dei suoi ex-alleati: tutti gli ex satelliti russi fanno ora parte dell’UE, e la CIS e la SCO – organizzazioni da lei istituite con lo scopo di mantenere uniti i rimanenti stati post-comunisti – non hanno potere attrattivo per questi paesi, che anzi si sono organizzati in modo indipendente nel GUAM (Organizzazione per la Democrazia e lo Sviluppo Economico). In conclusione, gli stati satelliti si stanno allontanando dall’egida di Mosca e quelli ancora sotto il suo stretto controllo (come quelli dell’Asia Centrale) sono in realtà stati marginali al sistema.

UE FREDDINA – Infine, nonostante i rapporti con molti stati dell’Unione Europea siano ottimi, l’UE ha mostrato spesso noncuranza rispetto alle posizioni russe: ha accolto al proprio interno gli stati dello spazio post comunista, ha permesso l’ingresso di molti di questi paesi nella NATO e finora ogni tipo di proposta russa per una soluzione negoziata sullo scudo missilistico è stata giudicata inaccettabile da parte europea.

I rapporti tra Russia e stati europei sono influenzati dalla storia ma anche dalla percezione che ciascuna entità ha di se stessa. Mosca si auto percepisce come uno stato europeo e reclama il diritto ad avere un ruolo nella sicurezza europea. Il discorso pronunciato da Putin nel 2007 alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco riflette la frustrazione del Cremlino anche per quanto riguarda l’influenza negli affari mondiali: forte è la critica all’unipolarismo americano e all’opinione condivisa in occidente secondo cui l’uso della forza è legittimo solo se deciso da UE, NATO e ONU; questa prerogativa – secondo Mosca – dovrebbe spettare soltanto all’ultima di queste organizzazioni, ossia quella che tiene in considerazione la posizione di tutti gli stati del sistema. La Russia si trova dunque in una posizione complicata: desiderosa di affermare il proprio potere ma bloccata da vincoli esterni che frustrano le sue ambizioni.

Tania Marocchi [email protected]

Il regno ‘bianco’ dell’Africa

La Guinea-Bissau, Paese costiero dell’Africa occidentale, è da tempo divenuto appetibile per i narcotrafficanti dell’America Latina. Un territorio non molto esteso, ma con circa ottanta isole molte delle quali disabitate e non controllate, rappresenta un “ponte” ideale per far atterrare tonnellate di cocaina

PALUDI DI MANGROVIE COME PISTE DI ATTERRAGGIO – La “merce” caricata dalle organizzazioni colombiane e venezuelane, transita nel Golfo di Guinea per giungere diretta in Europa. La Guinea è una terra ideale per farne un hub, sia per la conformazione del territorio che per la mancanza di controlli ,che per la diffusa corruzione. Risulta una terra perfetta per le ampie zone disabitate e le oltre 80 isole dove manca ogni sorta di controllo, e le paludi nascoste ed aride diventano piste di atterraggio. Lo Stato non oppone controlli e non ha forse alcuna volontà politica di farlo. Ci sono forti sospetti sulla collusione dei narcotrafficanti con alcuni esponenti delle alte cariche militari, e probabilmente anche alcuni membri del Governo tendono a “chiudere un occhio”: ciò ha garantito e continua a garantire il buon funzionamento di tutto il meccanismo e dell’intera catena. Il paese è povero e gli stipendi dei funzionari non riescono ad essere pagati; un paese che vive degli aiuti internazionali e adesso della cocaina. In un paese in cui c’è assenza di sicurezza e dove continui sono i colpi di stato risulta semplice far permeare le organizzazioni con la loro droga che ha un valore complessivo impressionante. Il consumo di cocaina sta aumentando e la polvere bianca , smistata e nascosta in Guinea-Bissau, fa raggiungere proventi che vanno spesso a finanziare i guerriglieri dei paesi limitrofi.

 

QUANDO L‘ALTERNATIVA E' L‘OMERTA' – Constatata la dilagante corruzione, resta un paese in cui regna l’impunità legata la potere economico e finanziario. La polizia guineana non ha mezzi né fonti per sconfiggere o arginare i narcos e anche acciuffarli non risolverebbe il problema, visto che manca un sistema giudiziario o prigioni dove poterli recludere e giudicare. A dura prova è messa la possibilità di una nascente democrazia in Guinea-Bissau e l’aiuto anche a livello internazionale dovrebbe servire a rafforzare un’ossatura statale debole e malata. Coloro che indagano sul narcotraffico, sono poi soggetti a minacce del crimine organizzato; il che rende la situazione vulnerabile e critica. Funzionari dello stato che sono ormai parte integrante della catena garantiscono il proliferare di reti di contrabbando fatte di omertà, minacce e paura. Alcune rivelazioni di Wikileaks sulla Guinea-Bissau hanno dimostrato che negli ultimi anni non solo è aumentata l’affluenza di droga nel paese, ma che la corruzione arriva fin su ai vertice dello Stato fino al coinvolgimento anche del figlio dell’ex presidente Contè.

Gli Stati Uniti hanno tra le priorità della loro politica estera un intervento diplomatico per contrastare la produzione di sostanze stupefacenti, anche perché l’aumento del traffico di droga è una seria minaccia per gli Stati Uniti. Anche se d’altra parte, gli obiettivi strategici statunitensi sono quelli di mantenere la stabilità politica dell’area con il solo obiettivo di contrastare il terrorismo internazionale. I narcotrafficanti prevedono un coinvolgimento delle maggiori organizzazioni internazionali che vanno dalle Farc colombiane all’Al Qaida maghrebina. Gli stati Uniti premono per una vigorosa riforma del sistema giudiziario e per una riforma delle forze armate.

