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"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

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Fa caldo in Danimarca

Non ancora per i mutamenti climatici (anzi, la temperatura è sottozero…), bensì per il fatto che saranno giorni decisivi per il vertice sull’ambiente di Copenhagen. Gli Stati riusciranno a trovare un accordo concreto, o davvero arriverà il temuto e possibile fallimento?

Immagine di copertina tratta da "The Economist" 

 

–         Martedì 15 dicembre il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, farà visita in Russia. Le relazioni tra l’alleanza Atlantica e Mosca sono in miglioramento, dopo che ad agosto 2008 si era toccato il punto più basso in seguito all’invasione russa della Georgia. La rinuncia del Presidente Obama allo scudo missilistico in Polonia e Repubblica Ceca ha favorito la ripresa del dialogo. È indubbio che gli USA non si possono permettere in questo momento l’ostilità della Russia, nei confronti della quale Italia e Germania sono sempre più vicine, e in quanto la guerra in Afghanistan e la questione iraniana sono questioni da risolvere con il più ampio contributo. 

        Arturo Valenzuela, sottosegretario di Stato USA per le relazioni con l’America Latina, inizia martedì 15 il suo primo viaggio in America Meridionale da quando è entrato in carica al posto di Thomas Shannon. Valenzuela visiterà Argentina, Uruguay e Paraguay: sarà importante osservare l’approccio che adotterà e quale politica gli Stati Uniti vogliono implementare per rilanciare, come promesso da Obama in campagna elettorale, le relazioni con l’America Latina. 

–        Si chiude venerdì 18 dicembre a Copenhagen il vertice internazionale sull’ambiente. Negli ultimi giorni del summit arriveranno nella capitale danese tutti i principali Capi di Stato, nella speranza che possano ratificare decisioni concrete. È difficile che si arrivi a scelte davvero vincolanti per ridurre le emissioni inquinanti, ma è probabile che si giunga ad un accordo politico che dovrebbe trovare una conferma legale entro il prossimo anno.

La Redazione

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Banche vs Barak

Si tiene a Davos l’appuntamento annuale con il World Economic Forum. I rappresentanti delle grandi banche cercheranno di mettere pressioni a Obama per mitigare gli stringenti criteri di controllo. Inoltre, settimana cruciale in Afghanista. E occhio alla Nigeria

Si profila una settimana di incontri importanti nel mondo: suggeriamo di prestare attenzione non solo ad alcuni grandi meeting che faranno notizia sui media, ma anche a degli incontri che andranno a toccare argomenti delicatissimi. 

 

– Dal 27 al 31 Gennaio si terrà a Davos (Svizzera) il World Economic Forum, che periodicamente riunisce personalità politiche ed economiche mondiali.La novità di quest’anno è il ritorno delle Banche, i cui rappresentanti erano assenti l’anno scorso, a seguito della ben nota crisi economica mondiale. Si attende da parte loro un forte attività di pressione per provare a mitigare il piano di Obama, volto ad adottare criteri stringenti di controllo delle grandi attività bancarie e finanziarie, al fine di evitare il ripetersi di situazioni di crisi come quella attuale. 

 

– Settimana di grandi attese per l’Afghanistan: Karzai, ancora privo di un Governo completo in patria, viaggerà alla ricerca di legittimazione internazionale e di sostegno. Il 25 e 26 gennaio sarà in Turchia, dove prima incontrerà il Presidente turco Abdullah Gul e quello pakistano Asif Ali Zardari in un incontro a tre per trovare soluzioni di cooperazione più stretta. Negli stessi giorni la Turchia ospiterà il summit regionale per i Paesi limitrofi all’Afghanistan, anche con la partecipazione dei Ministri degli Esteri cinese e britannico e, probabilmente, con la presenza di una delegazione iraniana.Karzai si sposterà poi in Germania per discutere del maggiore impegno promesso dal Governo tedesco.La settimana si chiuderà con la Conferenza internazionale per l’Afghanistan, a Londra, il 28 gennaio, con la partecipazione, tra gli altri, del Segretario di Stato americano Hillary Clinton, del Primo Ministro inglese Gordon Brown e del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon.

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– Intanto, il Vice-Presidente Americano Joe Biden si trova in Iraq per cercare una soluzione alla crisi pre-elettorale. Le liste elettorali definitive, infatti, non sono state ancora formate: centinaia di candidati rischiano di essere esclusi perché accusati di essere stati vicini alla dittatura di Saddam Hussein. Biden incontrerà i membri dell’esecutivo iracheno per evitare che ulteriori ritardi mettano a rischio le elezioni del 7 Marzo. 

 

– Cina, Corea del Sud e Giappone terranno un incontro trilaterale per iniziare a valutare la creazione di un’area di libero scambio tra i tre Paesi: sebbene il progetto sia assolutamente in bozza, gli incontri di questa settimana potrebbero dare slancio all’iniziativa e forse fornire anche un calendario di massima per lo sviluppo del progetto. 

