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"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

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Il Referendum e la nuova Costituzione in Uzbekistan

Caffè LungoIl 30 aprile scorso i cittadini dell’Uzbekistan hanno adottato una nuova Costituzione tramite referendum. Il rinnovato testo costituzionale prevede maggiori tutele sui diritti umani, ma estende anche il mandato del Presidente da 5 a 7 anni e azzera i precedenti mandati dell’attuale capo di Stato Mirziyoyev, offrendogli quindi la possibilità di restare in carica sino al 2040.

La politica estera causa tensioni all’interno del GOP

Caffè Lungo – Non sempre all’interno di un partito si condivide la stessa linea programmatica. Le opinioni sono le più disparate e ogni decisione può dipendere da compromessi apparentemente insormontabili. Tale dinamica riguarda anche il Partito Repubblicano e, in particolare, i piani in materia di politica estera.

L’Italia e il MES: una relazione complicata

AnalisiL’Italia è rimasto l’ultimo Paese dell’UE a non avere ancora ratificato la riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità. Ma in cosa consiste la riforma? E cosa comporterebbe una mancata ratifica?

Uganda, in vigore la legge anti-omosessuali

In 3 sorsi La promulgazione della legge antiomosessualità in Uganda è avvenuta nonostante la pressione internazionale nei confronti del Presidente Museveni, aumentando così il livello di omofobia nel Paese e nel Continente. Le conseguenze di questa legge sono un incremento nel numero di migranti LGBT e il futuro isolamento del Paese da parte degli attori occidentali, il che potrebbe spingere l’Uganda a cercare nuovi partner altrove.

La sfida di Prigozhin

Aggiorniamo e monitoriamo con questo articolo quanto sta accadendo in Russia in seguito alla dichiarazione di venerdì 23 giugno del leader della Compagnia Wagner di voler sostituire il Ministro della Difesa Shoigu e il Capo di Stato Maggiore Gerasimov.

Iran, le nuove mosse del regime

In 3 sorsiSe la reazione del regime iraniano ha costretto le proteste di strada a spegnersi, i manifestanti continuano ad agire tramite la disobbedienza civile, sfidando le nuove restrizioni contro le donne. Intanto, a livello regionale, l’Iran è più attivo che mai. 

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1. L’EVOLUZIONE DELLE STRATEGIE RIVOLUZIONARIE

Le proteste in Iran, scatenate dalla morte di Mahsa Amini, sono state ormai progressivamente ridotte. La rivolta si era contraddistinta per la sua forte carica rivoluzionaria, che aveva posto al centro delle richieste di cambiamento i diritti delle donne legati alle più profonde istanze da parte dell’intera società, quali il rispetto dei diritti umani, la libertà e la giustizia sociale. Ma la reazione adottata dal regime contro i manifestanti era stata dura: le proteste si sono interrotte a dicembre dopo arresti arbitrari e condanne a morte. Amnesty International ha registrato più di 400 persone uccise e oltre 14mila arresti. Oggi gli atti di disobbedienza civile hanno sostituito le strade gremite e gli attori rivoluzionari stanno rielaborando le proprie strategie: ragazzi e ragazze all’Università mangiano insieme ignorando le rigide separazioni di genere, i manifesti di propaganda del regime vengono smantellati e al loro posto risuonano canti antigovernativi, e le donne sfidano ogni giorno la polizia morale mostrandosi senza hijab. Anche la danza diventa una modalità di disobbedienza civile: il 3 giugno alcuni iraniani hanno ballato in strada per festeggiare l’anniversario della morte dell’ayatollah Khomeini.