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MATTONI PER LA DEMOCRAZIA – Creare e diffondere democrazia in questa terra nera e sempre più povera deve essere una priorità urgente per evitare che il controllo passi definitivamente nelle mani della criminalità organizzata. Gli indici di valutazione dello sviluppo economico sono rimasti sostanzialmente invariati da quando la Guinea-Bissau si è resa indipendente. E’ un paese che si è collocato agli ultimi posti nella lista della qualità della vita nei paesi del mondo. Resta alto il tasso di povertà e senza adeguate politiche, si deve continuare a provvedere alla sussistenza di gran parte della popolazione, continuando quindi anche a dipendere dagli aiuti internazionali. Le richieste da parte della gran parte della popolazione locale è di abbattere l’ampia rete di clientelismo e corruzione e di spoliticizzare le cariche dirigenziali e smettere di lasciar carta bianca a persone poco competenti in scelte cruciali per l’intero paese. Ma il paese è incapace di combattere da solo questo problema e c’è bisogno di una risposta collettiva. Occorre un aiuto tecnico – finanziario da parte di attori regionali e internazionali.

Adele Fuccio

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Al confronto, era un gigante

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Abbiamo fatto nostra, seppur qui tolta dal suo contesto d’origine, questa frase di Giovannino Guareschi su De Gasperi, che in questo speciale non poteva non meritarsi uno spazio tutto suo. La sua figura è ormai quasi mitizzata, uno di quei pochissimi politici di cui comunemente si dice: “Ah, ci fossero ora persone così!”. Un’espressione vera anche per la politica estera. In uno dei momenti più drammatici della storia d’Italia, De Gasperi ha preso per mano il Paese dando un contributo fondamentale nel far passare l’Italia da un cumulo di macerie (anche a livello di considerazione internazionale) a una media potenza in pochi anni. Vediamo insieme come

 

GIOVANNINO – Molti non sanno che Giovannino Guareschi – tanto per intenderci, il papà di don Camillo e Peppone – non è stato solamente un grande scrittore, ma un vero e proprio protagonista della vita politica italiana, per circa un decennio. Uscito dal lager dopo la Seconda Guerra Mondiale, il ruolo del suo settimanale Candido nel contribuire alla vittoria democristiana delle storiche elezioni politiche del 18 aprile 1948 fu altamente significativo. Alcuni giornali stranieri identificano in De Gasperi e Guareschi la “strana coppia” che ha sconfitto il comunismo in Italia. La carriera di giornalista politico di Guareschi si interromperà nell’aprile 1954, quando sconterà venti mesi di carcere, condannato per diffamazione proprio nei confronti di De Gasperi (che morirà nell’agosto 1954), in una vicenda che ancora oggi presenta molti lati oscuri, che forse in altri contesti si potrà raccontare. Ebbene, lo stesso Guareschi, che per ovvie ragioni non può essere tenero nei confronti di De Gasperi, nel 1957 si troverà a scrivere: “(…) Voglio soltanto rendere omaggio alla verità e riconoscere che, al confronto dei campioni politici d’oggi, De Gasperi era un gigante”.

 

RICOSTRUZIONE – Quello di Guareschi è un rimpianto che cresce col passare dei decenni. E tra vari aspetti per cui merita menzioni speciali, alcune azioni di De Gasperi – anche se talvolta meno note – hanno contribuito in maniera determinante alla costituzione di una politica estera italiana, in un momento così decisivo per il Paese come gli anni della ricostruzione, dopo che l’Italia è appena uscita con le ossa rotte dalla Seconda Guerra Mondiale. Proviamo a citare per punti i passaggi salienti della politica estera di De Gasperi, che divenne Ministro degli Esteri nel dicembre 1944 e Presidente del Consiglio nel 1945:

 

1) LE MINORANZE ALTOATESINE – Insieme con il Ministro degli Esteri austriaco Karl Gruber, nel 1946 De Gasperi prende l’iniziativa di stabilire un accordo riguardo alle minoranze di lingua tedesca altoatesine, un punto di partenza fondamentale per la soluzione della questione dell’Alto Adige, nell’attesa che venga stabilito che quest’ultimo rimanga all’Italia. L’accordo De Gasperi-Gruber, firmato a Parigi in settembre, riconosce agli altoatesini un’autonomia fondata su diversi punti: parità delle due lingue nella pubblica amministrazione; ristabilimento dei nomi di famiglia tedeschi italianizzati negli ultimi anni; uguaglianza nei diritti di ammissione ai pubblici uffici; revisione degli accordi Hitler-Mussolini del 1939, consentendo il ritorno di chi aveva optato per la cittadinanza tedesca trasferendosi nel Terzo Reich.

 

2) SVOLTA USA – Nel gennaio 1947, De Gasperi è il primo capo di governo italiano a recarsi in America. Il suo viaggio negli Stati Uniti segna di fatto, rendendolo ufficiale, il legame di dipendenza – o meglio, di “interdipendenza dipendente”, così come è stato definito – nei confronti degli Usa. Un fatto oggi che può apparirci conseguenza logica e normale degli eventi bellici, ma che allargando lo sguardo storico della politica estera italiana, rappresenta una vera e propria svolta, uno sviluppo rivoluzionario da lì agli anni a venire. La politica dell’Italia, ultima tra le grandi potenze europee, non diminuisce certo l’intensità delle sue relazioni all’interno dell’Europa continentale, ma nello stesso tempo si apre a quell’ambiente occidentale transatlantico che caratterizzerà il periodo della guerra fredda.

 

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3) EINAUDI E MARSHALL – Il reinserimento dell’Italia nella comunità internazionale è eccezionalmente rapido anche in virtù di alcune decisioni di De Gasperi in sede di politica interna, su tutte l’estromissione nel maggio del 1947 dei ministri comunisti e socialisti, che porta alla nascita del “governo omogeneo” De Gasperi-Einaudi. Una decisione che allinea l’Italia ad altri Stati occidentali europei lungo il corso anticomunista, e che precede di poche settimane l’annuncio del 5 giugno dell’inserimento del Paese all’interno del Piano Marshall. Su quest’ultimo aspetto furono decisive le pressioni a Washington e Parigi di Carlo Sforza, Ministero degli Esteri del Governo De Gasperi, volte a far ammettere l’Italia all’interno del programma di ricostruzione europeo.