 

– La Nigeria è di fronte ad un pericoloso potenziale vuoto di potere. Il Presidente Umaru Yaradua, in precarie condizioni di salute, potrebbe esser costretto a rassegnare le dimissioni a favore del Vice-Presidente Goodluck Jonathan. La decisione finale, attesa per i primi giorni di febbraio, spetta al Federal Executive Council, organo politico al cui interno sono presenti le due correnti che dividono il Paese, legate ai poteri del nord e del sud del Paese e rappresentate da Yaradua e Jonathan. Questa settimana inizieranno i dibattiti. Due questioni di importanza storica e strategica sono inoltre in discussione. 

 

– Il presidente russo Dmitri Medvedev incontrerà il Presidente dell’Azerbaijan  Ilham Aliyev e quello armeno Serzh Sarkisian. I tre discuteranno a Sochi (Russia) di possibili soluzioni per la complessa e delicata questione del Nagorno-Karabakh, territorio da sempre oggetto di scontro tra Armenia ed Azerbaijan, nonché terreno di confronto tra le potenze mondiali.  

 

– Rappresentanti militari della Corea del Nord e della Corea del Sud potrebbero incontrarsi in settimana per discutere le restrizioni in tema di comunicazioni e trasporti tra i due Paesi.

La Redazione

Atene al verde

l pesante debito pubblico accusato dalla Grecia potrebbe causare la perdita di fiducia dei risparmiatori. Ma il Paese ellenico non è il solo in Europa a destare l’allarme

Immagine di copertina da "Economist.com"

        In Europa questa settimana da segnalare due eventi. Il primo è il giudizio che la Commissione Europea dovrà esprimere sul piano di riduzione delle spese di bilancio presentato dal Governo greco. Atene è sull’orlo della bancarotta e il piano di austerità fiscale potrebbe non essere sufficiente. Come la Grecia, anche altri Paesi come l’Irlanda (che fino a prima della crisi era additata invece come un esempio di crescita e di sviluppo) e il Portogallo navigano in cattive acque. Il secondo avvenimento da segnalare è il ballottaggio in Ucraina. I due candidati principali, Yulya Tymoshenko e Viktor Yanukovich, si sfideranno portando due visioni antitetiche del posizionamento geopolitico di Kiev. La prima è fautrice di un avvicinamento all’UE, mentre il secondo, che è favorito per la vittoria finale, è espressione delle province del Sud-Est, più vicine all’influenza della Russia. L’Ucraina si conferma come ago della bilancia per numerose questioni continentali, al primo posto quelle energetiche. 

 

        Negli USA Barack Obama presenta lunedì 1 febbraio il nuovo piano fiscale. L’obiettivo è quello di ridurre la spesa pubblica allo scopo di contrarre il deficit accumulato negli ultimi anni, ma le spese per la sicurezza nazionale e per i progetti della riforma sanitaria non dovrebbero essere toccati. Obama ha intenzione di bloccare il taglio delle tasse per le compagnie petrolifere, i manager dei fondi di investimento e chiunque guadagni più di 250mila dollari all’anno.

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        In America Latina si andrà ancora alle urne. Nel piccolo Stato centroamericano del Costa Rica si profila la vittoria per una donna in occasione delle elezioni presidenziali in programma domenica 7. Si tratta della socialdemocratica Laura Chinchilla, che potrebbe vincere già al primo turno succedendo così al suo compagno di partito Oscar Arias. In Venezuela, invece, la situazione sta diventando sempre più instabile. Le ultime decisioni di Hugo Chávez in materia di politica valutaria (la svalutazione del bolivar dovrebbe favorire la ripresa dell’export ma provocherà anche un ulteriore aumento dell’inflazione) hanno suscitato proteste, soffocate con la repressione da parte delle forze dell’ordine e la soppressione di un altro canale televisivo. Il regime sta cominciando a manifestare segni di debolezza, di pari passo con le difficoltà economiche. 

 

– In Africa si svolge nella capitale etiope Addis Abeba il XIV summit dell’Unione Africana, in programma per il 1 e 2 febbraio. Intanto, la Corte Penale Internazionale giudicherà se il presidente sudanese Omar al-Bashir deve essere accusato di genocidio nei confronti della popolazione del Darfur. Al-Bashir è ancora saldamente al potere, quindi difficilmente potrà essere perseguito per i crimini commessi.

La Redazione

Tanta roba

Le esportazioni cinesi, nonostante la crisi economica, resistono e conquistano fette sempre maggiori di mercato. Le statistiche in uscita nei prossimi giorni forniranno la spiegazione di questo trend

Immagine di copertina tratta da "Economist.com"

 

        Saranno pubblicate martedì 11 gennaio statistiche ufficiali in merito al commercio estero cinese. I dati dovrebbero rivelare che lo stock di esportazioni del mese di dicembre 2009 sono state più alte rispetto allo stesso mese del 2008, dopo un anno di declino misurato nell’ordine del 17%. Tuttavia Pechino risulta premiata rispetto alle altre potenze, dato che è riuscita a mitigare gli effetti della crisi economica. Il segreto principale risiede nell’estrema competitività delle proprie merci, legata ai bassi salari e al basso valore dello yuan, la valuta locale. Nemmeno il viaggio di Obama in Cina è servito per convincere le autorità locali ad apprezzare la moneta, il cui valore è giudicato da anni troppo basso dagli analisti internazionali.  

