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La guerra senza fine della Corea

Ristretto25 giugno 1950: truppe nordcoreane invadono la Corea del Sud. È l’inizio della guerra di Corea, destinata a concludersi in un sanguinoso stallo nel 1953. Le conseguenze di quel conflitto sono ancora con noi oggi, come dimostrato dalle recenti tensioni tra le due Coree sul confine del 38° parallelo.

Colonia giapponese dal 1910, la Corea era stata occupata congiuntamente da americani e sovietici alla fine della seconda guerra mondiale, venendo poi divisa in due distinte zone di occupazione al 38° parallelo. Quella settentrionale, controllata dai sovietici, viene presto organizzata in Stato comunista da Kim Il-sung, uno dei capi della guerriglia anti-giapponese in età coloniale, mentre quella meridionale resta capitalista sotto il Governo autoritario di Syngman Rhee, ex Presidente del Governo coreano in esilio. Le crescenti tensioni internazionali tra Mosca e Washington finiscono per pervadere anche la penisola coreana, alimentando le ambizioni di riunificazione nazionale di Kim. Incoraggiato dalla fragilità interna del regime di Rhee, il leader nordcoreano si reca nella primavera 1949 in Unione Sovietica per ottenere il consenso di Stalin ad una conquista militare del Sud. Inizialmente Stalin rifiuta perché giudica l’idea troppo rischiosa, ma la vittoria di Mao nella guerra civile cinese e il ritiro delle truppe americane dalla penisola lo convincono infine ad approvare i piani di Kim. Addestrato e equipaggiato dall’Armata Rossa, l’Esercito nordcoreano oltrepassa quindi il confine del 38° parallelo il 25 giugno 1950, costringendo il Governo sudcoreano ad abbandonare Seul. L’amministrazione Truman è presa di sopresa dalla situazione, ma decide comunque di intervenire per garantire la sicurezza del Giappone e impedire un ulteriore avanzamento del comunismo in Asia orientale. Su pressione di Washington, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approva quindi le Risoluzioni 82 e 83 che condannano l’invasione nordcoreana e chiedono agli Stati membri di fornire assistenza militare alla Corea del Sud. Il passaggio di tali provvedimenti è facilitato dal boicottaggio del Consiglio da parte di Mosca a causa del mantenimento del seggio cinese al Governo nazionalista di Chiang Kai-shek, riparato dopo la sconfitta sull’isola di Formosa (Taiwan).

Guidata dal generale Douglas MacArthur, la coalizione internazionale a sostegno della Corea del Sud riconquista presto l’intero Paese e invade persino la Corea del Nord, occupando la capitale Pyongyang. A quel punto, però, interviene la neonata Repubblica popolare cinese che invia una cospicua armata di “volontari” a sostegno dei nordcoreani. L’obiettivo di Mao è infatti tenere lontani gli americani dal confine del fiume Yalu e prevenire un allargamento del conflitto al proprio territorio nazionale, cosa tra l’altro caldeggiata apertamente da MacArthur. L’intervento cinese risulta decisivo e salva il regime di Kim dalla rovina, costrigendo le forze delle Nazioni Unite a una drammatica ritirata sotto il 38° parallelo. Cinesi e nordcoreani riescono pure a riconquistare Seul, infliggendo un’umiliante sconfitta agli USA e accelerando il siluramento di MacArthur, ormai in contrasto aperto con Truman sulla condotta strategica della guerra. Dopo le battaglie del fiume Imjin e di Kapyong, nell’aprile 1951, le forze delle Nazioni Unite riprendono però slancio e riconquistano le posizioni perdute sino al 38° parallelo, dando poi vita a un lungo e sanguinoso conflitto di attrito su tale linea di demarcazione. Alla fine la guerra viene chiusa dall’armistizio di Panmunjom nel luglio 1953, che ristabilisce di fatto lo status quo prebellico.

Corea del Sud e Corea del Nord restano quindi Stati separati e politicamente antitetici, protetti rispettivamente dagli USA e dalla Cina. Le cose non cambiano nemmeno dopo la fine della guerra fredda e ancora oggi la divisione della penisola rappresenta un serio problema di sicurezza internazionale, come dimostrato dalle recenti iniziative del regime nordcoreano contro Seul.

Simone Pelizza

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