 

4) CECA E CED – Infine, last but not least, il contributo di De Gasperi è assolutamente fondamentale nell’adesione dell’Italia – in prima linea – nel processo di unificazione dell’Europa occidentale. L’autoesclusione dell’Inghilterra dal processo conferisce all’Italia un ruolo maggiore, ma è indubbio il ruolo di De Gasperi nel cammino verso la creazione della Comunità Europea, in uno dei momenti più alti e felici della politica estera italiana del dopoguerra. I leader cattolico-liberali di Francia (Schumann), Germania (Adenauer) e Italia sono a tutt’oggi considerati tra i padri fondatori dell’Ue, grazie a una comune visione storica e politica. L’Italia, priva di risorse per le sue materie siderurgiche, aveva tutto l’interesse ad entrare nella CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio, “mamma” della CEE e “nonna” dell’UE). Il ruolo di De Gasperi fu ancora più incisivo nella definizione della Comunità Europea di Difesa (CED). Nel dicembre 1951, il leader democristiano ottenne che nell’articolo 38 del trattato fosse inserito l’impegno alla costituzione di un’Assemblea della Comunità di Difesa europea eletta su base democratica. La CED non entrò poi in vigore, impedendo al processo di unificazione di compiere un deciso salto in avanti (forse ancor oggi rimpianto e non compiuto). L’impegno dell’Italia proseguì anche dopo De Gasperi: di certo, è lui l’uomo italiano che più di tutti si è speso personalmente per un’Europa unita, forte anche di un consenso popolare assai considerevole, di certo non più raggiunto da alcun suo successore.

 

MEDIA POTENZA – In conclusione, si può dire che i risultati ottenuti dall’Italia di De Gasperi tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta furono altamente significativi nella prospettiva storica dell’epoca. Certo poi saranno semplici premesse ad una profonda e radicale trasformazione della politica internazionale, con il superamento di una dimensione unicamente nazionale in settori decisivi quali economia e difesa. In ogni caso, è possibile considerare l’Italia di De Gasperi una “media potenza” del tempo, di certo in grado di godere di un’autorità e un prestigio che poche volte è poi stato raggiunto. Ebbene sì: aveva ragione Guareschi, con quella frase che, cinquantaquattro anni dopo, è così drammaticamente attuale.

 

La settimana del Ramadan. E del debito Usa

Mentre la situazione sul fronte libico si fa sempre più caotica con una linea di avanzamento confusa, la Siria paga il suo tributo di sangue alla speranza di transizione democratica con l’esercito impegnato in una massiccia offensiva nel tentativo di soffocare l’urlo delle città ribelli a nord prima che abbia inizio il sacro mese del Ramadan. Occhi puntati sul debito americano che martedì raggiungerà il fatidico tetto massimo, nonché sui difficili rapporti tra l'esercito ed il partito al potere in Turchia

EUROPA – 1-2 Agosto: l’Unione Europea ricorda il genocidio di tutti i Sinti e Rom, popoli nomadi e pacifici, vittime di pregiudizi e violazioni dei diritti umani.

Nei prossimi giorni il Presidente russo Dmitri Medvedev comunicherà la lista aggiornata delle società attualmente controllate dallo Stato che dovranno rientrare nel grande piano di privatizzazioni che dovrà essere lanciato a breve. Questo sarà un passaggio critico nella definizione degli equilibri di potere in Russia.

4 Agosto: a Francoforte si riunisce il Consiglio di Governo della BCE, sul tavolo l’ulteriore declassamento del debito pubblico greco, ormai ritenuto insolvibile, e gli influssi della situazione statunitense che rende ancora più instabili i mercati

AMERICHE – 2 Agosto: il debito pubblico USA raggiungerà il tetto massimo previsto per legge di 14293 miliardi di dollari. Nel frattempo sembra raggiunto un accordo bipartisan per alzare questo limite, che eviterà al Tesoro di dichiarare la bancarotta. Il rischio finanziario rimane però un fantasma ben presente, dato anche che si avvicina lo scontro delle presidenziali e i candidati che propugnano le opzioni più radicali sembrano ottenere un discreto sostegno dall’opinione pubblica.

La situazione in Paraguay si fa sempre più dura con il movimento contadino “campesinos sin tierra” impegnato in proteste pacifiche di massa contro l’installazione di piantagioni di soia di 800mila ettari che lasciano il paese privo di un’agricoltura sostenibile, ciò va a sommarsi con la crescente diffusione di violenza e traffici illeciti internazionali nel paese con base a Ciudad Del Este.

ASIA – Continuano le tensioni tra Cina e Stati Uniti dopo l’intervista del futuro Dalai Lama al NYT e le critiche mosse dal governo cinese al comportamento dei Senatori americani che hanno bocciato per pochi voti il piano Boehner.

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MEDIO-ORIENTE – 1-29 Agosto: il mondo mussulmano celebra il ramadan (digiuno), uno dei cinque pilastri dell’Islam. Intanto in Siria le forze di sicurezza hanno lanciato una pesantissima offensiva contro i manifestanti che protestano contro il regime di Assad. Il partito Baath potrebbe inoltre promuovere una serie di riforme interne per tentare di arginare le proteste.

In Turchia sarà una settimana molto calda: dopo che molti alti ufficiali delle forze armate hanno rassegnato le dimissioni, il bilanciamento di potere tra militari ed partito AKP è da ridisegnare. Sarà importante osservare le eventuali contromosse del Primo Ministro Erdogan.

3 Agosto – Ha inizio il processo nei confronti di Hosni Mubarak, ex presidente dell'Egitto, e dei suoi 2 figli, Alaa e Gamal, presso il Tribunale del Cairo. I tre sono, infatti, accusati della violenta repressione dei manifestanti durante la rivoluzione. Insieme ai Mubarak saranno processati l'ex ministro dell'Interno, Habib al-Adli, sei alti ufficiali della polizia e il businessman Salem.