 

        Sabato 16 gennaio l’Ucraina andrà alle urne per eleggere il suo nuovo Presidente. L’attuale leader, Viktor Yushenko, si farà da parte e i principali candidati alla successione sono la sua “erede” politica, Yulia Tymoshenko, esponente del partito “arancione” filoeuropeo, e Viktor Yanukovich, oppositore sconfitto nella precedente tornata elettorale e vicino alle posizioni russe. Il risultato è incerto, ma rispecchierà comunque un Paese diviso sostanzialmente in due: la parte occidentale tendenzialmente volenterosa di integrarsi nell’Unione Europea e di emanciparsi dalla dipendenza dalla Russia, e quella orientale più legata alle posizioni di Mosca. 

 

        Si svolge domenica 17 in Cile l’atteso ballottaggio elettorale tra i candidati alla Presidenza: per la Concertación, coalizione di centrosinistra, si presenta Eduardo Frei, mentre per il centrodestra corre il miliardario Sebastián Piñera. Quest’ultimo, che ha vinto il primo turno con una solida maggioranza relativa (più del 40%), è favorito alla vittoria finale: pare infatti che i voti degli elettori di Marco Enríquez-Ominami, l’outsider del Partido Socialista che ha ottenuto il 20%, si divideranno tra i due candidati e non confluiranno tutti per il candidato di centrosinistra.

La Redazione

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La volta buona?

Potrebbe essere una settimana chiave per la vicenda di Gilad Shalit, il giovane soldato israeliano nelle mani di Hamas. Secondo alcune fonti, Shalit potrebbe essere liberato a breve in seguito ad uno scambio di prigionieri

         Inizia lunedì 23 una “tournée” del presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad, in America del Sud. Il discusso leader visiterà innanzitutto il Brasile, dove incontrerà Lula, poi si recherà in Bolivia e infine in Venezuela per incontrare l’amico Hugo Chávez. Gli USA hanno chiesto al Brasile di effettuare pressioni perché l’Iran rinunci al suo programma nucleare, ma la posizione della potenza sudamericana sembra quella di consentire lo sviluppo dell’energia atomica a scopi civili. 

 

        Potrebbe giungere ad una svolta la vicenda di Gilad Shalit, il soldato israeliano rapito dai palestinesi di Hamas nel 2006. Tel Aviv potrebbe accettare lo scambio di centinaia di prigionieri palestinesi presenti nelle proprie carceri per avere in cambio il giovane Shalit, che potrebbe essere liberato da venerdì 27 novembre in poi, in coincidenza con una festività musulmana che sancisce la fine del tradizionale pellegrinaggio alla Mecca. 

 

        Weekend denso di elezioni in America Latina e Africa. In Honduras si terranno le elezioni presidenziali in un clima di forte incertezza. Argentina e Brasile non riconosceranno il risultato del voto se Zelaya non sarà reintegrato nelle sue funzioni, mentre gli USA sembrano intenzionati ad offrire il riconoscimento. Il presidente de facto Micheletti dovrebbe auto-sospendersi dalla propria carica da mercoledì 25 fino al 2 dicembre per garantire il regolare svolgimento delle elezioni. In Uruguay si svolgerà il ballottaggio tra il socialista Mujica e il liberale Lacalle: l’esito, non del tutto scontato, dovrebbe premiare il primo. Spostandoci in Africa, invece, in Guinea Equatoriale il presidente Teodoro Obiang Nguema dovrebbe avere vita facile nell’essere confermato al potere dopo trent’anni (alle ultime elezioni ottenne il 97% dei suffragi). Il piccolo paese è importante per le sue notevoli riserve petrolifere.

La Redazione

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Per qualche soldato in più

A dire il vero sono oltre 30mila i militari statunitensi che si aggiungeranno a quelli già schierati in Afghanistan. La decisione di Obama, indubbiamente, è la notizia della settimana. Entra in vigore – finalmente – il trattato di Lisbona. Bolivia alle urne.

Immagine di copertina tratta da "Economist.com"  

 

        Ci sarà il “surge” tanto richiesto dal generale Stanley McChrystal, comandante della coalizione ISAF, ovvero l’adozione di maggiori mezzi e uomini da dispiegare in Afghanistanper tentare di debellare definitivamente le forze talebane? Martedì 1 dicembre il Presidente Barack Obama annuncerà la sua decisione, che sarà probabilmente quella di inviare 35mila soldati in più, accontentando così le richieste di McChrystal. Una decisione difficile, che dovrà però dare i suoi frutti per consentire agli USA di vincere definitivamente il conflitto in Afghanistan che dura da ormai otto anni. 