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Fig. 1 – Il magazine iraniano Andisheh riporta la morte di Mahsa Amini, 14 marzo 2023

2. LE MODALITÀ DI REPRESSIONE DEL REGIME

Se le proteste, pur ripiegando su altri metodi, si sono evolute, altrettanto ha fatto la macchina di controllo del Governo. Sullo sfondo degli arresti di massa, della pena di morte per gravi crimini contro lo Stato e delle esecuzioni, il regime sta usando armi sempre più pesanti contro i manifestanti, e l’oppressione delle donne a livello sociale, pubblico e giuridico è sempre una priorità. Le ultime due donne a rischiare la pena di morte per “collusione con poteri ostili” dopo un processo a porte chiuse sono Elaheh Mohammadi, del quotidiano riformista Hammihan, e Niloufar Hamedi, del giornale Sharq, tra le prime giornaliste iraniane a occuparsi della morte di Mahsa Amini e a dare alla faccenda una risonanza nazionale. La crociata sull’abbigliamento femminile è, inoltre, una costante nell’azione governativa: il controllo oppressivo del Governo si è rivolto anche ad attività commerciali che servivano donne senza hijab. Un ulteriore affondo riguarda l’impiego delle telecamere di sorveglianza per identificare le donne che non indossano l’hijab, sfidando le costrizioni. Utilizzando il riconoscimento facciale sui trasporti pubblici, lo Stato intende identificare e punire le donne che non rispettano i codici di abbigliamento religiosi, avvicinandosi a metodi e tecnologie già implementate in Cina

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Fig. 2 – Proteste del collettivo Iranian Women’s Life Freedom davanti all’ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran contro le sentenze di morte legate alle recenti proteste, Roma, 24 maggio 2023

3. LE NUOVE ALLEANZE A LIVELLO INTERNAZIONALE

Se a livello interno il Governo è impegnato in una lotta oppressiva dalle strade ai tribunali, sul piano regionale e internazionale l’Iran si propone sempre più come un attore di indubbio calibro. Ultimamente, infatti, ha avanzato due mosse strategiche: la riapertura verso l’Arabia Saudita e la distensione diplomatica nei confronti dell’Egitto. Per quanto concerne la prima, lo storico accordo, mediato dalla Cina, ha riavvicinato i due Stati che più si sfidavano sul piano regionale, segnando una svolta significativa nelle relazioni tra i due Paesi. La notizia dell’accordo ha avuto un importante effetto benefico per Teheran: spostando l’attenzione dalla “complessa” situazione endogena, caratterizzata non solo dalle proteste e dalla sistematica violazione dei diritti umani, ma anche da una forte inflazione e dalla continua perdita di valore della moneta, ha comportato una diminuzione della soglia del cambio, passando da 600mila rial per un dollaro del febbraio 2023, a 450mila rial. Per la seconda, invece, la ripresa delle relazioni tra Teheran e il Cairo, sebbene ancora incerta, ha visto il supporto di attori regionali e non: primi fra tutti Iraq e Oman, che da anni si è ritagliato il ruolo di pacifico mediatore tra vicini turbolenti, e la Cina, ormai onnipresente per gestire i propri tentacolari interessi commerciali nell’area mediorientale.

Beatrice Ala

Immagine di copertina: Photo by atemeh Bahrami/Anadolu Agency via Getty Images.

La nuova strategia europea di sicurezza economica. Obiettivo: massimizzare i vantaggi dell’economia aperta e minimizzare i rischi dell’interdipendenza economica

In 3 sorsiPerché l’Unione Europea lancia una strategia di de-risking economico? Come intende affrontare i pericoli di sicurezza derivanti dalla globalizzazione che sono emersi negli ultimi anni?

Il ruolo della Francia nell’Indo-Pacifico

In 3 sorsiIn questo articolo si cercherà di analizzare come l’Amministrazione francese di Emmanuel Macron abbia ridato un forte slancio alla sua politica estera nel contesto dell’Indo-Pacifico. Questa è una regione del mondo di lunga tradizione storica per gli interessi geopolitici dell’Eliseo e che oggi è diventata una delle priorità.