AFRICA – 7 agosto – round elettorale a Capo Verde, dove il presidente dell’arcipelago Pedro Verona Rodrigues Pires cerca una riconferma già al primo turno delle presidenziali. Le isole, pur essendo favorite da una forte industria del turismo, mostrano i classici sintomi di tutte le democrazie africane, alti livelli di corruzione, scarsa prevenzione sociale e povertà diffusa.

Nello stesso giorno in un altro arcipelago africano, Sao Tomé e Principé, i due candidati usciti dal primo turno si contendono la nomina presidenziale. Da una parte Evaristo do Espírito Santo CARVALHO per la destra sociale, dall’altra il social democratico Manuel Pinto DA COSTA.

ANNIVERSARI – 1 Agosto 1990 – L'Iraq invade il Kuwait, con l’intenzione di fare pressioni sull’ambigua politica mediorientale del Governo americano e per rivendicare l’appartenenza irachena delle popolazioni kuwaitiane e dei ricchi giacimenti petroliferi della regione. La condanna dell’ONU porteranno alle operazioni Desert Shield e Desert Storm assi portanti della Prima Guerra del Golfo.

6 Agosto 1945 – Seconda guerra mondiale, bombardamento atomico di Hiroshima: Una bomba atomica chiamata in codice Little Boy viene sganciata dal B-29 statunitense Enola Gay sulla città di Hiroshima in Giappone, alle 8:16 di mattina uccidendo all'istante 80.000 persone (altre 60.000 moriranno entro la fine dell'anno a causa delle malattie causate dal fallout nucleare) e distruggendo circa l'80% dell'area edificata della città

 

Fabio Stella

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Sale la tensione

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Cina e Vietnam – Ormai da quasi due mesi la situazione che avevamo già descritto in un precedente articolo del “Caffè” è tornata ad accendersi nel Mar Cinese Meridionale. Da più di vent’anni i rapporti tra Pechino e Hanoi non erano così tesi. Infatti, se in passato la dirigenza vietnamita aveva scelto la strada della diplomazia, delle risposte pacate, se non addirittura del silenzio, questa volta ha deciso di reagire con una vera e propria dimostrazione di forza.

I TRASCORSI – Sempre lo stesso terreno di gioco: il fazzoletto di mare che dalle coste Cinesi si allunga verso sud e lambisce la penisola Vietnamita a ovest e le Filippine a est e per poi proseguire a mo’ d’imbuto verso le coste Malesi.

Le acque intorno agli arcipelaghi Parcel e Spratleys sono oggetto di contenzioso con la Cina, non solo da parte del Vietnam ma anche da Filippine, Taiwan e Brunei.

I paesi dell’ASEAN, che di fronte alle super potenze emergenti in Asia cercano di ritagliarsi un po’ d’indipendenza puntando su integrazione, crescita rapida, sfruttamento delle materie prime e bassi costi del lavoro, sono ovviamente interessati a difendere gli ampi giacimenti di gas e petrolio, che questo mare sembra celare.

La Cina però non sembra d’accordo. Nonostante il suo territorio sia una delle più grandi miniere per ogni tipo di commodities, la sua strategia di massiccia espansione prevede, quando possibile, l’acquisizione – forzata o meno – di tutte le riserve limitrofe, anche a costo di tensioni con le popolazioni delle zone in questione. Inoltre per Pechino il Mar Cinese Meridionale è “mare nostrum” anche solo in virtù della denominazione, motivo che ha spinto Filippine e Vietnam a cambiarne la nomenclatura ufficiale rispettivamente in Mare delle Filippine Occidentale e Mare dell’Est.

LO SCHIAFFO CINESE – A fine del maggio scorso una nave vietnamita della compagnia statale PetroVietnam, intenta nell’attività di rilevazione sismica è stata gravemente danneggiata da navi di sorveglianza della marina cinese. Questo è accaduto dopo che ripetutamente Hanoi aveva lamentato invasioni cinesi nelle acque di sua pertinenza sotto forma di missioni esplorative. Si trattava, di fatto, di imbarcazioni da pesca imbottite però di militari e tecnici, impegnati, si dice, nella ricerca di idrocarburi.

LA RISPOSTA DI HANOI – A giugno il governo vietnamita aveva deciso di riconoscere apertamente l’esistenza di scaramucce con il potente vicino. Un notevole passo avanti rispetto alla precedente strategia del silenzio e un appello indiretto all’aiuto degli Stati Uniti. In seguito Hanoi ha scelto il segnale forte e ben definito delle esercitazioni militari, che si sono svolte di frequente nei mesi di giugno e luglio nelle acque contese.

Infine, a grande sorpresa, il governo ha tollerato le manifestazioni di molti cittadini, le cui voci solo qualche mese prima sarebbero state prontamente tacitate per evitare le ritorsioni del minaccioso vicino.

Sul fronte opposto, la Cina ha definito la reazione vietnamita inappropriata e ha affermato di essere intervenuta solo in difesa dei suoi pescatori.

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L’INTERVENTO USA – E’ chiaro che questa escalation rompe equilibri ben più ampi di quello tra Vietnam e Cina. Dalla parte di Hanoi stanno non solo i paesi ASEAN, ma soprattutto gli Stati Uniti.

Washington, formalmente super partes, anche a causa dei complessi e delicati rapporti economici che la legano a Pechino, è sempre stata presente nel Sudest Asiatico e la sua marina ha affiancato le Filippine e il Vietnam in esercitazioni congiunte proprio nel Mar Cinese Meridionale.

Essendo tradizionalmente interessati a contenere l’espansione cinese, gli Stati Uniti hanno sempre appoggiato i paesi del Sudest Asiatico. In questo quadro l’alleanza tra ASEAN e USA si è rafforzata in virtù della condivisione d’intenti geopolitici e militari nella zona. Washington usa l’ASEAN come cuscinetto per non agire direttamente contro Pechino e alcuni paesi dell’ASEAN si permettono di alzare la voce, sicuri del sostegno americano.