 

        Finalmente l’Unione Europea avrà il suo nuovo trattato. Entra in vigore martedì 1 dicembre il Trattato di Lisbona, dopo la sofferta ratifica da parte dell’Irlanda e della Repubblica Ceca. Il naufragio della Costituzione Europea aveva fatto temere in una brusca frenata dell’integrazione europea, ma la carta di Lisbona permette, seppure con ambizioni rivedute al ribasso, di compiere un passo avanti. Le principali innovazioni sono l’introduzione di figure come il Presidente dell’Unione e del Ministro degli Esteri, oltre che un leggero aumento di poteri per il Parlamento Europeo, che dovrebbe essere l’organo legislativo ma in realtà non ha poteri decisionali veri e propri. 

 

        Si svolge a Milano mercoledì 2 e giovedì 3 dicembre la IV Conferenza Italia – America Latina, organizzata dalla Rete Italia-America Latina in collaborazione con il Ministero degli Esteri e la Camera di Commercio di Milano. Dopo la seduta plenaria di mercoledì, giovedì si terranno dei seminari per materia inerenti a cooperazione economica, giudiziaria, politica e scientifica. Parteciperanno anche il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il Ministro degli Esteri Franco Frattini. –        Altro weekend elettorale in America Latina. Dopo Uruguay e Honduras andrà al voto anche la Bolivia, dove è molto probabile una rielezione del “cocalero” Evo Morales, esponente del MAS (Movimiento al Socialismo). Il suo rivale, Manfred Reyes Villa, per adesso è fermo nei sondaggi al 20% e dovrebbe ottenere la maggioranza relativa solo nelle province “ribelli” del Sud-est. Il voto potrebbe consegnare l’immagine di un Paese sempre più diviso.

La Redazione

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Cosi’ vicini, cosi’lontani

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La visita del Commissario europeo alle Relazioni Internazionali in America Latina potrebbe essere l’indice di una ripresa dei rapporti tra Vecchio e Nuovo continente, anche se vi sono alcuni nodi da sciogliere

SI AVVICINA L’ORA DI MADRID – L’Europa e l’America Latina non potrebbero essere più lontane geograficamente; eppure, come la storia insegna, i vincoli e le somiglianze tra i due continenti sono molto stretti. Tali rapporti, tuttavia, negli ultimi anni non sono stati così intensi come in passato: un esempio particolarmente significativo è quello dell’Italia, in quanto i governi che si sono succeduti nell’ultimo quindicennio si sono pressoché scordati degli importanti legami storici e culturali con l’America Latina. In questi giorni il Commissario europeo alle Relazioni Internazionali, Benita Ferrero Waldner, sta visitando i principali Paesi dell’area (attualmente si trova in Argentina, poi visiterà Messico e Cuba) allo scopo di rilanciare i rapporti tra Unione Europea e continente latino. A favore di una nuova fase nelle relazioni biregionali può giocare il fatto che la Spagna occuperà la presidenza dell’Unione nel primo semestre del 2010: Madrid è l’attore che mantiene i contatti più intensi con l’America Latina, a livello politico così come economico e culturale.

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MERCOSUR E UE: AMICI O RIVALI? – Siccome l’attività esterna dell’Unione Europea è essenzialmente di ambito economico, i progressi più rilevanti che ci potrebbero essere riguardano i rapporti tra di essa e il principale blocco di integrazione sudamericana, ovvero il Mercosur (Mercato Comune del Sud). Quest’unione doganale, formata da Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay (con il Venezuela da più di due anni in attesa di entrare, ma bloccato dal veto del parlamento brasiliano), guarda esplicitamente all’UE come modello di integrazione ed è con essa legata da un accordo di cooperazione la cui negoziazione è iniziata nel 1999. Tuttavia, i nodi che attualmente impediscono una collaborazione più stretta sono diversi. Innanzitutto, il Mercosur sta attraversando da diverso tempo una fase di stallo determinata da un “revival” protezionistico messo in atto dall’Argentina (poi seguita per reazione anche dagli altri membri) che sta bloccando ogni progresso dell’organizzazione. Con l’Unione Europea, inoltre, bisognerà affrontare questioni importanti che riguardano soprattutto il livello di protezione sulle rispettive merci agricole. Si tratta di due settori importanti per entrambi i blocchi: per il Mercosur si tratta di un punto di forza e quindi cerca di spingere sui sussidi all’esportazione, mentre per l’UE è un comparto più debole e per questo vengono utilizzati i dazi sulle importazioni. Per verificare se la visita di Benita Ferrero Waldner si sarà risolta in una consueta serie di dichiarazioni “di maniera” bisognerà attendere alcuni mesi e sommare tre fattori. Il primo è l’impegno che la Spagna vorrà riservare allo stimolo delle relazioni biregionali, il secondo è di portata più generale e consiste nell’effettiva ripresa dei negoziati del Doha Round in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Infine, la ripresa dell’economia globale sarà un fattore decisivo per la ripresa degli scambi, composta in maniera decisiva dalla domanda di consumi proveniente dall’Europa. 

