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"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

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Iran e Israele si incontrano a Venezia

In 3 sorsiGrazie alla collaborazione tra la regista franco-iraniana Zar Amir Ebrahimi e il regista israeliano Guy Nattiv, Iran e Israele hanno dimostrato come l’arte, in questo caso il cinema, possa rivelarsi un potente strumento di dialogo. Presentato al concorso Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia, Tatami è molto più di un film: è l’incontro tra due Paesi dipinti come nemici, è l’affronto al regime islamico iraniano, è la voce negata alle vittime di persecuzioni.

L’Ecuador è al buio

In 3 sorsi – L’Ecuador è alle prese con una crisi energetica senza precedenti tanto da costringere il Governo a effettuare dei blackout durante il giorno.

La visita di Mattarella in Uzbekistan: partenariato strategico e cooperazione economica e culturale

Caffè LungoA inizio novembre il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella ha incontrato in Uzbekistan il proprio corrispettivo Shavkat Mirziyoyev, con cui ha tenuto svariati incontri e trattative. Sono stati firmati diversi accordi bilaterali per favorire la cooperazione in vari settori chiave dell’economia, con una particolare attenzione agli scambi accademici e culturali tra i due Paesi.

Nuove prospettive per il terzo Forum delle Vie della Seta

In 3 sorsi – Sono passati 10 anni da quando il Presidente cinese lanciò le nuove Vie della Seta, chiamate in Cina “una cintura, una via”, ma note nel mondo come Belt and Road Iniziative (BRI). Pur frenata dalle guerre in corso, l’iniziativa pare andare avanti speditamente verso una nuova fase che porta con sé opportunità e speranze insieme a grandi inquietudini.

È morto Henry Kissinger

Ristretto – A sei mesi dal suo 100° compleanno, Henry Kissinger è morto. Diplomatico astuto e cinico, ha definito gli affari internazionali della Guerra Fredda come pochi altri.

Le reazioni sudamericane al conflitto Israele-Hamas

In 3 sorsi Dal sostegno incondizionato verso Israele da parte di El Salvador, alla rottura dei rapporti diplomatici della Bolivia con Tel Aviv, vediamo come il continente sudamericano sta reagendo al conflitto in corso nella Striscia di Gaza.

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1. L’INIZIO DELLE VIOLENZE

Il 7 ottobre è stato lanciato dalla Striscia di Gaza uno degli attacchi più sanguinosi da parte di Hamas nei confronti di Israele, infliggendo danni senza precedenti: più di 1.400 persone sono state uccise e almeno 240 prese in ostaggio. Le brigate di Al-Qassam, braccio armato di Hamas, sono riuscite a penetrare nel territorio israeliano e attaccare i kibbutz più vicini alla Striscia cogliendo di sorpresa l’esercito israeliano, concentrato sul proteggere gli insediamenti illegali in Cisgiordania. La risposta bellica è partita subita dopo con bombardamenti di una portata mai vista sulla Striscia uniti, dal 27 ottobre, anche ad operazioni di terra. Secondo quanto dichiarato dal Ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas, dal 7 ottobre sarebbero stati uccisi 8.805 palestinesi, tra cui almeno 3.648 bambini e 2.187 donne. Di fronte a questa situazione le risposte della comunità internazionale non si sono fatte attendere, ma mentre i principali attori occidentali come gli Stati Uniti e l’Unione Europea, sono stati chiari nell’esprimere il loro sostegno al diritto di Israele di difendersi, in America Latina le reazioni sono state molto diverse. È interessante quindi analizzarle per capire come i principali stati della regione si stanno rapportando a una delle questioni più controverse di questo periodo e come queste reazioni possono influenzare il conflitto stesso.

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Fig. 1 – Palestinesi feriti arrivano al Nasser Medical Hospital a Khan Yunis, Gaza