Madagascar, le ragioni del fallimento economico della presidenza Rajoelina a pochi mesi dalle elezioni

Caffè Lungo Un’intervista al professor Andriamalala Heritiana, fondatore dell’Istituto Superiore di Scienze dello Sviluppo di Fianarantsoa, sul mandato del Presidente del Madagascar Andry Rajoelina.

Palestina-Israele: una primavera turbolenta

In 3 sorsiIl 15 maggio è stato il 75esimo anniversario della Nakba, il “Giorno della Catastrofe”, e la Palestina si trova di nuovo al centro di violenti scontri che hanno visto lo scambio di numerosi missili tra Israele e Gaza, e non solo.

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1. RAID MISSILISTICO TRA GAZA E ISRAELE

Gli ultimi mesi hanno visto un intensificarsi degli scontri tra Palestina e Israele, partendo con i raid della polizia israeliana all’interno della Moschea di al-Aqsa durante il periodo del Ramadan e della Pèsach ebraica, fino ad arrivare allo scambio di missili tra Gaza e Israele nella metà di maggio. Tutto questo in un arco temporale che ha compreso anche l’anniversario della Nakba palestinese, l’anniversario della creazione dello Stato israeliano nel 1948 e dell’esodo forzato dei palestinesi dai territori occupati dagli israeliani. All’alba del 2 maggio da Gaza sono partiti i primi missili indirizzati a Israele. La motivazione di questo attacco è stata la morte all’interno delle carceri israeliane di Khader Adnan, leader della Palestinian Islamic Jihad (PIJ), che si era sottoposto a 86 giorni di sciopero della fame. Era stato proprio il PIJ a rivendicare il lancio dei 3 missili che quella mattina avevano colpito la zona disabitata del Negev. Adnan protestava contro la “detenzione amministrativa”, che permette ai servizi segreti israeliani di prolungare la detenzione di un soggetto ogni sei mesi senza che vengano ufficializzate le accuse o concessi gli incontri con gli avvocati. In risposta agli attacchi del PIJ, nella mattina del 9 maggio Israele ha dato inizio alla controffensiva, rompendo il cessate-il-fuoco che era stato raggiunto grazie alla mediazione di Egitto, Qatar e Nazioni Unite. Il raid missilistico, chiamato Operazione Scudo e freccia, ha raggiunto l’obiettivo di colpire alcuni esponenti del Jihad palestinese, causando però altre 10 vittime tra i civili solo nella prima giornata. Alla conclusione dei quattro giorni di bombardamenti, sono stati contati oltre 30 morti, in maggioranza civili. Lo scontro, il peggiore dopo la crisi dei 10 giorni del 2021, si è concluso con un nuovo cessate-il-fuoco raggiunto nella nottata del 13 maggio.

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Fig. 1 – Alcune persone si riuniscono per dimostrare davanti alla sede del Comitato Internazionale della Croce Rossa a Gaza contro la morte di Khader Adnan all’interno delle carceri israeliane, 2 maggio 2023, Gaza, Palestina

2. IL GIORNO DELLA BANDIERA O QUELLO DELLA CATASTROFE

Proprio quando la situazione sembrava essersi stabilizzata, le tensioni sono riemerse a causa della marcia del “Giorno della Bandiera”, organizzata da un’ala dell’estrema destra israeliana per celebrare l’anniversario dell’occupazione di Gerusalemme del 1967. L’evento, considerato estremamente provocatorio dalla controparte palestinese, ha avuto luogo il 18 maggio all’interno della Città Vecchia di Gerusalemme. Anche se gran parte della manifestazione è stata pacifica, non sono mancati cori razzisti diretti ai palestinesi o episodi di violenza contro i giornalisti, che hanno portato all’arresto di alcuni manifestanti. Per garantire maggiore sicurezza durante l’evento, la polizia israeliana ha imposto una serie di chiusure forzate alle attività palestinesi della Città Vecchia, creato ulteriori checkpoint e dispiegato oltre 3milaagenti di polizia nell’area. La manifestazione ha avuto luogo nonostante le numerose minacce provenienti da Hamas e nonostante il cessate-il-fuoco imposto solo da pochi giorni. La popolazione palestinese di Gaza ha protestato lungo il confine e l’esercito israeliano ha risposto lanciando dei lacrimogeni sulla folla.