Davide Tentori [email protected]

Il primo esame

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Il caso Honduras rappresenta la prima sfida per Obama in America Latina. Dal suo atteggiamento si misurerà la volontà di mettere in atto un nuovo approccio politico

UNA SFIDA PER OBAMA – La questione hondureña si sta trasformando da piccola e paradigmatica questione locale, nella prima sfida importante che dovrà saper gestire la nuova amministrazione statunitense, che tanto ha detto per cambiare l’opinione straniera sulla politica estera americana. Non è infatti il risultato da raggiungere (per quanto il governo militare di fatto cerchi di mantenersi al vertice, la comunità internazionale, senza eccezioni, appoggia e sostiene il presidente Zelaya, democraticamente eletto) ad essere sotto osservazione ma la maniera nella quale Obama e il suo staff gestiranno il ritorno al potere del Presidente Zelaya.Sono mesi che Obama gira il mondo per diffondere la sua nuova dottrina, di risoluzione non violenta delle controversie internazionali, di rispetto reciproco nelle relazioni internazionali, non basato sulla paura ma sulla fiducia nel prossimo, dell’America non come stato imperiale, ma come l’esempio che ogni paese dovrebbe seguire nelle libertà e nei diritti civili. In sostanza un giro di vite abbastanza energico rispetto alla dottrina della precedente amministrazione americana, che tanti dissensi aveva raccolto in America Latina.

L’EREDITA’ DI BUSH – Durante l’era Bush, nei paesi latini si è assistito a varie vittorie elettorali di forze politiche legate alla sinistra: dalla vittoria di Lula in Brasile nel 2002, ai Kirckner in Argentina al potere dal 2003, a Correa in Ecuador, a Morales in Bolivia, a Lugo in Paraguay. Inoltre il Venezuela di Chávez ha spesso radicalizzato lo scontro con gli USA cercando accordi con le altre potenze dell’America Latina che escludessero gli Stati Uniti dal continente, creando per esempio l’ALBA (Alternativa Bolivariana per le Americhe), come una possibile alternativa al liberismo sfrenato promulgato da Bush e che ha danneggiato le economie locali.Con l’arrivo alla Casa Bianca di Obama lo scenario pare essere cambiato: Obama nella sua prima uscita in America Latina si è presentato all’Assemblea Generale dell’Organizzazione di Stati Americani, spazio reciprocamente snobbato dagli USA ed amato dai paesi latini, per tessere nuove relazioni con tutti i paesi del continente americano, stringendo la mano a Chávez e intavolando profondi incontri con Lula e la Kirchner, due partner fondamentali. Obama cerca in tutti i modi di pulire la sua facciata dalla nomea di “pinche gringo pugnetero”, ossia l’americano imperialista che si rapporta all’America Latina con superiorità. Obama prova a riallacciare i rapporti con i paesi dell’America Latina perché sa che nella competizione globale non può prescindere né dalla manodopera latina a basso costo, né dell’enorme mercato adiacente costituito dai Paesi del continente.  

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GLI SCENARI – E nelle relazioni con l’America Latina, la questione Honduras sta divenendo prioritaria. Da una parte vi è l’oligarchia honduregna, da anni sostenuta economicamente e militarmente dagli Stati Uniti, che non vuole una deriva socialista in Honduras; dall’altra Zelaya, il popolo honduregno e i presidenti di sinistra dei vari paesi latini che vogliono vedere nei fatti un cambiamento nella politica statunitense, che privilegi i principi di libertà e democrazia rispetto agli interessi economici americani, da sempre preferiti nell’appoggio alle dittature militari degli anni ’80.In mezzo Obama che non può dimenticarsi un secolo di storia statunitense e che però sta cercando di modificare le priorità politiche e culturali non solo degli Stati Uniti ma del mondo intero. Cosa farà? Appoggerà gli Stati che chiedono a gran voce il ritorno di Zelaya oppure prenderà provvedimenti economici contro il governo di fatto in Honduras? Gli Stati Uniti sono il principale partner commerciale del piccolo stato centroamericano: in caso di vera volontà di boicottare il governo militare al potere adesso, agli americani basterebbe chiudere qualche rubinetto e esercitare pressioni affinché Zelaya torni al suo posto. L’altra strada da seguire potrebbe essere quella del sostegno al governo militare o, ancora, di lasciare che le cose facciano il loro corso in modo che le vicende di Tegucigalpa passino presto in secondo piano nell’opinione pubblica internazionale. 