2. LE RISPOSTE DIPLOMATICHE

La presa di posizione più netta è stata presa dalla Bolivia che, come dichiarato dal viceministro degli Esteri Freddy Mamani, ha deciso di “di interrompere tutte le relazioni con Israele in segno di condanna alla sproporzionata offensiva militare in corso nella Striscia di Gaza”. Non è la prima volta che La Paz prende una decisione simile: era già successo nel 2009 sempre in seguito agli scontri tra l’IDF (Forze di Difesa Israeliane) e Hamas a Gaza. Le relazioni erano poi riprese solo nel 2020. Il Presidente colombiano Petro, invece, si era fatto notare pochi giorni dopo il 7 ottobre quando aveva paragonato le azioni di Israele a quelle dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, scatenando l’ira del Governo di Netanyahu. La Colombia ha a sua volta richiamato il proprio ambasciatore in segno di condanna verso le azioni israeliane. La stessa decisione è stata presa dal Governo del Cile, lo Stato che ospita la maggiore comunità di palestinesi fuori dal Medio Oriente, e dall’Honduras. Per quanto riguarda uno degli attori più rilevanti anche sul piano internazionale, il Brasile, nessuna iniziativa diplomatica è stata intrapresa ma forti dichiarazioni sono state fatte dal Presidente Lula che ha definito un “genocidio” quello che Israele sta facendo nella Striscia. Lo stesso ha detto il Presidente venezuelano Maduro in un recente intervento televisivo. Dall’altro lato, chi si è schierato maggiormente a favore di Israele è stato Nayib Bukele, Presidente di El Salvador, che ha definito i membri di Hamas “selvaggi” dichiarando che per la causa palestinese “sarebbe meglio che svanissero”. Più moderati, invece, i Governi di Ecuador, Guatemala e Uruguay, che si sono limitati a condannare le violenze del 7 ottobre e a mostrare solidarietà con il popolo di Israele, senza menzionare Gaza e i palestinesi.

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Fig. 2 – Manifestanti a La Paz, Bolivia, protestano contro le azioni di Israele a Gaza

3. IMPLICAZIONI PER IL FUTURO DI GAZA

Il principale elemento che sembra caratterizzare queste prese di posizione è legato all’appartenenza politica dei vari Governi sudamericani. La sinistra latino-americana è storicamente sempre stata più vicina a posizioni pro-palestinesi, invocando il diritto all’autodeterminazione dei popoli in chiave anticoloniale e antiamericana, essendo gli USA da sempre alleati di Israele. In quest’ottica vanno quindi interpretate le reazioni dei Governi di Venezuela, Cile, Colombia e Brasile che, data anche la distanza geografica, hanno meno interessi economici e securitari in Israele. Se si dovessero unire anche altri attori del cosiddetto Sud Globale nel denunciare i comportamenti delle Forze Armate di Israele, forse, la legittimità internazionale della risposta agli attacchi del 7 ottobre verrebbe meno e sarebbe anche più difficile per gli Stati Uniti continuare ad appoggiare le azioni del Governo di Netanyahu. Questo potrebbe portare ad aumentare le pressioni internazionali per un cessate il fuoco e al ripristino di una qualche negoziazione con i palestinesi per un percorso di pace.

Giulio Mandarino

Palestine solidarity protesters call for peace and an end to Israel’s occupation and Apartheid” by alisdare1 is licensed under CC BY-SA

L’India non sa che fare con Israele e Palestina

In 3 sorsiL’India, che storicamente è vicina alla causa palestinese, vista come conseguenza diretta del colonialismo britannico, negli anni, grazie agli interessi comuni, ha intensificato significativamente il rapporto con Israele. Nell’attuale conflitto di Gaza il gigante asiatico si trova quindi a doversi destreggiare tra non scontentare Israele e gli alleati occidentali da un lato, e i partner arabi dall’altro.

La Serbia si prepara alle elezioni politiche

In 3 sorsi – In un clima politico rovente, la Serbia si prepara ad andare alle urne il prossimo 17 dicembre. Il Presidente Vučić è alla ricerca di un ampio consenso che gli permetta di continuare e governare e di mettere a tacere le opposizioni.

Venezuela, con Nicolás Maduro la democrazia rimane una chimera

In 3 sorsi Il Presidente Nicolás Maduro continua a dimostrarsi un interlocutore inaffidabile per gli Stati Uniti. Nonostante l’allentamento delle sanzioni promosso da Washington, il Governo di Caracas stenta a imboccare la strada della democrazia.

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1. CHE COSA SUCCEDE IN VENEZUELA