Secondo l’ultima dichiarazione del segretario generale dell’ASEAN, Surin Pitsuwan, entrambi i fronti sembrano intenzionati a mantenere rapporti pacifici e a cooperare in vista di una soluzione condivisa. A questo proposito lo scorso 20 luglio a Bali hanno firmato una dichiarazione che regola le attività di pesca e rilevazione nella zona.

Tuttavia la strada verso un accordo chiaro sulla divisione delle acque e sullo sfruttamento dei relativi giacimenti sembra ancora in salita: la Cina è sempre più forte e ha già alle spalle successi/soprusi come quello Tibetano; mentre gli Stati Uniti si trovano in palese difficoltà sia sul piano domestico, che su quello internazionale.

Valeria Giacomin

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Poker cinese sull’Euro

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Caffè Geoeconomico – Seconda puntata della nostra rubrica. Il peso geopolitico e geoeconomico del Dragone sta crescendo sempre più e sta espandendo la propria influenza anche sul Vecchio Continente. Questa forma di “espansionismo” può assumere anche connotati finanziari e valutari: Pechino potrebbe infatti giocare una partita con l'Euro come la sta facendo col dollaro, per diversificare le proprie riserve di moneta straniera e aumentare, al tempo stesso, la sua importanza nel definire le sorti dell'Unione Europea.

LA PARTITA DELL’EURO, LA MANO CINESE – Eppur non si muove. Nonostante tutto l’euro regge sui mercati. Mentre la contraddizione al cuore del sistema, il suo essere primo e unico caso di moneta che non esprime una sovranità politica, le sta producendo una sorta di collasso al rallentatore, non si è verificato alcun tracollo nei cambi, in particolare verso il dollaro. E’ vero, il biglietto verde si trova in una condizione apparentemente simile, di controintuitiva tenuta a fronte di politiche (da parte della Fed) e non-politiche (l’impasse tra Congresso e Casa Bianca su tetto del debito e manovra di rientro dal medesimo) che ne minano la solidità. Eppure c’è qualcos’altro: dopotutto l’euro fronteggia una minaccia esistenziale (nessuno si chiede ragionevolmente se il dollaro continuerà a esistere fra tre o quattro anni). Proprio per questa intima fragilità, anzi inconsistenza, della costruzione politica dietro la moneta, il cambio incorpora una forte componente speculativa, aspettative su una crisi politica – prima che finanziaria – dell’unione. Da qualche tempo nella partita di poker sull’euro è entrato un nuovo giocatore, la Cina. Un giocatore il cui peso altera significativamente le aspettative: i flussi valutari sono imponenti, ma sono soprattutto le vaste riserve in valuta del paese a dissuadere la speculazione da attacchi in grande stile. Erede di una millenaria sapienza taoista, il Socio Cinese sa come giocare una partita di poker, che le battaglie si vincono prima di (o senza) essere combattute, ma anche che non è saggio, nel lungo periodo, andare contro il mercato. Questo semplicemente riflette e prepara il possibile collasso (geo)politico dell’Unione dietro la moneta, e se dovesse verificarsi il default greco o una rottura aperta e insanabile nell'asse Berlino-Parigi, le orde speculative dilagherebbero incontrastate, e Pechino con gran danno dovrebbe ritirarsi dalla difesa.

L’INTERESSE DI PECHINO – Perché la Cina si assume il rischio di questa operazione? Facciamo qualche ipotesi:

– l’eurozona è il primo mercato di sbocco dell’export cinese, ormai anche più importante degli stessi Usa, e una sua destabilizzazione finanziaria ed economica sicuramente si ripercuoterebbe negativamente sulla “fabbrica del mondo”.

– è in corso da alcuni anni una graduale diversificazione delle riserve cinesi dal dollaro e dai treasury bonds (i titoli del Tesoro Usa), e l’euro è l’alternativa naturale. Esistono naturalmente valute più solide in questa fase storica, ma real brasiliano, franco svizzero o dollaro australiano non offrono mercati finanziari abbastanza liquidi e sviluppati per le esigenze di un “operatore” come la Cina.

– c’è una questione di respiro più strategico: il sistema finanziario globale è entrato da alcuni anni in una fase di transizione, al termine della quale il dollaro non avrà più la centralità “tolemaica”che ha nel firmamento attuale. Il renminbi cinese appare destinato a sostituirlo nel lungo periodo (se pure non con quel grado di egemonia), ma è un processo che richiederà alcuni decenni. Attualmente è l’euro l’unico concorrente serio del dollaro come valuta di riserva e come moneta di scambio nel commercio internazionale. La sua esistenza offre a Pechino (e non solo) non semplicemente un “porto sicuro” per investire le proprie riserve in alternativa ai titoli denominati in dollari, ma anche una sponda fondamentale per mettere in questione (gradualmente, siamo cinesi) la pericolante (e pericolosa) centralità del dollaro, prefigurare e cominciare a costruire una architettura finanziaria globale per la transizione. Se veramente il gruppo dirigente cinese pensa a un paniere di valute di riferimento per traghettare il sistema globale dalla crisi strutturale del dollaro a un nuovo ordine (del) Pacifico, è chiaro che il fallimento del progetto euro renderebbe impercorribile questa rotta.

La moneta unica europea inoltre rappresenta una soluzione, un partner ottimale, con la sua vastissima base economica, mercati finanziari sviluppati alle spalle e un potere politico più inconsistente che soft, apparentemente molto meno risoluto di Washington nel far valere proprie ragioni e interessi. E comunque la simbiosi cinese, il patto di mutua distruzione assicurata che lega economicamente e finanziariamente Cina e Usa, se si è rivelato in parte deleterio per questi, ora appare sempre più pericoloso o almeno inaffidabile anche a Pechino. Gli anni a venire, inoltre, sembrano destinati a rivelare o infiammare diverse dorsali di conflitto tra le due superpotenze, primariamente sulla competizione per le risorse energetiche.