Andrea Cerami [email protected]

Tira e molla

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La scoperta che le FARC colombiane hanno ottenuto forniture di armi dal Venezuela causa una nuova tensione nei rapporti tra Caracas e Bogotà. Eppure Chàvez non può fare a meno dei propri “vicini di casa”

ARMI  E GUERRIGLIA – La conferma giunta dalle autorità svedesi lascia poco spazio a dubbi. La notizia è questa: i guerriglieri delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane), che da anni costituiscono insieme al narcotraffico il più grave problema per la sicurezza in Colombia, hanno ricevuto forniture di armi “sottobanco” da parte del Venezuela. Stoccolma è entrata nel merito della questione per il semplice fatto che le armi ritrovate dalle forze dell’ordine colombiane sono dei lanciarazzi prodotti in Svezia e venduti proprio al Venezuela circa una ventina d’anni fa. Tale ritrovamento sembra fornire una prova abbastanza concreta delle relazioni tra Caracas e la guerriglia marxista che tenta di destabilizzare il Paese confinante, ma il presidente Hugo Chávez ha subito smentito la notizia e ha rispedito al mittente qualunque addebito nei suoi confronti. Non solo: ha rotto le relazioni diplomatiche con la Colombia richiamando in patria il proprio ambasciatore a Bogotà. La crisi tra Venezuela e Colombia non è una novità, dato che periodicamente il caudillo di Caracas alza la temperatura dello scontro tra i due Paesi: l’ultima volta si verificò circa un anno fa, per una disputa sorta intorno alla difesa delle frontiere.

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UNA RELAZIONE IMPORTANTE – La chiave di lettura principale nello scontro tra Colombia e Venezuela risiede nell’orientamento politico dei rispettivi governanti. Il leader di Bogotà, Álvaro Uribe, è uno dei più fidati alleati degli Stati Uniti (indubbiamente il suo è il Governo maggiormente orientato verso Washington in tutta l’America del Sud), mentre Chávez è notoriamente ostile all’ “imperialismo capitalista” degli USA. Il sostegno, ovviamente implicito e attualmente non quantificabile in termini precisi, alle FARC si inserisce nella logica chavista di destabilizzare i propri vicini per acquisire peso politico nella regione. Tuttavia il Venezuela non può fare a meno della Colombia: le relazioni commerciali fra i due Paesi sono infatti molto importanti. L’anno scorso il livello degli scambi ha raggiunto il valore di otto miliardi di dollari, ma l’aspetto più significativo è che la bilancia commerciale pende decisamente a sfavore di Caracas, che per l’87% importa merci dalla Colombia, mentre per il solo restante 13% esporta i propri prodotti. Il perché è presto detto: le politiche di sviluppo di Chávez hanno privilegiato in maniera quasi esclusiva il settore degli idrocarburi (gas e petrolio), rendendo il Venezuela dipendente in tutto per quanto riguarda prodotti basilari come quelli alimentari. Entrambi i Paesi coinvolti sanno di essere importanti l’uno per l’altro, anche se Chávez ha dichiarato di non avere problemi a comprare da altri Paesi ciò che oggi acquista dalla Colombia. Chi sono questi altri venditori? Brasile e Argentina soprattutto, ovvero i principali membri del Mercosur, organizzazione nella quale il Venezuela vorrebbe entrare, senza esserci ancora riuscito. Cambiando partner, non cambierà tuttavia la situazione: Caracas sarà costretta a riproporre la sua dipendenza alimentare. Ecco perché, almeno all’estero, la portata dell’azione geopolitica di Chávez non va per il momento sopravvalutata.

Davide Tentori [email protected]

Venti di guerra da Sud?

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Il leader venezuelano Chávez promette battaglia se gli USA installeranno sette basi militari in Colombia. Dall’UNASUR, tuttavia, non arriva una posizione comune. Cosa c’è sotto all’accordo tra Washington e Bogotà?

 

L’ACCORDO – L’America Latina è in subbuglio in queste settimane per il possibile accordo tra Stati Uniti e Colombia che porterebbe alla concessione, da parte di Bogotá, di sette basi militari per le forze armate di Washington. Il piano si inserisce nell’ambito della storica collaborazione tra gli USA e la nazione sudamericana e avrebbe lo scopo di ottenere risultati più concreti nella lotta al narcotraffico e alla guerriglia marxista delle FARC. Nello specifico, si tratterebbe di tre basi aeree, due per la Marina e due riservate invece alle forze di terra. La Casa Bianca spinge per concludere l’accordo in seguito alla revoca, da parte dell’Ecuador, della concessione dell’utilizzo della base di Manta. Le autorità militari e politiche dei due Paesi hanno affermato di voler concludere la trattativa entro la fine di questa settimana, nonostante la ferma opposizione di altri Stati della regione, in testa il Venezuela. Per discutere la questione è stato convocato nella capitale ecuadoregna, Quito, un vertice straordinario del Consiglio Sudamericano di Difesa, un organismo che fa parte dell’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane), una delle ultime organizzazioni regionali nate in questi anni.

 

TANTO RUMORE PER NULLA – La riunione che si è tenuta l’11 agosto scorso (assente il presidente colombiano, Álvaro Uribe, in ragione delle cattive relazioni diplomatiche tra Ecuador e Colombia), non ha sortito alcun effetto concreto. Il Venezuela di Hugo Chávez ha spinto perchè venissero decise delle sanzioni comuni contro Bogotá, ma gli altri Paesi hanno preferito percorrere la strada della prudenza. In particolare il Brasile, nonostante si sia dichiarato contrario ad un aumento così massiccio della presenza “yankee” nella regione, ha adottato un atteggiamento più conciliante e il presidente Lula ha chiesto a Obama che descriva pubblicamente all’intera regione le sue intenzioni. Anche il Cile e l’Argentina, abitualmente vicina al Venezuela, hanno adottato lo stesso atteggiamento, proponendo che si tenga un’altra riunione entro la fine di agosto a Buenos Aires.