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Fig. 2 – Membri della destra israeliana sventolano la bandiera israeliana durante l’annuale marcia del “Giorno della Bandiera”, mentre attraversano la Porta di Damasco per entrare alla Città Vecchia di Gerusalemme, 18 maggio 2023

3. È L’ANNO DELL’ESCALATION?

A seguito di questi nuovi avvenimenti, ci sono state numerose condanne da parte dalla comunità internazionale nei confronti di Israele. Primi tra tutti si sono espressi l’Egitto e gli EAU, che hanno definito la partecipazione all’evento di numerosi ministri e deputati israeliani alla manifestazione un comportamento irresponsabile. Alle loro voci si è unita quella dell’Unione Europea. Una delegazione israeliana avrebbe dovuto partecipare allo Europe Day agli inizi di maggio, ma l’invito è stato cancellato quando sono stati resi noti i nominativi dei membri di questa delegazione, tra cui spuntava Ben Gvir, ministro della Sicurezza Nazionale e leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit, oggetto di varie critiche per i suoi atteggiamenti di incitamento alla violenza contro i palestinesi. L’UE ha giustificato la sua scelta dicendo “[…] non vogliamo offrire una piattaforma a qualcuno le cui opinioni contraddicono i valori rappresentati della UE“. Allo stesso modo, anche la società civile in giro per il mondo si è schierata a fianco dei palestinesi. Maggio ha visto lo svolgersi di una serie di manifestazioni pro-Palestina a Londra, Sydney, Melbourne e Parigi, ma anche Francoforte e Berlino, tutte al grido di “Free Palestine“. È evidente come la situazione tra Palestina e Israele nella prima metà di questo 2023 sembra aver preso una direzione poco rassicurante, con l’eventualità che episodi di violenza simili a quelli summenzionati non cessino nel corso dell’anno. Questa rinnovata violenza potrebbe ricondursi a elementi diversi, tra cui il fatto che il Governo israeliano sembra si stia spostando sempre più a destra e che questi scontri abbiano un carattere sempre più religioso – ne è un esempio la rilevanza della questione della sovranità sulla Spianata delle Moschee nel discorso ideologico di Hamas, che non ha mancato di citarla nelle sue ammonizioni verso Israele prima della Marcia della bandiera.

Alessia Mazzaferro

Immagine di copertina: Photo by hosny_salah is licensed under CC BY-NC-SA

Chiude “elPeriódico”: la libertà di stampa in Guatemala è in pericolo

In 3 sorsi – Chiude a un anno dall’arresto del suo editore lo storico giornale guatemalteco, a seguito delle persecuzioni del Governo di Alejandro Giammattei in un Paese nel quale la libertà di stampa è sempre più sotto attacco.

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1. IL GIORNALE SOTTO ATTACCO

Venerdì 12 maggio la redazione di elPeriódico, giornale noto per le inchieste su casi di corruzione in Guatemala, ha annunciato che il lunedì successivo avrebbe pubblicato l’ultima edizione, per poi interrompere definitivamente la propria attività. Il clima politico nel Paese, infatti, ha reso impossibile svolgere in maniera libera e indipendente il lavoro giornalistico. La decisione arriva dopo un anno di persecuzioni da parte del Governo iniziate con l’arresto del fondatore e editore del giornale, José Rubén Zamora. ElPeriódico era comunque riuscito ad andare avanti per quasi un anno pur dovendo far fronte a procedimenti giudiziari, multe e minacce agli inserzionisti, fino a quando tutto questo non è diventato insostenibile, con la decisione di chiudere il giornale con un ultimo editoriale scritto dal carcere da Zamora stesso e pubblicato online.