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I “NO”DELL’UNIONE EUROPEA – In realtà la dirigenza cinese ha scoperto alcuni anni fa che pure il rissoso club europeo, la UE, può dire i suoi “no”. Forse perché viene da Venere, come piace pensare ai neocon americani, l’UE non si oppone frontalmente come fa Washington, piuttosto si nega, ma con conseguenze non meno pesanti. Alcuni anni fa l’intesa con la Cina si costruiva non nelle sale operative dei mercati finanziari, ma al massimo livello, quello politico dei grandi accordi strategici. Il punto più alto fu nel 2003, con la firma del partenariato strategico e la cooperazione sul progetto Galileo (il sistema di navigazione satellitare europeo di nuova generazione), un programma di sviluppo industriale di altissimo profilo tecnologico e politico, con il coinvolgimento dei settori della sicurezza e della difesa. Negli anni successivi i rapporti si andarono progressivamente deteriorando, per il peggioramento del deficit commerciale europeo con la Cina, e una serie di pratiche commerciali scorrette ritenute alla sua origine – ma anche per passaggi simbolici importanti, come la mancata revoca dell’embargo UE alle forniture di armi a Pechino (risalente a  Tienanmen, giugno 1989). Nel 2008 si arrivò così alla esclusione della Cina (il più grande partner non europeo) dal bando di gara per la “fase due” del Galileo, causa la mancata adozione da parte cinese di un importante trattato WTO (Organizzazione Mondiale per il Commercio) sugli appalti pubblici. Conflitti sulla (mancata) tutela della proprietà intellettuale e sulla concorrenza che Pechino si prepara a lanciare proprio sul terreno della navigazione satellitare – con un proprio sistema in gestazione – erano all’origine della rottura, ma è ben possibile che – come sostenuto da Pechino – abbia giocato un ruolo la diffidenza Usa riguardo all’accesso dei partner cinesi alle parti strategicamente sensibili del sistema.

Il Dragone per parte sua recrimina pure sul mancato riconoscimento da parte di Bruxelles dello status di economia di mercato (MES), e sulle connesse misure europee di protezione antidumping.

UNA PARTITA APERTA – Queste sono tutte partite aperte tra Cina e UE (ed Eurolandia in particolare), ma i rapporti di forza sono cambiati, e ora Pechino segue una sua strada di integrazione economica con l’Europa, più unilaterale. Non si tratta solo di entrare come azionista dell’euro, nel suo bacino di debito pubblico: anche fondi sovrani e grandi società (e privati) cinesi investono nelle imprese europee – per diversificare ma anche per accedere a riserve di know-how e tecnologia – e nelle grandi infrastrutture (soprattutto porti mediterranei e del Nord), a supporto del proprio export. La Cina inoltre è cresciuta, ora è anche un vasto e importante mercato, assolutamente decisivo per l’industria tedesca, anche  questo è chiaramente un canale forte di presa politica sul continente.

Bruxelles però, come si è visto, ha ancora molto in serbo da offrire per una Grande Entente con la Cina, che la coinvolga sulle grandi questioni globali di medio-lungo periodo – e l’economia cinese ha le sue contraddizioni e debolezze finanziarie, con cui deve pur fare i conti, mentre gioca le sue riserve in valuta nelle grandi partite geopolitiche.

Andrea Caternolo [email protected]

Arida instabilità

Caffè Nero – Occhi puntati sulla situazione nel Corno d’Africa dove la siccità e la fame stanno provocando conseguenze sempre più tragiche sulla popolazione; uno sguardo al Sud Sudan che prova a costruirsi una propria identità e ad essere autore della propria storia, al Senegal che cerca democrazia, alla Guinea che teme l’ennesimo golpe, alla Nigeria che cerca riparo e al Malawi che protesta

SOMALIA – I paesi del Corno d’Africa sono stati colpiti da una forte siccità che sta portando disperazione, fame e morti. Il numero delle persone che hanno bisogno di aiuti e sostentamento alimentare sale di giorno di giorno e la Somalia resta al momento uno dei paesi maggiormente colpiti vista anche l’instabile situazione politica. Aumentano gli sfollati che cercano aiuto a Mogadiscio o presso il campo profughi nell’Ogaden etiope. Mercoledì scorso l'Onu ha dichiarato l'emergenza siccità, affermando che la carestia sta affliggendo il paese, e annunciando il suo più grande sforzo umanitario insieme ad altre ong operanti sul territorio. Attualmente in Somalia vige un governo transitorio cosi come voluto dagli accordi firmati il 9 Giugno scorso a Kampala. Il governo transitorio somalo però controlla solo la metà di Mogadiscio, visto che l’altra metà è stata attaccata dal movimento islamista degli Shabab, il gruppo di ribelli islamici che accusa le Nazioni Unite di aver diffuso dati esagerati sulla carestia nel sud del paese africano con il solo obiettivo di politicizzare la crisi. Per gli Shabab la presa di posizione dell'Onu resta solo una propaganda fallita e priva di solidità.

ETIOPIA – Anche l’Etiopia è stata colpita dalla forte siccità e adesso è scattato l’allarme per il rischio del propagarsi del colera e della malaria. L'Etiopia è affamata. La siccità devastante che flagella tutto il Corno d'Africa minaccia oltre 10 milioni di persone. La terribile carestia che 26 anni fa colpì l'Etiopia fece oltre un milione di morti, nonostante l'aiuto internazionale. Il terrore è che questo scenario potrebbe ripetersi. Intanto il governo etiope resta uno dei protagonisti fondamentali nella gestione delle problematicità somale e del corno d’Africa allargando il suo ruolo non solo tecnico-militare, ma soprattutto politico.