 

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E ORA? – Il presidente venezuelano ha affermato che stanno “soffiando venti di guerra in America Latina”. Tuttavia, la possibilità che Caracas dichiari guerra alla Colombia sembra del tutto remota. È indubbio però che un aumento ingente della presenza militare statunitense nella regione desti preoccupazione negli Stati sudamericani. Il Brasile è il principale alleato strategico degli USA nella regione, ma l’atteggiamento titubante in questa situazione si può spiegare con il timore di non essere coinvolto in tutte le questioni militari che rientrano nella politica di Washington verso l’America Latina. L’incapacità dell’UNASUR di prendere una decisione sulla materia denota ancora una volta lo stallo nel processo di integrazione regionale: il successo delle organizzazioni regionali proliferate in questi anni si potrà solo misurare con le decisioni concrete che verranno intraprese. Al momento, tuttavia, manca una posizione comune: i Paesi sudamericani sono divisi tra l’opposizione intransigente a Washington e la volontà di intraprendere un rapporto di collaborazione reciproca. Tali fratture, però, non sembrano propiziare un cambiamento effettivo delle relazioni emisferiche e gli USA potrebbero essere incentivati a proseguire sulla strada degli accordi bilaterali con i suoi alleati storici.

La difficolta’ di decidere

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Anche la seconda assemblea delle nazioni sudamericane, riunite per affrontare la questione delle basi USA in Colombia, si conclude con un nulla di fatto. Ulteriore segno della debole integrazione regionale

LE BASI? SÌ, NO, FORSE… – In America Meridionale da giorni l’evento principale è la questione relativa all’accordo militare tra Stati Uniti e Colombia. In base a questo trattato, i cui termini non sono stati resi pubblici in toto, la nazione sudamericana offrirebbe a Washington la possibilità di istituire sette basi militari sul proprio territorio, che coinvolgerebbero tutte e tre le Forze Armate (esercito, marina, aviazione). La reazione nella regione è stata pressoché unanime nel giudicare negativamente l’accordo, anche se le sfumature sono state diverse. Con l’eccezione del Perù che, da alleato degli USA, si è pronunciato a favore, gli altri Stati oscillano dalla prudente diffidenza del Brasile fino all’estrema avversione del Venezuela di Hugo Chávez, che ha annunciato l’arrivo di “venti di guerra” e la rottura di ogni relazione con la Colombia. Tuttavia, due riunioni dell’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane) non sono bastate per elaborare una posizione comune sulla vicenda. Dopo la prima assemblea svoltasi a Quito (Ecuador) all’inizio di agosto, infatti, il secondo meeting che si è tenuto il 28 agosto a Bariloche (Argentina) ha confermato l’impossibilità di giungere ad una decisione condivisa.

TRA MINACCE E TIMORI – Al vertice argentino, il ruolo di mattatore è stato esercitato, come di consueto, dal leader venezuelano Chávez, il quale ha mostrato un testo che sarebbe la prova delle intenzioni bellicose degli USA nei confronti del Sudamerica. Il documento, un Libro Bianco dell’Aviazione che non è il testo dell’accordo, indica le basi militari colombiane come siti idonei per la mobilizzazione aerea delle truppe statunitensi. Per il Venezuela sarebbe chiara dunque la volontà di Washington di usare la Colombia come base di appoggio per spostare le proprie truppe (ma il coinvolgimento di militari sarebbe in realtà modesto, 800 unità nel complesso) negli altri Paesi, dove vi fosse la necessità. Il presidente brasiliano Lula ha invece adottato un approccio più morbido, chiedendo chiarezza all’omologo colombiano, Álvaro Uribe, sul fatto che l’accordo sia esclusivamente per scopi interni e che riguardi la lotta al traffico di armi e stupefacenti. L’UNASUR non è comunque riuscita a prendere un provvedimento concreto e ha convocato per la metà del mese un’altra riunione, prendendo il tempo di esaminare il Libro Bianco presentato da Chávez; nel frattempo, ha approvato una dichiarazione che esorcizza l’ingerenza negli affari regionali da parte di potenze esterne. 

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COSA C’È SOTTO? – Le potenze più coinvolte, oltre alla Colombia, sono Brasile e Venezuela. Caracas non procederà a mettere in atto le minacce, perché sa di non poter prescindere totalmente dalle importazioni colombiane, ma il continuo ricorso di Chávez alla tensione retorica può aiutare il suo Paese a godere di una visibilità politica di primo piano nella regione. Delicata è invece la posizione del Brasile: importante alleato degli USA nella regione, Lula teme però di non essere consultato da Washington in tutte le questioni strategiche. Questo comporterebbe una revisione al ribasso delle ambizioni politiche di Brasilia a livello internazionale. 