Fedele delfino di Hugo Chávez, Nicolás Maduro ha assunto il ruolo di Presidente del Venezuela nel 2013 e da allora governa in maniera autoritaria. Nel corso dei suoi due mandati, il sessantenne capo di Stato ha promosso politiche di accentramento del potere e ha indebolito notevolmente le Istituzioni democratiche del Paese. Oltre a limitare lo spazio d’azione delle forze d’opposizione, Maduro ha rafforzato il controllo sui mezzi di informazione e ha esteso l’influenza sui giudici della Corte Suprema. Inoltre, durante i propri Governi lo Stato latinoamericano ha conosciuto un declino economico molto grave: stando ai dati del 2022, l’inflazione si è attestata attorno al 234%, mentre le famiglie con un reddito inferiore alla soglia della povertà hanno rappresentato l’81% della popolazione. Come conseguenza di tale crisi, a partire dal 2014 circa 7 milioni di venezuelani – quasi il 25% del totale dei cittadini – hanno lasciato il Paese alla ricerca di condizioni di vita migliori all’estero. Oltre a ciò, il collasso del sistema economico è stato aggravato dalle sanzioni imposte dagli Stati Uniti nel 2019, quando Donald Trump si espresse a favore di un divieto totale degli scambi economici con il Venezuela: tale vincolo ha impedito al Paese l’esportazione di gas naturale e petrolio nei mercati internazionali, mutilando le finanze statali per quasi un decennio.

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Fig. 1 – Il Presidente venezuelano Nicolás Maduro, Febbraio 2023, Palazzo di Miraflores, Caracas, Venezuela

2. PROVE DI RIAVVICINAMENTO CON WASHINGTON

Lo scorso 18 ottobre Washington ha deciso di allentare le sanzioni contro Caracas. Alcuni analisti hanno intravisto dietro questa scelta di Biden due principali ragioni: da una parte l’urgenza di far fronte al rialzo del prezzo del petrolio a livello globale; dall’altra la necessità di contenere la pressione migratoria venezuelana sulla frontiera statunitense. L’apertura commerciale, che dovrebbe avere una durata di sei mesi, è stata concessa a condizione che Maduro si impegni a ripristinare un ordinamento democratico nel Paese. In questa direzione il Presidente venezuelano, a seguito di colloqui con membri dell’opposizione a Barbados, ha trovato un accordo per organizzare le elezioni presidenziali del prossimo anno in chiave democratica. Le votazioni saranno monitorate a livello internazionale nel rispetto dei dettami costituzionali. Oltre a questa iniziativa, l’erede di Chávez ha concesso la libertà a cinque prigionieri politici, messi in carcere senza la condanna di un tribunale. Secondo alcuni esperti, tuttavia, quest’ultima disposizione governativa non è indicativa di un cambio di registro dell’esecutivo, dal momento che attualmente i detenuti per motivi politici in Venezuela sono oltre 200.

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Fig. 2 – María Corina Machado, membro del partito d’opposizione, ottobre 2023, Caracas, Venezuela

3. GLI OSTACOLI ALLA DEMOCRAZIA

A corroborare l’ipotesi di una mancata apertura democratica di Palazzo di Miraflores, lo scorso 30 ottobre la Corte Suprema venezuelana ha sospeso l’esito delle primarie dell’opposizione tenutesi il 22 ottobre. Dietro questa decisione ci sarebbe la presunta ineleggibilità della vincitrice di queste votazioni, la liberale María Corina Machado, a causa di una precedente condanna per corruzione. Quanto accaduto, però, non rispetta la richiesta statunitense di rimuovere le restrizioni imposte a candidati dell’opposizione in vista del prossimo appuntamento alle urne ed entra perciò in contrasto con le condizioni imposte da Biden qualche giorno prima. A detta di alcuni analisti, è plausibile che, per far fronte al rallentamento del processo democratico, nelle prossime settimane gli Stati Uniti tornino a usare le sanzioni come strumento di pressione su Caracas. In questo senso la possibilità che nel 2024 in Venezuela delle elezioni democratiche abbiano luogo è legata a doppio filo con il braccio di ferro tra gli interessi di Maduro e quelli Biden.

Alessandro Dowlatshahi

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Gli interessi russi nella guerra civile in Sudan

In 3 sorsi Da aprile 2023 si registrano violenti scontri in Sudan in seguito all’ennesimo colpo di Stato che vede contrapposto il Generale Dagalo (noto come Hemedti) all’esercito regolare di al-Buhran. Se da una parte molti attori internazionali decidono di evacuare i propri civili, la Russia non sta a guardare e approfitta economicamente della situazione.

Sei confini planetari su nove superati: quale futuro sostenibile?

In 3 sorsi L’ultima rilevazione dello Stockholm Resilience Center evidenzia l’avvicinamento ai “confini planetari” ricordando l’attualità del tema sulla salvaguardia del pianeta.

La lunga storia dell’accordo EU-Mercosur

Caffè Lungo – Le lunghe trattative tra l’Unione Europea e il blocco dei Paesi Mercosur durano da oltre vent’anni e saranno definite entro la fine del 2023. In gioco ci sono importanti interessi commerciali e, sempre di più, l’attrattività dell’UE come attore globale.