SUD SUDAN – Il 9 luglio è nato il nuovo stato africano, separatosi dal Sudan dopo anni di guerra. L’area continua ad essere instabile e non sarà certo la proclamata indipendenza a riportare la calma. Con la separazione del Sud Sudan Khartoum ha perso una quota sostanziale della produzione petrolifera; a ciò si aggiungono altri problemi economici, come un’inflazione già galoppante. La crisi aperta circa la regione petrolifera di Abyei pare sia parzialmente rientrata a fine giugno, quando ad Addis Abeba i due governi hanno raggiunto due accordi: uno ha definito un’intesa militare e l’altro ha riguardato il Kordofan meridionale e il Nilo Azzurro, due regioni ufficialmente sotto Khartoum, ma che si erano militarmente opposte al governo sudanese. Intanto il governo del Sud Sudan ha messo in circolazione la sua nuova valuta, la Sterlina sud-sudanese. I negoziati tra i due Paesi non sono mai veramente partiti, dal momento che Khartoum si rifiuta di riacquistare le sue sterline che circolano nel Sud. Resta l'incertezza sulla diatriba che oppone Juba a Karthoum e che riguarda l'uso degli oleodotti sudanesi puntati verso il Mar Rosso.

SENEGAL – Il presidente Wade vuole modificare la costituzione e Dakar scende in piazza. Nonostante i freni della polizia che ha causato due morti e altri feriti, la folla si è spinta fino ai palazzi presidenziali.

La modifica vorrebbe l’immediata assegnazione al vicepresidente della poltrona presidenziale, nel caso quest’ultima divenisse vuota, e modificando la legge elettorale avrebbe consentito di aggiudicarsi la presidenza ottenendo solo il 25% delle preferenze invece della maggioranza assoluta richiesta dall’attuale costituzione.

Il Clima era già molto caldo visto il malcontento popolare nei confronti del regime e l’intenzione di Wade di ottenere un terzo mandato presidenziale, nonostante la Costituzione ponga il limite di due. Le ire della popolazione erano già in procinto di scoppiare dal momento che continuano i frequenti blackout che paralizzano il paese e continuano a salire i prezzi dei generi alimentari.

GUINEA – Si teme che si sia trattato di un golpe non riuscito quello che il 19 luglio scorso che ha visto un copioso gruppo di persone armate prendere d'assalto la residenza privata del presidente guineano, Alpha Condé. Ancora non sono palesi le cause del grave gesto e molti vogliono trovare come spiegazione più logica quella di un golpe fallito da parte di alcuni settori dell’esercito più vicini a Sékouba Konaté. Le guardie personali di Condé sono riuscite a respingere l'attacco, che ha però lasciato l'edificio visibilmente deteriorato.

Condé è salito al potere lo scorso dicembre in seguito alle prime elezioni liberali dopo anni di dittatura militare. Un elemento positivo in questa vicenda è che la democrazia guineana ha dato prova di grande stabilità, sia perché la comunità internazionale ha subito condannato l’attacco al Presidente, sia perché la stessa opposizione guineana si è schierata in difesa delle istituzioni. Intanto si palesano altre ipotesi. Non potrebbero esserci interessi legati al narcotraffico? Questa è la domanda che si pongono alcuni analisti, considerando la sempre più forte presenza della Guinea nel gestire il narcotraffico colombiano in Africa occidentale.

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MALAWI – Nel centro del paese ci sono stati violenti scontri tra manifestanti antigovernativi e polizia seguiti alle manifestazioni contro la gestione economica del presidente Bingu wa Mutharika e la scarsa attenzione per i diritti umani. Nonostante gli interventi anche delle Nazioni Unite il presidente, ex economista della Banca Mondiale eletto per la prima volta nel 2004, non intende dimettersi.

NIGERIA – La Nigeria brucia e la popolazione cerca riparo dove può. Maiduguri, capitale del Borno, nell'estremo nordest della Nigeria, si è quasi svuotata. E' una città in guerra. La situazione è molto grave perché il gruppo radicale islamico di Boko Haram, da quando ha aperto le ostilità, ha praticamente colpito tutta l’area Nord della Nigeria e allo stato attuale risulta difficile definire e delineare le zone problematiche. E’ cominciata la sfida di Boko Harem contro gli organismi ufficiali nigeriani. Ma occorre che il Presidente Jonathan riporti ordine e si muova prima che la situazione si aggravi ancora. La setta intanto ha posto come ultimatum il ritiro immediato dei soldati del Jmtf dal Borno. Solo dopo ci si potrà sedere e negoziare. Ma il negoziato comporterebbe prima di tutto un riconoscimento politico del gruppo. E poi, trattare su cosa?

MAURITANIA – Quindici persone, sospettate di fare parte di al Qaida nel Maghreb, sono state arrestate nella regione desertica al confine con il Mali dove truppe mauritane sono da giorni impegnate a individuare i covi dei terroristi di al-Qaeda nel Maghreb islamico .In quest’operazione c’è stata l’appoggio da parte di un commando di soldati francesi.

Adele Fuccio

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Nessun dorma

In un'Europa assillata da problemi economico-finanziari riaffiora l’incubo violenza, con la placida Norvegia che venerdì pomeriggio ha subito 2 violenti attacchi. In Medio Oriente continuano gli scontri di confine tra Iran e Iraq e circolano voci sempre più insistenti di un imminente conflitto israelo-iraniano per il prossimo autunno. Sono invece paesi come Cipro, Corea e Palestina a sognare un futuro di pace che sembra invece aver abbandonato una primavera araba tradita dall’estate

EUROPA – 25 luglio – La Commissione Europea proporrà una nuova procedura per risanare gli oltre 600 milioni di euro di debiti transnazionali per ridurre i rischi del commercio estero ed implementare la fiducia degli uomini d’affari e dei consumatori nel Mercato Unico Europeo. Il Ministro dell’Economia greco si incontrerà con il direttore dell’FMI Christine Lagarde per parlare del pacchetto di salvataggio per il paese.