Davide Tentori 1 settembre 2009 [email protected]

Chi avra’ la meglio?

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Nasce la CELC (Comunità di Stati Latinoamericani e Caraibici), nuova iniziativa di integrazione regionale partorita dal Gruppo di Rio. Un progetto alternativo all’OSA

TEMPO DI CAMBIAMENTI – É tempo di sensibili aggiustamenti geopolitici in America Latina: nel corso dell’ultimo anno  si é giá votato per la presidenza in vari paesi tra cui Bolivia, Honduras, Cile e Uruguay, e presto lo si fará anche in Brasile, dove Luiz Inácio Lula Da Silva uscirá di scena all’apice della sua popolaritá.Accanto ai processi elettorali, in questi giorni l’attenzione degli addetti ai lavori é attratta da due processi paralleli e in un certo senso antagonisti: la campagna per l’ elezione del Seretario Generale della Organizzazione degli Stati Americani (OAS), e la riunione annuale del Gruppo di Rio a Cancún, Messico.Il Segretario uscente dell’OAS, l’ex ministro degli esteri cileno José Manuel Insulza, é impegnato in un tour tra i paesi latinoamericani per assicurasi i voti necessari per la sua rielezione. Il suo operato peró non é stato unanimemente apprezzato: da piú parti si é accusato Insulza di difendere la democrazia a intermittenza. In particolare lo si accusa di aver reagito rapidamente quando si trattó di condannare i colpi di stato contro i presidenti di sinistra in Venezuela nel 2002 e in Honduras nel 2009, ma di non aver fatto granché per impedire che questi stessi presidenti attentassero gradualmente alla democrazia dei loro rispettivi paesi.Da parte sua, Insulza si difende sottolineando il suo ruolo di esecutore delle volontá dell’Assemblea: non é il Segretario Generale, ma i Paesi membri a proporre risoluzioni. Da piú parti si é fatto il nome dell’ex presidente del Costa Rica Óscar Arias per ricoprire l’incarico, ma il diretto interessato ha gentilmente declinato l’invito. Indipendente da chi sará eletto a capo della OAS comunque, sono ormai palesi i limiti di una organizzazione creata nel ’48 si impulso degli Usa come strumento di controllo del cortile di casa e da questi dominata politicamente fino al giorno d’oggi. 

LA CUMBRE DE LA UNIDAD – Se ne sono accorti giá da qualche tempo i Paesi latinoamericani e dei caraibi aderenti al Gruppo di Rio. Nei giorni scorsi i loro rappresentanti si sono riuniti a Cancún per discutere, tra le altre cose, della creazione di un nuovo organismo multilaterale (la CELC, Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños) che smarchi i paesi della regione dalla ingombrante presenza di Usa e Canada. Si é trattato di una conferenza di alto profilo che ha visto la presenza, tra gi altri, di Raúl Castro, Hugo Chávez,  René Préval, Evo Morales e Lula. Assente invece Porfirio Lobo, neopresidente dell’Honduras momentaneamento sospeso dal’organizzazione.La idea di uno spazio di unitá per la regione latinoamericana era sorta due anni fa nella nella riunione del Gruppo a Salvador de Bahía, e si concretizzerá in una nuova conferenza da tenersi probabilmente a Caracas il prossimo anno o in Cile nel 2012. Il modello da seguire é, secondo il Ministro degli Esteri messicana, Patricia Espinosa, il processo che ha portato alla creazione della Unione Europea.Oltre a questo nuovo assetto continentale, la “Cumbre de la Unidad Latinoamericana” é stata anche occasione per discutere dello sforzo latinoamericano per aiutare la ricostruzione di Haiti, e di una serie di progetti di cooperazione economica regionali e bilaterali tra cui la possibilitá di stipulare un Trattato di Libero Commercio tra Messico e Brasile. É rimasto invece fuori dall’agenda il tema del riconoscimento del nuovo governo Hondureño dopo il golpe del giugno 2009.

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GIOCHI DI POTERE E VECCHIE RUGGINI – Per il Presidente messicano Felipe Calderón, la conferenza di Cancún é servita anche per cercare di rinforzare il protagonismo messicano in America Latina minacciato dalla crescente importanza economica e diplomatica del Brasile e fonte di malumori a causa della relazioni politiche preferenziali che il Messico intrattiene con Usa e Canada.Intanto, il Presidente colombiano Álvaro Uribe e quello venezuelano Hugo Chávez non hanno perso occasione per scrivere un altro capitolo delle burrascose relazioni tra i due paesi confinanti: un acceso diverbio che li ha visti protagonisti durante il pranzo privato offerto dal padrone di casa e che é stato condito da toni degni piú di un saloon che di una conferenza internazionale. La strada verso una reale “Unidad Latinoamericana”, insomma, é ancora tutta da percorrere .

Vincenzo Placco 27 febbraio 2010 [email protected]