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Fig. 1 – Ultima edizione del quotidiano elPeriódico, 15 maggio 2023

2. GLI ATTACCHI A ZAMORA

José Rubén Zamora, vincitore dell’International Press Freedom Award nel 1995, fondò elPeriódico l’anno successivo e divenne uno dei giornalisti più noti per le sue critiche al Governo, oltre che uno dei più perseguitati. Nel 1995 venne minacciato di morte per aver pubblicato accuse di legami tra i militari del Guatemala e la criminalità organizzata. Nel 2003 un gruppo di uomini armati irruppe in casa del giornalista tenendo in ostaggio per ore la famiglia e picchiando brutalmente i figli. Infine, è stato arrestato dieci mesi fa per presunto riciclaggio di denaro insieme a quattro dei suo avvocati in quello che viene definito dal direttore di Americas Human Rights Watch un possibile “punto di non ritorno” per la libertà di stampa in Guatemala. A confermare la pretestuosità dell’arresto si aggiunge la decisione dell’esecutivo di incaricare per la conduzione delle indagini la procuratrice generale María Consuelo Porras e il procuratore Rafael Curruchiche, entrambi presenti all’interno della lista Engels pubblicata dal Governo degli Stati Uniti, che li identifica come attori corrotti che minano la condizione democratica del Paese. Zamora adesso rischia fino a 20 anni di reclusione: qualora venisse condannato sarebbe virtualmente messo a tacere per sempre, con un duro colpo a lui e a tutta la redazione di elPeriódico, oltre che con un chiaro segnale agli altri oppositori del regime di Giammattei. 

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Fig. 2 – Jose Ruben Zamora in attesa di un’udienza presso il Palazzo di Giustizia, 2 maggio 2023

3. LA DERIVA AUTORITARIA IN GUATEMALA

Da quando Alejandro Giammattei è salito al potere nel 2020 lo stato di salute della libertà di stampa in Guatemala è precipitato sensibilmente. Prima della sua elezione il Paese si trovava al 116° posto del World Press Freedom Index annualmente pubblicato da Reporters Without Borders (RSF). Tre anni dopo il Guatemala è sceso fino alla 127° posizione. Da quando è entrato in carica Giammattei ha infatti mostrato un atteggiamento molto ostile nei confronti di qualsiasi opposizione. Secondo l’Associazione dei Giornalisti del Guatemala, tra il 2020 e il 2022 gli attacchi registrati nel Paese contro la categoria sono stati più di 380. Chiaramente questo influisce sulla più generale condizione della democrazia guatemalteca: lo Stato si è infatti classificato nel 2022 come 99° nel Democracy Index,  rientrando dunque nella categoria di “regime ibrido“. Tuttavia non si può dire che la restrizione alla libertà di stampa sia un fenomeno in corso solo in Guatemala: anche il quotidiano nicaraguense La Prensa, e il giornale investigativo di El Salvador El Faro, infatti, sono stati costretti a trasferire la propria redazione all’estero a causa delle minacce dei rispettivi Governi, segnalando un grave attacco a livello regionale nei confronti della libertà di stampa, pilastro fondamentale su cui si dovrebbero reggere i regimi democratici.

Giulio Mandarino

Photo by ottogarcia is licensed under CC BY-NC-SA

Kenya, una task force per far luce sul massacro della foresta di Shakahola

In 3 sorsiProsegue in Kenya, nella città di Malindi, la ricerca delle persone scomparse dopo aver aderito alla setta della Good News International Church e si teme il peggio. Nell’ultimo periodo, gran parte di queste sono state ritrovate senza vita dopo una lunga agonia che li ha portati alla morte per digiuno. Mentre si decide il destino del leader della congrega che sembra essere all’origine di questo fenomeno, nelle alte sfere istituzionali si comincia a discutere di riformare la regolamentazione riguardante i gruppi religiosi.