25 luglio – Alti ufficiali e funzionari americani e russi terranno a Mosca incontri per programmare possibili reazioni comuni agli ultimi sviluppi nella via iraniana al nucleare annunciata dal capo dell’agenzia nucleare Fereydoon Abbasi in una conferenza stampa venerdì. La situazione si fa tesa sia per le rivelazioni di un ex funzionario della CIA su un possibile scontro nucleare a livello tattico tra Iran ed Israele in Autunno, sia per l’assassinio, forse opera del Mossad, di un ingegnere nucleare iraniano.

26 Luglio – L’UNCTAD presenta a Ginevra il Launch of the World Investment Report 2011, una pubblicazione annuale sugli andamenti regionali e globali degli investimenti esteri diretti, multinazionali e catene di produzione globali

27 luglio – Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu è atteso per una visita a Varsavia dove cercherà di convincere il paese a non riconoscere l’indipendenza e la sovranità dello stato palestinese. I forti legami culturali e di migratori (aliyah) che legano le due nazioni renderanno la proposta meno invadente di come in realtà si presenti.

27 luglio – Il Ministro degli Esteri Franco Frattini si incontrerà con il collega austriaco Michael Spindelegger, mentre il sottosegretario A. Mantica riceverà a Roma il Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per la Somalia, Augustine Mahiga per tracciare un programma di aiuti umanitari nella regione.

ASIA E MEDIO ORIENTE – 25 luglio – Ultime tappe per il viaggio in Asia del Segretario di Stato Clinton che la mattina del 25 luglio incontrerà il capo dell’esecutivo e membri del Consiglio legislativo di Hong kong e svelerà i piani americani sulla leadership economica nell’area pacifica. Più tardi la Clinton si recherà a Shenzen in Cina dove verrà ricevuta da Dai Bingguo, Consigliere di Stato, per una revisione dello sviluppo delle relazioni bilaterali tra i due paesi dall’ultimo U.S.-China Strategic and Economic Dialogue e per l’agenda comune dell’ultima metà del 2011. I due si scambieranno opinioni sugli sviluppi di questioni regionali e globali di comune interesse. Visti gli ultimi sviluppi, il Segretario di Stato Clinton ha invitato funzionari nord-coreani del programma nucleare a partecipare ad un Meeting cordiale con i colleghi del Sud negli USA. La normalizzazione della situazione politica del “paese eremita” sarebbe un ottimo risultato per il capo della diplomazia statunitense.

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26 luglio – Una delegazione della Commissione Migrazioni dell’APCE composta da cinque membri visiterà i campi profughi vicino ad Antakya, alla frontiera tra la Turchia e la Siria, allestiti per offrire rifugio alle persone che fuggono in massa dalle violenze del conflitto siriano.

26 luglio – Il consiglio di Sicurezza dell’ONU è chiamato a pronunciarsi sulla possibilità per uno Stato palestinese indipendente di diventare membro dell’Organizzazione. La decisione che si prospetta particolarmente complessa dovrà tenere conto dei criteri di indipendenza ed effettività stabiliti dal diritto internazionale e degli interessi politici in gioco.

26-29 luglio – Un meeting dei Capi di Stato Maggiore delle marine militari dei paesi dell’ASEAN si occuperà dei recenti scontri navali avvenuti nel Mare della Cina del Sud e delle recenti rivendicazioni cinesi sulle Isole Spratly avamposti disabitati ed inospitali, ma promettenti dal punto di vista energetico, rivendicati da Vietnam, Filippine Malesia, Cina e Brunei

27 luglio Il nuovo ministro degli esteri pakistano Hina rabbani khar, la prima donna a ricoprire questa carica in Pakistan, guiderà la delegazione di Islamabad al meeting sul dialogo di pace indo-pakistano, l’evento sarà preceduto da un incontro con il Ministro degli Esteri indiano S.M. Krishna dove si tratterà delle problematiche delle zone confinarie(Kashmir e Punjab) e dei recenti sviluppi terroristici che minano la stabilità e la sicurezza della regione già martoriata dal “pantano afghano”

27 luglio Ha inizio in Cambogia il processo ai funzionari dei Khmer Rossi che negli anni ’70 si macchiarono d crimini efferati contro l’umanità. Le stime sono tuttora incerte, usando la stima di Amnesty International di 1,4 milioni di morti, circa il 20% della popolazione morì dal 1975 al 1979. Finora solo tre dei leader Khmer Rossi sono stati processati e condannati al carcere

AMERICHE – 25 luglio – Scade l’ultimatum lanciato al Congresso dal Presidente Obama sulla proposta di tagli per salvare il paese da un default difficile da immaginare. La situazione si fa sempre più tesa con l’imminenza del round presidenziale 2012 che alza la posta in gioco e riduce le probabilità di convergere verso misure necessarie ma altamente impopolari

27 luglio Il presidente guatemalteco Alvaro Colom verrà ricevuto in Messico dal Presidente Felipe Calderon, si parlerà degli sviluppi economici nel Centro-America in vista delle elezioni presidenziali che si terranno in Guatemala a Novembre

28 luglio – Il neo-eletto Presidente peruviano Ollanta Humala presterà giuramento e verrà nominato ufficialmente dopo aver visitato Francia e Stati Uniti e aver ricevuto il presidente ecuadoregno Rafael Correa

ANNIVERSARI – 28 luglio 1914 – Ha inizio la prima guerra mondiale: l'Austria-Ungheria dichiara guerra alla Serbia, dopo che questa non è riuscita a rispettare tutte le condizioni dell'ultimatum del 23 luglio, posto dall'Austria-Ungheria a seguito dell'assassinio dell'Arciduca Francesco Ferdinando.

27 luglio 1953 con la firma dell’armistizio di Panmunjeom termina ufficialmente la guerra di Corea mantenendo sostanzialmente la situazione preesistente, e la creazione della Zona demilitarizzata coreana. La Corea rimane tuttora divisa in due stati: Corea del Nord, con capitale Pyongyang e Corea del Sud, con capitale Seoul. Ci furono 2 milioni di morti.

 

Fabio Stella

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